• Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane
    Il Cremlino risponderà all’idea del cancelliere tedesco Merz di utilizzare le riserve congelate russe per finanziare l’Ucraina: ecco che cosa ha in mente lo Zar (e cosa rischia l’Italia...

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    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane
    di Federico Fubini

    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, così Putin mette le mani su 150 miliardi di dollari
    Vladimir Putin (a destra) con Sergei Lavrov

    (Questo articolo è tratto dalla newsletter Whatever it takes ad opera di Federico Fubini, se vuoi iscriverti clicca qui)

    Si è udito un silenzio irreale da Mosca dopo che il cancelliere tedesco Friedrich Merz, per la prima volta, ha messo la sua firma su una decisione che sta prendendo forma: usare le riserve congelate della Russia per finanziare l’Ucraina, dapprima mobilitando 170 miliardi di euro e alla lunga ben oltre duecento. La vicenda dei fondi di Mosca risale ai primi giorni della guerra totale all’Ucraina, quando i leader del G7 bloccarono quei conti in dollari, euro, sterline e yen e li sottrassero alla disponibilità di Vladimir Putin (foto sotto). Ho scritto sul “Corriere” (qui, qui e qui, con Mara Gergolet) dei modi in cui questo può accadere, a partire dal G7 dei ministri delle Finanze già previsto mercoledì. Si può ipotizzare che la decisione diventi esecutiva fra marzo e aprile prossimi.

    La risposta del Cremlino
    Ora però mi interessano altri aspetti, perché quel silenzio di Mosca è ingannevole. Il Cremlino risponderà. Prenderà di mira e confischerà i conti e probabilmente anche i beni fisici delle aziende attive in Russia dei Paesi che dovessero partecipare all’intervento sulle riserve – incluse almeno una sessantina di imprese italiane – se questa decisione sarà confermata. La tensione tra Mosca e i governi europei, già altissima, non farà che crescere ancora.

    Le ritorsioni
    Dirò più sotto perché temo che tutto ciò sia inevitabile e perché gli averi delle aziende europee in Russia già oggi sono probabilmente irrecuperabili; quindi, non è il momento per italiani, francesi, tedeschi o britannici di farsi intimidire dalle minacce di ritorsioni. Il senso di ciò che sta accadendo è sempre più chiaro. La ritirata degli Stati Uniti dal conflitto per scelta di Donald Trump, così come la determinazione di Putin (sostenuto dalla Cina) di perseguire comunque i suoi obiettivi massimi di guerra, stanno spingendo una parte d’Europa verso ciò che per ottant’anni non aveva mai fatto: esporsi sempre di più – con denaro, armi, industria e tecnologie – perché l’Ucraina non ceda; perché Putin non divenga una minaccia sempre maggiore anche per noi stessi.


    Le riserve russe
    Usare le riserve russe è un modo di continuare questo sforzo cercando di prevenire una rivolta dei contribuenti europei, che verrebbe molto presto cavalcata dai populisti di ogni segno. Ma nei fatti la scomparsa dell’America da questo scacchiere accelera un degrado ulteriore nei rapporti tra l’Europa e la Russia, con ricadute anche finanziarie e industriali finora poco comprese. Vediamo.

    Il decreto presidenziale
    Esiste a Mosca, almeno dall’inizio dell’anno, la bozza di un decreto presidenziale che prevede la nazionalizzazione delle attività di aziende di Paesi considerati «non amichevoli». La novità sarebbe solo nella scala – vastissima, macroeconomica – sulla quale tutto ciò potrebbe avvenire. Perché il resto si è già visto tutto. In questi tre anni e mezzo Putin, il suo governo o i giudici da esso controllati hanno già requisito per motivi politici, messo sotto il controllo dello Stato o trasferito a oligarchi amici 103 aziende o proprietà; fra queste le attività russe della francese Danone (trasferite al leader ceceno e signore della guerra Ramzan Kadyrov), quella della danese Carlsberg, della belga InBev, della tedesca Bosch, dell’americana Exxon Mobil e dell’italiana Ariston. Queste ultime erano state addossate a Gazprom, la quale le ha restituite ad Ariston stessa dopo appena sette mesi (succedeva a marzo scorso).

    Il valore dei beni fisici
    Tutto questo molto probabilmente è solo il prologo di ciò che sta per accadere ora, se e quando l’uso per l’Ucraina delle riserve congelate russe diventerà operativo in primavera. Una stima approssimativa che circola negli ambienti di affari legati a Mosca indica che il valore dei beni fisici d’investimento delle società occidentali in Russia sia oggi attorno ai 150 miliardi di dollari; a questi si aggiungono conti bancari di imprese di Paesi “non amichevoli” per altri 150 miliardi di dollari circa.
    Per quanto riguarda le imprese italiane, i conti bancari esposti al sequestro in Russia molto probabilmente custodiscono almeno l’equivalente in rubli di almeno mezzo miliardo di euro; ma si tratta con ogni verosimiglianza di una stima cauta.

    La spinta dell’inflazione
    Spiegherò meglio tra poco, prima però va chiarito perché il valore complessivo dei conti e degli averi delle imprese dei Paesi occidentali in Russia (Giappone politicamente incluso) è così alto. Solo i primi otto gruppi di Paesi “non amichevoli” hanno fatturato in Russia l’equivalente di circa venti miliardi di euro all’ultimo anno dichiarato, spesso il 2023 o il 2024. Il colosso giapponese del tabacco JTI dal 2023 è in testa con vendite per l’equivalente di 4,9 miliardi nel 2023, grazie a un aumento nominale dei fatturati del 40% registrato solo dall’inizio della guerra.

    La spinta dell’inflazione
    JTI ha superato l’americana Philip Morris, diretta concorrente, la quale ha invece fatturato in Russia 4,5 miliardi di euro nel 2023 con un aumento nominale del 12% dall’inizio dell’invasione totale dell’Ucraina. Si tratta di una crescita sospinta in parte da un’inflazione di circa il 20% nei primi due anni del conflitto e dall’accelerazione dei consumi dei russi, perché la spesa militare in quella fase ha creato occupazione e aumentato il potere d’acquisto di milioni di persone.

    I dati
    I dati provengono dalle dichiarazioni fiscali delle imprese stesse all’agenzia delle tasse e all’agenzia statistica russe, raccolti e resi disponibili dalla banca dati Interfax Spark. In questo paradossalmente il governo di Mosca è più trasparente di quelli europei, perché pubblica i dati delle singole aziende (con eccezioni ed esenzioni di natura molto politica).

    Le aziende che hanno lasciato la Russia
    Naturalmente circa 17 mila aziende di Europa, Stati Uniti, Giappone, Australia hanno lasciato la Russia. Anche a costo di essere costrette a vendere a vecchi e nuovi oligarchi locali. Lo hanno fatto ad esempio l'americana McDonald, le tedesche Volkswagen, Mercedes-Benz e Henkel o le italiane Eni ed Enel. Fra i grandi gruppi globali colpiscono, in particolare, due traiettorie.

    Il caso Pepsi
    L’americana Pepsi vede salire i suoi fatturati russi del 58% nei primi tre anni di guerra fino all’equivalente di 2,5 miliardi di euro, proprio mentre da Washington arrivava un pacchetto dopo l’altro di sanzioni (ma non nei beni di consumo come cibi e bevande). E il colosso farmaceutico anglo-svedese Astra-Zeneca, malgrado i rapporti pessimi fra le capitali, dall’inizio del conflitto al 2024 vede quasi triplicare i fatturati fino a un miliardo di euro. Non è chiaro se abbia ricevuto contratti del governo di Mosca nel suo settore, che peraltro è anch’esso del tutto esente dalle sanzioni.

    La curva dei ricavi
    Al confronto le aziende italiane mostrano tendenze simili, ma su una scala molto più modesta. Circa il 70% di quelle che erano presenti prima del 2022 non ha mai lasciato la Russia neanche dopo le sanzioni; e delle 61 imprese di cui è stato possibile reperire le dichiarazioni fiscali su Interfax Spark, 37 avevano fatturati nominali in Russia più alti nel 2024 che prima dell’inizio della guerra. Di una cinquantina di imprese italiane è stato possibile ricostruire l’andamento nel Paese di Vladimir Putin da prima dello scoppio del conflitto totale in Ucraina fino all’anno scorso: il loro fatturato complessivo negli anni di guerra sale del 37%, di una decina di punti in più rispetto all’inflazione locale, fino all’equivalente di 1,7 miliardi di euro nel 2024. L’utile netto aggregato degli anni di guerra è di circa mezzo miliardo di euro, con oltre cento milioni in tasse versate nello stesso periodo al governo di Mosca.

