• L'assassinio di Charlie Kirk dimostra definitivamente che l'apparato ideologico dominante non è un fenomeno spontaneo.
    Catastrofismo climatico e pandemico, vaccinismo senza distinguo, immigrazionismo, omosessualismo, anticristianesimo, femminismo isterico, russofobia, ambientalismo ottuso: tutto ciò è solo propaganda e manipolazione per rafforzare il potere delle classi egemoni mediante la formazione di una massa di cretini plaudenti.
    Solo così si spiega l'assassinio di chi contrastava tali aberrazioni.
    Se, per difendere delle idee da qualcuno che le confuta con intelligenza, a costui si spara in gola, vuol dire che quelle idee sono uno strumento di potere.
    Mentre piangiamo Charlie Kirk, siamo consapevoli dell'ennesimo punto debole del sistema che lo ha assassinato.
    Le idee, nate come artifizi degli apparati, hanno gambe zoppe e non cammineranno mai.

    Source: https://x.com/intuslegens/status/1966455719370383570?t=hbZ08FFL_FYk-P9AjUnb9A&s=19
    L'assassinio di Charlie Kirk dimostra definitivamente che l'apparato ideologico dominante non è un fenomeno spontaneo. Catastrofismo climatico e pandemico, vaccinismo senza distinguo, immigrazionismo, omosessualismo, anticristianesimo, femminismo isterico, russofobia, ambientalismo ottuso: tutto ciò è solo propaganda e manipolazione per rafforzare il potere delle classi egemoni mediante la formazione di una massa di cretini plaudenti. Solo così si spiega l'assassinio di chi contrastava tali aberrazioni. Se, per difendere delle idee da qualcuno che le confuta con intelligenza, a costui si spara in gola, vuol dire che quelle idee sono uno strumento di potere. Mentre piangiamo Charlie Kirk, siamo consapevoli dell'ennesimo punto debole del sistema che lo ha assassinato. Le idee, nate come artifizi degli apparati, hanno gambe zoppe e non cammineranno mai. Source: https://x.com/intuslegens/status/1966455719370383570?t=hbZ08FFL_FYk-P9AjUnb9A&s=19
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  • Addio a Charlie Kirk, simbolo del conservatorismo militante.

    Colpisce ancora l’odio progressista (e, stando ai fatti, “progressivo”) dei jihadisti woke della composita e (a tratti) liberal-democratica società statunitense.
    Questa volta non si tratta di minacce, censura o procedimenti disciplinari inferti a qualche professore universitario (come Jordan B. Peterson) o ad altri presunti “neofascisti” conservatori, bensì di un colpo fatale che ha spezzato la vita al tanto amato quanto odiato trentunenne Charlie Kirk.
    Una morte improvvisa, avvenuta il 10 settembre, causata da un proiettile sparato conprecisione al collo di Kirk mentre l’audace conservatore trumpiano stava tenendo uno dei suoi consueti dibattiti aperti al campus della Utah Valley University.
    Devoto cristiano evangelico (vicino alla conversione cattolica), marito e padre amorevole, da sempre impegnato nella difesa dei valori cristiani e della libertà di parola, Charlie Kirk ha affrontato con coraggio ed enorme dedizione folle di collegiali woke schierati a favore di aborto, immigrazionismo clandestino e ideologia gender.
    Era noto per la sua appartenenza al movimento MAGA e per l’instancabile attivismo nella sua onlus Turning Point USA (rete studentesca co-fondata con Bill Montgomery alla tenera età di 18 anni e oggi diffusa in migliaia di campus, capace di ispirare milioni di giovani a pensare con la propria testa).
    La presenza sulle reti sociali e il successo del suo podcast (“The Charlie Kirk Show”), oltre a numerose apparizioni pubbliche e provocatorie nei campus universitari, lo avevano reso inarrestabile e alquanto scomodo alla comunità progressista.

    Rimarranno nella storia i suoi arguti dibattiti nei college (da lui considerati campi di indottrinamento al pensiero di sinistra ed ostacolo ad una sana ed efficiente istruzione) dove, invitando anche i woke più estremi e ostili al confronto libero e diretto, rispondeva con maestria e schiettezza alle obiezioni e provocazioni più assurde lasciando (quasi) sempre spiazzati i suoi più inferociti interlocutori.

