• EFFETTO MAMDA – yes, but… calma

    Quando si percepiscono venti di cambiamento, parole di speranza e propositi basati su solidarietà e bene comune, è umano lasciarsi trascinare.
    Ci emozioniamo, ci esaltiamo, sentiamo di nuovo che “qualcosa si muove”.

    Ma — proprio perché di illusioni ne abbiamo collezionate parecchie — un po’ di prudenza civica non guasta.

    È un bel risultato, quello dei cittadini di New York con l’elezione di Zhoran Mamdani. Faccia pulita, linguaggio diretto, spirito socialdemocratico e un programma che mette al centro i diritti di tutti.
    Bello, ispirante. Ma da qui a farne un modello da importare chiavi in mano per Milano... calma.

    Negli ultimi giorni si è scatenata una specie di febbre da “Effetto Mamda”: c’è chi sogna di trovare un sindaco simile, chi lancia sondaggi come se si trattasse di un casting per il Grande Fratello della politica civica. Tutto comprensibile. Ma davvero crediamo che basti un volto giovane e carismatico per rimettere in sesto una città ferita da anni di malgoverno e autoreferenzialità?
    Non è pessimismo, ma memoria. E qualche punto fermo ci serve per non ripetere gli stessi errori

    Tre cose semplici da considerare:

    1️⃣ Milano non è New York.
    Le due città hanno morfologie, mix sociali e strutture urbanistiche profondamente diverse. Laddove New York è un mosaico di distretti autonomi e di comunità organizzate, Milano vive ancora una rigida centralizzazione amministrativa e un’urbanistica spesso piegata agli interessi immobiliari. I modelli non si “esportano”: si contestualizzano.
    Forse ora come ora qualunque schema ci sembra "oro colato" davanti al fallimento del "Modello Milano".

    2️⃣ Basta con l’uomo solo al comando.
    L’eroe solitario, bello e magnetico come un dio pagano, non serve più. Lo abbiamo visto, lo abbiamo applaudito, e troppe volte ci ha deluso. Il cambiamento vero nasce dal lavoro collettivo, dalle reti civiche, dalla condivisione del potere decisionale.
    Ma a patto che sapremo guardare oltre la concorrenza fra i nostri gruppi politici di opposizione e mettendo da parte le mire personali. Altrimenti la disfatta del 2021 sarà la stessa. Basta guardarsi in cagnesco quindi e ripartiamo.

    3️⃣ Le intenzioni non bastano.
    Stiamo già brindando a un cambiamento che deve ancora tradursi in politiche concrete. È un po’ come il Nobel a Obama: simbolico, ma prematuro. Dietro ogni volto nuovo serve un progetto, una visione collettiva e strutturata.

    E quindi?

    Non è questione di non credere al cambiamento. È questione di non farsi incantare dai riflessi del cambiamento apparente.

    Per Milano, serve una rotta chiara:

    Un candidato empatico ma circondato da una squadra forte, capace di ricucire il legame fra istituzioni e cittadini. Il leader da solo non basta più.

    Un programma concreto, pochi punti ma chiari, costruiti dai quartieri verso il centro. Basta libri dei sogni, servono agende nate dal basso: dal trasporto pubblico all’abitare, dalla giustizia sociale alla qualità della vita.

    Un patto civico nuovo, dove le Municipalità non siano più la “Serie B” della politica, ma il cuore pulsante del cambiamento reale.

    Milano non ha bisogno di un Messia o di un guru come di un profeta, ma di un’etica pubblica nuova.
    Una mentalità diversa, che parta da noi cittadini attivi. Perché senza una spinta collettiva, nemmeno il “Mamdani” più ispirato potrà salvarci.
    Va bene esultare, sognare, farsi contagiare da un entusiasmo sano.
    Ma ricordiamoci che ogni sbornia finisce… e il lunedì arriva per tutti.


    In bocca al lupo, “Mamda”. Ora tocca a noi.
    Posiamo i calici e mettiamoci al lavoro.

    #EffettoMamda #MilanoCivica #PoliticaConcreta #CambiamentoVero #LeadershipDiffusa #Partecipazione #CittàCheCambia #AttivismoCivico
    ✳️ EFFETTO MAMDA – yes, but… calma ✳️ Quando si percepiscono venti di cambiamento, parole di speranza e propositi basati su solidarietà e bene comune, è umano lasciarsi trascinare. Ci emozioniamo, ci esaltiamo, sentiamo di nuovo che “qualcosa si muove”. Ma — proprio perché di illusioni ne abbiamo collezionate parecchie — un po’ di prudenza civica non guasta. ✋ È un bel risultato, quello dei cittadini di New York con l’elezione di Zhoran Mamdani. Faccia pulita, linguaggio diretto, spirito socialdemocratico e un programma che mette al centro i diritti di tutti. Bello, ispirante. Ma da qui a farne un modello da importare chiavi in mano per Milano... calma. Negli ultimi giorni si è scatenata una specie di febbre da “Effetto Mamda”: c’è chi sogna di trovare un sindaco simile, chi lancia sondaggi come se si trattasse di un casting per il Grande Fratello della politica civica. Tutto comprensibile. Ma davvero crediamo che basti un volto giovane e carismatico per rimettere in sesto una città ferita da anni di malgoverno e autoreferenzialità? Non è pessimismo, ma memoria. E qualche punto fermo ci serve per non ripetere gli stessi errori 👇 ⚖️ Tre cose semplici da considerare: 1️⃣ Milano non è New York. Le due città hanno morfologie, mix sociali e strutture urbanistiche profondamente diverse. Laddove New York è un mosaico di distretti autonomi e di comunità organizzate, Milano vive ancora una rigida centralizzazione amministrativa e un’urbanistica spesso piegata agli interessi immobiliari. I modelli non si “esportano”: si contestualizzano. Forse ora come ora qualunque schema ci sembra "oro colato" davanti al fallimento del "Modello Milano". 2️⃣ Basta con l’uomo solo al comando. L’eroe solitario, bello e magnetico come un dio pagano, non serve più. Lo abbiamo visto, lo abbiamo applaudito, e troppe volte ci ha deluso. Il cambiamento vero nasce dal lavoro collettivo, dalle reti civiche, dalla condivisione del potere decisionale. Ma a patto che sapremo guardare oltre la concorrenza fra i nostri gruppi politici di opposizione e mettendo da parte le mire personali. Altrimenti la disfatta del 2021 sarà la stessa. Basta guardarsi in cagnesco quindi e ripartiamo. 3️⃣ Le intenzioni non bastano. Stiamo già brindando a un cambiamento che deve ancora tradursi in politiche concrete. È un po’ come il Nobel a Obama: simbolico, ma prematuro. Dietro ogni volto nuovo serve un progetto, una visione collettiva e strutturata. 💡 E quindi? Non è questione di non credere al cambiamento. È questione di non farsi incantare dai riflessi del cambiamento apparente. Per Milano, serve una rotta chiara: Un candidato empatico ma circondato da una squadra forte, capace di ricucire il legame fra istituzioni e cittadini. Il leader da solo non basta più. Un programma concreto, pochi punti ma chiari, costruiti dai quartieri verso il centro. Basta libri dei sogni, servono agende nate dal basso: dal trasporto pubblico all’abitare, dalla giustizia sociale alla qualità della vita. Un patto civico nuovo, dove le Municipalità non siano più la “Serie B” della politica, ma il cuore pulsante del cambiamento reale. Milano non ha bisogno di un Messia o di un guru come di un profeta, ma di un’etica pubblica nuova. Una mentalità diversa, che parta da noi cittadini attivi. Perché senza una spinta collettiva, nemmeno il “Mamdani” più ispirato potrà salvarci. Va bene esultare, sognare, farsi contagiare da un entusiasmo sano. Ma ricordiamoci che ogni sbornia finisce… e il lunedì arriva per tutti. 🍷 ➡️💼 In bocca al lupo, “Mamda”. Ora tocca a noi. Posiamo i calici e mettiamoci al lavoro. #EffettoMamda #MilanoCivica #PoliticaConcreta #CambiamentoVero #LeadershipDiffusa #Partecipazione #CittàCheCambia #AttivismoCivico
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  • Ecco una Completa Libreria Organizzata di Oltre 1000 articoli sottoposti a Peer Reviewed Sulle Lesioni da “Vaccino - Ri-Esistenza
    Abbiamo voluto mettere a disposizione di tutti un database facile da consultare e con immagini eloquenti che possano mettere chiunque in condizione di fugare ogni dubbio sulla reale portata di quanto un manipolo di criminali politici e sociali ha immesso sul mercato imponendolo a miliardi di persone.
    https://www.ri-esistenza.com/ecco-una-completa-libreria-organizzata-di-oltre-1000-articoli-sottoposti-a-peer-reviewed-sulle-lesioni-da-vaccino/
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    WWW.RI-ESISTENZA.COM
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  • ‼DISSOCIAZIONE COGNITIVA‼

    Ieri 4 novembre, dopo aver partecipato al corteo organizzato a Milano in occasione della manifestazione voluta dall'Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, non mi sono fatta mancare nulla ed ho partecipato all'evento organizzato da Sinistra per Israele "Omaggio a Rabin a 30 anni dal suo assasinio" e sponsorizzato dal comune di Milano.

    la DISSOCIAZIONE COGNITIVA si coglie confrontando i video proiettati dell'ultimo discorso di Rabin, di una sua Intervista, dell'intervista alla figlia di Peres, Tsvia Walden Peres, rispetto agli interventi in sala dei politici fra cui Elena Buscemi , alcuni consiglieri del consiglio comunale di Milano e il dulcis in fundo Emanuele Fiano.

    posto la registrazione della serata in modo che tutti si possano rendere conto della DISSOCIAZIONE COGNITIVA che riguarda questi mediocri personaggi.

