• IA META: COME OPPORSI ALL'USO DEI DATI DEGLI UTENTI

    Avv. Federica Fantauzzo
    Avvocati Liberi

    Con il comunicato stampa del 29.4.2025 (https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/10125702 ) il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha informato che da fine maggio 2025, Meta (società che controlla i servizi di rete sociale Facebook e Instagram, i servizi di messaggistica istantanea WhatsApp e Messenger e sviluppa i visori di realtà virtuale Oculus Rift) addestrerà i suoi sistemi utilizzando i dati personali degli utenti che non si saranno opposti.

    Il Garante informa che "Gli utenti di Facebook e Instagram – e i non utenti i cui dati possono essere comunque presenti sulle due piattaforme perché pubblicati da utenti - hanno il diritto di opporsi al trattamento dei propri dati personali per l’addestramento dell’intelligenza artificiale di Meta, utilizzando i moduli resi disponibili online dalla società. Tale diritto, riconosciuto dal GDPR – il Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali -, è esercitabile anche nei confronti di altri sistemi di IA, come, ad es. quelli di OpenAI, DeepSeek e Google".

    Senza l'opposizione da parte dell'utente, Meta utilizzerà "i dati contenuti nei post pubblici degli utenti maggiorenni (post, commenti, didascalie, foto, etc.) e quelli derivanti dall’utilizzo dei propri servizi di IA (ad es: informazioni inserite nel suo agente conversazionale su WhatsApp), per sviluppare e migliorare il chatbot Meta AI su WhatsApp o i modelli linguistici come Llama.".

    Il diritto di opposizione è esercitabile compilando i moduli disponibili ai seguenti link:
    Opposizione al trattamento per gli utenti Facebook: https://www.facebook.com/help/contact/712876720715583
    Opposizione al trattamento per gli utenti Instagram: https://help.instagram.com/contact/767264225370182
    Opposizione al trattamento per gli interessati che non utilizzano i prodotti Meta (senza login): https://www.facebook.com/help/contact/510058597920541

    Il Garante precisa che "L’opposizione, se esercitata entro fine maggio, permette di sottrarre all’addestramento dell’intelligenza artificiale di Meta tutte le informazioni personali, mentre se esercitata successivamente interesserà solo i contenuti pubblicati successivamente e non quelli già online. In caso di mancata opposizione, Meta utilizzerà tutti i predetti dati per l’addestramento delle proprie intelligenze artificiali".

    Fonte:

    https://t.me/avvocati_liberi)
    IA META: COME OPPORSI ALL'USO DEI DATI DEGLI UTENTI Avv. Federica Fantauzzo Avvocati Liberi Con il comunicato stampa del 29.4.2025 (https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/10125702 ) il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha informato che da fine maggio 2025, Meta (società che controlla i servizi di rete sociale Facebook e Instagram, i servizi di messaggistica istantanea WhatsApp e Messenger e sviluppa i visori di realtà virtuale Oculus Rift) addestrerà i suoi sistemi utilizzando i dati personali degli utenti che non si saranno opposti. Il Garante informa che "Gli utenti di Facebook e Instagram – e i non utenti i cui dati possono essere comunque presenti sulle due piattaforme perché pubblicati da utenti - hanno il diritto di opporsi al trattamento dei propri dati personali per l’addestramento dell’intelligenza artificiale di Meta, utilizzando i moduli resi disponibili online dalla società. Tale diritto, riconosciuto dal GDPR – il Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali -, è esercitabile anche nei confronti di altri sistemi di IA, come, ad es. quelli di OpenAI, DeepSeek e Google". Senza l'opposizione da parte dell'utente, Meta utilizzerà "i dati contenuti nei post pubblici degli utenti maggiorenni (post, commenti, didascalie, foto, etc.) e quelli derivanti dall’utilizzo dei propri servizi di IA (ad es: informazioni inserite nel suo agente conversazionale su WhatsApp), per sviluppare e migliorare il chatbot Meta AI su WhatsApp o i modelli linguistici come Llama.". Il diritto di opposizione è esercitabile compilando i moduli disponibili ai seguenti link: 👉Opposizione al trattamento per gli utenti Facebook: https://www.facebook.com/help/contact/712876720715583 👉Opposizione al trattamento per gli utenti Instagram: https://help.instagram.com/contact/767264225370182 👉Opposizione al trattamento per gli interessati che non utilizzano i prodotti Meta (senza login): https://www.facebook.com/help/contact/510058597920541 Il Garante precisa che "L’opposizione, se esercitata entro fine maggio, permette di sottrarre all’addestramento dell’intelligenza artificiale di Meta tutte le informazioni personali, mentre se esercitata successivamente interesserà solo i contenuti pubblicati successivamente e non quelli già online. In caso di mancata opposizione, Meta utilizzerà tutti i predetti dati per l’addestramento delle proprie intelligenze artificiali". Fonte: 👇❤️👇 https://t.me/avvocati_liberi)
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  • Tutti i treni cancellati.

    Niente elettricità a Siviglia, Barcellona, Pamplona e Valencia.
    La metropolitana ferma a Madrid e Barcellona.
    Le persone costrette a scendere e proseguire a piedi.
    Niente banche, niente supermercati.
    Tutto bloccato.
    Perché tutto è online. Senza contante, senza vie d’uscita.
    È bastato un guasto, un blackout, o forse qualcosa di più, per trasformare milioni di persone in prigionieri.
    Ecco cosa vuol dire affidare tutto alla rete.
    Ecco cosa vuol dire rinunciare alla libertà per la comodità.
    Non è fantascienza, è realtà.
    È il presente.
    È l’inizio di qualcosa di più grande.

    La Bibbia lo aveva già detto, con parole che oggi suonano più vere che mai:

    “Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevessero un marchio sulla mano destra o sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere, se non chi aveva il marchio...”
    Apocalisse 13:16-17

    Un mondo dove tutto è controllato, dove per comprare e vendere serve un "permesso", dove l’indipendenza sparisce e resta solo la dipendenza da un sistema invisibile ma onnipresente.
    È tempo di riflettere amici miei.

    https://elpais.com/economia/2025-04-28/apagon-electrico-masivo-en-espana.html
    Tutti i treni cancellati. Niente elettricità a Siviglia, Barcellona, Pamplona e Valencia. La metropolitana ferma a Madrid e Barcellona. Le persone costrette a scendere e proseguire a piedi. Niente banche, niente supermercati. Tutto bloccato. Perché tutto è online. Senza contante, senza vie d’uscita. È bastato un guasto, un blackout, o forse qualcosa di più, per trasformare milioni di persone in prigionieri. Ecco cosa vuol dire affidare tutto alla rete. Ecco cosa vuol dire rinunciare alla libertà per la comodità. Non è fantascienza, è realtà. È il presente. È l’inizio di qualcosa di più grande. La Bibbia lo aveva già detto, con parole che oggi suonano più vere che mai: “Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevessero un marchio sulla mano destra o sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere, se non chi aveva il marchio...” Apocalisse 13:16-17 Un mondo dove tutto è controllato, dove per comprare e vendere serve un "permesso", dove l’indipendenza sparisce e resta solo la dipendenza da un sistema invisibile ma onnipresente. È tempo di riflettere amici miei.🤷‍♂️😔🙏 https://elpais.com/economia/2025-04-28/apagon-electrico-masivo-en-espana.html
    ELPAIS.COM
    Un apagón eléctrico masivo en España y Portugal desata el caos
    La luz está regresando en diversas zonas del país. Sánchez asegura que no hay datos concluyentes sobre las causas y no descarta ninguna hipótesis
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  • SICUREZZA DEMOCRATICA (un appello)

    Siamo troppo distratti, o forse assuefatti, alle ingiustizie quotidiane per accorgerci di come passi sotto silenzio uno degli appelli più necessari per il nostro Paese. Un'Italia stretta tra il bisogno di nuove guide spirituali e la solidarietà a guerre lontane... mentre perde sempre più il contatto con la realtà.
    Un popolo che si adegua a ogni "porcata" — di destra o di sinistra — senza più fiato, senza più reazione.
    Ma per fortuna esistono ancora voci fuori dalla politica attiva, capaci di risvegliare l'attenzione. Voci che oggi denunciano uno dei decreti più scellerati degli ultimi anni: il DDL Sicurezza, approvato con procedura d'urgenza dal governo Meloni.
    Un disastro — per contenuti, forma e modalità di attuazione — che, a mio parere, affonda le sue radici in una malapolitica falsa e ipocrita. Una politica che rifugge il termine "fascismo" ma che, nei fatti, ne ricalca le logiche più oscure: paura e repressione come strumenti di governo. Due sentimenti tossici, lontani anni luce dalle necessità dei tempi che viviamo.

    Per questo oggi rilancio con forza l'appello "Per la Sicurezza democratica", firmato da 257 professori universitari di diritto pubblico di tutta Italia — tra cui giganti come Ugo De Siervo, Gaetano Silvestri, Gustavo Zagrebelsky, Enzo Cheli, Paolo Maddalena, ex Presidenti e Vice-Presidenti della Corte Costituzionale.
    Un documento che si aggiunge alle prese di posizione di magistrati, avvocati penalisti e docenti di diritto penale.
    Il cuore della denuncia è chiaro: il DDL Sicurezza tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica, che punta a governare con la paura e non governare la paura.

    ⚫️I punti critici più gravi?
    - La possibilità per la polizia di portare armi non di ordinanza anche fuori servizio.

    - Inasprimento delle pene per reati generici legati a manifestazioni pubbliche, violando il principio di tipicità e limitando la libertà di riunione costituzionalmente garantita.

    - Norme vaghe e pericolose sull'occupazione di edifici o terreni, lasciate alla completa discrezionalità degli inquirenti.

    ❗️L’uso strumentale della procedura di urgenza/emergenza per approvare misure repressive, forzando il normale iter parlamentare e riducendo il confronto democratico.

    Come ha detto il professor Zaccaria, l’equilibrio tra individuo e autorità è rotto a favore di quest'ultima. È questo il futuro che vogliamo

    Serve il nostro megafono❗️
    Appelli come questi non godono di prime pagine, non fanno rumore nei talk show. Vengono ignorati perché sono liberi da ideologie di parte, ancorati solo alla competenza e al senso costituzionale.