    L’Aperol Spritz
    Quali sono queste imprese? Campari ha una filiale di importazione – non di produzione – che non investe né fa alcuna promozione per crescere, eppure ha visto i fatturati raddoppiare a circa 120 milioni di euro negli anni di guerra per una ragione legata ai paradossi della società russa: mentre i poveri muoiono nel Donbass, nelle élite di Mosca che non possono più viaggiare si è diffusa la moda dell’Aperol Spritz «all'italiana».

    Le italiane, da Chiesi a Barilla e Ferrero
    Crescono molto le farmaceutiche Chiesi e soprattutto Angelini (ma meno di AstraZeneca); decresce in Russia l’impianto di Marcegaglia per acciai di uso civile (700 mila euro di utile in Russia, su un totale di gruppo di quasi duecento milioni nel 2023). Pirelli fattura più di trecento milioni di euro, un risultato che al netto dell’inflazione risulta in frenata dall’inizio della guerra. A queste si aggiungono Cremonini (rifornisce la catena di ex McDonald), Barilla e Ferrero, quest’ultima con un giro d’affari in Russia che resta comunque una frazione dei quasi due miliardi di euro della concorrente americana Mars.

    La presa d'ostaggio
    Nessuna delle imprese che ho citato viola le sanzioni, ma tutte ormai rischiano molto. Spiega The Bell, un quotidiano online molto ben informato sull’economia russa e le dinamiche del potere a Mosca che il governo ha bollato come “agente straniero”: «Gli utili realizzati dalle filiali russe delle aziende (occidentali, ndr.) non possono essere rimpatriati». Dal 2022 devono confluire tutti nei cosiddetti “conti S” fatti istituire dal Cremlino: nella sostanza depositi congelati, così come lo sono le riserve russe in Europa.

    I capitali delle imprese
    Centinaia e centinaia di imprese occidentali non possono disporre dei loro soldi, mentre i profitti e le partecipazioni si accumulano ormai da quasi quattro anni. Di fatto sono stati presi finanziariamente in ostaggio da Putin. Se si aggiunge al conto la quota da circa dieci miliardi di dollari della britannica BP in Rosneft, quella da circa otto miliardi della francese TotalEnergies in Novatek più varie altre e i relativi flussi di dividendi, la stima di conti congelati degli occidentali in Russia per circa 150 miliardi di dollari non suona infondata.

    La fuga inevasa dalla Russia
    Perché tutte queste aziende di tanti Paesi diversi non hanno lasciato la Russia prima? I casi di avidità o opportunismo ci saranno, ma forse non sono molti. Certe imprese sono rimaste perché i loro concorrenti lo facevano (Philip Morris contro JTI). Alcune nel 2022 hanno rinviato l’uscita perché il governo di Mosca imponeva svendite al 50%, per poi scoprire che lo sconto forzoso ora è salito all’80% o al 90%. Altre ancora pensavano che il ritorno di Trump avrebbe portato la pace e il ritiro delle sanzioni. Tutte sono vestigia viventi di un’epoca finita, quella della globalizzazione e del “mondo piatto”, rimaste incagliate in questo tempo di guerra e sanzioni.

    Il ciclo delle ritorsioni
    Putin nel 2022 ha costretto gli europei – che esitavano – a smettere di comprare il gas russo. Oggi è perfettamente capace e deciso a sequestrare gli averi finanziari e materiali delle imprese occidentali, quando l’Europa userà le riserve di Mosca. Per tutte queste imprese ormai non c'è più tempo per tentare di uscire. Per il Cremlino – osserva The Bell – la confisca dell'Occidente sarà una scorciatoia per coprire il crescente deficit di bilancio nel 2026, ma a un prezzo astronomico: con questi espropri la Russia si taglierà fuori dai mercati finanziari internazionali per una generazione a venire, finendo sempre di più nelle mani e alla mercé della Cina.


    I conti S
    Peraltro non potrà estrarre molto denaro dai "conti S", perché la quota liquida è limitata mentre vendere la parte in azioni o obbligazioni può far crollare il mercato di Mosca. Ma Putin accetterà anche questo, pur di servire la sua ossessione di guerra. Per l’Europa cedere al ricatto per salvare i conti russi delle proprie imprese sarebbe comunque un errore. Essi resterebbero comunque congelati per sempre, o almeno fino alla sottomissione dei governi europei agli obiettivi di restaurazione imperiale del Cremlino. Il costo sarebbe ben più alto di qualunque profitto accumulato.