    https://www.radioradicale.it/scheda/773275/omaggio-a-izhak-rabin-a-30-anni-dal-suo-assassinio

    trovate anche tutti gli interventi separati.
    sentirete all'inizio, durante i primi interventi il sottofondo della piazza manifestante che a pochi metri dal luogo dell'evento ha parecchio disturbato, i poveri relatori
    ‼DISSOCIAZIONE COGNITIVA‼ 👉 Ieri 4 novembre, dopo aver partecipato al corteo organizzato a Milano in occasione della manifestazione voluta dall'Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, non mi sono fatta mancare nulla ed ho partecipato all'evento organizzato da Sinistra per Israele "Omaggio a Rabin a 30 anni dal suo assasinio" e sponsorizzato dal comune di Milano. 👉 la DISSOCIAZIONE COGNITIVA si coglie confrontando i video proiettati dell'ultimo discorso di Rabin, di una sua Intervista, dell'intervista alla figlia di Peres, Tsvia Walden Peres, rispetto agli interventi in sala dei politici 🙈 fra cui Elena Buscemi 🙈, alcuni consiglieri del consiglio comunale di Milano 🙈🙈 e il dulcis in fundo Emanuele Fiano🙈🙈🙈🙈🙈. 👉 posto la registrazione della serata in modo che tutti si possano rendere conto della DISSOCIAZIONE COGNITIVA che riguarda questi mediocri personaggi. https://www.radioradicale.it/scheda/773275/omaggio-a-izhak-rabin-a-30-anni-dal-suo-assassinio 👉 trovate anche tutti gli interventi separati. 👉 sentirete all'inizio, durante i primi interventi il sottofondo della piazza manifestante che a pochi metri dal luogo dell'evento ha parecchio disturbato, i poveri relatori🙊
    WWW.RADIORADICALE.IT
    Omaggio a Izhak Rabin a 30 anni dal suo assassinio
    Modera la serata Marco Krivacek. Saluti istituzionali: Elena Buscemi (Presidente del Consiglio Comunale di Milano), Diana De Marchi (Consigliere comunale PD), Daniele Nahum (Consigliere Comunale Azione), Gianmaria Radice (Consigliere Comunale Italia Viva). Biografia e storia di Rabin di Riccardo Correggia. Letture di Davide Ortelli, Davide Fiano, Ariela Fajrajzen, Maria Foà Gips. Intervista a Tsvia Wladen Peres (figlia dello statista). Conclude Emanuele Fiano (Presidente nazionale Sinistra per Israele-Due Popoli Due Stati
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  • I prezzolati del Covid

    Le televisioni non ne parlano.
    I giornali nemmeno.
    Ma i vaccini Covid sono stati una truffa prezzolata.
    Documentalmente.
    Pregliasco ha ammesso che, quando chiedeva l'obbligatorietà dei vaccini, era pagato dai produttori dei vaccini.
    Bassetti ha ammesso davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sul Covid che era al soldo di tutte le big pharma.
    Crisanti idem.
    All'epoca del covid le big pharma - da bilanci - hanno erogato ai cosiddetti "scienziati" un miliardo di euro di consulenze.
    La pfizer ha dato all'azienda del marito di Ursula von der merden
    360 milioni di euro.
    Indagando indagando vedremo quanto le big pharma hanno erogato alle lobbies di Bruxelles per dermatiti nodulari bovine e blue tongue.
    Ma lo dice l'oms: finanziata all'87 per cento dalle big pharma.
    Che vergogna, che imbroglio, che crimine.
    Ma le tv non ne parlano.
    I giornali non ne parlano.
    I politici tacciono.
    E noi, popolo bue, siamo bestie da mungere.

    - Antonangelo Liori

    Source: https://x.com/itsmeback_/status/1982691007830380855
    I prezzolati del Covid Le televisioni non ne parlano. I giornali nemmeno. Ma i vaccini Covid sono stati una truffa prezzolata. Documentalmente. Pregliasco ha ammesso che, quando chiedeva l'obbligatorietà dei vaccini, era pagato dai produttori dei vaccini. Bassetti ha ammesso davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sul Covid che era al soldo di tutte le big pharma. Crisanti idem. All'epoca del covid le big pharma - da bilanci - hanno erogato ai cosiddetti "scienziati" un miliardo di euro di consulenze. La pfizer ha dato all'azienda del marito di Ursula von der merden💩 360 milioni di euro. Indagando indagando vedremo quanto le big pharma hanno erogato alle lobbies di Bruxelles per dermatiti nodulari bovine e blue tongue. Ma lo dice l'oms: finanziata all'87 per cento dalle big pharma. Che vergogna, che imbroglio, che crimine. Ma le tv non ne parlano. I giornali non ne parlano. I politici tacciono. E noi, popolo bue, siamo bestie da mungere. - Antonangelo Liori Source: https://x.com/itsmeback_/status/1982691007830380855
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  • PER NON DIMENTICARE e FARE UN PO' di CHIAREZZA!
    L’ENIGMA RANUCCI: IL GIORNALISTA SCOMODO CHE NON DISTURBA IL POTERE!
    Sempre solidale con chiunque subisca ogni tipo di intimidazione, compreso il soggetto in questione, vi propongo questi interessanti e condivisibili post sulla figura di Sigfrido Ranucci, il giornalista che durante la pandemia pubblicizzava senza farsi alcuna domanda i sieri sperimentali che continuano tutt’oggi a mietere vittime anche fra i suoi colleghi e proponeva imperdibili inchieste della durata di un’ora sull’evoluzione della pizza in Italia, con un inedito focus sulla mangiata dell’ex presidente Bill Clinton in una pizzeria di Napoli…tutto questo nel periodo in cui tutti i diritti fondamentali dell’uomo venivano calpestati da un banchiere criminale nel silenzio di (quasi) tutte le trasmissioni televisive, fra cui la sua.
    Buona lettura.
    Post 1
    Sigfrido Ranucci viene presentato da anni come simbolo del giornalismo d’inchiesta italiano, “voce scomoda” contro i poteri forti. Eppure, se si osserva con attenzione la linea editoriale di Report, emerge un quadro molto diverso da quello percepito dal grande pubblico.
    I servizi del programma non toccano mai le questioni centrali del potere reale: il ruolo dell’Unione Europea e della BCE nell’impoverimento economico del Paese, le responsabilità politiche nella gestione pandemica, i rapporti fra magistratura e intelligence, l’impatto delle politiche migratorie sulla sicurezza e sull’identità sociale.
    Temi di questa portata vengono costantemente evitati. Si preferisce orientare l’attenzione verso fenomeni di corruzione secondaria, conflitti di interesse marginali o presunti scandali a basso rischio politico.
    In questo senso, Report svolge una funzione precisa: incanalare l’indignazione pubblica verso bersagli innocui.
    Il risultato è duplice: da un lato si alimenta l’immagine del giornalismo “libero”, dall’altro si impedisce che l’opinione pubblica concentri la propria attenzione sui veri centri di potere.
    Non è un caso che Ranucci, pur dichiarandosi “in pericolo”, goda di massima copertura istituzionale, sia da parte del Quirinale che dell’Unione Europea, che ne difendono costantemente l’operato in nome della “libertà di stampa”.
    È difficile considerare realmente scomodo chi opera all’interno del servizio pubblico e gode di protezione politica trasversale.
    In un Paese dove giornalisti indipendenti vengono querelati, censurati o isolati, l’immagine del “cronista coraggioso sotto scorta” funziona come una narrazione utile al sistema: serve a dare credibilità a un’informazione che, in realtà, si muove entro confini molto ben definiti.
    Post 2 – L’ATTENTATO IMPOSSIBILE: UNA NARRAZIONE COSTRUITA?
    Dal 2021 Sigfrido Ranucci vive sotto scorta. Ciò significa che la sua abitazione, i suoi spostamenti e la sua vettura rientrano in protocolli di sicurezza estremamente rigidi.
    Ogni ingresso, parcheggio e itinerario è monitorato. Per questo motivo, la notizia secondo cui qualcuno sarebbe riuscito a collocare un ordigno esplosivo nella sua auto appare tecnicamente poco plausibile, se non impossibile, a meno di gravi complicità interne.
    L’attentato, così come raccontato, presenta quindi una doppia anomalia: o i protocolli di protezione sono falliti in modo clamoroso — cosa che dovrebbe comportare immediate dimissioni di funzionari e scorte — oppure la vicenda ha una forte componente scenica e comunicativa.
    Il tempismo mediatico lo conferma: subito dopo la notizia, esponenti politici di tutti i partiti hanno espresso solidarietà, il Quirinale ha ribadito il valore del “giornalismo libero”, e i media hanno rilanciato la narrazione dell’Italia come “paese pericoloso per chi fa informazione”.
    Ma di quale informazione si parla?
    Ranucci non ha mai prodotto inchieste che mettessero realmente in crisi i vertici del potere politico o finanziario. Non ha mai toccato temi come l’adesione incondizionata dell’Italia alla NATO, la gestione opaca dei fondi del PNRR, o le pressioni sovranazionali in materia sanitaria ed energetica.
    Eppure viene presentato come simbolo della libertà di parola.
    L’ipotesi più coerente è che l’“attentato” serva a consolidare una narrativa utile al mainstream: quella del giornalista eroico minacciato da forze oscure, che deve essere difeso dal potere politico stesso.
    Un paradosso perfetto: chi dovrebbe essere il bersaglio diventa, in realtà, l’attore principale di una messa in scena che rafforza il sistema che finge di combattere.
    Post 3 – IL RUOLO DI SISTEMA DEL GIORNALISTA “SOTTO ATTACCO”
    In ogni momento di crisi di fiducia verso i media, il sistema reagisce in modo prevedibile: rilancia figure come Ranucci per ridare legittimità morale alla stampa istituzionale.
    Quando il pubblico inizia a percepire la manipolazione dell’informazione, serve un simbolo di “verità perseguitata”.
    Ranucci diventa così il protagonista perfetto di una sceneggiatura politica: un giornalista “coraggioso” che affronta “minacce anonime”, protetto dalle istituzioni e celebrato dalle stesse forze di potere che dice di denunciare.
    È un meccanismo studiato.
    Il potere sa che per sopravvivere deve simulare al proprio interno una quota di conflitto controllato: apparire diviso per essere più credibile.
    In realtà, la funzione del dissenso istituzionalizzato è proprio neutralizzare il vero dissenso.
    Mentre l’attenzione del pubblico viene dirottata su un presunto attacco a Report, restano fuori dall’agenda mediatica i dossier realmente scomodi: i rapporti fra politica e finanza, l’influenza delle multinazionali sui media, il ruolo delle intelligence nei processi giudiziari, e la progressiva erosione della sovranità nazionale.
    Il risultato è che il “giornalista minacciato” diventa uno scudo narrativo per l’establishment.
    L’intera vicenda rafforza l’idea che chi critica i media ufficiali sia un potenziale pericolo per la democrazia.
    E così, mentre il potere si autoassolve celebrando la propria “libertà di stampa”, il vero giornalismo d’inchiesta — quello che indaga davvero su chi comanda — resta invisibile, marginalizzato, e privo di voce.

