MILANO 2025 – Fra bollettino di guerra e m2 di sofferenza
Quando si avvicina la fine dell’anno arriva anche il momento dei bilanci.
E per la nostra città i conti sono, ancora una volta, in passivo.
Non è un caso se sempre più testate giornalistiche snocciolano percentuali, grafici e numeri che raccontano una Milano che non è più la “locomotiva d’Italia”, ma assomiglia sempre di più a un girone urbano dei dannati. Il dato più inquietante, però, non è nei report: è nella nostra assuefazione collettiva.
Stiamo accettando tutto questo con una calma sospetta. Forse perché siamo – giustamente – presi dal dimostrare empatia e solidarietà verso conflitti e sofferenze che si consumano a migliaia di chilometri da qui. È umano, è giusto, è necessario.
Ma permettetemi una riflessione, rapportata alle nostre vite e alle nostre dimensioni quotidiane.
È come vivere in un condominio che cade a pezzi e scegliere di ignorarlo perché siamo emotivamente assorbiti dai problemi di un altro palazzo, lontano chilometri dal nostro. La solidarietà non è in discussione. La rimozione del reale, sì.
Con un nuovo anno alle porte e le prossime amministrative che si avvicinano, forse è arrivato il momento di rivolgere a Milano attenzioni maggiori, senza sensi di colpa ma con responsabilità. Se siamo in grado di occuparci del mondo intero, dobbiamo essere capaci di guardare anche alle gravi carenze di casa nostra.
Vogliamo dare un’occhiata insieme al bollettino di guerra del 2025?
Eccolo.
A Milano si guadagna più che nel resto d’Italia.
Ma lavorare, oggi, non è più sufficiente per vivere bene.
Secondo lo studio della Camera del Lavoro Metropolitana di Milano (CGIL), un lavoratore su tre percepisce un reddito incompatibile con il costo della vita cittadina. Non stiamo parlando di marginalità estrema, ma di una fascia sempre più ampia di persone intrappolate in una normalità impoverita, dove il lavoro garantisce la sopravvivenza ma non la dignità.
Il nodo è strutturale: casa e sanità assorbono oltre il 50% del salario.
Solo l’abitazione pesa tra il 30 e il 40%, mentre la spesa sanitaria supera il 20%. Il resto dello stipendio evapora tra inflazione, trasporti e spese obbligate. Il risultato è una città che costringe i suoi lavoratori ad adottare comportamenti difensivi, a partire dall’espulsione verso l’hinterland.
Milano diventa così una città che si lavora ma non si abita.
E chi non può permettersi di viverla viene progressivamente escluso anche dal punto di vista sociale e culturale: tempo libero, relazioni, partecipazione, accesso alla vita urbana. Tutto ciò che non coincide con l’orario di lavoro viene sacrificato.
Questa dinamica colpisce in modo violento il lavoro pubblico. In appena due anni, i dipendenti pubblici in città sono diminuiti di circa il 14%. Scuola, sanità, amministrazioni locali: Milano non è più attrattiva nemmeno per chi garantisce i servizi essenziali. Una fuga silenziosa che compromette la qualità stessa della vita urbana.
Nel frattempo i salari nominali crescono, ma meno dell’inflazione, che a Milano ha superato l’11% nel periodo 2022–2024. Tradotto: si lavora di più, si guadagna “sulla carta”, ma si perde potere d’acquisto reale.
La crescita c’è, ma non viene redistribuita. E una crescita senza equità non è sviluppo: è estrazione sociale.
Milano continua a produrre ricchezza, ma non benessere.
E una città che consuma le persone che la tengono in piedi è una città che sta ipotecando il proprio futuro.
Queste ragioni dovrebbero essere più che sufficienti per risvegliarci dal torpore e dall’accettazione passiva di una degenerazione che, fino ad oggi, abbiamo avuto il coraggio di denunciare solo parlando di malapolitica.
Esistono gruppi politici di potere? Vero.
Le lobby sono forze reali che comandano Milano? Vero anche questo.
Ma la domanda più scomoda resta un’altra: noi dove eravamo quando era il momento di contrastare tutto questo da dentro?