    Ma noi possiamo diventare il loro megafono.
    Rilanciamo, condividiamo, parliamone.
    Perché tra poche settimane arriveranno anche 5 quesiti referendari fondamentali in nome della giustizia e della democrazia partecipativa. E oggi, più che mai, dobbiamo decidere se far rifiorire una "nuova primavera italiana" fatta di voto, impegno, consapevolezza.
    Svegliarsi o rassegnarsi.
    Io scelgo la prima.
    E tu?

    Leggi l'appello :

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/27/decreto-sicurezza-il-testo-integrale-dellappello-e-i-nomi-dei-257-giuristi-che-lo-hanno-sottoscritto/7967103/

    #️⃣ #SicurezzaDemocratica #NoAlDDLsicurezza #Costituzione #LibertàDiManifestare #DirittiCivili #ItaliaDemocratica #PrimaveraItaliana #ReferendumGiustizia2025 #DifendiamoLaDemocrazia
    SICUREZZA DEMOCRATICA ✊ (un appello) Siamo troppo distratti, o forse assuefatti, alle ingiustizie quotidiane per accorgerci di come passi sotto silenzio uno degli appelli più necessari per il nostro Paese. Un'Italia stretta tra il bisogno di nuove guide spirituali e la solidarietà a guerre lontane... mentre perde sempre più il contatto con la realtà. Un popolo che si adegua a ogni "porcata" — di destra o di sinistra — senza più fiato, senza più reazione. Ma per fortuna esistono ancora voci fuori dalla politica attiva, capaci di risvegliare l'attenzione. Voci che oggi denunciano uno dei decreti più scellerati degli ultimi anni: il DDL Sicurezza, approvato con procedura d'urgenza dal governo Meloni. Un disastro — per contenuti, forma e modalità di attuazione — che, a mio parere, affonda le sue radici in una malapolitica falsa e ipocrita. Una politica che rifugge il termine "fascismo" ma che, nei fatti, ne ricalca le logiche più oscure: paura e repressione come strumenti di governo. Due sentimenti tossici, lontani anni luce dalle necessità dei tempi che viviamo. Per questo oggi rilancio con forza l'appello "Per la Sicurezza democratica", firmato da 257 professori universitari di diritto pubblico di tutta Italia — tra cui giganti come Ugo De Siervo, Gaetano Silvestri, Gustavo Zagrebelsky, Enzo Cheli, Paolo Maddalena, ex Presidenti e Vice-Presidenti della Corte Costituzionale. Un documento che si aggiunge alle prese di posizione di magistrati, avvocati penalisti e docenti di diritto penale. Il cuore della denuncia è chiaro: il DDL Sicurezza tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica, che punta a governare con la paura e non governare la paura. ⚫️I punti critici più gravi? - La possibilità per la polizia di portare armi non di ordinanza anche fuori servizio. - Inasprimento delle pene per reati generici legati a manifestazioni pubbliche, violando il principio di tipicità e limitando la libertà di riunione costituzionalmente garantita. - Norme vaghe e pericolose sull'occupazione di edifici o terreni, lasciate alla completa discrezionalità degli inquirenti. ❗️L’uso strumentale della procedura di urgenza/emergenza per approvare misure repressive, forzando il normale iter parlamentare e riducendo il confronto democratico. Come ha detto il professor Zaccaria, l’equilibrio tra individuo e autorità è rotto a favore di quest'ultima. È questo il futuro che vogliamo⁉️ Serve il nostro megafono❗️ Appelli come questi non godono di prime pagine, non fanno rumore nei talk show. Vengono ignorati perché sono liberi da ideologie di parte, ancorati solo alla competenza e al senso costituzionale. Ma noi possiamo diventare il loro megafono. Rilanciamo, condividiamo, parliamone. Perché tra poche settimane arriveranno anche 5 quesiti referendari fondamentali in nome della giustizia e della democrazia partecipativa. E oggi, più che mai, dobbiamo decidere se far rifiorire una "nuova primavera italiana" fatta di voto, impegno, consapevolezza. Svegliarsi o rassegnarsi. Io scelgo la prima. E tu? 👉 Leggi l'appello : https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/27/decreto-sicurezza-il-testo-integrale-dellappello-e-i-nomi-dei-257-giuristi-che-lo-hanno-sottoscritto/7967103/ #️⃣ #SicurezzaDemocratica #NoAlDDLsicurezza #Costituzione #LibertàDiManifestare #DirittiCivili #ItaliaDemocratica #PrimaveraItaliana #ReferendumGiustizia2025 #DifendiamoLaDemocrazia
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  • JONATHAN OFIR - ALLA FINE, L' EREDITÀ DEL SIONISMO SARÀ IL GENOCIDIO, E SOLO IL GENOCIDIO

    Di Jonathan Ofir - 27 aprile 2025

    Molti hanno attribuito tratti positivi al Sionismo, e molti lo fanno ancora. Una risposta alla persecuzione degli ebrei, pensavano molti, e sulla scia della Seconda Guerra Mondiale, anche una risposta all'Olocausto.

    Una risposta al Genocidio degli ebrei, forse, ma ora dovrebbe essere chiaro a tutti che non è mai stato un antidoto al Genocidio in generale. Direi anzi che, nella sua intrinseca vena ultranazionalista, è stato ed è un prevedibile Catalizzatore del Genocidio.

    La vena giudeo-centrista del Sionismo ha sempre mantenuto l'idea centrale che "ci prendiamo cura di noi stessi". I cinici direbbero che non possiamo risolvere i problemi del mondo intero; tuttavia, quando i mezzi per tale presunta autoconservazione sono così intrinsecamente legati all'espropriazione dei palestinesi, allora il Genocidio è insito nelle fondamenta del Sionismo. La creazione della "Nazione" nello "Stato Nazione" diventa la distruzione del nativo.

    La Pulizia Etnica è stata l'atto fondante dello Stato. I Crimini coinvolti sono stati tenuti nascosti dai Sionisti per decenni, ma alla fine è diventato ampiamente noto che questo è ciò che è accaduto. Persino gli storici Sionisti più convinti come Benny Morris lo capiscono: la spoliazione era insita e inevitabile nel Sionismo. Si tratta, infatti, di un atto in corso.

    E ora, nonostante la disperata negazione da parte di molti, compresi ovviamente i Sionisti, del Genocidio.

    I negazionisti sono ancora in modalità accusatoria. Ma la colpa non cambierà ciò che è.

    E non scrivo questo per incolpare gli israeliani del Genocidio che perpetrano. Responsabilità e attribuzione di responsabilità sono ben altro che la semplice colpa, e in effetti, i processi legali devono culminare in un'efficace azione penale per almeno i principali responsabili. Sarebbe irrealistico perseguire penalmente tutti i sostenitori, o tutti i silenziosi sostenitori, anche a livello internazionale, sebbene si dovrebbero fare dei tentativi.

    In realtà, sto parlando di qualcosa di più ampio dei singoli autori: si tratta dell'ideologia che essi sottoscrivono, che è, senza dubbio, il Sionismo.

    In un certo senso, attribuire il più grave Crimine contro l'Umanità a un'ideologia può sembrare troppo indulgente, troppo impersonale. Come si può perseguire un'ideologia? Ma c'è un significato morale nel comprendere il problema morale insito in un'ideologia, al fine di condannarla.

    E abbiamo precedenti storici. Il Nazismo è diventato noto come un'ideologia ripugnante, per la quale il Genocidio era naturale. Coloro che aderiscono al Nazismo oggi non hanno bisogno di commettere un Genocidio per essere visti come persone che ne acclamano l'idea stessa, e questo è sufficiente.

    Non è necessario equiparare Sionismo e Nazismo per comprendere questa logica.

    E se il Genocidio è davvero il culmine naturale del Sionismo, allora è prevedibile che i suoi seguaci finiscano per sostenerlo.

    Questo è in effetti ciò a cui stiamo assistendo, cosa che a molti appare scioccante, perché pensavano che il Sionismo, dopotutto, mirasse a prevenire il Genocidio, non a perpetrarlo.

    Ma questo è il culmine della Logica di Eliminazione del Colonialismo d'Insediamento. Questa non è un'aberrazione del Sionismo, ne è la realizzazione.

    Questo è, in senso essenziale, il Genocidio Sionista.

    Che debba essere fermato, è ovvio. Ma la centralità dell'ideologia Sionista nella sua formazione deve essere compresa. Non solo i Genocidi futuri non saranno impediti se il Sionismo non verrà abbandonato, ma servirà nella loro preparazione.

    I Sionisti non abbandoneranno volontariamente la loro ideologia Suprematista ebraica, finché ne trarranno beneficio. E così, la lotta contro il Genocidio diventa una lotta contro il Sionismo.

    Il Sionismo può essere stato noto per ogni sorta di cose apparentemente positive, ma in definitiva, è il suo Crimine più grande a definirne l'eredità. Il Genocidio prevale su tutti gli aspetti positivi, poiché la sua essenza è lo sradicamento dell'Umanità.

    Jonathan Ofir è un direttore d'orchestra, musicista, scrittore e blogger israelo-danese, che scrive regolarmente per Mondoweiss.