    Source: https://www.corriere.it/economia/finanza/25_settembre_29/russia-ue-nuova-guerra-finanziaria-144a5e5d-82d0-47d6-885e-4646cbfa6xlk_amp.shtml
    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane Il Cremlino risponderà all’idea del cancelliere tedesco Merz di utilizzare le riserve congelate russe per finanziare l’Ucraina: ecco che cosa ha in mente lo Zar (e cosa rischia l’Italia... la newsletter Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane di Federico Fubini Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, così Putin mette le mani su 150 miliardi di dollari Vladimir Putin (a destra) con Sergei Lavrov (Questo articolo è tratto dalla newsletter Whatever it takes ad opera di Federico Fubini, se vuoi iscriverti clicca qui) Si è udito un silenzio irreale da Mosca dopo che il cancelliere tedesco Friedrich Merz, per la prima volta, ha messo la sua firma su una decisione che sta prendendo forma: usare le riserve congelate della Russia per finanziare l’Ucraina, dapprima mobilitando 170 miliardi di euro e alla lunga ben oltre duecento. La vicenda dei fondi di Mosca risale ai primi giorni della guerra totale all’Ucraina, quando i leader del G7 bloccarono quei conti in dollari, euro, sterline e yen e li sottrassero alla disponibilità di Vladimir Putin (foto sotto). Ho scritto sul “Corriere” (qui, qui e qui, con Mara Gergolet) dei modi in cui questo può accadere, a partire dal G7 dei ministri delle Finanze già previsto mercoledì. Si può ipotizzare che la decisione diventi esecutiva fra marzo e aprile prossimi. La risposta del Cremlino Ora però mi interessano altri aspetti, perché quel silenzio di Mosca è ingannevole. Il Cremlino risponderà. Prenderà di mira e confischerà i conti e probabilmente anche i beni fisici delle aziende attive in Russia dei Paesi che dovessero partecipare all’intervento sulle riserve – incluse almeno una sessantina di imprese italiane – se questa decisione sarà confermata. La tensione tra Mosca e i governi europei, già altissima, non farà che crescere ancora. Le ritorsioni Dirò più sotto perché temo che tutto ciò sia inevitabile e perché gli averi delle aziende europee in Russia già oggi sono probabilmente irrecuperabili; quindi, non è il momento per italiani, francesi, tedeschi o britannici di farsi intimidire dalle minacce di ritorsioni. Il senso di ciò che sta accadendo è sempre più chiaro. La ritirata degli Stati Uniti dal conflitto per scelta di Donald Trump, così come la determinazione di Putin (sostenuto dalla Cina) di perseguire comunque i suoi obiettivi massimi di guerra, stanno spingendo una parte d’Europa verso ciò che per ottant’anni non aveva mai fatto: esporsi sempre di più – con denaro, armi, industria e tecnologie – perché l’Ucraina non ceda; perché Putin non divenga una minaccia sempre maggiore anche per noi stessi. Le riserve russe Usare le riserve russe è un modo di continuare questo sforzo cercando di prevenire una rivolta dei contribuenti europei, che verrebbe molto presto cavalcata dai populisti di ogni segno. Ma nei fatti la scomparsa dell’America da questo scacchiere accelera un degrado ulteriore nei rapporti tra l’Europa e la Russia, con ricadute anche finanziarie e industriali finora poco comprese. Vediamo. Il decreto presidenziale Esiste a Mosca, almeno dall’inizio dell’anno, la bozza di un decreto presidenziale che prevede la nazionalizzazione delle attività di aziende di Paesi considerati «non amichevoli». La novità sarebbe solo nella scala – vastissima, macroeconomica – sulla quale tutto ciò potrebbe avvenire. Perché il resto si è già visto tutto. In questi tre anni e mezzo Putin, il suo governo o i giudici da esso controllati hanno già requisito per motivi politici, messo sotto il controllo dello Stato o trasferito a oligarchi amici 103 aziende o proprietà; fra queste le attività russe della francese Danone (trasferite al leader ceceno e signore della guerra Ramzan Kadyrov), quella della danese Carlsberg, della belga InBev, della tedesca Bosch, dell’americana Exxon Mobil e dell’italiana Ariston. Queste ultime erano state addossate a Gazprom, la quale le ha restituite ad Ariston stessa dopo appena sette mesi (succedeva a marzo scorso). Il valore dei beni fisici Tutto questo molto probabilmente è solo il prologo di ciò che sta per accadere ora, se e quando l’uso per l’Ucraina delle riserve congelate russe diventerà operativo in primavera. Una stima approssimativa che circola negli ambienti di affari legati a Mosca indica che il valore dei beni fisici d’investimento delle società occidentali in Russia sia oggi attorno ai 150 miliardi di dollari; a questi si aggiungono conti bancari di imprese di Paesi “non amichevoli” per altri 150 miliardi di dollari circa. Per quanto riguarda le imprese italiane, i conti bancari esposti al sequestro in Russia molto probabilmente custodiscono almeno l’equivalente in rubli di almeno mezzo miliardo di euro; ma si tratta con ogni verosimiglianza di una stima cauta. La spinta dell’inflazione Spiegherò meglio tra poco, prima però va chiarito perché il valore complessivo dei conti e degli averi delle imprese dei Paesi occidentali in Russia (Giappone politicamente incluso) è così alto. Solo i primi otto gruppi di Paesi “non amichevoli” hanno fatturato in Russia l’equivalente di circa venti miliardi di euro all’ultimo anno dichiarato, spesso il 2023 o il 2024. Il colosso giapponese del tabacco JTI dal 2023 è in testa con vendite per l’equivalente di 4,9 miliardi nel 2023, grazie a un aumento nominale dei fatturati del 40% registrato solo dall’inizio della guerra. La spinta dell’inflazione JTI ha superato l’americana Philip Morris, diretta concorrente, la quale ha invece fatturato in Russia 4,5 miliardi di euro nel 2023 con un aumento nominale del 12% dall’inizio dell’invasione totale dell’Ucraina. Si tratta di una crescita sospinta in parte da un’inflazione di circa il 20% nei primi due anni del conflitto e dall’accelerazione dei consumi dei russi, perché la spesa militare in quella fase ha creato occupazione e aumentato il potere d’acquisto di milioni di persone. I dati I dati provengono dalle dichiarazioni fiscali delle imprese stesse all’agenzia delle tasse e all’agenzia statistica russe, raccolti e resi disponibili dalla banca dati Interfax Spark. In questo paradossalmente il governo di Mosca è più trasparente di quelli europei, perché pubblica i dati delle singole aziende (con eccezioni ed esenzioni di natura molto politica). Le aziende che hanno lasciato la Russia Naturalmente circa 17 mila aziende di Europa, Stati Uniti, Giappone, Australia hanno lasciato la Russia. Anche a costo di essere costrette a vendere a vecchi e nuovi oligarchi locali. Lo hanno fatto ad esempio l'americana McDonald, le tedesche Volkswagen, Mercedes-Benz e Henkel o le italiane Eni ed Enel. Fra i grandi gruppi globali colpiscono, in particolare, due traiettorie. Il caso Pepsi L’americana Pepsi vede salire i suoi fatturati russi del 58% nei primi tre anni di guerra fino all’equivalente di 2,5 miliardi di euro, proprio mentre da Washington arrivava un pacchetto dopo l’altro di sanzioni (ma non nei beni di consumo come cibi e bevande). E il colosso farmaceutico anglo-svedese Astra-Zeneca, malgrado i rapporti pessimi fra le capitali, dall’inizio del conflitto al 2024 vede quasi triplicare i fatturati fino a un miliardo di euro. Non è chiaro se abbia ricevuto contratti del governo di Mosca nel suo settore, che peraltro è anch’esso del tutto esente dalle sanzioni. La curva dei ricavi Al confronto le aziende italiane mostrano tendenze simili, ma su una scala molto più modesta. Circa il 70% di quelle che erano presenti prima del 2022 non ha mai lasciato la Russia neanche dopo le sanzioni; e delle 61 imprese di cui è stato possibile reperire le dichiarazioni fiscali su Interfax Spark, 37 avevano fatturati nominali in Russia più alti nel 2024 che prima dell’inizio della guerra. Di una cinquantina di imprese italiane è stato possibile ricostruire l’andamento nel Paese di Vladimir Putin da prima dello scoppio del conflitto totale in Ucraina fino all’anno scorso: il loro fatturato complessivo negli anni di guerra sale del 37%, di una decina di punti in più rispetto all’inflazione locale, fino all’equivalente di 1,7 miliardi di euro nel 2024. L’utile netto aggregato degli anni di guerra è di circa mezzo miliardo di euro, con oltre cento milioni in tasse versate nello stesso periodo al governo di Mosca. L’Aperol Spritz Quali sono queste imprese? Campari ha una filiale di importazione – non di produzione – che non investe né fa alcuna promozione per crescere, eppure ha visto i fatturati raddoppiare a circa 120 milioni di euro negli anni di guerra per una ragione legata ai paradossi della società russa: mentre i poveri muoiono nel Donbass, nelle élite di Mosca che non possono più viaggiare si è diffusa la moda dell’Aperol Spritz «all'italiana». Le italiane, da Chiesi a Barilla e Ferrero Crescono molto le farmaceutiche Chiesi e soprattutto Angelini (ma meno di AstraZeneca); decresce in Russia l’impianto di Marcegaglia per acciai di uso civile (700 mila euro di utile in Russia, su un totale di gruppo di quasi duecento milioni nel 2023). Pirelli fattura più di trecento milioni di euro, un risultato che al netto dell’inflazione risulta in frenata dall’inizio della guerra. A queste si aggiungono Cremonini (rifornisce la catena di ex McDonald), Barilla e Ferrero, quest’ultima con un giro d’affari in Russia che resta comunque una frazione dei quasi due miliardi di euro della concorrente americana Mars. La presa d'ostaggio Nessuna delle imprese che ho citato viola le sanzioni, ma tutte ormai rischiano molto. Spiega The Bell, un quotidiano online molto ben informato sull’economia russa e le dinamiche del potere a Mosca che il governo ha bollato come “agente straniero”: «Gli utili realizzati dalle filiali russe delle aziende (occidentali, ndr.) non possono essere rimpatriati». Dal 2022 devono confluire tutti nei cosiddetti “conti S” fatti istituire dal Cremlino: nella sostanza depositi congelati, così come lo sono le riserve russe in Europa. I capitali delle imprese Centinaia e centinaia di imprese occidentali non possono disporre dei loro soldi, mentre i profitti e le partecipazioni si accumulano ormai da quasi quattro anni. Di fatto sono stati presi finanziariamente in ostaggio da Putin. Se si aggiunge al conto la quota da circa dieci miliardi di dollari della britannica BP in Rosneft, quella da circa otto miliardi della francese TotalEnergies in Novatek più varie altre e i relativi flussi di dividendi, la stima di conti congelati degli occidentali in Russia per circa 150 miliardi di dollari non suona infondata. La fuga inevasa dalla Russia Perché tutte queste aziende di tanti Paesi diversi non hanno lasciato la Russia prima? I casi di avidità o opportunismo ci saranno, ma forse non sono molti. Certe imprese sono rimaste perché i loro concorrenti lo facevano (Philip Morris contro JTI). Alcune nel 2022 hanno rinviato l’uscita perché il governo di Mosca imponeva svendite al 50%, per poi scoprire che lo sconto forzoso ora è salito all’80% o al 90%. Altre ancora pensavano che il ritorno di Trump avrebbe portato la pace e il ritiro delle sanzioni. Tutte sono vestigia viventi di un’epoca finita, quella della globalizzazione e del “mondo piatto”, rimaste incagliate in questo tempo di guerra e sanzioni. Il ciclo delle ritorsioni Putin nel 2022 ha costretto gli europei – che esitavano – a smettere di comprare il gas russo. Oggi è perfettamente capace e deciso a sequestrare gli averi finanziari e materiali delle imprese occidentali, quando l’Europa userà le riserve di Mosca. Per tutte queste imprese ormai non c'è più tempo per tentare di uscire. Per il Cremlino – osserva The Bell – la confisca dell'Occidente sarà una scorciatoia per coprire il crescente deficit di bilancio nel 2026, ma a un prezzo astronomico: con questi espropri la Russia si taglierà fuori dai mercati finanziari internazionali per una generazione a venire, finendo sempre di più nelle mani e alla mercé della Cina. I conti S Peraltro non potrà estrarre molto denaro dai "conti S", perché la quota liquida è limitata mentre vendere la parte in azioni o obbligazioni può far crollare il mercato di Mosca. Ma Putin accetterà anche questo, pur di servire la sua ossessione di guerra. Per l’Europa cedere al ricatto per salvare i conti russi delle proprie imprese sarebbe comunque un errore. Essi resterebbero comunque congelati per sempre, o almeno fino alla sottomissione dei governi europei agli obiettivi di restaurazione imperiale del Cremlino. Il costo sarebbe ben più alto di qualunque profitto accumulato. Source: https://www.corriere.it/economia/finanza/25_settembre_29/russia-ue-nuova-guerra-finanziaria-144a5e5d-82d0-47d6-885e-4646cbfa6xlk_amp.shtml
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  • BASILE / ALBANESE — la verità è donna

    Più passano i giorni e più mi sembra evidente che l'essere umano non sia programmato per la Pace.
    Perché, diciamolo, in queste ore un assassinio come quello di Charlie Kirk diventa occasione di scannamento e tiro al bersaglio — sia per i nostri magnanimi governanti sia per noi opinionisti da salotto digitale. Paradossale? Sì. Punto.
    Eppure esistono persone che — senza prediche dal piedistallo — riescono a parlare chiaro, a rimettere le posizioni ideologiche su un piano di verità e coraggio. Doti rare, ormai: tanti leader avrebbero visibilità, mezzi e possibilità per guidare verso il buonsenso, ma non lo fanno. Perché il profitto ha inquinato i pozzi da tempo.