    Source: https://www.facebook.com/story.php?story_fbid=10229586144179377&id=1276122023&post_id=1276122023_10229586144179377&rdid=By0LdSJgnVcqb30V
    PER NON DIMENTICARE e FARE UN PO' di CHIAREZZA! L’ENIGMA RANUCCI: IL GIORNALISTA SCOMODO CHE NON DISTURBA IL POTERE! Sempre solidale con chiunque subisca ogni tipo di intimidazione, compreso il soggetto in questione, vi propongo questi interessanti e condivisibili post sulla figura di Sigfrido Ranucci, il giornalista che durante la pandemia pubblicizzava senza farsi alcuna domanda i sieri sperimentali che continuano tutt’oggi a mietere vittime anche fra i suoi colleghi e proponeva imperdibili inchieste della durata di un’ora sull’evoluzione della pizza in Italia, con un inedito focus sulla mangiata dell’ex presidente Bill Clinton in una pizzeria di Napoli…tutto questo nel periodo in cui tutti i diritti fondamentali dell’uomo venivano calpestati da un banchiere criminale nel silenzio di (quasi) tutte le trasmissioni televisive, fra cui la sua. Buona lettura. Post 1 Sigfrido Ranucci viene presentato da anni come simbolo del giornalismo d’inchiesta italiano, “voce scomoda” contro i poteri forti. Eppure, se si osserva con attenzione la linea editoriale di Report, emerge un quadro molto diverso da quello percepito dal grande pubblico. I servizi del programma non toccano mai le questioni centrali del potere reale: il ruolo dell’Unione Europea e della BCE nell’impoverimento economico del Paese, le responsabilità politiche nella gestione pandemica, i rapporti fra magistratura e intelligence, l’impatto delle politiche migratorie sulla sicurezza e sull’identità sociale. Temi di questa portata vengono costantemente evitati. Si preferisce orientare l’attenzione verso fenomeni di corruzione secondaria, conflitti di interesse marginali o presunti scandali a basso rischio politico. In questo senso, Report svolge una funzione precisa: incanalare l’indignazione pubblica verso bersagli innocui. Il risultato è duplice: da un lato si alimenta l’immagine del giornalismo “libero”, dall’altro si impedisce che l’opinione pubblica concentri la propria attenzione sui veri centri di potere. Non è un caso che Ranucci, pur dichiarandosi “in pericolo”, goda di massima copertura istituzionale, sia da parte del Quirinale che dell’Unione Europea, che ne difendono costantemente l’operato in nome della “libertà di stampa”. È difficile considerare realmente scomodo chi opera all’interno del servizio pubblico e gode di protezione politica trasversale. In un Paese dove giornalisti indipendenti vengono querelati, censurati o isolati, l’immagine del “cronista coraggioso sotto scorta” funziona come una narrazione utile al sistema: serve a dare credibilità a un’informazione che, in realtà, si muove entro confini molto ben definiti. Post 2 – L’ATTENTATO IMPOSSIBILE: UNA NARRAZIONE COSTRUITA? Dal 2021 Sigfrido Ranucci vive sotto scorta. Ciò significa che la sua abitazione, i suoi spostamenti e la sua vettura rientrano in protocolli di sicurezza estremamente rigidi. Ogni ingresso, parcheggio e itinerario è monitorato. Per questo motivo, la notizia secondo cui qualcuno sarebbe riuscito a collocare un ordigno esplosivo nella sua auto appare tecnicamente poco plausibile, se non impossibile, a meno di gravi complicità interne. L’attentato, così come raccontato, presenta quindi una doppia anomalia: o i protocolli di protezione sono falliti in modo clamoroso — cosa che dovrebbe comportare immediate dimissioni di funzionari e scorte — oppure la vicenda ha una forte componente scenica e comunicativa. Il tempismo mediatico lo conferma: subito dopo la notizia, esponenti politici di tutti i partiti hanno espresso solidarietà, il Quirinale ha ribadito il valore del “giornalismo libero”, e i media hanno rilanciato la narrazione dell’Italia come “paese pericoloso per chi fa informazione”. Ma di quale informazione si parla? Ranucci non ha mai prodotto inchieste che mettessero realmente in crisi i vertici del potere politico o finanziario. Non ha mai toccato temi come l’adesione incondizionata dell’Italia alla NATO, la gestione opaca dei fondi del PNRR, o le pressioni sovranazionali in materia sanitaria ed energetica. Eppure viene presentato come simbolo della libertà di parola. L’ipotesi più coerente è che l’“attentato” serva a consolidare una narrativa utile al mainstream: quella del giornalista eroico minacciato da forze oscure, che deve essere difeso dal potere politico stesso. Un paradosso perfetto: chi dovrebbe essere il bersaglio diventa, in realtà, l’attore principale di una messa in scena che rafforza il sistema che finge di combattere. Post 3 – IL RUOLO DI SISTEMA DEL GIORNALISTA “SOTTO ATTACCO” In ogni momento di crisi di fiducia verso i media, il sistema reagisce in modo prevedibile: rilancia figure come Ranucci per ridare legittimità morale alla stampa istituzionale. Quando il pubblico inizia a percepire la manipolazione dell’informazione, serve un simbolo di “verità perseguitata”. Ranucci diventa così il protagonista perfetto di una sceneggiatura politica: un giornalista “coraggioso” che affronta “minacce anonime”, protetto dalle istituzioni e celebrato dalle stesse forze di potere che dice di denunciare. È un meccanismo studiato. Il potere sa che per sopravvivere deve simulare al proprio interno una quota di conflitto controllato: apparire diviso per essere più credibile. In realtà, la funzione del dissenso istituzionalizzato è proprio neutralizzare il vero dissenso. Mentre l’attenzione del pubblico viene dirottata su un presunto attacco a Report, restano fuori dall’agenda mediatica i dossier realmente scomodi: i rapporti fra politica e finanza, l’influenza delle multinazionali sui media, il ruolo delle intelligence nei processi giudiziari, e la progressiva erosione della sovranità nazionale. Il risultato è che il “giornalista minacciato” diventa uno scudo narrativo per l’establishment. L’intera vicenda rafforza l’idea che chi critica i media ufficiali sia un potenziale pericolo per la democrazia. E così, mentre il potere si autoassolve celebrando la propria “libertà di stampa”, il vero giornalismo d’inchiesta — quello che indaga davvero su chi comanda — resta invisibile, marginalizzato, e privo di voce. Source: https://www.facebook.com/story.php?story_fbid=10229586144179377&id=1276122023&post_id=1276122023_10229586144179377&rdid=By0LdSJgnVcqb30V
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  • LA STORIA DEI FRATELLI RAMPONI, cioè di coloro che hanno provocato la tragica morte di 3 Carabinieri ed il ferimento di altri 27, una cosa terribile ed ingiustificabile.
    Tutti i media e tutti i politici, compreso Mattarella (che parteciperà ai funerali) ed il ministro della difesa Crosetto, hanno descritto i fratelli come dei TERRORISTI e la procura li ha accusati di STRAGE DOLOSA.
    Tutto vero, ma nessuno racconta le cause che li hanno portati a questo gesto folle, forse per timore che si sappia che ci sono delle responsabilità del sistema…e nemmeno piccole!
    Questi 3 contadini vivevano una vita fatta di lavoro e di sacrifici, erano proprietari della casa dove erano nati, possedevano terreni ed allevavano animali, fino a quando nel 2012 uno dei 3 fratelli ebbe un incidente stradale dove morì un ragazzo.
    Nonostante il Ramponi avesse ragione, l’assicurazione si RIFIUTÒ di pagare la famiglia del ragazzo, perché Ramponi guidava il trattore con i fari spenti (e non credo che andasse in giro con il trattore di notte), condannando al pagamento i fratelli Ramponi.
    Si trattava di una grossa somma, che i Ramponi non disponevano, quindi furono costretti a chiedere un mutuo in banca, dando in garanzia tutti i loro terreni e la loro modesta casa.
    Poi non furono in grado di pagare le rate del mutuo, così la banca si impossessò di tutti i loro terreni, quindi i fratelli Ramponi non potevano più coltivarli e non potevano più allevare animali…Non avevano più niente per vivere e si erano ridotti a sopravvivere in quella loro modestissima casa nella quale erano nati, ma senza acqua, gas e luce (infatti lo scoppio è stato causato da delle bombole del gas)…
    Ma la banca vorace ha voluto impossessarsi anche di quella catapecchia ed il giudice ha disposto l’immediato sgombero, facendo intervenire 30 Carabinieri (con anche i droni) ed i Vigili del fuoco in forze…Bene, ci mancava che mandassero anche l’esercito con le truppe d’assalto, e questo per riuscire a buttare nella strada 3 vecchi.
    Bene, tutto giusto, ma credo che poi non ci sia da stupirsi più di tanto se questi 3 vecchi disperati siano arrivati a compiere un gesto folle.
    Ma quel giudice avrebbe mandato 30 carabinieri e tutti quei vigili del fuoco, a sgomberare almeno 1 di quelle molte migliaia di case occupate abusivamente da immigrati clandestini?
    E la banca aveva davvero bisogno di impossessarsi ANCHE di quella catapecchia, buttando in mezzo ad una strada quei 3 vecchi disperati?
    E l’assicurazione aveva davvero bisogno di rovinarli, attaccandosi al pretesto dei fanali non accesi, per non pagare?
    Ecco, allora che tutti i media, che tutti i nostri politici (compresi Mattarella e Crosetto), è giusto che piangano i 3 Carabinieri morti, ma prima di paragonare questi 3 vecchi a dei terroristi pari a quelli di Nassiriya (ho sentito ripetutamente anche questa), magari provare a valutare un po’ più a fondo le cause, non gli farebbe male!
    LA STORIA DEI FRATELLI RAMPONI, cioè di coloro che hanno provocato la tragica morte di 3 Carabinieri ed il ferimento di altri 27, una cosa terribile ed ingiustificabile. Tutti i media e tutti i politici, compreso Mattarella (che parteciperà ai funerali) ed il ministro della difesa Crosetto, hanno descritto i fratelli come dei TERRORISTI e la procura li ha accusati di STRAGE DOLOSA. Tutto vero, ma nessuno racconta le cause che li hanno portati a questo gesto folle, forse per timore che si sappia che ci sono delle responsabilità del sistema…e nemmeno piccole! Questi 3 contadini vivevano una vita fatta di lavoro e di sacrifici, erano proprietari della casa dove erano nati, possedevano terreni ed allevavano animali, fino a quando nel 2012 uno dei 3 fratelli ebbe un incidente stradale dove morì un ragazzo. Nonostante il Ramponi avesse ragione, l’assicurazione si RIFIUTÒ di pagare la famiglia del ragazzo, perché Ramponi guidava il trattore con i fari spenti (e non credo che andasse in giro con il trattore di notte), condannando al pagamento i fratelli Ramponi. Si trattava di una grossa somma, che i Ramponi non disponevano, quindi furono costretti a chiedere un mutuo in banca, dando in garanzia tutti i loro terreni e la loro modesta casa. Poi non furono in grado di pagare le rate del mutuo, così la banca si impossessò di tutti i loro terreni, quindi i fratelli Ramponi non potevano più coltivarli e non potevano più allevare animali…Non avevano più niente per vivere e si erano ridotti a sopravvivere in quella loro modestissima casa nella quale erano nati, ma senza acqua, gas e luce (infatti lo scoppio è stato causato da delle bombole del gas)… Ma la banca vorace ha voluto impossessarsi anche di quella catapecchia ed il giudice ha disposto l’immediato sgombero, facendo intervenire 30 Carabinieri (con anche i droni) ed i Vigili del fuoco in forze…Bene, ci mancava che mandassero anche l’esercito con le truppe d’assalto, e questo per riuscire a buttare nella strada 3 vecchi. Bene, tutto giusto, ma credo che poi non ci sia da stupirsi più di tanto se questi 3 vecchi disperati siano arrivati a compiere un gesto folle. Ma quel giudice avrebbe mandato 30 carabinieri e tutti quei vigili del fuoco, a sgomberare almeno 1 di quelle molte migliaia di case occupate abusivamente da immigrati clandestini? E la banca aveva davvero bisogno di impossessarsi ANCHE di quella catapecchia, buttando in mezzo ad una strada quei 3 vecchi disperati? E l’assicurazione aveva davvero bisogno di rovinarli, attaccandosi al pretesto dei fanali non accesi, per non pagare? Ecco, allora che tutti i media, che tutti i nostri politici (compresi Mattarella e Crosetto), è giusto che piangano i 3 Carabinieri morti, ma prima di paragonare questi 3 vecchi a dei terroristi pari a quelli di Nassiriya (ho sentito ripetutamente anche questa), magari provare a valutare un po’ più a fondo le cause, non gli farebbe male!
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  • TOTO NOBEL
    Onore sì, effetti zero.