    I temi più dibattuti sono stati: l’aborto (fermamente condannato da un dichiarato “provita” come Kirk), l’apertura dei confini nazionali e il giustificazionismo dell’immigrazione clandestina (tanto cara e difesa dai paladini woke), la libertà di parola e di religione (argomento scottante per i giovani progressisti, sempre molto inclusivi con i musulmani e le
    loro pretese, ma severi censori del cristianesimo), le folli politiche di “inclusione” di transgender e altri soggetti non ascrivibili al “discriminatorio e bigotto” (ma pur sempre “naturale”) sistema binario in competizioni sportive, prigioni, bagni pubblici, spogliatoi ecc., i benefici della politica Trump sulla vita ed economia americana, il libero mercato, il governo
    limitato e la libertà (oltre che responsabilità) individuale.

    In relazione a questi ultimi temi Kirk, come altri noti conservatori, ha sempre criticato (fornendo dati incontestabili) i sistemi socialisti, comunisti e quelli improntati su forme di anarchia sociale (sostenuti da lobby neomarxiste come Black Lives Matter ed estremisti ecologisti legati a Greta Thunberg).
    Insomma, un boccone troppo amaro per il collegiale medio americano, intriso di contorte ideologie e di quel patologico vittimismo che contraddistingue larga parte della gioventù cresciuta sotto i governi Obama/Biden, il costante bombardamento di messaggi luciferini (provenienti da musica e film) e di una narrazione contraddittoria e falsata da personaggi politici e autorità scolastiche.
    Ultimo ma non meno importante, la sua critica ad Hamas e alle ondate di chiara discriminazione e violenza nei confronti di studenti ebrei da parte di pacifici rivoltosi woke “propal” armati di bandiere palestinesi e arcobaleno (non per tutti un chiaro ossimoro) ma
    incapaci di indicare su una cartina la striscia di Gaza o di comprendere le origini di questo doloroso conflitto.
    È innegabile che Charlie avesse un dono speciale: nessuno come lui sapeva toccare il cuore dei giovani attraverso la verità e l'esercizio della ragione. Usando il dialogo costruiva ponti, dove altri alimentavano divisioni, in grado di unire persone diverse nella sola autentica Verità che alberga in fondo all’animo di ciascun uomo.
    Sapeva ascoltare, incoraggiare i giovani a porsi domande su quanto veicolato dalla narrazione dominante. Invitava inoltre ragazzi e ragazze a non rinunciare a matrimonio e figli per una vita incentrata sulla sola carriera professionale.

    Charlie credeva fermamente che la verità si forgiasse nel dialogo e non nel silenzio imposto dalla paura. Come diceva lui stesso:
    “Quando le persone smettono di parlare, è allora che avviene la violenza. È allora che avvengono le guerre civili perché inizi a pensare che l'altra parte sia così malvagia, e perde la sua umanità”.
    Messaggi di sentito cordoglio sono arrivati dall’amico presidente Donald Trump, da Benjamin Netanyahu e dal fronte conservatore ma anche dalla nostra onlus Pro Vita e Famiglia che lo ha ricordato come un martire nella lotta a difesa della Famiglia e della Vita fin dal suo concepimento.
    Mentre sorge il timore di nuovi attentati a personalità conservatrici (quali Matt Walsh, Ben Shapiro, Michael Knowles e Douglas Murray) vicine a Kirk e impegnate in prima linea nelle stesse campagne, tutti noi ci uniamo in preghiera affinché non accadano più tali tragedie e ci
    siano sorveglianza e sistemi di sicurezza più incisivi in occasione di simili comizi.

    Un proiettile sventato (come accaduto al presidente Trump) può arrivare a destinazione in successive occasioni.
    Il brutale omicidio di Kirk è un triste e chiaro promemoria che la libertà non è mai scontata.
    Charlie mancherà a moltissime persone ma la sua eredità rimarrà nel cuore di chi lo ha amato e forse anche in quello di alcuni suoi detrattori ai quali è stata sempre data piena libertà di controbatterlo e accusarlo di bigottismo e fascismo.
    “Una famiglia forte, radicata nella fede, è la prima linea di difesa in un mondo in rovina”
    Charlie Kirk (1993-2025)
    RIP