    Traduzione: La Zona Grigia

    Fonte: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10162293043044342&id=771374341
    JONATHAN OFIR - ALLA FINE, L' EREDITÀ DEL SIONISMO SARÀ IL GENOCIDIO, E SOLO IL GENOCIDIO Di Jonathan Ofir - 27 aprile 2025 Molti hanno attribuito tratti positivi al Sionismo, e molti lo fanno ancora. Una risposta alla persecuzione degli ebrei, pensavano molti, e sulla scia della Seconda Guerra Mondiale, anche una risposta all'Olocausto. Una risposta al Genocidio degli ebrei, forse, ma ora dovrebbe essere chiaro a tutti che non è mai stato un antidoto al Genocidio in generale. Direi anzi che, nella sua intrinseca vena ultranazionalista, è stato ed è un prevedibile Catalizzatore del Genocidio. La vena giudeo-centrista del Sionismo ha sempre mantenuto l'idea centrale che "ci prendiamo cura di noi stessi". I cinici direbbero che non possiamo risolvere i problemi del mondo intero; tuttavia, quando i mezzi per tale presunta autoconservazione sono così intrinsecamente legati all'espropriazione dei palestinesi, allora il Genocidio è insito nelle fondamenta del Sionismo. La creazione della "Nazione" nello "Stato Nazione" diventa la distruzione del nativo. La Pulizia Etnica è stata l'atto fondante dello Stato. I Crimini coinvolti sono stati tenuti nascosti dai Sionisti per decenni, ma alla fine è diventato ampiamente noto che questo è ciò che è accaduto. Persino gli storici Sionisti più convinti come Benny Morris lo capiscono: la spoliazione era insita e inevitabile nel Sionismo. Si tratta, infatti, di un atto in corso. E ora, nonostante la disperata negazione da parte di molti, compresi ovviamente i Sionisti, del Genocidio. I negazionisti sono ancora in modalità accusatoria. Ma la colpa non cambierà ciò che è. E non scrivo questo per incolpare gli israeliani del Genocidio che perpetrano. Responsabilità e attribuzione di responsabilità sono ben altro che la semplice colpa, e in effetti, i processi legali devono culminare in un'efficace azione penale per almeno i principali responsabili. Sarebbe irrealistico perseguire penalmente tutti i sostenitori, o tutti i silenziosi sostenitori, anche a livello internazionale, sebbene si dovrebbero fare dei tentativi. In realtà, sto parlando di qualcosa di più ampio dei singoli autori: si tratta dell'ideologia che essi sottoscrivono, che è, senza dubbio, il Sionismo. In un certo senso, attribuire il più grave Crimine contro l'Umanità a un'ideologia può sembrare troppo indulgente, troppo impersonale. Come si può perseguire un'ideologia? Ma c'è un significato morale nel comprendere il problema morale insito in un'ideologia, al fine di condannarla. E abbiamo precedenti storici. Il Nazismo è diventato noto come un'ideologia ripugnante, per la quale il Genocidio era naturale. Coloro che aderiscono al Nazismo oggi non hanno bisogno di commettere un Genocidio per essere visti come persone che ne acclamano l'idea stessa, e questo è sufficiente. Non è necessario equiparare Sionismo e Nazismo per comprendere questa logica. E se il Genocidio è davvero il culmine naturale del Sionismo, allora è prevedibile che i suoi seguaci finiscano per sostenerlo. Questo è in effetti ciò a cui stiamo assistendo, cosa che a molti appare scioccante, perché pensavano che il Sionismo, dopotutto, mirasse a prevenire il Genocidio, non a perpetrarlo. Ma questo è il culmine della Logica di Eliminazione del Colonialismo d'Insediamento. Questa non è un'aberrazione del Sionismo, ne è la realizzazione. Questo è, in senso essenziale, il Genocidio Sionista. Che debba essere fermato, è ovvio. Ma la centralità dell'ideologia Sionista nella sua formazione deve essere compresa. Non solo i Genocidi futuri non saranno impediti se il Sionismo non verrà abbandonato, ma servirà nella loro preparazione. I Sionisti non abbandoneranno volontariamente la loro ideologia Suprematista ebraica, finché ne trarranno beneficio. E così, la lotta contro il Genocidio diventa una lotta contro il Sionismo. Il Sionismo può essere stato noto per ogni sorta di cose apparentemente positive, ma in definitiva, è il suo Crimine più grande a definirne l'eredità. Il Genocidio prevale su tutti gli aspetti positivi, poiché la sua essenza è lo sradicamento dell'Umanità. Jonathan Ofir è un direttore d'orchestra, musicista, scrittore e blogger israelo-danese, che scrive regolarmente per Mondoweiss. Traduzione: La Zona Grigia Fonte: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10162293043044342&id=771374341
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  • MATCH POINT Voto Fuorisede per il Referendum di Giugno 2025
    Un'occasione storica per partecipare e cambiare.

    In molti ci lamentiamo della politica che non cambia mai. Ma se vogliamo davvero trasformare la realtà, dobbiamo sfruttare ogni occasione che ci viene concessa.
    L’8 e 9 giugno 2025 abbiamo un match point: 5 quesiti referendari fondamentali per il futuro della nostra democrazia partecipata.
    E per la prima volta, oltre 4,8 milioni di elettori potranno votare fuori sede.
    Un’opportunità straordinaria che dobbiamo diffondere a chiunque possa essere interessato: studenti, lavoratori, chi è in cura lontano da casa.

    COME FARE per VOTARE FUORI SEDE
    Chi può votare fuori sede:
    Studenti
    Lavoratori
    Persone in cura medica

    Condizioni:
    Essere domiciliati, per almeno 3 mesi, in un Comune di una provincia diversa da quella di iscrizione elettorale.

    Passaggi per registrarsi:
    Scaricare il modulo di richiesta da http://referendum2025.it

    Compilare la domanda, indicando:
    Indirizzo di residenza e domicilio
    Recapito e-mail (se possibile)
    Disponibilità a fare il presidente o componente di seggio (opzionale)

    Allegare i documenti richiesti:
    Documento d’identità valido 🪪
    Tessera elettorale personale
    Certificazione o autocertificazione di motivi di studio, lavoro o cure mediche

    Modalità di invio:
    Consegnare personalmente
    Inviare via PEC o altri strumenti telematici
    Tramite persona delegata

    Scadenze importanti:
    Domanda entro il 4 maggio 2025
    Revoca possibile entro il 14 maggio 2025

    Dopo la richiesta:
    Entro il 3 giugno 2025, riceverai dal Comune di domicilio l’attestazione per votare (anche via telematica).
    Portala con te al seggio insieme a documento d’identità e tessera elettorale!

    Diffondiamo queste informazioni!
    Chi rientra nei casi previsti ha il dovere morale di compiere questo passo e non sprecare l’opportunità di partecipare.
    In un Paese dove spesso le occasioni democratiche sono rare come un rigore decisivo o un punto a rete, giocare questa partita è un atto di responsabilità verso noi stessi e il nostro futuro.
    Non delegare il cambiamento: partecipa, vota, fai la differenza!

    #️⃣ #Referendum2025 #VotoFuoriSede #DemocraziaPartecipata #PartecipaAlCambiamento #VotaResponsabilmente #MatchPointDemocrazia
    MATCH POINT ⚡ Voto Fuorisede per il Referendum di Giugno 2025 Un'occasione storica per partecipare e cambiare. In molti ci lamentiamo della politica che non cambia mai. Ma se vogliamo davvero trasformare la realtà, dobbiamo sfruttare ogni occasione che ci viene concessa. L’8 e 9 giugno 2025 abbiamo un match point: 5 quesiti referendari fondamentali per il futuro della nostra democrazia partecipata. E per la prima volta, oltre 4,8 milioni di elettori potranno votare fuori sede. Un’opportunità straordinaria che dobbiamo diffondere a chiunque possa essere interessato: studenti, lavoratori, chi è in cura lontano da casa. COME FARE per VOTARE FUORI SEDE ✅ Chi può votare fuori sede: Studenti 📚 Lavoratori 👷‍♂️ Persone in cura medica ⚕️ Condizioni: Essere domiciliati, per almeno 3 mesi, in un Comune di una provincia diversa da quella di iscrizione elettorale. Passaggi per registrarsi: Scaricare il modulo di richiesta da ➡️ http://referendum2025.it Compilare la domanda, indicando: Indirizzo di residenza e domicilio Recapito e-mail (se possibile) Disponibilità a fare il presidente o componente di seggio (opzionale) Allegare i documenti richiesti: Documento d’identità valido 🪪 Tessera elettorale personale 🗳️ Certificazione o autocertificazione di motivi di studio, lavoro o cure mediche 📄 Modalità di invio: Consegnare personalmente Inviare via PEC o altri strumenti telematici Tramite persona delegata Scadenze importanti: Domanda entro il 4 maggio 2025 ⏳ Revoca possibile entro il 14 maggio 2025 Dopo la richiesta: Entro il 3 giugno 2025, riceverai dal Comune di domicilio l’attestazione per votare (anche via telematica). Portala con te al seggio insieme a documento d’identità e tessera elettorale! Diffondiamo queste informazioni! Chi rientra nei casi previsti ha il dovere morale di compiere questo passo e non sprecare l’opportunità di partecipare. In un Paese dove spesso le occasioni democratiche sono rare come un rigore decisivo o un punto a rete, giocare questa partita è un atto di responsabilità verso noi stessi e il nostro futuro. Non delegare il cambiamento: partecipa, vota, fai la differenza! #️⃣ #Referendum2025 #VotoFuoriSede #DemocraziaPartecipata #PartecipaAlCambiamento #VotaResponsabilmente #MatchPointDemocrazia
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  • Storie della Resistenza che ci piacciono.