    Premetto che non voglio entrare nel merito della designazione — ci mancherebbe.
    Nulla contro il popolo venezuelano né contro i suoi rappresentanti politici.
    Ne abbiamo già abbastanza dei nostri per metterci a giudicare gli altri.
    Quindi: complimenti alla signora María Corina Machado e buon lavoro.

    Il punto, però, è un altro.
    Io non critico la persona.
    Critico il meccanismo, l’idea stessa di premio e la liturgia che ogni anno si ripete come un talk show stanco, dove tutti hanno già la parte assegnata.
    Critico i dibattiti che si gonfiano come palloncini, gli schieramenti da stadio, le tifoserie travestite da analisti.
    Un po’ come il Pallone d’Oro, ormai: mancano solo gli sponsor, i brand sugli inviti e qualche hashtag in più per completare la farsa.

    Perché sì, il Nobel per la Pace resta una vetrina, non una leva.
    Permette di iscrivere un nome nell’albo d’oro della storia.
    E poi?
    Davvero incide nel tempo che stiamo vivendo — un tempo in cui le tregue durano meno di un trend su X?

    Passata la festa, si torna nel solito caos mediatico.
    E la pace rimane un argomento da prime time, non una pratica quotidiana.

    Forse sarebbe stato più utile concentrare energie su Mozioni, Leggi di Iniziativa Popolare, atti concreti che chiedano il riconoscimento di uno Stato o la cessazione di rapporti con i Paesi più belligeranti del pianeta.
    Ma no.
    Lo spettacolo deve continuare.
    E allora meglio un nome che un cambiamento, meglio un applauso che una scossa.

    Siamo passati dal premio dato “alle intenzioni” al premio per “chi non disturba troppo”.
    Non è questione di persone, è questione di dinamiche spettacolari e diplomatiche.
    Un copione che si ripete ogni anno, sempre più vuoto, sempre meno necessario.

    Da Oslo è tutto.

    #Nobel2025 #PaceDiFacciata #OsloCalling #PremiCheNonCambianoNulla #GeopoliticaSpettacolo #TheShowMustGoOn
    TOTO NOBEL Onore sì, effetti zero. Premetto che non voglio entrare nel merito della designazione — ci mancherebbe. Nulla contro il popolo venezuelano né contro i suoi rappresentanti politici. Ne abbiamo già abbastanza dei nostri per metterci a giudicare gli altri. Quindi: complimenti alla signora María Corina Machado e buon lavoro. Il punto, però, è un altro. Io non critico la persona. Critico il meccanismo, l’idea stessa di premio e la liturgia che ogni anno si ripete come un talk show stanco, dove tutti hanno già la parte assegnata. Critico i dibattiti che si gonfiano come palloncini, gli schieramenti da stadio, le tifoserie travestite da analisti. Un po’ come il Pallone d’Oro, ormai: mancano solo gli sponsor, i brand sugli inviti e qualche hashtag in più per completare la farsa. Perché sì, il Nobel per la Pace resta una vetrina, non una leva. Permette di iscrivere un nome nell’albo d’oro della storia. E poi? Davvero incide nel tempo che stiamo vivendo — un tempo in cui le tregue durano meno di un trend su X? Passata la festa, si torna nel solito caos mediatico. E la pace rimane un argomento da prime time, non una pratica quotidiana. Forse sarebbe stato più utile concentrare energie su Mozioni, Leggi di Iniziativa Popolare, atti concreti che chiedano il riconoscimento di uno Stato o la cessazione di rapporti con i Paesi più belligeranti del pianeta. Ma no. Lo spettacolo deve continuare. E allora meglio un nome che un cambiamento, meglio un applauso che una scossa. Siamo passati dal premio dato “alle intenzioni” al premio per “chi non disturba troppo”. Non è questione di persone, è questione di dinamiche spettacolari e diplomatiche. Un copione che si ripete ogni anno, sempre più vuoto, sempre meno necessario. Da Oslo è tutto. #Nobel2025 #PaceDiFacciata #OsloCalling #PremiCheNonCambianoNulla #GeopoliticaSpettacolo #TheShowMustGoOn
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  • Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane
    Il Cremlino risponderà all’idea del cancelliere tedesco Merz di utilizzare le riserve congelate russe per finanziare l’Ucraina: ecco che cosa ha in mente lo Zar (e cosa rischia l’Italia...

    la newsletter
    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane
    di Federico Fubini

    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, così Putin mette le mani su 150 miliardi di dollari
    Vladimir Putin (a destra) con Sergei Lavrov

    (Questo articolo è tratto dalla newsletter Whatever it takes ad opera di Federico Fubini, se vuoi iscriverti clicca qui)

    Si è udito un silenzio irreale da Mosca dopo che il cancelliere tedesco Friedrich Merz, per la prima volta, ha messo la sua firma su una decisione che sta prendendo forma: usare le riserve congelate della Russia per finanziare l’Ucraina, dapprima mobilitando 170 miliardi di euro e alla lunga ben oltre duecento. La vicenda dei fondi di Mosca risale ai primi giorni della guerra totale all’Ucraina, quando i leader del G7 bloccarono quei conti in dollari, euro, sterline e yen e li sottrassero alla disponibilità di Vladimir Putin (foto sotto). Ho scritto sul “Corriere” (qui, qui e qui, con Mara Gergolet) dei modi in cui questo può accadere, a partire dal G7 dei ministri delle Finanze già previsto mercoledì. Si può ipotizzare che la decisione diventi esecutiva fra marzo e aprile prossimi.

    La risposta del Cremlino
    Ora però mi interessano altri aspetti, perché quel silenzio di Mosca è ingannevole. Il Cremlino risponderà. Prenderà di mira e confischerà i conti e probabilmente anche i beni fisici delle aziende attive in Russia dei Paesi che dovessero partecipare all’intervento sulle riserve – incluse almeno una sessantina di imprese italiane – se questa decisione sarà confermata. La tensione tra Mosca e i governi europei, già altissima, non farà che crescere ancora.

    Le ritorsioni
    Dirò più sotto perché temo che tutto ciò sia inevitabile e perché gli averi delle aziende europee in Russia già oggi sono probabilmente irrecuperabili; quindi, non è il momento per italiani, francesi, tedeschi o britannici di farsi intimidire dalle minacce di ritorsioni. Il senso di ciò che sta accadendo è sempre più chiaro. La ritirata degli Stati Uniti dal conflitto per scelta di Donald Trump, così come la determinazione di Putin (sostenuto dalla Cina) di perseguire comunque i suoi obiettivi massimi di guerra, stanno spingendo una parte d’Europa verso ciò che per ottant’anni non aveva mai fatto: esporsi sempre di più – con denaro, armi, industria e tecnologie – perché l’Ucraina non ceda; perché Putin non divenga una minaccia sempre maggiore anche per noi stessi.


    Le riserve russe
    Usare le riserve russe è un modo di continuare questo sforzo cercando di prevenire una rivolta dei contribuenti europei, che verrebbe molto presto cavalcata dai populisti di ogni segno. Ma nei fatti la scomparsa dell’America da questo scacchiere accelera un degrado ulteriore nei rapporti tra l’Europa e la Russia, con ricadute anche finanziarie e industriali finora poco comprese. Vediamo.