    Che la donna sia fonte di ispirazione non è una novità. Ma in tempi di guerra e incertezza il pragmatismo femminile è necessario come l’aria.
    Nel contesto della festa del Fatto Quotidiano, due interventi sono spiccati — quasi passati sotto silenzio rispetto al frastuono dei TG — e meritano di essere ripresi. Li riportiamo per ricordare qual è il vero “succo” di ciò che accade, quello che molti fingono di non vedere.

    Aprire faide e polemiche infinite è sempre più semplice — soprattutto qui dove tutto serve a lanciare bordate tra centrodestra e centrosinistra. Ecco perché non saremo mai pronti alla pace.
    Ma torniamo al punto: gli interventi sono due. Possono sembrare scontati, triti e ritriti, ma non lasciano spazio a immaginazioni o allucinazioni.

    Elena Basile, ex ambasciatrice e voce critica della diplomazia italiana, ha affrontato con toni durissimi la questione palestinese e il sostegno occidentale alle politiche israeliane.
    “La politica che sta tenendo Israele oggi è una politica mafiosa, terrorista”, ha dichiarato dal palco, distinguendola persino dalle strategie dei primi governi israeliani: “Ben Gurion faceva interventi lampo perché teneva conto della situazione geografica e delle forze di Israele, metteva gli ostaggi in primo luogo. Oggi abbiamo un paese che mantiene sette fronti militari: Gaza, Cisgiordania, Libano, Yemen, Iran, Siria e Iraq. E con l’attacco a Doha sta mettendo in discussione le stesse alleanze con Egitto, Giordania e le monarchie del Golfo, gli interlocutori degli accordi di Abramo”.
    Secondo Basile, Israele appare oggi sempre più isolato: “Alle Nazioni Unite due terzi del mondo votano contro Israele. Grazie soprattutto al lavoro di Francesca Albanese, la società civile resiste e si oppone”. Tuttavia, ha sottolineato che anche Russia, Cina e paesi arabi “non sfidano apertamente Israele, pur non essendone complici come l’Occidente”.

    E rilancia :
    “Dobbiamo concentrarci in una mobilitazione dentro gli Stati europei e, se possibile, negli Stati Uniti, per chiedere la fine della cooperazione politica, militare ed economica con Israele. Grazie a Francesca Albanese, oggi abbiamo i nomi e cognomi di tutte le imprese che fanno profitto col genocidio”.

    E proprio Francesca Albanese subentra chiamando le cose con il loro nome: genocidio o atto di supremazia — non una semplice “guerra” — parlando con la franchezza di chi conosce il conflitto e con lo sguardo lucido di chi analizza i fatti:

    “Dinanzi a questa brutalità non si reagisce con le contromisure previste dal diritto: fermare trasferimenti e acquisti di armi, sospendere gli accordi commerciali. È un obbligo degli Stati”. E ha definito Israele nei territori occupati “una dittatura militare che ha governato 5 milioni di persone attraverso ordini scritti da soldati e rivisti da corti militari composte da soldati”.

    Sulla sua situazione personale mantiene una compostezza e un’obiettività invidiabili da che da questo luglio 2025, Francesca Albanese è finita nella lista nera degli Stati Uniti.
    ‘Vorrei non essere la notizia. Credo che la cosa più importante sia continuare a parlare di Gaza. Ma le sanzioni significano non poter entrare negli Stati Uniti, e per chi ha legami personali o familiari lì, come mia figlia, nata negli Usa, anche rischiare pene pecuniarie o persino l’arresto fino a 20 anni di carcere.
    L’obiettivo è intimidire, isolare, congelare chi denuncia’.”

    E chiude con una constatazione che fotografa la tossicità del dibattito pubblico:
    “Non credo neanche che sia giusta la frase che ho detto prima, e cioè che quello a Gaza sia il primo genocidio trasmesso in televisione. Le immagini passano, ma vengono accompagnate da una narrazione totalmente falsata. È questa tossicità del dibattito che non permette di capire cosa sta succedendo”.

    Cosa ne penso ?
    Questo è il nostro tempo: la spettacolarizzazione di ogni delitto o decesso e il disprezzo per un’informazione che rispetti i fatti hanno trasformato il dibattito in un’arena che uccide le ragioni. A chilometri da qui muoiono persone; nel cosiddetto “Occidente evoluto” muoiono valori e ideali. Stiamo scavando un fondo cui è difficile credere che non ci siamo già inabissati.

    La testimonianza di due “outsider” come Basile e Albanese è, in questo contesto, una boccata d’ossigeno a pochi metri dal baratro. È la lezione semplice e urgente del “parlare chiaro”: senza urlare, con rigore e sotto il frastuono di una cacofonia che noi stessi alimentiamo online.
    Serve un passo indietro rispetto agli interessi e un passo avanti verso verità e responsabilità. Serve un’informazione che sia veritiera, rigorosa e capace di restituire dignità alle vittime e senso alle azioni politiche.

    Siamo tutti, in una misura o nell’altra, parte del problema. Se vogliamo davvero costruire una nuova umanità, il primo gesto è scegliere di essere meritevoli di quella fiducia reciproca che oggi manca. Lo ripeto: al momento non lo siamo — ma possiamo decidere di cambiare.