    Irene V.
    Addio a Charlie Kirk, simbolo del conservatorismo militante. Colpisce ancora l’odio progressista (e, stando ai fatti, “progressivo”) dei jihadisti woke della composita e (a tratti) liberal-democratica società statunitense. Questa volta non si tratta di minacce, censura o procedimenti disciplinari inferti a qualche professore universitario (come Jordan B. Peterson) o ad altri presunti “neofascisti” conservatori, bensì di un colpo fatale che ha spezzato la vita al tanto amato quanto odiato trentunenne Charlie Kirk. Una morte improvvisa, avvenuta il 10 settembre, causata da un proiettile sparato conprecisione al collo di Kirk mentre l’audace conservatore trumpiano stava tenendo uno dei suoi consueti dibattiti aperti al campus della Utah Valley University. Devoto cristiano evangelico (vicino alla conversione cattolica), marito e padre amorevole, da sempre impegnato nella difesa dei valori cristiani e della libertà di parola, Charlie Kirk ha affrontato con coraggio ed enorme dedizione folle di collegiali woke schierati a favore di aborto, immigrazionismo clandestino e ideologia gender. Era noto per la sua appartenenza al movimento MAGA e per l’instancabile attivismo nella sua onlus Turning Point USA (rete studentesca co-fondata con Bill Montgomery alla tenera età di 18 anni e oggi diffusa in migliaia di campus, capace di ispirare milioni di giovani a pensare con la propria testa). La presenza sulle reti sociali e il successo del suo podcast (“The Charlie Kirk Show”), oltre a numerose apparizioni pubbliche e provocatorie nei campus universitari, lo avevano reso inarrestabile e alquanto scomodo alla comunità progressista. Rimarranno nella storia i suoi arguti dibattiti nei college (da lui considerati campi di indottrinamento al pensiero di sinistra ed ostacolo ad una sana ed efficiente istruzione) dove, invitando anche i woke più estremi e ostili al confronto libero e diretto, rispondeva con maestria e schiettezza alle obiezioni e provocazioni più assurde lasciando (quasi) sempre spiazzati i suoi più inferociti interlocutori. I temi più dibattuti sono stati: l’aborto (fermamente condannato da un dichiarato “provita” come Kirk), l’apertura dei confini nazionali e il giustificazionismo dell’immigrazione clandestina (tanto cara e difesa dai paladini woke), la libertà di parola e di religione (argomento scottante per i giovani progressisti, sempre molto inclusivi con i musulmani e le loro pretese, ma severi censori del cristianesimo), le folli politiche di “inclusione” di transgender e altri soggetti non ascrivibili al “discriminatorio e bigotto” (ma pur sempre “naturale”) sistema binario in competizioni sportive, prigioni, bagni pubblici, spogliatoi ecc., i benefici della politica Trump sulla vita ed economia americana, il libero mercato, il governo limitato e la libertà (oltre che responsabilità) individuale. In relazione a questi ultimi temi Kirk, come altri noti conservatori, ha sempre criticato (fornendo dati incontestabili) i sistemi socialisti, comunisti e quelli improntati su forme di anarchia sociale (sostenuti da lobby neomarxiste come Black Lives Matter ed estremisti ecologisti legati a Greta Thunberg). Insomma, un boccone troppo amaro per il collegiale medio americano, intriso di contorte ideologie e di quel patologico vittimismo che contraddistingue larga parte della gioventù cresciuta sotto i governi Obama/Biden, il costante bombardamento di messaggi luciferini (provenienti da musica e film) e di una narrazione contraddittoria e falsata da personaggi politici e autorità scolastiche. Ultimo ma non meno importante, la sua critica ad Hamas e alle ondate di chiara discriminazione e violenza nei confronti di studenti ebrei da parte di pacifici rivoltosi woke “propal” armati di bandiere palestinesi e arcobaleno (non per tutti un chiaro ossimoro) ma incapaci di indicare su una cartina la striscia di Gaza o di comprendere le origini di questo doloroso conflitto. È innegabile che Charlie avesse un dono speciale: nessuno come lui sapeva toccare il cuore dei giovani attraverso la verità e l'esercizio della ragione. Usando il dialogo costruiva ponti, dove altri alimentavano divisioni, in grado di unire persone diverse nella sola autentica Verità che alberga in fondo all’animo di ciascun uomo. Sapeva ascoltare, incoraggiare i giovani a porsi domande su quanto veicolato dalla narrazione dominante. Invitava inoltre ragazzi e ragazze a non rinunciare a matrimonio e figli per una vita incentrata sulla sola carriera professionale. Charlie credeva fermamente che la verità si forgiasse nel dialogo e non nel silenzio imposto dalla paura. Come diceva lui stesso: “Quando le persone smettono di parlare, è allora che avviene la violenza. È allora che avvengono le guerre civili perché inizi a pensare che l'altra parte sia così malvagia, e perde la sua umanità”. Messaggi di sentito cordoglio sono arrivati dall’amico presidente Donald Trump, da Benjamin Netanyahu e dal fronte conservatore ma anche dalla nostra onlus Pro Vita e Famiglia che lo ha ricordato come un martire nella lotta a difesa della Famiglia e della Vita fin dal suo concepimento. Mentre sorge il timore di nuovi attentati a personalità conservatrici (quali Matt Walsh, Ben Shapiro, Michael Knowles e Douglas Murray) vicine a Kirk e impegnate in prima linea nelle stesse campagne, tutti noi ci uniamo in preghiera affinché non accadano più tali tragedie e ci siano sorveglianza e sistemi di sicurezza più incisivi in occasione di simili comizi. Un proiettile sventato (come accaduto al presidente Trump) può arrivare a destinazione in successive occasioni. Il brutale omicidio di Kirk è un triste e chiaro promemoria che la libertà non è mai scontata. Charlie mancherà a moltissime persone ma la sua eredità rimarrà nel cuore di chi lo ha amato e forse anche in quello di alcuni suoi detrattori ai quali è stata sempre data piena libertà di controbatterlo e accusarlo di bigottismo e fascismo. “Una famiglia forte, radicata nella fede, è la prima linea di difesa in un mondo in rovina” Charlie Kirk (1993-2025) RIP Irene V.
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  • Compie 50 anni Wish you were here. Il capolavoro dei Pink Floyd