    Il decreto presidenziale
    Esiste a Mosca, almeno dall’inizio dell’anno, la bozza di un decreto presidenziale che prevede la nazionalizzazione delle attività di aziende di Paesi considerati «non amichevoli». La novità sarebbe solo nella scala – vastissima, macroeconomica – sulla quale tutto ciò potrebbe avvenire. Perché il resto si è già visto tutto. In questi tre anni e mezzo Putin, il suo governo o i giudici da esso controllati hanno già requisito per motivi politici, messo sotto il controllo dello Stato o trasferito a oligarchi amici 103 aziende o proprietà; fra queste le attività russe della francese Danone (trasferite al leader ceceno e signore della guerra Ramzan Kadyrov), quella della danese Carlsberg, della belga InBev, della tedesca Bosch, dell’americana Exxon Mobil e dell’italiana Ariston. Queste ultime erano state addossate a Gazprom, la quale le ha restituite ad Ariston stessa dopo appena sette mesi (succedeva a marzo scorso).

    Il valore dei beni fisici
    Tutto questo molto probabilmente è solo il prologo di ciò che sta per accadere ora, se e quando l’uso per l’Ucraina delle riserve congelate russe diventerà operativo in primavera. Una stima approssimativa che circola negli ambienti di affari legati a Mosca indica che il valore dei beni fisici d’investimento delle società occidentali in Russia sia oggi attorno ai 150 miliardi di dollari; a questi si aggiungono conti bancari di imprese di Paesi “non amichevoli” per altri 150 miliardi di dollari circa.
    Per quanto riguarda le imprese italiane, i conti bancari esposti al sequestro in Russia molto probabilmente custodiscono almeno l’equivalente in rubli di almeno mezzo miliardo di euro; ma si tratta con ogni verosimiglianza di una stima cauta.

    La spinta dell’inflazione
    Spiegherò meglio tra poco, prima però va chiarito perché il valore complessivo dei conti e degli averi delle imprese dei Paesi occidentali in Russia (Giappone politicamente incluso) è così alto. Solo i primi otto gruppi di Paesi “non amichevoli” hanno fatturato in Russia l’equivalente di circa venti miliardi di euro all’ultimo anno dichiarato, spesso il 2023 o il 2024. Il colosso giapponese del tabacco JTI dal 2023 è in testa con vendite per l’equivalente di 4,9 miliardi nel 2023, grazie a un aumento nominale dei fatturati del 40% registrato solo dall’inizio della guerra.

    La spinta dell’inflazione
    JTI ha superato l’americana Philip Morris, diretta concorrente, la quale ha invece fatturato in Russia 4,5 miliardi di euro nel 2023 con un aumento nominale del 12% dall’inizio dell’invasione totale dell’Ucraina. Si tratta di una crescita sospinta in parte da un’inflazione di circa il 20% nei primi due anni del conflitto e dall’accelerazione dei consumi dei russi, perché la spesa militare in quella fase ha creato occupazione e aumentato il potere d’acquisto di milioni di persone.

    I dati
    I dati provengono dalle dichiarazioni fiscali delle imprese stesse all’agenzia delle tasse e all’agenzia statistica russe, raccolti e resi disponibili dalla banca dati Interfax Spark. In questo paradossalmente il governo di Mosca è più trasparente di quelli europei, perché pubblica i dati delle singole aziende (con eccezioni ed esenzioni di natura molto politica).

    Le aziende che hanno lasciato la Russia
    Naturalmente circa 17 mila aziende di Europa, Stati Uniti, Giappone, Australia hanno lasciato la Russia. Anche a costo di essere costrette a vendere a vecchi e nuovi oligarchi locali. Lo hanno fatto ad esempio l'americana McDonald, le tedesche Volkswagen, Mercedes-Benz e Henkel o le italiane Eni ed Enel. Fra i grandi gruppi globali colpiscono, in particolare, due traiettorie.

    Il caso Pepsi
    L’americana Pepsi vede salire i suoi fatturati russi del 58% nei primi tre anni di guerra fino all’equivalente di 2,5 miliardi di euro, proprio mentre da Washington arrivava un pacchetto dopo l’altro di sanzioni (ma non nei beni di consumo come cibi e bevande). E il colosso farmaceutico anglo-svedese Astra-Zeneca, malgrado i rapporti pessimi fra le capitali, dall’inizio del conflitto al 2024 vede quasi triplicare i fatturati fino a un miliardo di euro. Non è chiaro se abbia ricevuto contratti del governo di Mosca nel suo settore, che peraltro è anch’esso del tutto esente dalle sanzioni.

    La curva dei ricavi
    Al confronto le aziende italiane mostrano tendenze simili, ma su una scala molto più modesta. Circa il 70% di quelle che erano presenti prima del 2022 non ha mai lasciato la Russia neanche dopo le sanzioni; e delle 61 imprese di cui è stato possibile reperire le dichiarazioni fiscali su Interfax Spark, 37 avevano fatturati nominali in Russia più alti nel 2024 che prima dell’inizio della guerra. Di una cinquantina di imprese italiane è stato possibile ricostruire l’andamento nel Paese di Vladimir Putin da prima dello scoppio del conflitto totale in Ucraina fino all’anno scorso: il loro fatturato complessivo negli anni di guerra sale del 37%, di una decina di punti in più rispetto all’inflazione locale, fino all’equivalente di 1,7 miliardi di euro nel 2024. L’utile netto aggregato degli anni di guerra è di circa mezzo miliardo di euro, con oltre cento milioni in tasse versate nello stesso periodo al governo di Mosca.

    L’Aperol Spritz
    Quali sono queste imprese? Campari ha una filiale di importazione – non di produzione – che non investe né fa alcuna promozione per crescere, eppure ha visto i fatturati raddoppiare a circa 120 milioni di euro negli anni di guerra per una ragione legata ai paradossi della società russa: mentre i poveri muoiono nel Donbass, nelle élite di Mosca che non possono più viaggiare si è diffusa la moda dell’Aperol Spritz «all'italiana».

    Le italiane, da Chiesi a Barilla e Ferrero
    Crescono molto le farmaceutiche Chiesi e soprattutto Angelini (ma meno di AstraZeneca); decresce in Russia l’impianto di Marcegaglia per acciai di uso civile (700 mila euro di utile in Russia, su un totale di gruppo di quasi duecento milioni nel 2023). Pirelli fattura più di trecento milioni di euro, un risultato che al netto dell’inflazione risulta in frenata dall’inizio della guerra. A queste si aggiungono Cremonini (rifornisce la catena di ex McDonald), Barilla e Ferrero, quest’ultima con un giro d’affari in Russia che resta comunque una frazione dei quasi due miliardi di euro della concorrente americana Mars.

    La presa d'ostaggio
    Nessuna delle imprese che ho citato viola le sanzioni, ma tutte ormai rischiano molto. Spiega The Bell, un quotidiano online molto ben informato sull’economia russa e le dinamiche del potere a Mosca che il governo ha bollato come “agente straniero”: «Gli utili realizzati dalle filiali russe delle aziende (occidentali, ndr.) non possono essere rimpatriati». Dal 2022 devono confluire tutti nei cosiddetti “conti S” fatti istituire dal Cremlino: nella sostanza depositi congelati, così come lo sono le riserve russe in Europa.

    I capitali delle imprese
    Centinaia e centinaia di imprese occidentali non possono disporre dei loro soldi, mentre i profitti e le partecipazioni si accumulano ormai da quasi quattro anni. Di fatto sono stati presi finanziariamente in ostaggio da Putin. Se si aggiunge al conto la quota da circa dieci miliardi di dollari della britannica BP in Rosneft, quella da circa otto miliardi della francese TotalEnergies in Novatek più varie altre e i relativi flussi di dividendi, la stima di conti congelati degli occidentali in Russia per circa 150 miliardi di dollari non suona infondata.

    La fuga inevasa dalla Russia
    Perché tutte queste aziende di tanti Paesi diversi non hanno lasciato la Russia prima? I casi di avidità o opportunismo ci saranno, ma forse non sono molti. Certe imprese sono rimaste perché i loro concorrenti lo facevano (Philip Morris contro JTI). Alcune nel 2022 hanno rinviato l’uscita perché il governo di Mosca imponeva svendite al 50%, per poi scoprire che lo sconto forzoso ora è salito all’80% o al 90%. Altre ancora pensavano che il ritorno di Trump avrebbe portato la pace e il ritiro delle sanzioni. Tutte sono vestigia viventi di un’epoca finita, quella della globalizzazione e del “mondo piatto”, rimaste incagliate in questo tempo di guerra e sanzioni.

    Il ciclo delle ritorsioni
    Putin nel 2022 ha costretto gli europei – che esitavano – a smettere di comprare il gas russo. Oggi è perfettamente capace e deciso a sequestrare gli averi finanziari e materiali delle imprese occidentali, quando l’Europa userà le riserve di Mosca. Per tutte queste imprese ormai non c'è più tempo per tentare di uscire. Per il Cremlino – osserva The Bell – la confisca dell'Occidente sarà una scorciatoia per coprire il crescente deficit di bilancio nel 2026, ma a un prezzo astronomico: con questi espropri la Russia si taglierà fuori dai mercati finanziari internazionali per una generazione a venire, finendo sempre di più nelle mani e alla mercé della Cina.


    I conti S
    Peraltro non potrà estrarre molto denaro dai "conti S", perché la quota liquida è limitata mentre vendere la parte in azioni o obbligazioni può far crollare il mercato di Mosca. Ma Putin accetterà anche questo, pur di servire la sua ossessione di guerra. Per l’Europa cedere al ricatto per salvare i conti russi delle proprie imprese sarebbe comunque un errore. Essi resterebbero comunque congelati per sempre, o almeno fino alla sottomissione dei governi europei agli obiettivi di restaurazione imperiale del Cremlino. Il costo sarebbe ben più alto di qualunque profitto accumulato.