    #Basile #Albanese #Informazione #Verità #Gaza #DirittiUmani #Pace #Responsabilità #StopProfittoSullaGuerra
    BASILE / ALBANESE — la verità è donna ✨👩‍⚖️ Più passano i giorni e più mi sembra evidente che l'essere umano non sia programmato per la Pace. Perché, diciamolo, in queste ore un assassinio come quello di Charlie Kirk diventa occasione di scannamento e tiro al bersaglio — sia per i nostri magnanimi governanti sia per noi opinionisti da salotto digitale. Paradossale? Sì. Punto. 🙄 Eppure esistono persone che — senza prediche dal piedistallo — riescono a parlare chiaro, a rimettere le posizioni ideologiche su un piano di verità e coraggio. Doti rare, ormai: tanti leader avrebbero visibilità, mezzi e possibilità per guidare verso il buonsenso, ma non lo fanno. Perché il profitto ha inquinato i pozzi da tempo. Che la donna sia fonte di ispirazione non è una novità. Ma in tempi di guerra e incertezza il pragmatismo femminile è necessario come l’aria. Nel contesto della festa del Fatto Quotidiano, due interventi sono spiccati — quasi passati sotto silenzio rispetto al frastuono dei TG — e meritano di essere ripresi. Li riportiamo per ricordare qual è il vero “succo” di ciò che accade, quello che molti fingono di non vedere. Aprire faide e polemiche infinite è sempre più semplice — soprattutto qui dove tutto serve a lanciare bordate tra centrodestra e centrosinistra. Ecco perché non saremo mai pronti alla pace. Ma torniamo al punto: gli interventi sono due. Possono sembrare scontati, triti e ritriti, ma non lasciano spazio a immaginazioni o allucinazioni. Elena Basile, ex ambasciatrice e voce critica della diplomazia italiana, ha affrontato con toni durissimi la questione palestinese e il sostegno occidentale alle politiche israeliane. “La politica che sta tenendo Israele oggi è una politica mafiosa, terrorista”, ha dichiarato dal palco, distinguendola persino dalle strategie dei primi governi israeliani: “Ben Gurion faceva interventi lampo perché teneva conto della situazione geografica e delle forze di Israele, metteva gli ostaggi in primo luogo. Oggi abbiamo un paese che mantiene sette fronti militari: Gaza, Cisgiordania, Libano, Yemen, Iran, Siria e Iraq. E con l’attacco a Doha sta mettendo in discussione le stesse alleanze con Egitto, Giordania e le monarchie del Golfo, gli interlocutori degli accordi di Abramo”. Secondo Basile, Israele appare oggi sempre più isolato: “Alle Nazioni Unite due terzi del mondo votano contro Israele. Grazie soprattutto al lavoro di Francesca Albanese, la società civile resiste e si oppone”. Tuttavia, ha sottolineato che anche Russia, Cina e paesi arabi “non sfidano apertamente Israele, pur non essendone complici come l’Occidente”. E rilancia : “Dobbiamo concentrarci in una mobilitazione dentro gli Stati europei e, se possibile, negli Stati Uniti, per chiedere la fine della cooperazione politica, militare ed economica con Israele. Grazie a Francesca Albanese, oggi abbiamo i nomi e cognomi di tutte le imprese che fanno profitto col genocidio”. E proprio Francesca Albanese subentra chiamando le cose con il loro nome: genocidio o atto di supremazia — non una semplice “guerra” — parlando con la franchezza di chi conosce il conflitto e con lo sguardo lucido di chi analizza i fatti: “Dinanzi a questa brutalità non si reagisce con le contromisure previste dal diritto: fermare trasferimenti e acquisti di armi, sospendere gli accordi commerciali. È un obbligo degli Stati”. E ha definito Israele nei territori occupati “una dittatura militare che ha governato 5 milioni di persone attraverso ordini scritti da soldati e rivisti da corti militari composte da soldati”. Sulla sua situazione personale mantiene una compostezza e un’obiettività invidiabili da che da questo luglio 2025, Francesca Albanese è finita nella lista nera degli Stati Uniti. ‘Vorrei non essere la notizia. Credo che la cosa più importante sia continuare a parlare di Gaza. Ma le sanzioni significano non poter entrare negli Stati Uniti, e per chi ha legami personali o familiari lì, come mia figlia, nata negli Usa, anche rischiare pene pecuniarie o persino l’arresto fino a 20 anni di carcere. L’obiettivo è intimidire, isolare, congelare chi denuncia’.” E chiude con una constatazione che fotografa la tossicità del dibattito pubblico: “Non credo neanche che sia giusta la frase che ho detto prima, e cioè che quello a Gaza sia il primo genocidio trasmesso in televisione. Le immagini passano, ma vengono accompagnate da una narrazione totalmente falsata. È questa tossicità del dibattito che non permette di capire cosa sta succedendo”. 📌Cosa ne penso ? Questo è il nostro tempo: la spettacolarizzazione di ogni delitto o decesso e il disprezzo per un’informazione che rispetti i fatti hanno trasformato il dibattito in un’arena che uccide le ragioni. A chilometri da qui muoiono persone; nel cosiddetto “Occidente evoluto” muoiono valori e ideali. Stiamo scavando un fondo cui è difficile credere che non ci siamo già inabissati. 😔 La testimonianza di due “outsider” come Basile e Albanese è, in questo contesto, una boccata d’ossigeno a pochi metri dal baratro. È la lezione semplice e urgente del “parlare chiaro”: senza urlare, con rigore e sotto il frastuono di una cacofonia che noi stessi alimentiamo online. Serve un passo indietro rispetto agli interessi e un passo avanti verso verità e responsabilità. Serve un’informazione che sia veritiera, rigorosa e capace di restituire dignità alle vittime e senso alle azioni politiche. Siamo tutti, in una misura o nell’altra, parte del problema. Se vogliamo davvero costruire una nuova umanità, il primo gesto è scegliere di essere meritevoli di quella fiducia reciproca che oggi manca. Lo ripeto: al momento non lo siamo — ma possiamo decidere di cambiare. #Basile #Albanese #Informazione #Verità #Gaza #DirittiUmani #Pace #Responsabilità #StopProfittoSullaGuerra
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  • RFK Jr. spiega come Bill Gates abbia avuto la lungimiranza di acquistare oltre un milione di azioni di BioNTech prima dell'arrivo del COVID.

    "La stessa settimana, Bill Gates, che supervisionava la simulazione [Event 201], acquistò 1,1 milioni di azioni del vaccino BioNTech, che in seguito divenne il vaccino Pfizer. Due anni dopo, vendette quasi tutte quelle azioni con un profitto di 242.000.000 di dollari. E una settimana dopo annunciò che il vaccino non aveva funzionato. Questo è quello che si chiama un sistema 'pump-and-dump'."

    RFK Jr explains how Bill Gates had the foresight to buy over a million shares of BioNTech stock before COVID happened.

    "The same week Bill Gates, who was overseeing the [Event 201] simulation, bought 1.1 Million shares of BioNTech vaccine which later became the Pfizer vaccine. He then sold almost all that stock two years later at a $242,000,000 profit. And a week after that he announced the vaccine didn't work. That's what you call a 'pump-and-dump' scheme."

    Follow: @Covid19vaccinevictims
    RFK Jr. spiega come Bill Gates abbia avuto la lungimiranza di acquistare oltre un milione di azioni di BioNTech prima dell'arrivo del COVID. "La stessa settimana, Bill Gates, che supervisionava la simulazione [Event 201], acquistò 1,1 milioni di azioni del vaccino BioNTech, che in seguito divenne il vaccino Pfizer. Due anni dopo, vendette quasi tutte quelle azioni con un profitto di 242.000.000 di dollari. E una settimana dopo annunciò che il vaccino non aveva funzionato. Questo è quello che si chiama un sistema 'pump-and-dump'." RFK Jr explains how Bill Gates had the foresight to buy over a million shares of BioNTech stock before COVID happened. "The same week Bill Gates, who was overseeing the [Event 201] simulation, bought 1.1 Million shares of BioNTech vaccine which later became the Pfizer vaccine. He then sold almost all that stock two years later at a $242,000,000 profit. And a week after that he announced the vaccine didn't work. That's what you call a 'pump-and-dump' scheme." Follow: @Covid19vaccinevictims
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  • Kennedy sta cacciando tutti i falsi scienziati vaccinisti.
    Vedremo qui da noi che farà Schillaci.

    LA RESA DEI CONTI

    Kennedy annienta i sierofanatici
    Vance gli fa eco, Big Pharma al palo

    Il segretario alla Salute è stato bersagliato dai dem in Aula, ma con le sue repliche ha messo tutti a tacere.
    Il vice di Trump: «Mutilate i bambini per arricchire le case farmaceutiche. Siete pieni di m... e lo san tutti»

    di MADDALENA LOY

    «Quando vedo tutti questi senatori che fanno la predica a Kennedy e cercano di incastrarlo, l’unica cosa che mi viene da pensare è: voi tutti sostenete terapie ormonali off-label, non testate e con effetti irreversibili sui bambini, mutilandoli per arricchire le grandi case farmaceutiche. Siete pieni di merda e lo sanno tutti».

    Non l’ha toccata piano, il vice presidente degli Stati Uniti JD Vance, commentando l’audizione del ministro della salute Usa, Robert F. Kennedy, alla commissione finanze del Senato americano che si è tenuta giovedì sera. Un fuoco di fila di tre ore di domande insidiose, alle quali Kennedy ha risposto con calma e decisione, smontando pezzo per pezzo la narrazione dei democratici e accusando le multinazionali farmaceutiche di essere la vera minaccia per la salute pubblica americana.

    Ha sottolineato l’enorme incremento dei costi sanitari dovuto alle politiche di Big Pharma, ricordando i miliardi di dollari di profitti ottenuti attraverso la gestione della pandemia e la spinta forzata verso vaccini e trattamenti di dubbia efficacia. Kennedy ha portato dati ufficiali e documenti che mostrano come il sistema sia stato manipolato per privilegiare gli interessi economici delle case farmaceutiche, a scapito della prevenzione e della salute dei cittadini.

    La democratica Elizabeth Warren lo accusava di «privare la popolazione di vaccini antivirali», ma Kennedy ha ribattuto elencando i fallimenti della sanità Usa e i casi in cui il profitto ha prevalso sull’evidenza scientifica. Ha citato anche il caso dei risarcimenti per gli effetti collaterali dei vaccini, costati oltre 5 miliardi di dollari al contribuente americano.

    Alla fine persino alcuni senatori democratici hanno evitato di incalzarlo oltre, mentre Vance gli ha fatto eco con un intervento durissimo che ha fatto esplodere i social.

    «Mio zio era pro-vaccino», ha detto Kennedy, «ma non avrebbe mai accettato di imporlo senza trasparenza e senza valutare i rischi».

    Il senatore del Colorado, Michael Bennett, ha cercato di rilanciare sul piano etico, ma la difesa d’ufficio delle corporation ha lasciato molti basiti.