    La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: "Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti" - Il Fatto Quotidiano
    Solo la determinazione delle donne ha permesso di salvare oltre 60 uomini: ecco cosa è successo

    Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana"

    La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: “Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti”
    di Martina Castigliani
    Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana"

    La nebbia, quel giorno, è fittissima. “Di quelle pesanti e piovose che penetrano nelle ossa”, racconta chi c’era. In Pianura Padana, nel lembo di terra che separa Correggio e Carpi, tra Reggio Emilia e Modena, vuol dire non riuscire a vedere oltre i propri piedi. Che il 12 marzo 1945 c’è un rastrellamento in corso, gli abitanti della frazione di Budrione lo capiscono dalle voci serrate dei comandi: ogni 10 metri c’è una testa e gli ordini si passano da uomo a uomo “come in una battuta di caccia”. Quello che avviene a un mese dalla Liberazione dal Nazifascismo è uno dei tanti episodi quasi sconosciuti di una guerra che ha travolto le campagne dove si nascondevano i partigiani. Questa volta però, l’epilogo è unico: a risolvere e impedire l’ennesimo eccidio sarà la resistenza civile e pacifica delle donne. Un atto raccontato in un libro preziosissimo del 2005, voluto dall’Anpi di Carpi (circolo E. Goldoni) e curato da Annamaria Loschi. Si intitola “Il coraggio delle donne” ed è un documento storico: contiene decine di testimonianze, molte delle quali di persone che ora non ci sono più, e che ricostruiscono un fatto mai arrivato sulle cronache nazionali. Ma che nelle campagne della bassa emiliana nessuno, finora, ha mai scordato. A raccontarlo sono i figli di chi quel giorno nero venne catturato: “Io avevo 13 anni e presero mio padre”, dice a ilfattoquotidiano.it Augusto Barbieri che ora di anni ne ha 93. “Anzi, di casa mia presero quattro uomini. Ricordo la paura. Tantissima paura”. Il rastrellamento lo fanno i tedeschi per vendicare l’agguato a un auto dei loro, avvenuto una settimana prima. A bordo c’erano un ufficiale e un sottoufficiale della Wehrmacht e un soldato mongolo: i primi due sapevano troppo e sono stati eliminati, il terzo ha chiesto e ottenuto di unirsi ai partigiani. I tedeschi non lo sanno e organizzano una controffensiva per liberarli che inizia alle 6 del mattino: catturano più di sessanta uomini (se ne contano almeno 63) e poi, in colonna, li portano in carcere a Correggio. Ma a quel punto succede qualcosa che nessun soldato nemico avrebbe potuto prevedere: i prigionieri vengono seguiti dalle donne in corteo che, sfidando armi e bombardamenti, ne chiedono il rilascio. Sono quasi due ore di cammino, quattro andata e ritorno, che ripeteranno ogni giorno per undici giorni. Fino alla liberazione.

    Il rastrellamento – Siamo a pochi km da Fossoli, dove sorgeva il campo di concentramento e transito verso i lager nazisti. In questa piana infinita, dove a sprazzi sorgono casolari e stalle, si nascondono i partigiani. Qui trovano accoglienza, mentre la vita quotidiana fatta di albe e lavoro va avanti. Il rastrellamento arriva all’improvviso e stravolge le comunità di Budrione, Fossoli e Migliarina. Se oggi sappiamo cosa è avvenuto, è grazie alle voci dei testimoni raccolte da Loschi in collaborazione con Augusto Barbieri, Pierino Bassoli e Lauro Cestelli. “Abbiamo cercato di parlare con più persone possibile”, ricorda Barbieri. Qui riportiamo alcune delle testimonianze contenute nel libro, ancora disponibile presso l’Anpi di Carpi. “Avevo 22 anni, quella mattina eravamo già tutti al lavoro”, dice Isden Morelli. “I tedeschi sono arrivati a casa nostra e hanno portato via con sé mio padre Bortolomeo e mio fratello Brenno”. Dante Bonatti parla del papà Dario che era “falegname e fabbro” ed era “anche addetto alle riparazioni delle armi dei partigiani. Eravamo tutti svegli”, “il rastrellamento è iniziato alle 5.30 del mattino”. Insieme ai tedeschi ci sono anche dei componenti della Brigata Nera di Carpi, che “in tuta grigioverde, avanzava nella nebbia fittissima. Questi ultimi erano ragazzi di 15-16 anni che noi conoscevamo, perché venivano a prendere i cocomeri durante la stagione. Per dissimulare la loro identità, però, tentavano di esprimersi in tedesco”. Luciano Bonatti ricorda che lo zio Dorno “venne preso dall’ultimo tedesco della fila mentre andava di corsa ad avvisare gli altri abitanti”. Bruno Dodi dice di essere rimasto in casa “sperando nella protezione della nebbia”. Ma è arrivato un tedesco che conosceva – “perché gli davamo qualcosa” – e al quale ha ubbidito, fidandosi che l’avrebbe liberato poi. “Invece la realtà è che io ero un ragazzo, ma i tedeschi erano uomini fatti, soldati abituati alla guerra”, dice.

    La maggior parte sono semplici contadini. Ma tra loro vengono catturati anche partigiani. Ad esempio, Bruno Cavazzoli che faceva la ronda e non riesce a prevenire il rastrellamento. Per “la nebbia tremenda”, “non abbiamo visto né sentito i tedeschi arrivare”. Cerca di scappare, ma viene fermato da due uomini a fucili spianati: “La mia prima reazione è stata molto umana”, confessa. “Ho sentito un rivolo caldo scendere lungo la gamba. È stato il massimo dell’angoscia che ho mai provato in vita mia”. Prima di essere catturato, prova a togliere la cravatta rossa per non provocarli: viene visto e schiaffeggiato.

    La rivolta delle donne – Il corteo dei 64 prigionieri parte da Budrione e va verso il carcere di Correggio: circa un’ora e mezza di cammino a piedi. “Disposti in fila per due o per quattro, i rastrellati si sono avviati senza nessun mezzo di trasporto”, raccontano. Erano tutti uomini, tranne una: fra di loro c’era Ardilia o Arsilia Goldoni, catturata mentre andava a lavorare al servizio della famiglia Pisa perché scambiata per una staffetta. Ma piano piano succede l’impensabile: lungo la strada il corteo comincia a ingrossarsi. “Il corteo, formato da tedeschi, fascisti e prigionieri non camminava solo: nonostante il grande pericolo, le donne hanno iniziato a seguirlo, chiamandosi l’una con l’altra”, racconta Vinicio Magnanini. Che ricorda come quel gesto, così forte e d’autonomia, avesse radici lontane. “Non si trattava tuttavia di una manifestazione semplice e spontanea: dietro c’era un’organizzazione politica e culturale, messa in atto da molti mesi, che poteva in questo frangente dare il coraggio alle donne, da sempre abituate a lavorare stando in secondo piano, (…) di affrontare e sfidare per chilometri soldati di un esercito feroce, ormai incalzato dagli eventi e per questo tanto più pericoloso”.

    Secondo i testimoni, il corteo a Correggio raduna più di 500 donne. Maria Allegretti racconta: “Un giorno il comandante partigiano, mi disse: devi organizzare le donne e dovete andare a Correggio a manifestare per gli uomini di Budrione! lo avevo mobilitato tutte le donne della zona e loro venivano volentieri, perché avevano tutte il marito, o un figlio, o un parente in prigione”. Prima di arrivare a Correggio, Allegretti avverte: state attente, perché potrebbero sparare dai tetti. “Loro però erano tutte con me perché volevano tentare di liberare i propri cari. La nostra manifestazione era pacifica: non avevamo armi, ma eravamo molto determinate. E cosi è stato fatto: noi, staffette e simpatizzanti, siamo andate a casa dei contadini a chiedere il cavallo, il biroccio, ma la maggioranza quel giorno è andata a piedi”.

    Ad un certo punto, i tedeschi sparano qualche colpo sulle manifestanti per disperderle: la tensione si alza. “Li seguimmo per circa 3 o 4 Km”, continua Zoe Busi. “Poi, in un momento di disperazione, incominciammo tutte a parlare: chiedevamo ai tedeschi di rilasciare i prigionieri”. È un gesto di sfida che richiede un enorme coraggio e non ci pensano due volte. “Zelmira Marchi si avvicinò loro e rimproverò il comportamento crudele. Un tedesco le lanciò una bomba a mano”. Anche Bruna Malavasi rimane ferita: “Io avevo 17 anni, ma in campagna allora si cresceva in fretta… Non mi ricordo neanche da dove sono partita io o chi mi avesse informata: so solo che con tutto un passaggio di voci ci siamo radunate in tante donne. Proprio in quella località ci hanno sparato: a me è arrivata una scheggia nell’avambraccio sinistro; ho sentito gli spari e mi sono trovata sanguinante. Mi è rimasto il segno, ancora oggi, dopo tanti anni”.

    Il corteo tuttavia riesce da arrivare fino a Correggio e qui le 500 donne che ormai si sono raggruppate inscenano una grande manifestazione davanti alla casa del fascio adibita a prigione. Lì, iniziano a sparare e arrestano Allegretti: “Le donne si sono
    spaventate moltissimo e si sono tutte sparpagliate, mentre io ed altre staffette siamo rimaste al centro della strada. Mi si sono avvicinati due fascisti che ci hanno accusate di fare una manifestazione senza l’autorizzazione, ma noi siamo ugualmente entrate nel cortile della prigione per fare sentire le nostre proteste”. Allora, vanno a cercare il comandante della Brigata Nera di Correggio, Alberto Giorgi: “Le donne sono entrate nel cortile”, dice Vanda Veroni, “e hanno tirato giù dal letto il comandante, anche se era indisposto, in modo che si interessasse della cosa. Lui fu costretto a occuparsi del fatto”.

    La resistenza civile e pacifica delle donne va avanti per undici giorni. Sono undici giorni di cortei che partivano al mattino e rientravano a metà giornata. Sempre e solo animati dalle donne. Di tutte le età. “Per tutto il tempo che rimasero chiusi, noi, con qualsiasi mezzo, carri, biciclette poche o a piedi, eravamo là davanti alla prigione“. Racconta ancora Vanda che a pranzo, spesso, si fermavano dal salumificio Veroni che dava loro “una minestra” e la signora cercava di tranquillizzarle. Si erano schierati con loro. Per le donne il lavoro era doppio: quando tornavano a casa, dovevano fare anche tutto quello che di solito spettava agli uomini nelle stalle. “Fu un periodo durissimo”. Maria viene liberata dopo tre giorni e solo perché nega di conoscere le altre: quando viene scortata dai soldati mongoli e tutte le vengono incontro, riesce a salvarsi perché parla in dialetto e loro non la capiscono.