    Source: https://www.corriere.it/economia/finanza/25_settembre_29/russia-ue-nuova-guerra-finanziaria-144a5e5d-82d0-47d6-885e-4646cbfa6xlk_amp.shtml
    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane Il Cremlino risponderà all’idea del cancelliere tedesco Merz di utilizzare le riserve congelate russe per finanziare l’Ucraina: ecco che cosa ha in mente lo Zar (e cosa rischia l’Italia... la newsletter Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane di Federico Fubini Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, così Putin mette le mani su 150 miliardi di dollari Vladimir Putin (a destra) con Sergei Lavrov (Questo articolo è tratto dalla newsletter Whatever it takes ad opera di Federico Fubini, se vuoi iscriverti clicca qui) Si è udito un silenzio irreale da Mosca dopo che il cancelliere tedesco Friedrich Merz, per la prima volta, ha messo la sua firma su una decisione che sta prendendo forma: usare le riserve congelate della Russia per finanziare l’Ucraina, dapprima mobilitando 170 miliardi di euro e alla lunga ben oltre duecento. La vicenda dei fondi di Mosca risale ai primi giorni della guerra totale all’Ucraina, quando i leader del G7 bloccarono quei conti in dollari, euro, sterline e yen e li sottrassero alla disponibilità di Vladimir Putin (foto sotto). Ho scritto sul “Corriere” (qui, qui e qui, con Mara Gergolet) dei modi in cui questo può accadere, a partire dal G7 dei ministri delle Finanze già previsto mercoledì. Si può ipotizzare che la decisione diventi esecutiva fra marzo e aprile prossimi. La risposta del Cremlino Ora però mi interessano altri aspetti, perché quel silenzio di Mosca è ingannevole. Il Cremlino risponderà. Prenderà di mira e confischerà i conti e probabilmente anche i beni fisici delle aziende attive in Russia dei Paesi che dovessero partecipare all’intervento sulle riserve – incluse almeno una sessantina di imprese italiane – se questa decisione sarà confermata. La tensione tra Mosca e i governi europei, già altissima, non farà che crescere ancora. Le ritorsioni Dirò più sotto perché temo che tutto ciò sia inevitabile e perché gli averi delle aziende europee in Russia già oggi sono probabilmente irrecuperabili; quindi, non è il momento per italiani, francesi, tedeschi o britannici di farsi intimidire dalle minacce di ritorsioni. Il senso di ciò che sta accadendo è sempre più chiaro. La ritirata degli Stati Uniti dal conflitto per scelta di Donald Trump, così come la determinazione di Putin (sostenuto dalla Cina) di perseguire comunque i suoi obiettivi massimi di guerra, stanno spingendo una parte d’Europa verso ciò che per ottant’anni non aveva mai fatto: esporsi sempre di più – con denaro, armi, industria e tecnologie – perché l’Ucraina non ceda; perché Putin non divenga una minaccia sempre maggiore anche per noi stessi. Le riserve russe Usare le riserve russe è un modo di continuare questo sforzo cercando di prevenire una rivolta dei contribuenti europei, che verrebbe molto presto cavalcata dai populisti di ogni segno. Ma nei fatti la scomparsa dell’America da questo scacchiere accelera un degrado ulteriore nei rapporti tra l’Europa e la Russia, con ricadute anche finanziarie e industriali finora poco comprese. Vediamo. Il decreto presidenziale Esiste a Mosca, almeno dall’inizio dell’anno, la bozza di un decreto presidenziale che prevede la nazionalizzazione delle attività di aziende di Paesi considerati «non amichevoli». La novità sarebbe solo nella scala – vastissima, macroeconomica – sulla quale tutto ciò potrebbe avvenire. Perché il resto si è già visto tutto. In questi tre anni e mezzo Putin, il suo governo o i giudici da esso controllati hanno già requisito per motivi politici, messo sotto il controllo dello Stato o trasferito a oligarchi amici 103 aziende o proprietà; fra queste le attività russe della francese Danone (trasferite al leader ceceno e signore della guerra Ramzan Kadyrov), quella della danese Carlsberg, della belga InBev, della tedesca Bosch, dell’americana Exxon Mobil e dell’italiana Ariston. Queste ultime erano state addossate a Gazprom, la quale le ha restituite ad Ariston stessa dopo appena sette mesi (succedeva a marzo scorso). Il valore dei beni fisici Tutto questo molto probabilmente è solo il prologo di ciò che sta per accadere ora, se e quando l’uso per l’Ucraina delle riserve congelate russe diventerà operativo in primavera. Una stima approssimativa che circola negli ambienti di affari legati a Mosca indica che il valore dei beni fisici d’investimento delle società occidentali in Russia sia oggi attorno ai 150 miliardi di dollari; a questi si aggiungono conti bancari di imprese di Paesi “non amichevoli” per altri 150 miliardi di dollari circa. Per quanto riguarda le imprese italiane, i conti bancari esposti al sequestro in Russia molto probabilmente custodiscono almeno l’equivalente in rubli di almeno mezzo miliardo di euro; ma si tratta con ogni verosimiglianza di una stima cauta. La spinta dell’inflazione Spiegherò meglio tra poco, prima però va chiarito perché il valore complessivo dei conti e degli averi delle imprese dei Paesi occidentali in Russia (Giappone politicamente incluso) è così alto. Solo i primi otto gruppi di Paesi “non amichevoli” hanno fatturato in Russia l’equivalente di circa venti miliardi di euro all’ultimo anno dichiarato, spesso il 2023 o il 2024. Il colosso giapponese del tabacco JTI dal 2023 è in testa con vendite per l’equivalente di 4,9 miliardi nel 2023, grazie a un aumento nominale dei fatturati del 40% registrato solo dall’inizio della guerra. La spinta dell’inflazione JTI ha superato l’americana Philip Morris, diretta concorrente, la quale ha invece fatturato in Russia 4,5 miliardi di euro nel 2023 con un aumento nominale del 12% dall’inizio dell’invasione totale dell’Ucraina. Si tratta di una crescita sospinta in parte da un’inflazione di circa il 20% nei primi due anni del conflitto e dall’accelerazione dei consumi dei russi, perché la spesa militare in quella fase ha creato occupazione e aumentato il potere d’acquisto di milioni di persone. I dati I dati provengono dalle dichiarazioni fiscali delle imprese stesse all’agenzia delle tasse e all’agenzia statistica russe, raccolti e resi disponibili dalla banca dati Interfax Spark. In questo paradossalmente il governo di Mosca è più trasparente di quelli europei, perché pubblica i dati delle singole aziende (con eccezioni ed esenzioni di natura molto politica). Le aziende che hanno lasciato la Russia Naturalmente circa 17 mila aziende di Europa, Stati Uniti, Giappone, Australia hanno lasciato la Russia. Anche a costo di essere costrette a vendere a vecchi e nuovi oligarchi locali. Lo hanno fatto ad esempio l'americana McDonald, le tedesche Volkswagen, Mercedes-Benz e Henkel o le italiane Eni ed Enel. Fra i grandi gruppi globali colpiscono, in particolare, due traiettorie. Il caso Pepsi L’americana Pepsi vede salire i suoi fatturati russi del 58% nei primi tre anni di guerra fino all’equivalente di 2,5 miliardi di euro, proprio mentre da Washington arrivava un pacchetto dopo l’altro di sanzioni (ma non nei beni di consumo come cibi e bevande). E il colosso farmaceutico anglo-svedese Astra-Zeneca, malgrado i rapporti pessimi fra le capitali, dall’inizio del conflitto al 2024 vede quasi triplicare i fatturati fino a un miliardo di euro. Non è chiaro se abbia ricevuto contratti del governo di Mosca nel suo settore, che peraltro è anch’esso del tutto esente dalle sanzioni. La curva dei ricavi Al confronto le aziende italiane mostrano tendenze simili, ma su una scala molto più modesta. Circa il 70% di quelle che erano presenti prima del 2022 non ha mai lasciato la Russia neanche dopo le sanzioni; e delle 61 imprese di cui è stato possibile reperire le dichiarazioni fiscali su Interfax Spark, 37 avevano fatturati nominali in Russia più alti nel 2024 che prima dell’inizio della guerra. Di una cinquantina di imprese italiane è stato possibile ricostruire l’andamento nel Paese di Vladimir Putin da prima dello scoppio del conflitto totale in Ucraina fino all’anno scorso: il loro fatturato complessivo negli anni di guerra sale del 37%, di una decina di punti in più rispetto all’inflazione locale, fino all’equivalente di 1,7 miliardi di euro nel 2024. L’utile netto aggregato degli anni di guerra è di circa mezzo miliardo di euro, con oltre cento milioni in tasse versate nello stesso periodo al governo di Mosca. L’Aperol Spritz Quali sono queste imprese? Campari ha una filiale di importazione – non di produzione – che non investe né fa alcuna promozione per crescere, eppure ha visto i fatturati raddoppiare a circa 120 milioni di euro negli anni di guerra per una ragione legata ai paradossi della società russa: mentre i poveri muoiono nel Donbass, nelle élite di Mosca che non possono più viaggiare si è diffusa la moda dell’Aperol Spritz «all'italiana». Le italiane, da Chiesi a Barilla e Ferrero Crescono molto le farmaceutiche Chiesi e soprattutto Angelini (ma meno di AstraZeneca); decresce in Russia l’impianto di Marcegaglia per acciai di uso civile (700 mila euro di utile in Russia, su un totale di gruppo di quasi duecento milioni nel 2023). Pirelli fattura più di trecento milioni di euro, un risultato che al netto dell’inflazione risulta in frenata dall’inizio della guerra. A queste si aggiungono Cremonini (rifornisce la catena di ex McDonald), Barilla e Ferrero, quest’ultima con un giro d’affari in Russia che resta comunque una frazione dei quasi due miliardi di euro della concorrente americana Mars. La presa d'ostaggio Nessuna delle imprese che ho citato viola le sanzioni, ma tutte ormai rischiano molto. Spiega The Bell, un quotidiano online molto ben informato sull’economia russa e le dinamiche del potere a Mosca che il governo ha bollato come “agente straniero”: «Gli utili realizzati dalle filiali russe delle aziende (occidentali, ndr.) non possono essere rimpatriati». Dal 2022 devono confluire tutti nei cosiddetti “conti S” fatti istituire dal Cremlino: nella sostanza depositi congelati, così come lo sono le riserve russe in Europa. I capitali delle imprese Centinaia e centinaia di imprese occidentali non possono disporre dei loro soldi, mentre i profitti e le partecipazioni si accumulano ormai da quasi quattro anni. Di fatto sono stati presi finanziariamente in ostaggio da Putin. Se si aggiunge al conto la quota da circa dieci miliardi di dollari della britannica BP in Rosneft, quella da circa otto miliardi della francese TotalEnergies in Novatek più varie altre e i relativi flussi di dividendi, la stima di conti congelati degli occidentali in Russia per circa 150 miliardi di dollari non suona infondata. La fuga inevasa dalla Russia Perché tutte queste aziende di tanti Paesi diversi non hanno lasciato la Russia prima? I casi di avidità o opportunismo ci saranno, ma forse non sono molti. Certe imprese sono rimaste perché i loro concorrenti lo facevano (Philip Morris contro JTI). Alcune nel 2022 hanno rinviato l’uscita perché il governo di Mosca imponeva svendite al 50%, per poi scoprire che lo sconto forzoso ora è salito all’80% o al 90%. Altre ancora pensavano che il ritorno di Trump avrebbe portato la pace e il ritiro delle sanzioni. Tutte sono vestigia viventi di un’epoca finita, quella della globalizzazione e del “mondo piatto”, rimaste incagliate in questo tempo di guerra e sanzioni. Il ciclo delle ritorsioni Putin nel 2022 ha costretto gli europei – che esitavano – a smettere di comprare il gas russo. Oggi è perfettamente capace e deciso a sequestrare gli averi finanziari e materiali delle imprese occidentali, quando l’Europa userà le riserve di Mosca. Per tutte queste imprese ormai non c'è più tempo per tentare di uscire. Per il Cremlino – osserva The Bell – la confisca dell'Occidente sarà una scorciatoia per coprire il crescente deficit di bilancio nel 2026, ma a un prezzo astronomico: con questi espropri la Russia si taglierà fuori dai mercati finanziari internazionali per una generazione a venire, finendo sempre di più nelle mani e alla mercé della Cina. I conti S Peraltro non potrà estrarre molto denaro dai "conti S", perché la quota liquida è limitata mentre vendere la parte in azioni o obbligazioni può far crollare il mercato di Mosca. Ma Putin accetterà anche questo, pur di servire la sua ossessione di guerra. Per l’Europa cedere al ricatto per salvare i conti russi delle proprie imprese sarebbe comunque un errore. Essi resterebbero comunque congelati per sempre, o almeno fino alla sottomissione dei governi europei agli obiettivi di restaurazione imperiale del Cremlino. Il costo sarebbe ben più alto di qualunque profitto accumulato. Source: https://www.corriere.it/economia/finanza/25_settembre_29/russia-ue-nuova-guerra-finanziaria-144a5e5d-82d0-47d6-885e-4646cbfa6xlk_amp.shtml
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  • La violenza islamista devasta la Nigeria: 7.000 cristiani uccisi in 220 giorni
    Un nuovo rapporto denuncia una brutale ondata di attacchi anticristiani in tutta la Nigeria nel 2025, con oltre 7.000 cristiani massacrati in soli 220 giorni —con una media di 32 morti al giorno— e 100 chiese distrutte ogni mese. Solo nello Stato di Benue si registrano oltre 1.100 vittime, tra cui il massacro di Yelewata in cui persero la vita 280 cristiani a giugno. Dal 2009, oltre 125.000 cristiani sono morti, 7.800 sono stati rapiti all’inizio del 2025 e 15 milioni di persone sono state sfollate. Si tratta di un duro avvertimento della continua presa del potere da parte degli islamisti e dell’urgente minaccia alla libertà religiosa in Nigeria. -