    A mezzo secolo dalla pubblicazione, Wish you were here, permeato di poetica nostalgia, continua ad affascinare il pubblico.

    Pubblicato il 12 settembre 1975, è il settimo album in studio della band, e seppur all’inizio la critica lo abbia considerato inferiore agli album precedenti, negli anni è stato giustamente rivalutato e considerato un capolavoro del rock progressivo, Wish You Were Here rappresentò una svolta creativa per i Pink Floyd, nello stesso anno in cui Bob Dylan realizzò l’introspettivo, forse autobiografico Blood on the Tracks, invitando il suo pubblico a pensarlo non come un artista, ma come un essere umano con le sue emozioni. Lo stesso accade per i Pink Floyd con Wish You Were Here, un album intriso di elegie e spettri del passato.
    Il nuovo inizio dei Pink Floyd

    Composto da 5 tracce, l’album è aperto e chiuso dalla superba suite Shine On You Crazy Diamond, divisa in 9 parti e dedicata a Syd Barrett. Con il brano che dà il titolo all’album, rappresenta forse al meglio il sound etereo dei “nuovi” Pink Floyd: strutture espanse, effetti spaziali, psichedelia non più distorta e oscura, ma pulita e luminosa. Anche se, singolarmente, i brani dell’album potrebbero non essere tutti al livello del capolavoro, lo diventano appunto nella sequenza completa, il cui concetto e “dosaggio” musicale confermano il talento della band nel creare composizioni complesse, e mette in mostra il virtuosismo alla chitarra di David Gilmour, che si profonde in progressioni di accordi più audaci di quelle presentate su The Dark Side Of The Moon.
    I testi delle canzoni esprimono variamente nostalgia e alienazione, e i Pink Floyd lo descrissero come un album sull’assenza, ed era certamente quella di Barrett, ma anche, da un altro punto di vista, quella della riconoscenza e della lealtà nel mondo, sempre più cinico e affarista, dell’industria musicale.

    Non privo di causticità, l’album è un deliberato e beffardo tentativo di “mordere la mano che nutre”, criticando con feroce sarcasmo il mondo dell’industria discografica. Welcome to the Machine, emblematica già nel titolo, descrive il dialogo che avviene tra un discografico rude e arrogante e un giovane cantante, la cui carriera sarà appunto impostata e diretta dal manager, seguendo esclusivamente il criterio commerciale. Non c’è quindi spazio per ideali, utopie, poesie. Scritta da Roger Waters, la canzone è caratterizzata da una saturazione di sintetizzatori, chitarre acustiche ed effetti su nastro. Suggestivo l’inizio, con il suono naturale del sax che sfuma gradualmente in suoni industriali e sintetizzato, metafora della “macchina senza volto” che ingoia cantanti e musicisti. Sulla medesima scia Have a Cigar mette in ridicolo i “pezzi grossi” dell’industria discografica con testi che ripetono una serie di cliché. Interpretato dal cantautore folk-rock Roy Harper, schiettamente orientato al rock, il brano si apre con un incalzante duetto di basso e chitarra, ed è chiuso da uno splendido a solo di chitarra firmato David Gilmour. In virtù del tono sarcastico, è uno dei pochi momenti di relativa leggerezza in un album altrimenti dominato da un vagabondaggio lugubre e psichedelico.
    L’ombra di Syd Barrett