Troppo spesso abbiamo preferito allontanare il pensiero, rifugiandoci in mobilitazioni che, per quanto giuste, lavano la coscienza ma non attivano la responsabilità. Cortei, riflessioni, prese di posizione sacrosante — ma raramente radicate fino in fondo nel nostro territorio.
Milano oggi merita di essere liberata.
Non solo dagli episodi di malagestione, ma da quello che è diventato il nostro male moderno: la pigrizia mentale, la rinuncia a immaginare un’alternativa, la mancanza di motivazioni a giocarsi davvero la partita.
Se non lo facciamo ora, tra un anno, a pochi giorni da un nuovo Capodanno, rileggeremo le stesse statistiche impietose. La stessa insoddisfazione generale. La stessa insicurezza.
E una fila ancora più lunga ad attendere un pacco di sostegno e di dignità davanti al Pane Quotidiano.
Vogliamo davvero questo?
Se la risposta è no, allora è il tempo di mettersi a lavorare seriamente per curare Milano e liberarla.
Perché solo ripartendo dal nostro territorio avremo la serenità e la forza per aiutare anche il resto del mondo.
Il primo passo si fa sempre da qui.
Dal nostro metro quadrato di sofferenza.
#MilanoLibera #Milano2025 #CostoDellaVita
#LavoroEDignità #CasaÈUnDiritto #CittàPerChiLavora
Quando si avvicina la fine dell’anno arriva anche il momento dei bilanci.
E per la nostra città i conti sono, ancora una volta, in passivo.
Non è un caso se sempre più testate giornalistiche snocciolano percentuali, grafici e numeri che raccontano una Milano che non è più la “locomotiva d’Italia”, ma assomiglia sempre di più a un girone urbano dei dannati. Il dato più inquietante, però, non è nei report: è nella nostra assuefazione collettiva.
Stiamo accettando tutto questo con una calma sospetta. Forse perché siamo – giustamente – presi dal dimostrare empatia e solidarietà verso conflitti e sofferenze che si consumano a migliaia di chilometri da qui. È umano, è giusto, è necessario.
Ma permettetemi una riflessione, rapportata alle nostre vite e alle nostre dimensioni quotidiane.
È come vivere in un condominio che cade a pezzi e scegliere di ignorarlo perché siamo emotivamente assorbiti dai problemi di un altro palazzo, lontano chilometri dal nostro. La solidarietà non è in discussione. La rimozione del reale, sì.
Con un nuovo anno alle porte e le prossime amministrative che si avvicinano, forse è arrivato il momento di rivolgere a Milano attenzioni maggiori, senza sensi di colpa ma con responsabilità. Se siamo in grado di occuparci del mondo intero, dobbiamo essere capaci di guardare anche alle gravi carenze di casa nostra.
Vogliamo dare un’occhiata insieme al bollettino di guerra del 2025?
Eccolo.
A Milano si guadagna più che nel resto d’Italia.
Ma lavorare, oggi, non è più sufficiente per vivere bene.
Secondo lo studio della Camera del Lavoro Metropolitana di Milano (CGIL), un lavoratore su tre percepisce un reddito incompatibile con il costo della vita cittadina. Non stiamo parlando di marginalità estrema, ma di una fascia sempre più ampia di persone intrappolate in una normalità impoverita, dove il lavoro garantisce la sopravvivenza ma non la dignità.
Il nodo è strutturale: casa e sanità assorbono oltre il 50% del salario.
Solo l’abitazione pesa tra il 30 e il 40%, mentre la spesa sanitaria supera il 20%. Il resto dello stipendio evapora tra inflazione, trasporti e spese obbligate. Il risultato è una città che costringe i suoi lavoratori ad adottare comportamenti difensivi, a partire dall’espulsione verso l’hinterland.
Milano diventa così una città che si lavora ma non si abita.
E chi non può permettersi di viverla viene progressivamente escluso anche dal punto di vista sociale e culturale: tempo libero, relazioni, partecipazione, accesso alla vita urbana. Tutto ciò che non coincide con l’orario di lavoro viene sacrificato.