    Sterminio Silenzioso: La Crisi Dimenticata dei Cristiani in Nigeria

    Un genocidio strisciante sta avvenendo nell'indifferenza globale mentre l'estremismo islamista devasta le comunità cristiane nigeriane con numeri da guerra civile.

    Un agghiacciante rapporto documenta quella che può essere definita solo come una campagna di pulizia religiosa: nei primi 220 giorni del 2025, oltre 7.000 cristiani sono stati massacrati in Nigeria, una media di 32 morti al giorno. Parallelamente, 100 chiese vengono distrutte ogni mese, in un sistematico tentativo di cancellare la presenza cristiana da vaste regioni del paese.

    Il Contesto di un Massacro Annunciato

    La crisi attuale affonda le sue radici nell'escalation di violenza iniziata nel 2009 con la rivolta di Boko Haram. Da allora, il bilancio è spaventoso: oltre 125.000 cristiani uccisi, 7.800 rapiti solo all'inizio del 2025 e 15 milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case, in quello che rappresenta uno dei più gravi episodi di sfollamento forzato al mondo.

    Le Zone del Terrore

    Lo Stato di Benue, nel cuore della Nigeria, si è trasformato in un epicentro del massacro. Oltre 1.100 vittime sono state registrate in questa regione sola, con il massacro di Yelewata di giugno che ha segnato uno dei giorni più sanguinosi: 280 cristiani uccisi in un singolo attacco.

    La violenza, perpetrata da gruppi estremisti islamisti come Boko Haram e i pastori Fulani militarizzati, si caratterizza per la sua brutalità: attacchi a villaggi indifesi, esecuzioni sommarie, mutilazioni e distruzione sistematica di luoghi di culto.

    Fattori della Crisi

    Alla base di questa tragedia convergono diversi elementi:

    · L'espansione territoriale dei gruppi jihadisti nel Nord e Centro Nigeria
    · La complicità di alcune autorità locali e la corruzione dilagante
    · La carenza cronica di sicurezza e l'impunità di cui godono i perpetratori
    · Tensioni etnico-religiose strumentalizzate per fini politici

    Il Silenzio Internazionale

    Nonostante le dimensioni apocalittiche della crisi, la risposta della comunità internazionale rimane inadeguata. Le organizzazioni per i diritti umani denunciano da anni quello che definiscono un "genocidio strisciante", ma l'attenzione mediatica e politica globale rimane marginale.

    Un Appello all'Azione

    Questi numeri non rappresentano solo statistiche, ma famiglie distrutte, comunità annientate e un'intera generazione traumatizzata. La continua presa del potere da parte degli islamisti in Nigeria rappresenta non solo una minaccia alla libertà religiosa, ma alla stessa stabilità dell'Africa occidentale.

    La comunità internazionale non può più voltarsi dall'altra parte. È necessaria un'azione coordinata che unisca pressione diplomatica, sostegno umanitario e strategie concrete per proteggere le minoranze religiose in Nigeria, prima che sia troppo tardi.

    ____________________
    ENGLISH

    Silent Slaughter: Nigeria's Forgotten Christian Crisis

    A creeping genocide is unfolding amid global indifference as Islamist extremism devastates Christian communities in Nigeria with civil war-level casualties.

    A chilling report documents what can only be described as a campaign of religious cleansing: in the first 220 days of 2025, over 7,000 Christians were massacred in Nigeria, averaging 32 deaths per day. Simultaneously, 100 churches are being destroyed monthly, in a systematic attempt to erase Christian presence from vast regions of the country.

    Background of a Foretold Massacre

    The current crisis has its roots in the escalation of violence that began in 2009 with the Boko Haram insurgency. Since then, the death toll has been horrifying: over 125,000 Christians killed, 7,800 kidnapped just in early 2025, and 15 million people forced to flee their homes, representing one of the most severe cases of forced displacement worldwide.

    Epicenters of Terror

    Benue State, in central Nigeria, has become a massacre epicenter. Over 1,100 victims were recorded in this region alone, with the June Yelewata massacre marking one of the bloodiest days: 280 Christians killed in a single attack.

    The violence, perpetrated by Islamist extremist groups like Boko Haram and militarized Fulani herdsmen, is characterized by its brutality: attacks on defenseless villages, summary executions, mutilations, and systematic destruction of places of worship.

    Root Causes of the Crisis

    Several converging factors underlie this tragedy:

    · Territorial expansion of jihadist groups in Northern and Central Nigeria
    · Complicity of some local authorities and rampant corruption
    · Chronic security deficits and impunity enjoyed by perpetrators
    · Ethno-religious tensions exploited for political purposes

    International Silence

    Despite the apocalyptic scale of the crisis, the international community's response remains inadequate. Human rights organizations have been denouncing what they call a "creeping genocide" for years, yet global media and political attention remains marginal.

    A Call to Action

    These numbers represent more than statistics—they represent destroyed families, annihilated communities, and a traumatized generation. The continuing power grab by Islamists in Nigeria threatens not only religious freedom but the very stability of West Africa.