    Buona parte dell’album è dedicata a Syd Barrett – co-fondatore e primo front-man del gruppo, che lasciò nel 1968 a causa del peggioramento della sua salute mentale – attraverso i brani Wish you were here e Shine On You Crazy Diamond. La prima, caratterizzata da un sobrio, suggestivo riff di ispirazione country, è appunto lo sfogo per la nostalgia di Syd Barrett, anche se, a detta di Waters, la canzone può essere letta che come un’amara sull’essere spettatori indifferenti della propria vita, in preda alla disillusione e allo sconforto. Shine On You Crazy Diamond, invece, è un compiuto tributo in nove parti a Barrett, e nel contesto dell’album è anche la triste metafora di ciò che può accadere a un musicista a causa della natura spietata e indifferente dell’industria musicale; la canzone presenta il caratteristico riff a quattro note di Gilmour (a volte noto come Syd’s Theme), e l’introduzione è forse il suo miglior a solo di chitarra. Alla registrazione dell’album è poi legato un toccante aneddoto: il 5 giugno 1975, presso gli stufi di Abbey Road, la band stava completando il mixaggio di Shine On You Crazy Diamond, quando un uomo sovrappeso con la testa e le sopracciglia rasate entrò, e si mise appartato a osservare la scena. Nessuno, sulle prime, lo riconobbe, poi fu Wright che spiegò agli increduli colleghi che quell’uomo era Barrett. A quel punto, tutti cercarono di parlare con lui, ma come ricordò il batterista Nick Mason nel libro Inside Out, Barrett non riusciva a dare risposte completamente sensate. Quella visita lasciò costernati i suoi vecchi colleghi, che avvertirono drammaticamente l’impossibilità di aiutarlo. Altrettanto improvvisamente di quando era arrivato, Barrett si dileguò poco dopo.
    La copertina di Wish you were here

    Come tante altre copertine degli album dei Pink Floyd, anche quella di Wish you were here è opera di Storm Thorgerson.
    Ambientata negli studi della Warner, in California, rappresenta perfettamente il tema dell’album: la persona sulla sinistra impersona l’industria musicale, mentre quella a destra è l’ingenuo musicista, che si brucia vendendo metaforicamente la sua anima e i suoi desideri artistici nel momento stesso in cui entra a far parte di un’etichetta. Mezzo secolo e 20 milioni di copie vendute dopo, si può affermare con certezza che questo tema abbia risuonato ben oltre il mondo chiuso del rock. L’album ha replicato l’ubiquità culturale di Dark Side né la portata concettuale di The Wall, ma ha un posto nel cuore dei tanti ammiratori dei Pink Floyd per la sua sobria eredità fatta di nostalgia e disillusione.