    Barbieri ricorda molto bene quei giorni: “Come adesso”, dice a ilfattoquotidiano.it. “Sarò anche in difficoltà a muovere la lingua, ma ricordo tutto. Anche perché di casa mia avevo quattro prigionieri. E io, a 13 anni, all’improvviso ero rimasto l’uomo più grande della casa. E allora restavo a casa a tenere dietro alle mucche. Mia mamma e le mie zie andavano tutte le mattine”. E aggiunge: “All’inizio era molto difficile perché le donne si erano divise in commissioni e andavano a parlare con le varie autorità. Ma loro facevano degli ultimatum e dicevano che se non liberavamo i tre soldati, loro avrebbero fucilato tutti i prigionieri”. E poi, dice, “erano semi-analfabete e andare a parlare per una cosa così importante non era facile”. Un giorno, anche il piccolo Barbieri si unisce al corteo e riesce a vedere il padre: “Papà quando vi liberano?”, gli chiede. “E sapete cosa mi ha risposto? Quando tirano via il catenaccio”, ride. “Aveva fatto una battuta per non spaventarmi. Anche perché erano giorni di grande paura”. Si temeva che gli uomini non sarebbero usciti vivi, che ci sarebbe stata una strage. “Ma anche le colonne di donne nelle campagne ogni mattina erano un pericolo perché giravano gli apparecchi e potevano bombardarle. Il loro impegno è stato molto importante”, chiude.

    Dopo i primi giorni, vengono individuati e fucilati cinque partigiani: Mauro Bompani, Enzo Cremonini, Ettore Giovanardi. Ferruccio Tusberti, Augusto Armani. Poi iniziano lunghe ed estenuanti trattative: i tedeschi vogliono indietro i tre, ma non sanno che è impossibile. Alla fine avviene la liberazione dei sessanta, grazie all’intervento del commissario prefettizio di Carpi Enzo Scaltriti, che si dimostra aperto ai partigiani, e alla mediazione di monsignor Giuseppe Bonacini. Ma soprattutto grazie alla pressione esercitata dalla comunità femminile che non ha mai ceduto.

    Bruno racconta gli attimi successivi alla liberazione: “Siamo andati di corsa dalle donne che ci aspettavano fuori. Tutto il rientro è stata una gioia immensa: per la strada ci portavano dei pezzi di gnocco fritto e, quando siamo arrivati a Budrione, c’era una festa inimmaginabile. Le campane suonavano a distesa”. Dice Vanda: “Eravamo tutte contente. Durante il cammino, mi ricordo che un tale è salito sul rimorchio, anche se io ero davanti sul biroccio e poi voleva prendere la guida. Io allora mi sono detta: per undici giorni sono venuta qua, quindi adesso sto davanti io”. Parole importantissime, di un cambiamento che era avvenuto anche fuori dalla prigione. E ancora: “Io ed alcune signore, con le gambe penzoloni dal carretto, facevamo quasi ridere. Tutta la gente, lungo le strade, batteva le mani, con le lacrime agli occhi perché tutti erano soddisfatti di vedere che era stata una bella cosa che l’avventura era finita bene”.

    La partecipazione popolare oltre i partigiani – I racconti di chi c’era sono come fotografie che rimangono nel tempo. Scatti di un avvenimento che ha fatto la storia locale, ma non ha trovato abbastanza spazio nei libri di scuola o sui giornali. Il lavoro di memoria è stato possibile, “grazie ad Annamaria Loschi, insegnante animatrice dell’Associazione Memoria Storica di Budrione”, morta nel 2024, ricorda Lucio Ferrari, presidente dell’Anpi di Carpi. “Lei era appassionatissima”, dice. “Budrione è stato un centro di Resistenza molto forte qui nel Carpigiano e nella zona partigiana della provincia di Modena che è quella più vivace. Qui ci sono stati molti caduti: abbiamo 57 tra cippi e lapidi. In occasione dell’80esimo anniversario della Liberazione, siamo andati a rendere omaggio a tutti. E il 23 marzo scorso, abbiamo ricordato il rastrellamento”.Questo episodio, racconta, “è stata un’esperienza così forte che è rimasta” nel ricordo della comunità. “Da parte delle donne c’è voluto un grande coraggio perché lì c’erano tedeschi e fascisti che si sentivano un po’ accerchiati ed erano particolarmente aggressivi e violenti. Soprattutto nei confronti delle donne”. E la loro rivolta “è stata fondamentale per fare pressione e per liberare i prigionieri. È stata decisiva”. Ma in tutti gli anni della Resistenza, le donne hanno avuto un ruolo importante. Anche e non solo tra i partigiani: “Ricordiamo lo sciopero delle operaie della Manifattura tabacchi, quello delle mondine o quello per il pane”. E pure la battaglia della trebbiatura, “quando uomini e donne tolsero le cinghie alle trebbie per evitare che i tedeschi prendessero il grano da portare in Germania”. E “parteciparono anche le donne”. La resistenza “è diventato un momento di grande emancipazione perché la donna nella famiglia qui non aveva un posto. Il nonno e la nonna erano i cosiddetti comandanti della famiglia. E nella gerarchia c’era un posto solo per la moglie del nonno, che si chiamava la resdora. Quando è iniziata la lotta di Liberazione anche le donne hanno cominciato a cercare di conquistare uno spazio dentro e fuori la famiglia. Prima non era così”.

    Quello che i fatti di Budrione, Migliarina e Fossoli dimostrano è che non c’erano solo i partigiani e le partigiane. Ma anche una società civile attiva e comunità mobilitate per la Resistenza. “Il 22 aprile”, continua Ferrari, “giorno della Liberazione di Carpi, abbiamo inaugurato la mostra ‘Noi stavamo con i partigiani’ che racconta proprio tutta la partecipazione popolare. Nella nostra zona più di 100 case sono diventate rifugio, nascondendo le persone nelle stalle o nei fienili. Ci fu una grande copertura della popolazione. Certo ci furono anche le spie, ma in generale ci fu una grande partecipazione. Anche di altre formazioni: cattolici, socialisti e naturalmente comunisti”. Proprio “la partecipazione popolare pacifica”, chiude Ferrari, “ha reso possibile la lotta partigiana”. E senza la resistenza de “la” Maria, “la” Vanda, “la” Isden e di tutte le altre, probabilmente il lembo di terra tra Correggio e Carpi avrebbe pianto altri sessanta uomini.

    *Foto da “Il coraggio delle donne. 12-23 marzo 1945” (a cura di Annamaria Loschi e di Anpi Carpi – Circolo E.Goldoni Budrione)