    Il risultato? Kennedy è uscito vincitore morale dal confronto, mentre Big Pharma ha visto sgretolarsi una parte della sua aura di intoccabilità.
    Kennedy sta cacciando tutti i falsi scienziati vaccinisti. Vedremo qui da noi che farà Schillaci. LA RESA DEI CONTI Kennedy annienta i sierofanatici Vance gli fa eco, Big Pharma al palo Il segretario alla Salute è stato bersagliato dai dem in Aula, ma con le sue repliche ha messo tutti a tacere. Il vice di Trump: «Mutilate i bambini per arricchire le case farmaceutiche. Siete pieni di m... e lo san tutti» di MADDALENA LOY «Quando vedo tutti questi senatori che fanno la predica a Kennedy e cercano di incastrarlo, l’unica cosa che mi viene da pensare è: voi tutti sostenete terapie ormonali off-label, non testate e con effetti irreversibili sui bambini, mutilandoli per arricchire le grandi case farmaceutiche. Siete pieni di merda e lo sanno tutti». Non l’ha toccata piano, il vice presidente degli Stati Uniti JD Vance, commentando l’audizione del ministro della salute Usa, Robert F. Kennedy, alla commissione finanze del Senato americano che si è tenuta giovedì sera. Un fuoco di fila di tre ore di domande insidiose, alle quali Kennedy ha risposto con calma e decisione, smontando pezzo per pezzo la narrazione dei democratici e accusando le multinazionali farmaceutiche di essere la vera minaccia per la salute pubblica americana. Ha sottolineato l’enorme incremento dei costi sanitari dovuto alle politiche di Big Pharma, ricordando i miliardi di dollari di profitti ottenuti attraverso la gestione della pandemia e la spinta forzata verso vaccini e trattamenti di dubbia efficacia. Kennedy ha portato dati ufficiali e documenti che mostrano come il sistema sia stato manipolato per privilegiare gli interessi economici delle case farmaceutiche, a scapito della prevenzione e della salute dei cittadini. La democratica Elizabeth Warren lo accusava di «privare la popolazione di vaccini antivirali», ma Kennedy ha ribattuto elencando i fallimenti della sanità Usa e i casi in cui il profitto ha prevalso sull’evidenza scientifica. Ha citato anche il caso dei risarcimenti per gli effetti collaterali dei vaccini, costati oltre 5 miliardi di dollari al contribuente americano. Alla fine persino alcuni senatori democratici hanno evitato di incalzarlo oltre, mentre Vance gli ha fatto eco con un intervento durissimo che ha fatto esplodere i social. «Mio zio era pro-vaccino», ha detto Kennedy, «ma non avrebbe mai accettato di imporlo senza trasparenza e senza valutare i rischi». Il senatore del Colorado, Michael Bennett, ha cercato di rilanciare sul piano etico, ma la difesa d’ufficio delle corporation ha lasciato molti basiti. Il risultato? Kennedy è uscito vincitore morale dal confronto, mentre Big Pharma ha visto sgretolarsi una parte della sua aura di intoccabilità.
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  • Il documentario che non vedrete mai in tv

    Cosa succede quando la salute pubblica viene sacrificata sull'altare del profitto?
    “Sistema Malato" è un viaggio senza filtri nel lato oscuro della sanità italiana e internazionale. Un racconto documentato che svela scandali, conflitti d’interesse e connivenze tra politica, industria farmaceutica e istituzioni sanitarie.
    Attraverso immagini di repertorio, testimonianze e dati ufficiali, il documentario ricostruisce decenni di abusi e silenzi: dal caso Poggiolini-De Lorenzo negli anni ’90 alla gestione del Covid-19, passando per il decreto Lorenzin, il ruolo di GAVI e il peso crescente delle lobby farmaceutiche.
    Un’inchiesta che non si limita a denunciare, ma invita lo spettatore a riflettere: chi decide davvero sulle nostre cure? Possiamo ancora fidarci del sistema sanitario? E soprattutto: esiste una via d’uscita? ⛔️

    È da circa 6 mesi che lavoro a questo documentario. Ora è vostro!

    L'avevo promesso: non ci fermeremo finché non verrà fatta Verità e Giustizia.

    https://www.youtube.com/watch?v=pDRMmNZ1qL8
    Il documentario che non vedrete mai in tv 📺 ❌ Cosa succede quando la salute pubblica viene sacrificata sull'altare del profitto? “Sistema Malato" è un viaggio senza filtri nel lato oscuro della sanità italiana e internazionale. Un racconto documentato che svela scandali, conflitti d’interesse e connivenze tra politica, industria farmaceutica e istituzioni sanitarie. Attraverso immagini di repertorio, testimonianze e dati ufficiali, il documentario ricostruisce decenni di abusi e silenzi: dal caso Poggiolini-De Lorenzo negli anni ’90 alla gestione del Covid-19, passando per il decreto Lorenzin, il ruolo di GAVI e il peso crescente delle lobby farmaceutiche. Un’inchiesta che non si limita a denunciare, ma invita lo spettatore a riflettere: chi decide davvero sulle nostre cure? Possiamo ancora fidarci del sistema sanitario? E soprattutto: esiste una via d’uscita? ⛔️ È da circa 6 mesi che lavoro a questo documentario. Ora è vostro! L'avevo promesso: non ci fermeremo finché non verrà fatta Verità e Giustizia. 📌 https://www.youtube.com/watch?v=pDRMmNZ1qL8
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  • Riunione segreta con 2 milioni di dollari da investire da parte di #BIO, un cartello con le maggiori aziende farmaceutiche allor scopo di eliminare @RobertKennedyJr
    . Della salute non frega niente a nessuno, sono filantropi per profitto e #Kennedy ha iniziato a pretendere sicurezza, ha tolto i finanziamenti a #GAVI, ha scoperchiato il vado di Pandora sull'autismo provocato da vaccini. DEVE ESSERE ELIMINATO mettendolo in condizione di litigare con Trump.. o chissà...
    Riunione segreta con 2 milioni di dollari da investire da parte di #BIO, un cartello con le maggiori aziende farmaceutiche allor scopo di eliminare @RobertKennedyJr . Della salute non frega niente a nessuno, sono filantropi per profitto e #Kennedy ha iniziato a pretendere sicurezza, ha tolto i finanziamenti a #GAVI, ha scoperchiato il vado di Pandora sull'autismo provocato da vaccini. DEVE ESSERE ELIMINATO mettendolo in condizione di litigare con Trump.. o chissà...
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  • MILANO – Fattore 3C
    Contaminata. Costosa. Cattiva.


    Se sono rimasto ancora a Milano, credo che ci sia un interesse, una passione di fondo, un legame ancora forte con le mie origini. Non si può semplificare tutto riducendolo a scadenze, obblighi, lavoro. La mobilità c’è e in futuro non la escludo, ma intanto sono qui. E voglio battermi per salvaguardare il rapporto con questa città.

    Come si fa con un legame affettivo, anche quando si logora.
    E nel nostro caso, fra noi e Milano, il rapporto si è logorato. Non è tutto perduto, ma è tempo di fare il punto, senza drammi e senza illusioni.
    Capire da dove ripartire.

    Le 3 C che oggi raccontano il declino di Milano:

    CONTAMINATA

    Milano è una città che respira male. Non solo per l’aria, ma per ciò che ha scelto di diventare: un terreno di conquista per la speculazione, dove ogni albero abbattuto è una riga in più sul conto della collettività. Si costruisce in verticale, si consuma in orizzontale. Si celebra la grandeur nei mesi dell’evento, ma si dimenticano i quartieri quando finisce la passerella. È una città che si è contaminata culturalmente, arrendendosi all’estetica del profitto.

    COSTOSA

    Milano è diventata inaccessibile. Troppo cara per viverci, troppo competitiva per restarci, troppo indifferente per sentirsi accolti. La forbice sociale si allarga, e la città premia chi ha già. Le opportunità esistono, ma sempre più ristrette. I giovani partono, chi resta spesso si adatta, e chi prova a resistere lo fa a caro prezzo.
    Milano non è più inclusiva: è un supermercato a più corsie, dove la dignità si misura con l’IBAN.

    CATTIVA

    C’è una cattiveria diffusa, strisciante, che nasce non solo dal disagio ma dalla rassegnazione. È l’indifferenza sui mezzi pubblici, la tensione per strada, la freddezza nei condomìni. Milano ha smarrito il senso della prossimità. Ci si difende più che riconoscersi.
    Non è solo insicurezza, è mancanza di legami. Una città dove tutto scorre veloce, ma niente si lega più.