    Niccolò Lucarelli

    https://www.360music.net/artist/41232/pink-floyd
    Compie 50 anni Wish you were here. Il capolavoro dei Pink Floyd A mezzo secolo dalla pubblicazione, Wish you were here, permeato di poetica nostalgia, continua ad affascinare il pubblico. Pubblicato il 12 settembre 1975, è il settimo album in studio della band, e seppur all’inizio la critica lo abbia considerato inferiore agli album precedenti, negli anni è stato giustamente rivalutato e considerato un capolavoro del rock progressivo, Wish You Were Here rappresentò una svolta creativa per i Pink Floyd, nello stesso anno in cui Bob Dylan realizzò l’introspettivo, forse autobiografico Blood on the Tracks, invitando il suo pubblico a pensarlo non come un artista, ma come un essere umano con le sue emozioni. Lo stesso accade per i Pink Floyd con Wish You Were Here, un album intriso di elegie e spettri del passato. Il nuovo inizio dei Pink Floyd Composto da 5 tracce, l’album è aperto e chiuso dalla superba suite Shine On You Crazy Diamond, divisa in 9 parti e dedicata a Syd Barrett. Con il brano che dà il titolo all’album, rappresenta forse al meglio il sound etereo dei “nuovi” Pink Floyd: strutture espanse, effetti spaziali, psichedelia non più distorta e oscura, ma pulita e luminosa. Anche se, singolarmente, i brani dell’album potrebbero non essere tutti al livello del capolavoro, lo diventano appunto nella sequenza completa, il cui concetto e “dosaggio” musicale confermano il talento della band nel creare composizioni complesse, e mette in mostra il virtuosismo alla chitarra di David Gilmour, che si profonde in progressioni di accordi più audaci di quelle presentate su The Dark Side Of The Moon. I testi delle canzoni esprimono variamente nostalgia e alienazione, e i Pink Floyd lo descrissero come un album sull’assenza, ed era certamente quella di Barrett, ma anche, da un altro punto di vista, quella della riconoscenza e della lealtà nel mondo, sempre più cinico e affarista, dell’industria musicale. Non privo di causticità, l’album è un deliberato e beffardo tentativo di “mordere la mano che nutre”, criticando con feroce sarcasmo il mondo dell’industria discografica. Welcome to the Machine, emblematica già nel titolo, descrive il dialogo che avviene tra un discografico rude e arrogante e un giovane cantante, la cui carriera sarà appunto impostata e diretta dal manager, seguendo esclusivamente il criterio commerciale. Non c’è quindi spazio per ideali, utopie, poesie. Scritta da Roger Waters, la canzone è caratterizzata da una saturazione di sintetizzatori, chitarre acustiche ed effetti su nastro. Suggestivo l’inizio, con il suono naturale del sax che sfuma gradualmente in suoni industriali e sintetizzato, metafora della “macchina senza volto” che ingoia cantanti e musicisti. Sulla medesima scia Have a Cigar mette in ridicolo i “pezzi grossi” dell’industria discografica con testi che ripetono una serie di cliché. Interpretato dal cantautore folk-rock Roy Harper, schiettamente orientato al rock, il brano si apre con un incalzante duetto di basso e chitarra, ed è chiuso da uno splendido a solo di chitarra firmato David Gilmour. In virtù del tono sarcastico, è uno dei pochi momenti di relativa leggerezza in un album altrimenti dominato da un vagabondaggio lugubre e psichedelico. L’ombra di Syd Barrett Buona parte dell’album è dedicata a Syd Barrett – co-fondatore e primo front-man del gruppo, che lasciò nel 1968 a causa del peggioramento della sua salute mentale – attraverso i brani Wish you were here e Shine On You Crazy Diamond. La prima, caratterizzata da un sobrio, suggestivo riff di ispirazione country, è appunto lo sfogo per la nostalgia di Syd Barrett, anche se, a detta di Waters, la canzone può essere letta che come un’amara sull’essere spettatori indifferenti della propria vita, in preda alla disillusione e allo sconforto. Shine On You Crazy Diamond, invece, è un compiuto tributo in nove parti a Barrett, e nel contesto dell’album è anche la triste metafora di ciò che può accadere a un musicista a causa della natura spietata e indifferente dell’industria musicale; la canzone presenta il caratteristico riff a quattro note di Gilmour (a volte noto come Syd’s Theme), e l’introduzione è forse il suo miglior a solo di chitarra. Alla registrazione dell’album è poi legato un toccante aneddoto: il 5 giugno 1975, presso gli stufi di Abbey Road, la band stava completando il mixaggio di Shine On You Crazy Diamond, quando un uomo sovrappeso con la testa e le sopracciglia rasate entrò, e si mise appartato a osservare la scena. Nessuno, sulle prime, lo riconobbe, poi fu Wright che spiegò agli increduli colleghi che quell’uomo era Barrett. A quel punto, tutti cercarono di parlare con lui, ma come ricordò il batterista Nick Mason nel libro Inside Out, Barrett non riusciva a dare risposte completamente sensate. Quella visita lasciò costernati i suoi vecchi colleghi, che avvertirono drammaticamente l’impossibilità di aiutarlo. Altrettanto improvvisamente di quando era arrivato, Barrett si dileguò poco dopo. La copertina di Wish you were here Come tante altre copertine degli album dei Pink Floyd, anche quella di Wish you were here è opera di Storm Thorgerson. Ambientata negli studi della Warner, in California, rappresenta perfettamente il tema dell’album: la persona sulla sinistra impersona l’industria musicale, mentre quella a destra è l’ingenuo musicista, che si brucia vendendo metaforicamente la sua anima e i suoi desideri artistici nel momento stesso in cui entra a far parte di un’etichetta. Mezzo secolo e 20 milioni di copie vendute dopo, si può affermare con certezza che questo tema abbia risuonato ben oltre il mondo chiuso del rock. L’album ha replicato l’ubiquità culturale di Dark Side né la portata concettuale di The Wall, ma ha un posto nel cuore dei tanti ammiratori dei Pink Floyd per la sua sobria eredità fatta di nostalgia e disillusione. Niccolò Lucarelli https://www.360music.net/artist/41232/pink-floyd
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  • Il grido dei danneggiati da vaccino: «Da Schillaci l'ennesima pugnalata» - La Nuova Bussola Quotidiana
    https://lanuovabq.it/it/il-grido-dei-danneggiati-da-vaccino-da-schillaci-lennesima-pugnalata
    Il grido dei danneggiati da vaccino: «Da Schillaci l'ennesima pugnalata» - La Nuova Bussola Quotidiana https://lanuovabq.it/it/il-grido-dei-danneggiati-da-vaccino-da-schillaci-lennesima-pugnalata
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    Il grido dei danneggiati da vaccino: «Da Schillaci l'ennesima pugnalata»
    «Con la vicenda Nitag il ministro Schillaci ci ha pugnalati ancora». Il pesante j'accuse di Federica Angelini, da quattro anni alla guida del Comitato Ascoltami che alla Bussola rivela: «Abbiamo incontrato i funzionari del Ministero e ci hanno risposto che sanno tutto, ma non fanno nulla. Ora sappiamo il perché: non dobbiamo esistere».
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  • La risposta di Putin alla Megera: con un solo missile stanotte ha colpito e distrutto la sede di Kiev della delegazione dell'Unione Europea...

    di Francesco Bortoletto per Euronews

    Un attacco russo ha colpito la delegazione Ue a Kiev.
    Nell’ennesimo bombardamento missilistico sulla capitale ucraina nella notte è stata “danneggiata gravemente” la sede della missione europea. Immediate le condanne dei vertici comunitari, mentre i Ventisette discutono nuove sanzioni a Mosca...