    Source: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/25/la-rivolta-pacifica-delle-donne-che-salvo-63-uomini-in-emilia-per-11-giorni-in-corteo-fino-alla-prigione-dopo-il-rastrellamento-dei-nazisti/7961324/
    Storie della Resistenza che ci piacciono. La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: "Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti" - Il Fatto Quotidiano Solo la determinazione delle donne ha permesso di salvare oltre 60 uomini: ecco cosa è successo Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana" La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: “Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti” di Martina Castigliani Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana" La nebbia, quel giorno, è fittissima. “Di quelle pesanti e piovose che penetrano nelle ossa”, racconta chi c’era. In Pianura Padana, nel lembo di terra che separa Correggio e Carpi, tra Reggio Emilia e Modena, vuol dire non riuscire a vedere oltre i propri piedi. Che il 12 marzo 1945 c’è un rastrellamento in corso, gli abitanti della frazione di Budrione lo capiscono dalle voci serrate dei comandi: ogni 10 metri c’è una testa e gli ordini si passano da uomo a uomo “come in una battuta di caccia”. Quello che avviene a un mese dalla Liberazione dal Nazifascismo è uno dei tanti episodi quasi sconosciuti di una guerra che ha travolto le campagne dove si nascondevano i partigiani. Questa volta però, l’epilogo è unico: a risolvere e impedire l’ennesimo eccidio sarà la resistenza civile e pacifica delle donne. Un atto raccontato in un libro preziosissimo del 2005, voluto dall’Anpi di Carpi (circolo E. Goldoni) e curato da Annamaria Loschi. Si intitola “Il coraggio delle donne” ed è un documento storico: contiene decine di testimonianze, molte delle quali di persone che ora non ci sono più, e che ricostruiscono un fatto mai arrivato sulle cronache nazionali. Ma che nelle campagne della bassa emiliana nessuno, finora, ha mai scordato. A raccontarlo sono i figli di chi quel giorno nero venne catturato: “Io avevo 13 anni e presero mio padre”, dice a ilfattoquotidiano.it Augusto Barbieri che ora di anni ne ha 93. “Anzi, di casa mia presero quattro uomini. Ricordo la paura. Tantissima paura”. Il rastrellamento lo fanno i tedeschi per vendicare l’agguato a un auto dei loro, avvenuto una settimana prima. A bordo c’erano un ufficiale e un sottoufficiale della Wehrmacht e un soldato mongolo: i primi due sapevano troppo e sono stati eliminati, il terzo ha chiesto e ottenuto di unirsi ai partigiani. I tedeschi non lo sanno e organizzano una controffensiva per liberarli che inizia alle 6 del mattino: catturano più di sessanta uomini (se ne contano almeno 63) e poi, in colonna, li portano in carcere a Correggio. Ma a quel punto succede qualcosa che nessun soldato nemico avrebbe potuto prevedere: i prigionieri vengono seguiti dalle donne in corteo che, sfidando armi e bombardamenti, ne chiedono il rilascio. Sono quasi due ore di cammino, quattro andata e ritorno, che ripeteranno ogni giorno per undici giorni. Fino alla liberazione. Il rastrellamento – Siamo a pochi km da Fossoli, dove sorgeva il campo di concentramento e transito verso i lager nazisti. In questa piana infinita, dove a sprazzi sorgono casolari e stalle, si nascondono i partigiani. Qui trovano accoglienza, mentre la vita quotidiana fatta di albe e lavoro va avanti. Il rastrellamento arriva all’improvviso e stravolge le comunità di Budrione, Fossoli e Migliarina. Se oggi sappiamo cosa è avvenuto, è grazie alle voci dei testimoni raccolte da Loschi in collaborazione con Augusto Barbieri, Pierino Bassoli e Lauro Cestelli. “Abbiamo cercato di parlare con più persone possibile”, ricorda Barbieri. Qui riportiamo alcune delle testimonianze contenute nel libro, ancora disponibile presso l’Anpi di Carpi. “Avevo 22 anni, quella mattina eravamo già tutti al lavoro”, dice Isden Morelli. “I tedeschi sono arrivati a casa nostra e hanno portato via con sé mio padre Bortolomeo e mio fratello Brenno”. Dante Bonatti parla del papà Dario che era “falegname e fabbro” ed era “anche addetto alle riparazioni delle armi dei partigiani. Eravamo tutti svegli”, “il rastrellamento è iniziato alle 5.30 del mattino”. Insieme ai tedeschi ci sono anche dei componenti della Brigata Nera di Carpi, che “in tuta grigioverde, avanzava nella nebbia fittissima. Questi ultimi erano ragazzi di 15-16 anni che noi conoscevamo, perché venivano a prendere i cocomeri durante la stagione. Per dissimulare la loro identità, però, tentavano di esprimersi in tedesco”. Luciano Bonatti ricorda che lo zio Dorno “venne preso dall’ultimo tedesco della fila mentre andava di corsa ad avvisare gli altri abitanti”. Bruno Dodi dice di essere rimasto in casa “sperando nella protezione della nebbia”. Ma è arrivato un tedesco che conosceva – “perché gli davamo qualcosa” – e al quale ha ubbidito, fidandosi che l’avrebbe liberato poi. “Invece la realtà è che io ero un ragazzo, ma i tedeschi erano uomini fatti, soldati abituati alla guerra”, dice. La maggior parte sono semplici contadini. Ma tra loro vengono catturati anche partigiani. Ad esempio, Bruno Cavazzoli che faceva la ronda e non riesce a prevenire il rastrellamento. Per “la nebbia tremenda”, “non abbiamo visto né sentito i tedeschi arrivare”. Cerca di scappare, ma viene fermato da due uomini a fucili spianati: “La mia prima reazione è stata molto umana”, confessa. “Ho sentito un rivolo caldo scendere lungo la gamba. È stato il massimo dell’angoscia che ho mai provato in vita mia”. Prima di essere catturato, prova a togliere la cravatta rossa per non provocarli: viene visto e schiaffeggiato. La rivolta delle donne – Il corteo dei 64 prigionieri parte da Budrione e va verso il carcere di Correggio: circa un’ora e mezza di cammino a piedi. “Disposti in fila per due o per quattro, i rastrellati si sono avviati senza nessun mezzo di trasporto”, raccontano. Erano tutti uomini, tranne una: fra di loro c’era Ardilia o Arsilia Goldoni, catturata mentre andava a lavorare al servizio della famiglia Pisa perché scambiata per una staffetta. Ma piano piano succede l’impensabile: lungo la strada il corteo comincia a ingrossarsi. “Il corteo, formato da tedeschi, fascisti e prigionieri non camminava solo: nonostante il grande pericolo, le donne hanno iniziato a seguirlo, chiamandosi l’una con l’altra”, racconta Vinicio Magnanini. Che ricorda come quel gesto, così forte e d’autonomia, avesse radici lontane. “Non si trattava tuttavia di una manifestazione semplice e spontanea: dietro c’era un’organizzazione politica e culturale, messa in atto da molti mesi, che poteva in questo frangente dare il coraggio alle donne, da sempre abituate a lavorare stando in secondo piano, (…) di affrontare e sfidare per chilometri soldati di un esercito feroce, ormai incalzato dagli eventi e per questo tanto più pericoloso”. Secondo i testimoni, il corteo a Correggio raduna più di 500 donne. Maria Allegretti racconta: “Un giorno il comandante partigiano, mi disse: devi organizzare le donne e dovete andare a Correggio a manifestare per gli uomini di Budrione! lo avevo mobilitato tutte le donne della zona e loro venivano volentieri, perché avevano tutte il marito, o un figlio, o un parente in prigione”. Prima di arrivare a Correggio, Allegretti avverte: state attente, perché potrebbero sparare dai tetti. “Loro però erano tutte con me perché volevano tentare di liberare i propri cari. La nostra manifestazione era pacifica: non avevamo armi, ma eravamo molto determinate. E cosi è stato fatto: noi, staffette e simpatizzanti, siamo andate a casa dei contadini a chiedere il cavallo, il biroccio, ma la maggioranza quel giorno è andata a piedi”. Ad un certo punto, i tedeschi sparano qualche colpo sulle manifestanti per disperderle: la tensione si alza. “Li seguimmo per circa 3 o 4 Km”, continua Zoe Busi. “Poi, in un momento di disperazione, incominciammo tutte a parlare: chiedevamo ai tedeschi di rilasciare i prigionieri”. È un gesto di sfida che richiede un enorme coraggio e non ci pensano due volte. “Zelmira Marchi si avvicinò loro e rimproverò il comportamento crudele. Un tedesco le lanciò una bomba a mano”. Anche Bruna Malavasi rimane ferita: “Io avevo 17 anni, ma in campagna allora si cresceva in fretta… Non mi ricordo neanche da dove sono partita io o chi mi avesse informata: so solo che con tutto un passaggio di voci ci siamo radunate in tante donne. Proprio in quella località ci hanno sparato: a me è arrivata una scheggia nell’avambraccio sinistro; ho sentito gli spari e mi sono trovata sanguinante. Mi è rimasto il segno, ancora oggi, dopo tanti anni”. Il corteo tuttavia riesce da arrivare fino a Correggio e qui le 500 donne che ormai si sono raggruppate inscenano una grande manifestazione davanti alla casa del fascio adibita a prigione. Lì, iniziano a sparare e arrestano Allegretti: “Le donne si sono spaventate moltissimo e si sono tutte sparpagliate, mentre io ed altre staffette siamo rimaste al centro della strada. Mi si sono avvicinati due fascisti che ci hanno accusate di fare una manifestazione senza l’autorizzazione, ma noi siamo ugualmente entrate nel cortile della prigione per fare sentire le nostre proteste”. Allora, vanno a cercare il comandante della Brigata Nera di Correggio, Alberto Giorgi: “Le donne sono entrate nel cortile”, dice Vanda Veroni, “e hanno tirato giù dal letto il comandante, anche se era indisposto, in modo che si interessasse della cosa. Lui fu costretto a occuparsi del fatto”. La resistenza civile e pacifica delle donne va avanti per undici giorni. Sono undici giorni di cortei che partivano al mattino e rientravano a metà giornata. Sempre e solo animati dalle donne. Di tutte le età. “Per tutto il tempo che rimasero chiusi, noi, con qualsiasi mezzo, carri, biciclette poche o a piedi, eravamo là davanti alla prigione“. Racconta ancora Vanda che a pranzo, spesso, si fermavano dal salumificio Veroni che dava loro “una minestra” e la signora cercava di tranquillizzarle. Si erano schierati con loro. Per le donne il lavoro era doppio: quando tornavano a casa, dovevano fare anche tutto quello che di solito spettava agli uomini nelle stalle. “Fu un periodo durissimo”. Maria viene liberata dopo tre giorni e solo perché nega di conoscere le altre: quando viene scortata dai soldati mongoli e tutte le vengono incontro, riesce a salvarsi perché parla in dialetto e loro non la capiscono. Barbieri ricorda molto bene quei giorni: “Come adesso”, dice a ilfattoquotidiano.it. “Sarò anche in difficoltà a muovere la lingua, ma ricordo tutto. Anche perché di casa mia avevo quattro prigionieri. E io, a 13 anni, all’improvviso ero rimasto l’uomo più grande della casa. E allora restavo a casa a tenere dietro alle mucche. Mia mamma e le mie zie andavano tutte le mattine”. E aggiunge: “All’inizio era molto difficile perché le donne si erano divise in commissioni e andavano a parlare con le varie autorità. Ma loro facevano degli ultimatum e dicevano che se non liberavamo i tre soldati, loro avrebbero fucilato tutti i prigionieri”. E poi, dice, “erano semi-analfabete e andare a parlare per una cosa così importante non era facile”. Un giorno, anche il piccolo Barbieri si unisce al corteo e riesce a vedere il padre: “Papà quando vi liberano?”, gli chiede. “E sapete cosa mi ha risposto? Quando tirano via il catenaccio”, ride. “Aveva fatto una battuta per non spaventarmi. Anche perché erano giorni di grande paura”. Si temeva che gli uomini non sarebbero usciti vivi, che ci sarebbe stata una strage. “Ma anche le colonne di donne nelle campagne ogni mattina erano un pericolo perché giravano gli apparecchi e potevano bombardarle. Il loro impegno è stato molto importante”, chiude. Dopo i primi giorni, vengono individuati e fucilati cinque partigiani: Mauro Bompani, Enzo Cremonini, Ettore Giovanardi. Ferruccio Tusberti, Augusto Armani. Poi iniziano lunghe ed estenuanti trattative: i tedeschi vogliono indietro i tre, ma non sanno che è impossibile. Alla fine avviene la liberazione dei sessanta, grazie all’intervento del commissario prefettizio di Carpi Enzo Scaltriti, che si dimostra aperto ai partigiani, e alla mediazione di monsignor Giuseppe Bonacini. Ma soprattutto grazie alla pressione esercitata dalla comunità femminile che non ha mai ceduto. Bruno racconta gli attimi successivi alla liberazione: “Siamo andati di corsa dalle donne che ci aspettavano fuori. Tutto il rientro è stata una gioia immensa: per la strada ci portavano dei pezzi di gnocco fritto e, quando siamo arrivati a Budrione, c’era una festa inimmaginabile. Le campane suonavano a distesa”. Dice Vanda: “Eravamo tutte contente. Durante il cammino, mi ricordo che un tale è salito sul rimorchio, anche se io ero davanti sul biroccio e poi voleva prendere la guida. Io allora mi sono detta: per undici giorni sono venuta qua, quindi adesso sto davanti io”. Parole importantissime, di un cambiamento che era avvenuto anche fuori dalla prigione. E ancora: “Io ed alcune signore, con le gambe penzoloni dal carretto, facevamo quasi ridere. Tutta la gente, lungo le strade, batteva le mani, con le lacrime agli occhi perché tutti erano soddisfatti di vedere che era stata una bella cosa che l’avventura era finita bene”. La partecipazione popolare oltre i partigiani – I racconti di chi c’era sono come fotografie che rimangono nel tempo. Scatti di un avvenimento che ha fatto la storia locale, ma non ha trovato abbastanza spazio nei libri di scuola o sui giornali. Il lavoro di memoria è stato possibile, “grazie ad Annamaria Loschi, insegnante animatrice dell’Associazione Memoria Storica di Budrione”, morta nel 2024, ricorda Lucio Ferrari, presidente dell’Anpi di Carpi. “Lei era appassionatissima”, dice. “Budrione è stato un centro di Resistenza molto forte qui nel Carpigiano e nella zona partigiana della provincia di Modena che è quella più vivace. Qui ci sono stati molti caduti: abbiamo 57 tra cippi e lapidi. In occasione dell’80esimo anniversario della Liberazione, siamo andati a rendere omaggio a tutti. E il 23 marzo scorso, abbiamo ricordato il rastrellamento”.Questo episodio, racconta, “è stata un’esperienza così forte che è rimasta” nel ricordo della comunità. “Da parte delle donne c’è voluto un grande coraggio perché lì c’erano tedeschi e fascisti che si sentivano un po’ accerchiati ed erano particolarmente aggressivi e violenti. Soprattutto nei confronti delle donne”. E la loro rivolta “è stata fondamentale per fare pressione e per liberare i prigionieri. È stata decisiva”. Ma in tutti gli anni della Resistenza, le donne hanno avuto un ruolo importante. Anche e non solo tra i partigiani: “Ricordiamo lo sciopero delle operaie della Manifattura tabacchi, quello delle mondine o quello per il pane”. E pure la battaglia della trebbiatura, “quando uomini e donne tolsero le cinghie alle trebbie per evitare che i tedeschi prendessero il grano da portare in Germania”. E “parteciparono anche le donne”. La resistenza “è diventato un momento di grande emancipazione perché la donna nella famiglia qui non aveva un posto. Il nonno e la nonna erano i cosiddetti comandanti della famiglia. E nella gerarchia c’era un posto solo per la moglie del nonno, che si chiamava la resdora. Quando è iniziata la lotta di Liberazione anche le donne hanno cominciato a cercare di conquistare uno spazio dentro e fuori la famiglia. Prima non era così”. Quello che i fatti di Budrione, Migliarina e Fossoli dimostrano è che non c’erano solo i partigiani e le partigiane. Ma anche una società civile attiva e comunità mobilitate per la Resistenza. “Il 22 aprile”, continua Ferrari, “giorno della Liberazione di Carpi, abbiamo inaugurato la mostra ‘Noi stavamo con i partigiani’ che racconta proprio tutta la partecipazione popolare. Nella nostra zona più di 100 case sono diventate rifugio, nascondendo le persone nelle stalle o nei fienili. Ci fu una grande copertura della popolazione. Certo ci furono anche le spie, ma in generale ci fu una grande partecipazione. Anche di altre formazioni: cattolici, socialisti e naturalmente comunisti”. Proprio “la partecipazione popolare pacifica”, chiude Ferrari, “ha reso possibile la lotta partigiana”. E senza la resistenza de “la” Maria, “la” Vanda, “la” Isden e di tutte le altre, probabilmente il lembo di terra tra Correggio e Carpi avrebbe pianto altri sessanta uomini. *Foto da “Il coraggio delle donne. 12-23 marzo 1945” (a cura di Annamaria Loschi e di Anpi Carpi – Circolo E.Goldoni Budrione) Source: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/25/la-rivolta-pacifica-delle-donne-che-salvo-63-uomini-in-emilia-per-11-giorni-in-corteo-fino-alla-prigione-dopo-il-rastrellamento-dei-nazisti/7961324/
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  • Negli USA @SecKennedy
    finalmente apre uno squarcio di verità nella nauseante cortina di omertà e disinformazione che continua ad essere diffusa sul vaccino Covid.