    The international community can no longer look away. Coordinated action is urgently needed—combining diplomatic pressure, humanitarian support, and concrete strategies to protect religious minorities in Nigeria before it's too late.
    La violenza islamista devasta la Nigeria: 7.000 cristiani uccisi in 220 giorni Un nuovo rapporto denuncia una brutale ondata di attacchi anticristiani in tutta la Nigeria nel 2025, con oltre 7.000 cristiani massacrati in soli 220 giorni —con una media di 32 morti al giorno— e 100 chiese distrutte ogni mese. Solo nello Stato di Benue si registrano oltre 1.100 vittime, tra cui il massacro di Yelewata in cui persero la vita 280 cristiani a giugno. Dal 2009, oltre 125.000 cristiani sono morti, 7.800 sono stati rapiti all’inizio del 2025 e 15 milioni di persone sono state sfollate. Si tratta di un duro avvertimento della continua presa del potere da parte degli islamisti e dell’urgente minaccia alla libertà religiosa in Nigeria. - Sterminio Silenzioso: La Crisi Dimenticata dei Cristiani in Nigeria Un genocidio strisciante sta avvenendo nell'indifferenza globale mentre l'estremismo islamista devasta le comunità cristiane nigeriane con numeri da guerra civile. Un agghiacciante rapporto documenta quella che può essere definita solo come una campagna di pulizia religiosa: nei primi 220 giorni del 2025, oltre 7.000 cristiani sono stati massacrati in Nigeria, una media di 32 morti al giorno. Parallelamente, 100 chiese vengono distrutte ogni mese, in un sistematico tentativo di cancellare la presenza cristiana da vaste regioni del paese. Il Contesto di un Massacro Annunciato La crisi attuale affonda le sue radici nell'escalation di violenza iniziata nel 2009 con la rivolta di Boko Haram. Da allora, il bilancio è spaventoso: oltre 125.000 cristiani uccisi, 7.800 rapiti solo all'inizio del 2025 e 15 milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case, in quello che rappresenta uno dei più gravi episodi di sfollamento forzato al mondo. Le Zone del Terrore Lo Stato di Benue, nel cuore della Nigeria, si è trasformato in un epicentro del massacro. Oltre 1.100 vittime sono state registrate in questa regione sola, con il massacro di Yelewata di giugno che ha segnato uno dei giorni più sanguinosi: 280 cristiani uccisi in un singolo attacco. La violenza, perpetrata da gruppi estremisti islamisti come Boko Haram e i pastori Fulani militarizzati, si caratterizza per la sua brutalità: attacchi a villaggi indifesi, esecuzioni sommarie, mutilazioni e distruzione sistematica di luoghi di culto. Fattori della Crisi Alla base di questa tragedia convergono diversi elementi: · L'espansione territoriale dei gruppi jihadisti nel Nord e Centro Nigeria · La complicità di alcune autorità locali e la corruzione dilagante · La carenza cronica di sicurezza e l'impunità di cui godono i perpetratori · Tensioni etnico-religiose strumentalizzate per fini politici Il Silenzio Internazionale Nonostante le dimensioni apocalittiche della crisi, la risposta della comunità internazionale rimane inadeguata. Le organizzazioni per i diritti umani denunciano da anni quello che definiscono un "genocidio strisciante", ma l'attenzione mediatica e politica globale rimane marginale. Un Appello all'Azione Questi numeri non rappresentano solo statistiche, ma famiglie distrutte, comunità annientate e un'intera generazione traumatizzata. La continua presa del potere da parte degli islamisti in Nigeria rappresenta non solo una minaccia alla libertà religiosa, ma alla stessa stabilità dell'Africa occidentale. La comunità internazionale non può più voltarsi dall'altra parte. È necessaria un'azione coordinata che unisca pressione diplomatica, sostegno umanitario e strategie concrete per proteggere le minoranze religiose in Nigeria, prima che sia troppo tardi. ____________________ ENGLISH Silent Slaughter: Nigeria's Forgotten Christian Crisis A creeping genocide is unfolding amid global indifference as Islamist extremism devastates Christian communities in Nigeria with civil war-level casualties. A chilling report documents what can only be described as a campaign of religious cleansing: in the first 220 days of 2025, over 7,000 Christians were massacred in Nigeria, averaging 32 deaths per day. Simultaneously, 100 churches are being destroyed monthly, in a systematic attempt to erase Christian presence from vast regions of the country. Background of a Foretold Massacre The current crisis has its roots in the escalation of violence that began in 2009 with the Boko Haram insurgency. Since then, the death toll has been horrifying: over 125,000 Christians killed, 7,800 kidnapped just in early 2025, and 15 million people forced to flee their homes, representing one of the most severe cases of forced displacement worldwide. Epicenters of Terror Benue State, in central Nigeria, has become a massacre epicenter. Over 1,100 victims were recorded in this region alone, with the June Yelewata massacre marking one of the bloodiest days: 280 Christians killed in a single attack. The violence, perpetrated by Islamist extremist groups like Boko Haram and militarized Fulani herdsmen, is characterized by its brutality: attacks on defenseless villages, summary executions, mutilations, and systematic destruction of places of worship. Root Causes of the Crisis Several converging factors underlie this tragedy: · Territorial expansion of jihadist groups in Northern and Central Nigeria · Complicity of some local authorities and rampant corruption · Chronic security deficits and impunity enjoyed by perpetrators · Ethno-religious tensions exploited for political purposes International Silence Despite the apocalyptic scale of the crisis, the international community's response remains inadequate. Human rights organizations have been denouncing what they call a "creeping genocide" for years, yet global media and political attention remains marginal. A Call to Action These numbers represent more than statistics—they represent destroyed families, annihilated communities, and a traumatized generation. The continuing power grab by Islamists in Nigeria threatens not only religious freedom but the very stability of West Africa. The international community can no longer look away. Coordinated action is urgently needed—combining diplomatic pressure, humanitarian support, and concrete strategies to protect religious minorities in Nigeria before it's too late.
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  • MATTEO GRACIS sullo SCIOPERA di LUNEDI' 22 Settembre!
    “Vergogna, avete messo a ferro e fuoco l’Italia, pagate i danni, a cosa è servito scioperare?”

    5 cose di numero, sugli scioperi di ieri.

    La prima: continuate a farvi fare puntualmente il lavaggio del cervello da politica e mass media. Vi mostrano quattro idioti di numero che spaccano una vetrina o lanciano un sasso ed ecco che non vedete altro. Ieri in Italia hanno manifestato pacificamente centinaia di migliaia di persone, i violenti saranno stati lo 0 virgola qualcosa per cento ma tanto basta per delegittimare le proteste. Senza considerare l’ipotesi di infiltrati, perché non sarebbe la prima volta.

    Seconda considerazione: e avanti di nuovo e sempre con il gioco delle fazioni, le tifoserie da stadio, le guerre tra poveri, anche sto giro dritti dentro la trappola del divide et impera, con la quale vi si inculano da 2mila anni. Destra sinistra fascisti comunisti e sto giro, chi ha manifestato e chi no, dunque continuiamo a dividerci evitando di unirci contro gli unici veri nemici, le élite dominanti.

    Terza riflessione: "A cosa è servito scioperare? Così non si risolve nulla!"
    Ora, molti di voi sono troppo giovani o troppo ignoranti per sapere che… tutte le più grandi conquiste a livello di diritti sociali e civili dell’epoca contemporanea, in Italia e nel mondo, sono state ottenute attraverso scioperi e azioni di disobbedienza. Se oggi molti di voi hanno determinati diritti e privilegi nel lavoro, nella scuola, nella sanità pubblica e in generale nella vostra quotidianità, è solo grazie a persone che prima di voi hanno scioperato, disobbedito e si sono ribellate.

    Quarto pensiero: molti là fuori sono affascinati dall’idea di rivoluzione, di cambiamento, perché... "questo sistema fa schifo, questa società è tutta sballata, dobbiamo mandare a casa i politici e sistemare le cose", poi però, di fronte al primo rigurgito di ribellione del popolo, ecco che non va più bene "perché così non si fa, non sono questi i modi, ok manifestare ma con educazione"… signori, la rivoluzione non si fa chiedendo il permesso. Smettetela di fare i guardiani della Matrix.

    E infine a tutti coloro che si sono lamentati per i disagi che hanno dovuto subire ieri a causa degli scioperi, vorrei ricordare che è in corso un fottuto genocidio, un massacro di esseri umani, a partire da donne e bambini inermi e innocenti. I vostri disagi sono nulla rispetto a quello che sta succedendo a un intero popolo la cui unica colpa è stata nascere in un angolo di mondo sfigato. Se non lo capite evidentemente non vi rendete conto di cosa siano le priorità e il senso della vita.

    Di fronte a una delle pagine più nere della storia dell’umanità, protestare, scioperare, disobbedire… è il minimo che possiamo fare.

    Dunque oggi e sempre… Lunga vita ai ribelli.
    MATTEO GRACIS sullo SCIOPERA di LUNEDI' 22 Settembre! “Vergogna, avete messo a ferro e fuoco l’Italia, pagate i danni, a cosa è servito scioperare?” 5 cose di numero, sugli scioperi di ieri. 🇵🇸 La prima: continuate a farvi fare puntualmente il lavaggio del cervello da politica e mass media. Vi mostrano quattro idioti di numero che spaccano una vetrina o lanciano un sasso ed ecco che non vedete altro. Ieri in Italia hanno manifestato pacificamente centinaia di migliaia di persone, i violenti saranno stati lo 0 virgola qualcosa per cento ma tanto basta per delegittimare le proteste. Senza considerare l’ipotesi di infiltrati, perché non sarebbe la prima volta. Seconda considerazione: e avanti di nuovo e sempre con il gioco delle fazioni, le tifoserie da stadio, le guerre tra poveri, anche sto giro dritti dentro la trappola del divide et impera, con la quale vi si inculano da 2mila anni. Destra sinistra fascisti comunisti e sto giro, chi ha manifestato e chi no, dunque continuiamo a dividerci evitando di unirci contro gli unici veri nemici, le élite dominanti. Terza riflessione: "A cosa è servito scioperare? Così non si risolve nulla!" Ora, molti di voi sono troppo giovani o troppo ignoranti per sapere che… tutte le più grandi conquiste a livello di diritti sociali e civili dell’epoca contemporanea, in Italia e nel mondo, sono state ottenute attraverso scioperi e azioni di disobbedienza. Se oggi molti di voi hanno determinati diritti e privilegi nel lavoro, nella scuola, nella sanità pubblica e in generale nella vostra quotidianità, è solo grazie a persone che prima di voi hanno scioperato, disobbedito e si sono ribellate. Quarto pensiero: molti là fuori sono affascinati dall’idea di rivoluzione, di cambiamento, perché... "questo sistema fa schifo, questa società è tutta sballata, dobbiamo mandare a casa i politici e sistemare le cose", poi però, di fronte al primo rigurgito di ribellione del popolo, ecco che non va più bene "perché così non si fa, non sono questi i modi, ok manifestare ma con educazione"… signori, la rivoluzione non si fa chiedendo il permesso. Smettetela di fare i guardiani della Matrix. E infine a tutti coloro che si sono lamentati per i disagi che hanno dovuto subire ieri a causa degli scioperi, vorrei ricordare che è in corso un fottuto genocidio, un massacro di esseri umani, a partire da donne e bambini inermi e innocenti. I vostri disagi sono nulla rispetto a quello che sta succedendo a un intero popolo la cui unica colpa è stata nascere in un angolo di mondo sfigato. Se non lo capite evidentemente non vi rendete conto di cosa siano le priorità e il senso della vita. Di fronte a una delle pagine più nere della storia dell’umanità, protestare, scioperare, disobbedire… è il minimo che possiamo fare. Dunque oggi e sempre… Lunga vita ai ribelli.
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