    Qui l'articolo completo:
    https://www.dcnews.it/2025/08/28/la-risposta-di-putin-alla-megera-con-un-solo-missile-stanotte-ha-colpito-e-distrutto-la-sede-di-kiev-della-delegazione-dellunione-europea/?s=08
    🛑 La risposta di Putin alla Megera: con un solo missile stanotte ha colpito e distrutto la sede di Kiev della delegazione dell'Unione Europea... di Francesco Bortoletto per Euronews Un attacco russo ha colpito la delegazione Ue a Kiev. Nell’ennesimo bombardamento missilistico sulla capitale ucraina nella notte è stata “danneggiata gravemente” la sede della missione europea. Immediate le condanne dei vertici comunitari, mentre i Ventisette discutono nuove sanzioni a Mosca... Qui l'articolo completo: https://www.dcnews.it/2025/08/28/la-risposta-di-putin-alla-megera-con-un-solo-missile-stanotte-ha-colpito-e-distrutto-la-sede-di-kiev-della-delegazione-dellunione-europea/?s=08
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  • CATELLA’S DAY – altro da aggiungere...?

    "Oh oh oh Catella’s Day…
    Oh oh oh Catella’s free…"

    Qualcuno si stupisce ancora?
    C’è ancora qualcuno che si indigna sul serio?
    Nulla che non si potesse già immaginare. Finale scontato come nella più prevedibile delle serie Netflix , con il protagonista che torna a recitare lo stesso copione — magari per un’altra stagione da 5 puntate.

    Non rinnego ciò che scrissi giorni fa: lungi da me fare da cassa di risonanza al “vero sindaco di Milano” , ma quella di oggi è l’immagine plastica di una duplice sconfitta. La prima è della magistratura . La seconda, non meno grave, è della cittadinanza.

    Molti milanesi (e ancor più gli abitanti dell’hinterland) non hanno idea di chi sia Manfredi Catella. E se lo sanno, spesso si limitano ad applaudire i suoi grattacieli "modern London style" . Sta di fatto che oggi ci becchiamo l’ennesimo finale già scritto: un epilogo “telefonato”, concluso col più classico dei tarallucci e vino . Alla faccia nostra. Anzi, sulle nostre tasche .

    Il Tribunale del Riesame di Milano ha annullato i domiciliari di Manfredi Catella, patron di Coima, arrestato il 31 luglio nell’inchiesta sull’urbanistica. Accusato di aver “oliato” l’architetto Alessandro Scandurra con consulenze gonfiate (per il Pirellino e il villaggio olimpico), Catella era l’ultimo dei sei indagati ancora ai domiciliari.

    Uno a uno, infatti, tutti gli arresti sono stati smontati: dall’assessore Tancredi al manager Pella, passando per Scandurra stesso. Ora anche Catella torna libero, in attesa delle motivazioni che i giudici depositeranno nei prossimi 45 giorni.

    Insomma: un’inchiesta che partiva col botto e che, per ora, si chiude con il più classico degli sbadigli .

    Secondo voi, onestamente… può succedere qualcosa di diverso da quanto abbiamo già immaginato?
    Vogliamo ancora credere nei cambiamenti come a miracoli piovuti dal cielo?
    Se sì, accomodiamoci pure: continuiamo a sognare.

    Quella di oggi non è solo una sentenza, è una lezione al contrario. Milano non è più la città delle opportunità, è un feudo per pochi. Una terra di nessuno… o meglio, di qualcuno. Qui chi ha soldi vince, comanda e detta le regole. Gli altri? La plebaglia che non si può permettere neppure i privilegi “legali” di chi ha un team di avvocati da Champions League .

    Questa è Milano.
    La città del Marchese del Grillo : “Io so’ io, e voi non siete un c…”.
    La città dove vince sempre il più furbo, mentre tu arrivi a fatica a fine mese.
    La città dove, se vuoi restare, devi accettare di vivere ai margini, lasciando il centro a studenti fuori sede, imprenditori globali e stakeholders di passaggio che ingrassano il grande Luna Park urbano .