    "Il Presidente Trump non crede che tutti debbano essere obbligati a vaccinarsi.
    C'è un intervento medico,
    presenta dei rischi,
    le persone dovrebbero poter scegliere per sé stesse.
    Riguardo al vaccino Covid, la raccomandazione per i bambini è sempre stata in dubbio. Ed era in dubbi perché i bambini avevano un rischio quasi nullo per il Covid-19.
    Alcuni bambini che hanno molto profonde morbidities possono presentare un leggero rischio, ma la maggiore parte dei bambini, no.
    Allora perché lo stiamo dando a decine di milioni di bambini quando il vaccino stesso ha rischi profondi?
    Abbiamo riscontrato enormi rischi associati a miocarditi, periocarditi con ictus, con altre lesioni, con lesioni neurologiche. E questo era chiaro fin dalla pratica clinica dai dati provenienti da Pfizer. In realtà ci sono stati più decessi, abbiamo avuto circa il 23% di morti in più nel gruppo vaccinato rispetto al gruppo placebo.
    Quindi dobbiamo fare delle domande e dobbiamo consultarci con i genitori.
    Dobbiamo dare alle persone il consenso informato. E non dovremmo dare raccomandazioni che fanno del male alla popolazione"
    #IoNonDimentico

    In the US @SecKennedy
    finally opens a glimpse of truth in the nauseating curtain of silence and misinformation that continues to be spread about the Covid vaccine.

    "President Trump does not believe that everyone should be forced to get vaccinated.

    There is a medical intervention,
    it has risks,
    people should be able to choose for themselves.

    With the Covid vaccine, the recommendation for children has always been in doubt. And it was in doubt because children had almost no risk for Covid-19.

    Some children who have very profound morbidities may have a slight risk, but most children, no.

    So why are we giving it to tens of millions of children when the vaccine itself has profound risks?
    We have seen enormous risks associated with myocarditis, periocarditis with stroke, with other injuries, with neurological injuries. And that was clear from the clinical practice from the data coming from Pfizer. There were actually more deaths, we had about 23% more deaths in the vaccinated group than in the placebo group.

    So we have to ask questions and we have to consult with parents.
    We have to give people informed consent. And we shouldn't give recommendations that harm the population"
    #IoNonDimentico

    Source:
    https://x.com/heather_parisi/status/1915004246937964992?t=qnMnzjQ6RWoijw6jYB9i8A&s=19
    Negli USA @SecKennedy finalmente apre uno squarcio di verità nella nauseante cortina di omertà e disinformazione che continua ad essere diffusa sul vaccino Covid. "Il Presidente Trump non crede che tutti debbano essere obbligati a vaccinarsi. C'è un intervento medico, presenta dei rischi, le persone dovrebbero poter scegliere per sé stesse. Riguardo al vaccino Covid, la raccomandazione per i bambini è sempre stata in dubbio. Ed era in dubbi perché i bambini avevano un rischio quasi nullo per il Covid-19. Alcuni bambini che hanno molto profonde morbidities possono presentare un leggero rischio, ma la maggiore parte dei bambini, no. Allora perché lo stiamo dando a decine di milioni di bambini quando il vaccino stesso ha rischi profondi? Abbiamo riscontrato enormi rischi associati a miocarditi, periocarditi con ictus, con altre lesioni, con lesioni neurologiche. E questo era chiaro fin dalla pratica clinica dai dati provenienti da Pfizer. In realtà ci sono stati più decessi, abbiamo avuto circa il 23% di morti in più nel gruppo vaccinato rispetto al gruppo placebo. Quindi dobbiamo fare delle domande e dobbiamo consultarci con i genitori. Dobbiamo dare alle persone il consenso informato. E non dovremmo dare raccomandazioni che fanno del male alla popolazione" #IoNonDimentico In the US @SecKennedy finally opens a glimpse of truth in the nauseating curtain of silence and misinformation that continues to be spread about the Covid vaccine. "President Trump does not believe that everyone should be forced to get vaccinated. There is a medical intervention, it has risks, people should be able to choose for themselves. With the Covid vaccine, the recommendation for children has always been in doubt. And it was in doubt because children had almost no risk for Covid-19. Some children who have very profound morbidities may have a slight risk, but most children, no. So why are we giving it to tens of millions of children when the vaccine itself has profound risks? We have seen enormous risks associated with myocarditis, periocarditis with stroke, with other injuries, with neurological injuries. And that was clear from the clinical practice from the data coming from Pfizer. There were actually more deaths, we had about 23% more deaths in the vaccinated group than in the placebo group. So we have to ask questions and we have to consult with parents. We have to give people informed consent. And we shouldn't give recommendations that harm the population" #IoNonDimentico Source: https://x.com/heather_parisi/status/1915004246937964992?t=qnMnzjQ6RWoijw6jYB9i8A&s=19
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  • IL FURBETTO. SPERIAMO PAGHI!

    https://www.corriere.it/tecnologia/25_aprile_16/zuckerberg-a-processo-l-acquisto-di-instagram-e-dura-fare-nuove-app-per-chiudere-la-causa-ha-offerto-fino-a-un-miliardo-di-dollari-6814aefb-27ef-40f9-beb9-937e86570xlk_amp.shtml

    Secondo le indiscrezioni del Wall Street Journal, prima dell'inizio del processo Zuckerberg avrebbe provato a trovare un accordo con la Federal Trade Commission. La difesa in aula

    In una mail, nel 2012, Mark Zuckerberg discuteva con l’allora direttore finanziario di Facebook l’acquisizione di Instagram. Una mossa definita utile per «neutralizzare un potenziale concorrente». Un anno dopo ragionava con un altro dirigente sulla crescita di WhatsApp. Si parla di «notti insonni» per capire come migliorare la propria messaggistica. «Ora o mai più». Due startup, due idee poco più che embrionali che potevano rappresentare una minaccia per gli affari della società che oggi chiamiamo Meta. E che proprio da Meta hanno finito per essere comprate.

    Sono alcune delle prove raccolte in anni di indagini dalla Federal Trade Commission, l’agenzia che controlla il commercio negli Usa, per dimostrare come il colosso dei social media abbia usato pratiche anticoncorrenziali per costruire un monopolio illegale. Un processo, quello iniziato lunedì in un tribunale di Washington, che potrebbe incrinare il business della società. Anzi, potrebbe distruggerlo: se il giudice James Boasberg confermerà le accuse potrebbe anche chiedere a Meta di rinunciare alle sue colonne portanti: Instagram e Whatsapp.