Questa dinamica colpisce in modo violento il lavoro pubblico. In appena due anni, i dipendenti pubblici in città sono diminuiti di circa il 14%. Scuola, sanità, amministrazioni locali: Milano non è più attrattiva nemmeno per chi garantisce i servizi essenziali. Una fuga silenziosa che compromette la qualità stessa della vita urbana.
Nel frattempo i salari nominali crescono, ma meno dell’inflazione, che a Milano ha superato l’11% nel periodo 2022–2024. Tradotto: si lavora di più, si guadagna “sulla carta”, ma si perde potere d’acquisto reale.
La crescita c’è, ma non viene redistribuita. E una crescita senza equità non è sviluppo: è estrazione sociale.
Milano continua a produrre ricchezza, ma non benessere.
E una città che consuma le persone che la tengono in piedi è una città che sta ipotecando il proprio futuro.
Queste ragioni dovrebbero essere più che sufficienti per risvegliarci dal torpore e dall’accettazione passiva di una degenerazione che, fino ad oggi, abbiamo avuto il coraggio di denunciare solo parlando di malapolitica.
Esistono gruppi politici di potere? Vero.
Le lobby sono forze reali che comandano Milano? Vero anche questo.
Ma la domanda più scomoda resta un’altra: noi dove eravamo quando era il momento di contrastare tutto questo da dentro?
Troppo spesso abbiamo preferito allontanare il pensiero, rifugiandoci in mobilitazioni che, per quanto giuste, lavano la coscienza ma non attivano la responsabilità. Cortei, riflessioni, prese di posizione sacrosante — ma raramente radicate fino in fondo nel nostro territorio.
Milano oggi merita di essere liberata.
Non solo dagli episodi di malagestione, ma da quello che è diventato il nostro male moderno: la pigrizia mentale, la rinuncia a immaginare un’alternativa, la mancanza di motivazioni a giocarsi davvero la partita.
Se non lo facciamo ora, tra un anno, a pochi giorni da un nuovo Capodanno, rileggeremo le stesse statistiche impietose. La stessa insoddisfazione generale. La stessa insicurezza.
E una fila ancora più lunga ad attendere un pacco di sostegno e di dignità davanti al Pane Quotidiano.
Vogliamo davvero questo?
Se la risposta è no, allora è il tempo di mettersi a lavorare seriamente per curare Milano e liberarla.
Perché solo ripartendo dal nostro territorio avremo la serenità e la forza per aiutare anche il resto del mondo.
Il primo passo si fa sempre da qui.
Dal nostro metro quadrato di sofferenza.
#MilanoLibera #Milano2025 #CostoDellaVita
#LavoroEDignità #CasaÈUnDiritto #CittàPerChiLavora
🚨 MILANO 2025 – Fra bollettino di guerra e m2 di sofferenza ⚠️🏙️
Quando si avvicina la fine dell’anno arriva anche il momento dei bilanci.
E per la nostra città i conti sono, ancora una volta, in passivo. 📉
Non è un caso se sempre più testate giornalistiche snocciolano percentuali, grafici e numeri che raccontano una Milano che non è più la “locomotiva d’Italia”, ma assomiglia sempre di più a un girone urbano dei dannati. Il dato più inquietante, però, non è nei report: è nella nostra assuefazione collettiva.
Stiamo accettando tutto questo con una calma sospetta. Forse perché siamo – giustamente – presi dal dimostrare empatia e solidarietà verso conflitti e sofferenze che si consumano a migliaia di chilometri da qui. È umano, è giusto, è necessario. ❤️🩹
Ma permettetemi una riflessione, rapportata alle nostre vite e alle nostre dimensioni quotidiane.
È come vivere in un condominio che cade a pezzi e scegliere di ignorarlo perché siamo emotivamente assorbiti dai problemi di un altro palazzo, lontano chilometri dal nostro. La solidarietà non è in discussione. La rimozione del reale, sì.
Con un nuovo anno alle porte e le prossime amministrative che si avvicinano, forse è arrivato il momento di rivolgere a Milano attenzioni maggiori, senza sensi di colpa ma con responsabilità. Se siamo in grado di occuparci del mondo intero, dobbiamo essere capaci di guardare anche alle gravi carenze di casa nostra.