    ❗️Se pensate che il mio sia il solito pianto greco o una lamentela populista, liberissimi di farlo.
    Ma se anche solo in parte vi riconoscete in queste parole, se riuscite a guardare oltre la retorica e il vaneggiamento, allora forse potete concordare con me:
    quella che una volta era una realtà luccicante e piena di opportunità è oggi una terra arida, fatta di contraddizioni e disuguaglianze sempre più evidenti.
    Abbiamo identificato i problemi. Ora tocca a noi lavorare per cambiare le cose.

    ❗️Per questo rivolgo un appello a tutti i comitati, i gruppi, le realtà esistenti: superiamo le differenze, le sensibilità, le gelosie. Facciamo il salto. Ricominciamo a cooperare e torniamo nei luoghi decisionali, nelle istituzioni, dove si può ancora incidere.
    Ma dobbiamo volerlo davvero. Non per una leadership, ma per una maturità collettiva.
    Se vogliamo farlo, troviamoci. Parliamo di lavoro politico.
    Se non vogliamo, allora tanti auguri a ognuno di noi.
    Nell’accettazione della duplice fatica: la miseria… e l’assuefazione a una realtà che non si vuole cambiare.

    "If Winter comes, can Spring be far behind?"
    (Cit. Percy Bysshe Shelley – Ode al vento d’Occidente)

    #Milano #Fattore3C #Cambiamento #Attivismo #CittàDaRifare #GiustiziaSociale #TreC #Speculazione #Carovita #SolitudineUrbana #RomanticismoPolitico #Partecipa #RivoltaCivile
    MILANO – Fattore 3C Contaminata. Costosa. Cattiva. ⚠️🏙️💔 Se sono rimasto ancora a Milano, credo che ci sia un interesse, una passione di fondo, un legame ancora forte con le mie origini. Non si può semplificare tutto riducendolo a scadenze, obblighi, lavoro. La mobilità c’è e in futuro non la escludo, ma intanto sono qui. E voglio battermi per salvaguardare il rapporto con questa città. Come si fa con un legame affettivo, anche quando si logora. E nel nostro caso, fra noi e Milano, il rapporto si è logorato. Non è tutto perduto, ma è tempo di fare il punto, senza drammi e senza illusioni. Capire da dove ripartire. Le 3 C che oggi raccontano il declino di Milano: CONTAMINATA Milano è una città che respira male. Non solo per l’aria, ma per ciò che ha scelto di diventare: un terreno di conquista per la speculazione, dove ogni albero abbattuto è una riga in più sul conto della collettività. Si costruisce in verticale, si consuma in orizzontale. Si celebra la grandeur nei mesi dell’evento, ma si dimenticano i quartieri quando finisce la passerella. È una città che si è contaminata culturalmente, arrendendosi all’estetica del profitto. COSTOSA Milano è diventata inaccessibile. Troppo cara per viverci, troppo competitiva per restarci, troppo indifferente per sentirsi accolti. La forbice sociale si allarga, e la città premia chi ha già. Le opportunità esistono, ma sempre più ristrette. I giovani partono, chi resta spesso si adatta, e chi prova a resistere lo fa a caro prezzo. Milano non è più inclusiva: è un supermercato a più corsie, dove la dignità si misura con l’IBAN. CATTIVA C’è una cattiveria diffusa, strisciante, che nasce non solo dal disagio ma dalla rassegnazione. È l’indifferenza sui mezzi pubblici, la tensione per strada, la freddezza nei condomìni. Milano ha smarrito il senso della prossimità. Ci si difende più che riconoscersi. Non è solo insicurezza, è mancanza di legami. Una città dove tutto scorre veloce, ma niente si lega più. ❗️Se pensate che il mio sia il solito pianto greco o una lamentela populista, liberissimi di farlo. Ma se anche solo in parte vi riconoscete in queste parole, se riuscite a guardare oltre la retorica e il vaneggiamento, allora forse potete concordare con me: quella che una volta era una realtà luccicante e piena di opportunità è oggi una terra arida, fatta di contraddizioni e disuguaglianze sempre più evidenti. Abbiamo identificato i problemi. Ora tocca a noi lavorare per cambiare le cose. ❗️👉🙏Per questo rivolgo un appello a tutti i comitati, i gruppi, le realtà esistenti: superiamo le differenze, le sensibilità, le gelosie. Facciamo il salto. Ricominciamo a cooperare e torniamo nei luoghi decisionali, nelle istituzioni, dove si può ancora incidere. Ma dobbiamo volerlo davvero. Non per una leadership, ma per una maturità collettiva. Se vogliamo farlo, troviamoci. Parliamo di lavoro politico. Se non vogliamo, allora tanti auguri a ognuno di noi. Nell’accettazione della duplice fatica: la miseria… e l’assuefazione a una realtà che non si vuole cambiare. "If Winter comes, can Spring be far behind?" (Cit. Percy Bysshe Shelley – Ode al vento d’Occidente) #Milano #Fattore3C #Cambiamento #Attivismo #CittàDaRifare #GiustiziaSociale #TreC #Speculazione #Carovita #SolitudineUrbana #RomanticismoPolitico #Partecipa #RivoltaCivile
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  • KEN LOACH – Difesa all’inglese per San Siro ⚽️

    Irrompe nel cielo milanese di questa primavera una voce imprevista, potente, straniera eppure così profondamente nostra.

    È la voce di Ken Loach, maestro del cinema militante, che attraversa la Manica per prendere posizione in una “battaglia cittadina” che oggi è diventata simbolo di qualcosa di molto più ampio: la difesa della cultura popolare contro la speculazione.
    In un tempo in cui l’arte tende a ritirarsi nei suoi spazi comodi, Loach dimostra che è ancora possibile – e necessario – uscire dalla propria “comfort zone” e mettersi in gioco. Il suo intervento in difesa dello stadio di San Siro, affidato a una lettera inviata a Lucia Tozzi, è una scossa, un sussulto di poesia civile.

    Parla un inglese, sì. Ma lo fa da uomo del popolo, da regista che ha raccontato con onestà e dolore la classe operaia britannica in capolavori come Piovono pietre e Il vento che accarezza l’erba.
    Parla da tifoso, ma anche da cittadino impegnato, da artista che non si rassegna alla cancellazione dei luoghi dove il popolo ritrova se stesso, il proprio tempo, la propria memoria.

    Queste le parole del maestro:
    “È difficile credere che lo stadio di San Siro sia in pericolo. È uno dei più grandi e storici stadi di calcio al mondo, rispettato dai tifosi di tutto il mondo. L'idea della sua distruzione è sconvolgente e non deve essere permesso che accada… Quando la capienza viene ridotta e i prezzi dei biglietti aumentano, molti tifosi della classe operaia e popolare saranno esclusi... Confidiamo tutti che i milanesi, appassionati di calcio, non permetteranno che questa distruzione si verifichi.”

    Un appello limpido e drammaticamente necessario, che centra quattro punti cardinali attorno a cui ricostruire un'idea di città e comunità:
    Valore storico e culturale: San Siro è patrimonio mondiale, non merce.
    Difesa della classe operaia: l’esclusione sociale passa anche dagli spalti.
    L’atmosfera popolare: ciò che rende vivo uno stadio è la voce del popolo.
    Passione contro profitto: il calcio nasce popolare, morirà se resta solo business.

    E tutto questo mentre scade oggi, 30 aprile, alle 23:59, il bando del Comune di Milano sulle manifestazioni d’interesse per la vendita del Meazza. E mentre ci avviciniamo a un Primo Maggio che puzza di precarietà e futuro negato. In un tempo in cui mancano persino quei momenti rituali fatti di panem et circenses, l’arte e la cultura possono tornare a essere opposizione, militanza, resistenza.
    Oggi Ken Loach ci ha ricordato che la Cultura può salvarci. Che esiste ancora una voce capace di attraversare i confini per difendere non solo uno stadio, ma un’idea di società.

    Uno a zero per la Cultura.
    Due a zero con quella “inglesità” fatta di coraggio.
    Palla al centro.
    Prendi nota, Milano.