    Due acquisizioni — nel 2012 e nel 2014 — che secondo la Ftc sono state concluse mettendo sul piatto cifre maggiorate (un miliardo e 19 miliardi di dollari) per soffocare potenziali concorrenti. Seguendo la strategia «buy or bury», compra o sotterra.

    La difesa di Meta ha ricordato come le acquisizioni sono state ai tempi approvate dalla stessa Ftc e hanno portato le piattaforme a fiorire e diventare realtà molto diverse da quelle originarie. E che, oggi, si muovono in un panorama dove la competizione non manca: è soprattutto la presenza (e concorrenza) di TikTok a dimostrare la salute del mercato.

    Ci sarà tempo di ascoltare tutti i protagonisti. Ma il primo chiamato a testimoniare è Zuckerberg. Nei primi due giorni di processo ha passato ore a rispondere alle domande sulle sue parole all’epoca delle acquisizioni. E sulle motivazioni che stavano dietro. Che si possono riassumere con una frase detta ieri dal ceo: «Costruire nuove app è difficile». Ha ammesso che ha voluto Instagram perché, in fondo, era migliore di Facebook: «L’app per la fotocamera funzionava meglio quindi ho pensato di comprarla. Quando abbiamo provato a costruirne una, non ha avuto successo». Ancora su Instagram è stata presentata una mail del 2018 dove Zuckerberg, preoccupato per il successo dell’app e degli effetti su Facebook, avrebbe ipotizzato di separare le due divisioni «e forse Whatsapp nei prossimi 5-10 anni». Si è poi parlato di Snapchat e dell'offerta fatta al fondatore (6 miliardi) per comprarla. Offerta rifiutata. Ma, assicura Zuckerberg, «se l'avessi comprata, probabilmente ne avrei accelerato la crescita».

    In totale la deposizione del ceo di Meta è durata circa sei ore. Dopo di lui, toccherà alla sua ex Chief Operating Officer Sheryl Sandberg, e poi ai fondatori di Instagram (Kevin Systrom e Mike Krieger) e WhatsApp (Jan Koum e Brian Acton), Sono mesi che Zuckerberg prova a evitare il processo con un accordo. Ma a nulla sembrano essere serviti gli sforzi per guadagnare il favore di Trump. C'è da precisare che era stato proprio durante l'amministrazione Trump (la prima) che le indagini erano iniziate, nel 2020. Durante i quattro anni di Biden alla Casa Bianca la battaglia della Federal Trade Commission contro le Big Tech non ha fatto che rafforzarsi. Ora, con il nuovo inquilino e un nuovo capo dell'agenzia - il repubblicano Andrew Ferguson - la speranza era quella di poter risolvere la causa senza passare dal tribunale. Secondo le indiscrezioni del Wall Street Journal, Zuckerberg a fine marzo avrebbe offerto 450 milioni di dollari per accordarsi, cifra poi alzata fino a un miliardo. La richiesta di Ferguson e della Ftc sarebbe stata molto più elevata: 30 miliardi. Il WsJournal aggiunge anche che Trump «in vari momenti è apparso aperto» a trovare una via di negoziazione e avrebbe chiesto come potrebbe funzionare. Il processo, in ogni caso, è iniziato e, se le accuse fossero confermate, potrebbe portare al primo smembramento di una società dopo 40 anni. L’ultima è stata At&t: era il 1982.
    IL FURBETTO. SPERIAMO PAGHI! https://www.corriere.it/tecnologia/25_aprile_16/zuckerberg-a-processo-l-acquisto-di-instagram-e-dura-fare-nuove-app-per-chiudere-la-causa-ha-offerto-fino-a-un-miliardo-di-dollari-6814aefb-27ef-40f9-beb9-937e86570xlk_amp.shtml Secondo le indiscrezioni del Wall Street Journal, prima dell'inizio del processo Zuckerberg avrebbe provato a trovare un accordo con la Federal Trade Commission. La difesa in aula In una mail, nel 2012, Mark Zuckerberg discuteva con l’allora direttore finanziario di Facebook l’acquisizione di Instagram. Una mossa definita utile per «neutralizzare un potenziale concorrente». Un anno dopo ragionava con un altro dirigente sulla crescita di WhatsApp. Si parla di «notti insonni» per capire come migliorare la propria messaggistica. «Ora o mai più». Due startup, due idee poco più che embrionali che potevano rappresentare una minaccia per gli affari della società che oggi chiamiamo Meta. E che proprio da Meta hanno finito per essere comprate. Sono alcune delle prove raccolte in anni di indagini dalla Federal Trade Commission, l’agenzia che controlla il commercio negli Usa, per dimostrare come il colosso dei social media abbia usato pratiche anticoncorrenziali per costruire un monopolio illegale. Un processo, quello iniziato lunedì in un tribunale di Washington, che potrebbe incrinare il business della società. Anzi, potrebbe distruggerlo: se il giudice James Boasberg confermerà le accuse potrebbe anche chiedere a Meta di rinunciare alle sue colonne portanti: Instagram e Whatsapp. Due acquisizioni — nel 2012 e nel 2014 — che secondo la Ftc sono state concluse mettendo sul piatto cifre maggiorate (un miliardo e 19 miliardi di dollari) per soffocare potenziali concorrenti. Seguendo la strategia «buy or bury», compra o sotterra. La difesa di Meta ha ricordato come le acquisizioni sono state ai tempi approvate dalla stessa Ftc e hanno portato le piattaforme a fiorire e diventare realtà molto diverse da quelle originarie. E che, oggi, si muovono in un panorama dove la competizione non manca: è soprattutto la presenza (e concorrenza) di TikTok a dimostrare la salute del mercato. Ci sarà tempo di ascoltare tutti i protagonisti. Ma il primo chiamato a testimoniare è Zuckerberg. Nei primi due giorni di processo ha passato ore a rispondere alle domande sulle sue parole all’epoca delle acquisizioni. E sulle motivazioni che stavano dietro. Che si possono riassumere con una frase detta ieri dal ceo: «Costruire nuove app è difficile». Ha ammesso che ha voluto Instagram perché, in fondo, era migliore di Facebook: «L’app per la fotocamera funzionava meglio quindi ho pensato di comprarla. Quando abbiamo provato a costruirne una, non ha avuto successo». Ancora su Instagram è stata presentata una mail del 2018 dove Zuckerberg, preoccupato per il successo dell’app e degli effetti su Facebook, avrebbe ipotizzato di separare le due divisioni «e forse Whatsapp nei prossimi 5-10 anni». Si è poi parlato di Snapchat e dell'offerta fatta al fondatore (6 miliardi) per comprarla. Offerta rifiutata. Ma, assicura Zuckerberg, «se l'avessi comprata, probabilmente ne avrei accelerato la crescita». In totale la deposizione del ceo di Meta è durata circa sei ore. Dopo di lui, toccherà alla sua ex Chief Operating Officer Sheryl Sandberg, e poi ai fondatori di Instagram (Kevin Systrom e Mike Krieger) e WhatsApp (Jan Koum e Brian Acton), Sono mesi che Zuckerberg prova a evitare il processo con un accordo. Ma a nulla sembrano essere serviti gli sforzi per guadagnare il favore di Trump. C'è da precisare che era stato proprio durante l'amministrazione Trump (la prima) che le indagini erano iniziate, nel 2020. Durante i quattro anni di Biden alla Casa Bianca la battaglia della Federal Trade Commission contro le Big Tech non ha fatto che rafforzarsi. Ora, con il nuovo inquilino e un nuovo capo dell'agenzia - il repubblicano Andrew Ferguson - la speranza era quella di poter risolvere la causa senza passare dal tribunale. Secondo le indiscrezioni del Wall Street Journal, Zuckerberg a fine marzo avrebbe offerto 450 milioni di dollari per accordarsi, cifra poi alzata fino a un miliardo. La richiesta di Ferguson e della Ftc sarebbe stata molto più elevata: 30 miliardi. Il WsJournal aggiunge anche che Trump «in vari momenti è apparso aperto» a trovare una via di negoziazione e avrebbe chiesto come potrebbe funzionare. Il processo, in ogni caso, è iniziato e, se le accuse fossero confermate, potrebbe portare al primo smembramento di una società dopo 40 anni. L’ultima è stata At&t: era il 1982.
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  • La realtà senza se e senza ma ...
    MASSIMA CONDIVISIONE!

    👇🏻👇🏻👇🏻

    https://x.com/itsmeback_/status/1911330155475181967?t=KzmY7_Y1EHUAtCxe__KUfA&s=19
    La realtà senza se e senza ma ... MASSIMA CONDIVISIONE! 👇🏻👇🏻👇🏻 https://x.com/itsmeback_/status/1911330155475181967?t=KzmY7_Y1EHUAtCxe__KUfA&s=19
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  • Manifestazione nazionale – 12 Aprile, Milano, ore 14:00

    Prosegue questo sabato pomeriggio di primavera insieme a tutte le realtà del Coordinamento per la Pace – Milano, in corteo da Piazza Duca D’Aosta, per la manifestazione nazionale contro il genocidio in Palestina.

    Post completo:
    https://www.facebook.com/share/p/16M23E2L5t/

    #Milano12Aprile #FreePalestine #CoordinamentoPerLaPace #StopGenocidio #DirittiUmani #NoAllaGuerra #PalestinaLibera #PeaceNow #ControIlDDLsicurezza #RestiamoUmani
    Manifestazione nazionale – 12 Aprile, Milano, ore 14:00 ✊🇵🇸 Prosegue questo sabato pomeriggio di primavera insieme a tutte le realtà del Coordinamento per la Pace – Milano, in corteo da Piazza Duca D’Aosta, per la manifestazione nazionale contro il genocidio in Palestina. Post completo: https://www.facebook.com/share/p/16M23E2L5t/ #Milano12Aprile ✊ #FreePalestine 🇵🇸 #CoordinamentoPerLaPace #StopGenocidio #DirittiUmani #NoAllaGuerra #PalestinaLibera #PeaceNow #ControIlDDLsicurezza #RestiamoUmani
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