Vogliamo dare un’occhiata insieme al bollettino di guerra del 2025?
Eccolo. 🧾🔥
A Milano si guadagna più che nel resto d’Italia.
Ma lavorare, oggi, non è più sufficiente per vivere bene.
Secondo lo studio della Camera del Lavoro Metropolitana di Milano (CGIL), un lavoratore su tre percepisce un reddito incompatibile con il costo della vita cittadina. Non stiamo parlando di marginalità estrema, ma di una fascia sempre più ampia di persone intrappolate in una normalità impoverita, dove il lavoro garantisce la sopravvivenza ma non la dignità.
Il nodo è strutturale: casa e sanità assorbono oltre il 50% del salario.
Solo l’abitazione pesa tra il 30 e il 40%, mentre la spesa sanitaria supera il 20%. Il resto dello stipendio evapora tra inflazione, trasporti e spese obbligate. Il risultato è una città che costringe i suoi lavoratori ad adottare comportamenti difensivi, a partire dall’espulsione verso l’hinterland.
Milano diventa così una città che si lavora ma non si abita.
E chi non può permettersi di viverla viene progressivamente escluso anche dal punto di vista sociale e culturale: tempo libero, relazioni, partecipazione, accesso alla vita urbana. Tutto ciò che non coincide con l’orario di lavoro viene sacrificato.
Questa dinamica colpisce in modo violento il lavoro pubblico. In appena due anni, i dipendenti pubblici in città sono diminuiti di circa il 14%. Scuola, sanità, amministrazioni locali: Milano non è più attrattiva nemmeno per chi garantisce i servizi essenziali. Una fuga silenziosa che compromette la qualità stessa della vita urbana.
Nel frattempo i salari nominali crescono, ma meno dell’inflazione, che a Milano ha superato l’11% nel periodo 2022–2024. Tradotto: si lavora di più, si guadagna “sulla carta”, ma si perde potere d’acquisto reale.
La crescita c’è, ma non viene redistribuita. E una crescita senza equità non è sviluppo: è estrazione sociale.
Milano continua a produrre ricchezza, ma non benessere.
E una città che consuma le persone che la tengono in piedi è una città che sta ipotecando il proprio futuro.
Queste ragioni dovrebbero essere più che sufficienti per risvegliarci dal torpore e dall’accettazione passiva di una degenerazione che, fino ad oggi, abbiamo avuto il coraggio di denunciare solo parlando di malapolitica.
Esistono gruppi politici di potere? Vero.
Le lobby sono forze reali che comandano Milano? Vero anche questo.
Ma la domanda più scomoda resta un’altra: noi dove eravamo quando era il momento di contrastare tutto questo da dentro?
Troppo spesso abbiamo preferito allontanare il pensiero, rifugiandoci in mobilitazioni che, per quanto giuste, lavano la coscienza ma non attivano la responsabilità. Cortei, riflessioni, prese di posizione sacrosante — ma raramente radicate fino in fondo nel nostro territorio. 🪧
👉Milano oggi merita di essere liberata.
Non solo dagli episodi di malagestione, ma da quello che è diventato il nostro male moderno: la pigrizia mentale, la rinuncia a immaginare un’alternativa, la mancanza di motivazioni a giocarsi davvero la partita.
Se non lo facciamo ora, tra un anno, a pochi giorni da un nuovo Capodanno, rileggeremo le stesse statistiche impietose. La stessa insoddisfazione generale. La stessa insicurezza.
E una fila ancora più lunga ad attendere un pacco di sostegno e di dignità davanti al Pane Quotidiano. 🍞
Vogliamo davvero questo?
Se la risposta è no, allora è il tempo di mettersi a lavorare seriamente per curare Milano e liberarla.
Perché solo ripartendo dal nostro territorio avremo la serenità e la forza per aiutare anche il resto del mondo.
Il primo passo si fa sempre da qui.
Dal nostro metro quadrato di sofferenza. 📐🔥
#MilanoLibera #Milano2025 #CostoDellaVita
#LavoroEDignità #CasaÈUnDiritto #CittàPerChiLavora
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