    #KenLoach #SanSiroNonSiTocca #DifendiamoSanSiro #CinemaMilitante #CalcioPopolare #StopSpeculazione #CulturaAttiva #MeazzaPerSempre #MilanoResiste #ArteCheResiste #NoAlNuovoStadio
    KEN LOACH – Difesa all’inglese per San Siro ⚽️ Irrompe nel cielo milanese di questa primavera una voce imprevista, potente, straniera eppure così profondamente nostra. È la voce di Ken Loach, maestro del cinema militante, che attraversa la Manica per prendere posizione in una “battaglia cittadina” che oggi è diventata simbolo di qualcosa di molto più ampio: la difesa della cultura popolare contro la speculazione. In un tempo in cui l’arte tende a ritirarsi nei suoi spazi comodi, Loach dimostra che è ancora possibile – e necessario – uscire dalla propria “comfort zone” e mettersi in gioco. Il suo intervento in difesa dello stadio di San Siro, affidato a una lettera inviata a Lucia Tozzi, è una scossa, un sussulto di poesia civile. Parla un inglese, sì. Ma lo fa da uomo del popolo, da regista che ha raccontato con onestà e dolore la classe operaia britannica in capolavori come Piovono pietre e Il vento che accarezza l’erba. Parla da tifoso, ma anche da cittadino impegnato, da artista che non si rassegna alla cancellazione dei luoghi dove il popolo ritrova se stesso, il proprio tempo, la propria memoria. Queste le parole del maestro: “È difficile credere che lo stadio di San Siro sia in pericolo. È uno dei più grandi e storici stadi di calcio al mondo, rispettato dai tifosi di tutto il mondo. L'idea della sua distruzione è sconvolgente e non deve essere permesso che accada… Quando la capienza viene ridotta e i prezzi dei biglietti aumentano, molti tifosi della classe operaia e popolare saranno esclusi... Confidiamo tutti che i milanesi, appassionati di calcio, non permetteranno che questa distruzione si verifichi.” Un appello limpido e drammaticamente necessario, che centra quattro punti cardinali attorno a cui ricostruire un'idea di città e comunità: Valore storico e culturale: San Siro è patrimonio mondiale, non merce. Difesa della classe operaia: l’esclusione sociale passa anche dagli spalti. L’atmosfera popolare: ciò che rende vivo uno stadio è la voce del popolo. Passione contro profitto: il calcio nasce popolare, morirà se resta solo business. E tutto questo mentre scade oggi, 30 aprile, alle 23:59, il bando del Comune di Milano sulle manifestazioni d’interesse per la vendita del Meazza. E mentre ci avviciniamo a un Primo Maggio che puzza di precarietà e futuro negato. In un tempo in cui mancano persino quei momenti rituali fatti di panem et circenses, l’arte e la cultura possono tornare a essere opposizione, militanza, resistenza. Oggi Ken Loach ci ha ricordato che la Cultura può salvarci. Che esiste ancora una voce capace di attraversare i confini per difendere non solo uno stadio, ma un’idea di società. Uno a zero per la Cultura. Due a zero con quella “inglesità” fatta di coraggio. Palla al centro. Prendi nota, Milano. #KenLoach #SanSiroNonSiTocca #DifendiamoSanSiro #CinemaMilitante #CalcioPopolare #StopSpeculazione #CulturaAttiva #MeazzaPerSempre #MilanoResiste #ArteCheResiste #NoAlNuovoStadio
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  • IN POCHE PAROLE TUTTO IL PIANO. GRAZIE @RobertKennedyJr
    RFK JR: “L'OMS, BILL GATES E I VACCINI COVID: È OLTRE IL CRIMINALE.”

    In soli 90 secondi, RFK Jr. collega i puntini:
    Il COVID non è stata solo una pandemia: è stata una presa di potere.

    L'OMS ha preso il controllo.

    Gates lo ha finanziato.

    E il mondo è stato iniettato.

    "Bill Gates non è solo un donatore: è il più grande mediatore di potere non eletto dell'OMS".

    COSA SIGNIFICA:

    La salute globale è stata inquinata
    La sovranità è stata venduta
    E il tuo corpo divenne il campo di battaglia

    Non si trattava di sicurezza pubblica.
    Si trattava di controllo, profitto e di un reset globale.

    LA VERITÀ NON È PIÙ UNA TEORIA, È UN CONTO.

    https://x.com/OrtigiaP/status/1914961203421380710?t=STB62alraTmHa-7pVrL_jg&s=19
    IN POCHE PAROLE TUTTO IL PIANO. GRAZIE @RobertKennedyJr 🚨 RFK JR: “L'OMS, BILL GATES E I VACCINI COVID: È OLTRE IL CRIMINALE.” 🚨 In soli 90 secondi, RFK Jr. collega i puntini: 💉 Il COVID non è stata solo una pandemia: è stata una presa di potere. 🌐 L'OMS ha preso il controllo. 💰 Gates lo ha finanziato. 🧬 E il mondo è stato iniettato. 🗣️ "Bill Gates non è solo un donatore: è il più grande mediatore di potere non eletto dell'OMS". 📢 COSA SIGNIFICA: ⚠️ La salute globale è stata inquinata ⚠️ La sovranità è stata venduta ⚠️ E il tuo corpo divenne il campo di battaglia 🔥 Non si trattava di sicurezza pubblica. Si trattava di controllo, profitto e di un reset globale. 🚨 LA VERITÀ NON È PIÙ UNA TEORIA, È UN CONTO. https://x.com/OrtigiaP/status/1914961203421380710?t=STB62alraTmHa-7pVrL_jg&s=19
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  • 25 APRILE: TEMPO DI LIBERAZIONE! No al Riarmo, No alla Guerra, No al Genocidio
    Il 25 Aprile serve a ricordarci che la libertà va difesa ogni giorno. E oggi, più che mai, sentiamo il bisogno di liberarci da minacce nuove e antiche: quelle della guerra, del riarmo, dell’odio che divide.

    Scendo in piazza anche quest’anno con il Coordinamento per la Pace - Milano , per dire un NO chiaro e deciso al riarmo, alla guerra, al genocidio.
    È il momento di unirci, ancora una volta, per difendere la pace e la dignità di tutti i popoli.

    VENERDÌ 25 APRILE 2025 – ORE 12.30
    CORSO VENEZIA 51/53 (MM1 PALESTRO) – MILANO

    Ripudiamo la guerra come strumento di offesa e rifiutiamo la folle corsa al riarmo. Diciamo basta ai bombardamenti su Gaza, agli attacchi in Cisgiordania, e all’espulsione dei palestinesi dalla loro terra.
    Rifiutiamo la strategia di guerra perpetua promossa da UE e NATO, che soffoca il dialogo, svuota i bilanci pubblici e minaccia la pace globale.
    Denunciamo il silenzio della politica europea sul genocidio in Palestina e sull’uso della guerra come strumento di profitto.

    Scendiamo in piazza insieme, con uno spezzone unitario e lo striscione:

    “FERMIAMO IL RIARMO, LA GUERRA E IL GENOCIDIO”

    Perché la Resistenza di ieri ci parla ancora oggi: uniti per un mondo libero, solidale, senza guerra.
    Partecipa. Condividi. Unisciti a noi.

    Seguici e aderisci all’appello qui:
    https://linktr.ee/coordinamentopacemilano

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    #25Aprile #StopRiarmo #NoAllaGuerra #Liberazione #PacePerTutti #PalestinaLibera #CoordinamentoPaceMilano #MilanoPerLaPace #FermiamoIlGenocidio #ResistenzaOggi
    ✊ 25 APRILE: TEMPO DI LIBERAZIONE! No al Riarmo, No alla Guerra, No al Genocidio ✊ Il 25 Aprile serve a ricordarci che la libertà va difesa ogni giorno. E oggi, più che mai, sentiamo il bisogno di liberarci da minacce nuove e antiche: quelle della guerra, del riarmo, dell’odio che divide. Scendo in piazza anche quest’anno con il Coordinamento per la Pace - Milano , per dire un NO chiaro e deciso al riarmo, alla guerra, al genocidio. È il momento di unirci, ancora una volta, per difendere la pace e la dignità di tutti i popoli. 👉 VENERDÌ 25 APRILE 2025 – ORE 12.30 CORSO VENEZIA 51/53 (MM1 PALESTRO) – MILANO Ripudiamo la guerra come strumento di offesa e rifiutiamo la folle corsa al riarmo. Diciamo basta ai bombardamenti su Gaza, agli attacchi in Cisgiordania, e all’espulsione dei palestinesi dalla loro terra. Rifiutiamo la strategia di guerra perpetua promossa da UE e NATO, che soffoca il dialogo, svuota i bilanci pubblici e minaccia la pace globale. Denunciamo il silenzio della politica europea sul genocidio in Palestina e sull’uso della guerra come strumento di profitto. Scendiamo in piazza insieme, con uno spezzone unitario e lo striscione: “FERMIAMO IL RIARMO, LA GUERRA E IL GENOCIDIO” Perché la Resistenza di ieri ci parla ancora oggi: uniti per un mondo libero, solidale, senza guerra. Partecipa. Condividi. Unisciti a noi. Seguici e aderisci all’appello qui: https://linktr.ee/coordinamentopacemilano Evento Facebook: https://www.facebook.com/events/969626215380712/ #25Aprile #StopRiarmo #NoAllaGuerra #Liberazione #PacePerTutti #PalestinaLibera #CoordinamentoPaceMilano #MilanoPerLaPace #FermiamoIlGenocidio #ResistenzaOggi
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