    Questa è Milano. Anche dopo questo affronto.
    Indigniamoci pure.
    Ma le cose sono due:

    1. O un giorno nascerà un cittadino/a con le tasche piene stile Elon Musk pronto a smuovere tribunali e giustizia.

    2. Oppure servirà una vera alternativa politica, fatta di gente integerrima che abbia la volontà di cambiare davvero ogni angolo dell’amministrazione.

    Altrimenti… Milano resta questa.
    O la accetti e la subisci.
    O te ne vai.

    #Milano #CatellasDay #Urbanistica #Corruzione #GiustiziaItaliana #CittàDaBere #MilanoLunapark #indignazionecivile
    🎭 CATELLA’S DAY – altro da aggiungere...? 🏙️🍷 "Oh oh oh Catella’s Day… Oh oh oh Catella’s free…" Qualcuno si stupisce ancora? 🤔 C’è ancora qualcuno che si indigna sul serio? 😑 Nulla che non si potesse già immaginare. Finale scontato come nella più prevedibile delle serie Netflix 📺, con il protagonista che torna a recitare lo stesso copione — magari per un’altra stagione da 5 puntate. Non rinnego ciò che scrissi giorni fa: lungi da me fare da cassa di risonanza al “vero sindaco di Milano” 🏛️, ma quella di oggi è l’immagine plastica di una duplice sconfitta. La prima è della magistratura ⚖️. La seconda, non meno grave, è della cittadinanza. Molti milanesi (e ancor più gli abitanti dell’hinterland) non hanno idea di chi sia Manfredi Catella. E se lo sanno, spesso si limitano ad applaudire i suoi grattacieli "modern London style" 🏗️✨. Sta di fatto che oggi ci becchiamo l’ennesimo finale già scritto: un epilogo “telefonato”, concluso col più classico dei tarallucci e vino 🍪🍷. Alla faccia nostra. Anzi, sulle nostre tasche 💸. Il Tribunale del Riesame di Milano ha annullato i domiciliari di Manfredi Catella, patron di Coima, arrestato il 31 luglio nell’inchiesta sull’urbanistica. Accusato di aver “oliato” l’architetto Alessandro Scandurra con consulenze gonfiate (per il Pirellino e il villaggio olimpico), Catella era l’ultimo dei sei indagati ancora ai domiciliari. Uno a uno, infatti, tutti gli arresti sono stati smontati: dall’assessore Tancredi al manager Pella, passando per Scandurra stesso. Ora anche Catella torna libero, in attesa delle motivazioni che i giudici depositeranno nei prossimi 45 giorni. Insomma: un’inchiesta che partiva col botto 💥 e che, per ora, si chiude con il più classico degli sbadigli 😴. Secondo voi, onestamente… può succedere qualcosa di diverso da quanto abbiamo già immaginato? 🤨 Vogliamo ancora credere nei cambiamenti come a miracoli piovuti dal cielo? 🌩️ Se sì, accomodiamoci pure: continuiamo a sognare. Quella di oggi non è solo una sentenza, è una lezione al contrario. Milano non è più la città delle opportunità, è un feudo per pochi. Una terra di nessuno… o meglio, di qualcuno. Qui chi ha soldi 💰 vince, comanda e detta le regole. Gli altri? La plebaglia che non si può permettere neppure i privilegi “legali” di chi ha un team di avvocati da Champions League ⚽👔. Questa è Milano. La città del Marchese del Grillo 🕴️: “Io so’ io, e voi non siete un c…”. La città dove vince sempre il più furbo, mentre tu arrivi a fatica a fine mese. La città dove, se vuoi restare, devi accettare di vivere ai margini, lasciando il centro a studenti fuori sede, imprenditori globali e stakeholders di passaggio che ingrassano il grande Luna Park urbano 🎡. Questa è Milano. Anche dopo questo affronto. Indigniamoci pure. Ma le cose sono due: 1. O un giorno nascerà un cittadino/a con le tasche piene stile Elon Musk 🚀 pronto a smuovere tribunali e giustizia. 2. Oppure servirà una vera alternativa politica, fatta di gente integerrima che abbia la volontà di cambiare davvero ogni angolo dell’amministrazione. Altrimenti… Milano resta questa. O la accetti e la subisci. O te ne vai. #Milano #CatellasDay #Urbanistica #Corruzione #GiustiziaItaliana #CittàDaBere #MilanoLunapark #indignazionecivile
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  • Richiami COVID: più ti dosi, più ti ammali. Lo ammette persino Nature

    Uno studio svizzero pubblicato su Nature sbriciola la favoletta della protezione mRNA: più richiami fai, più ti ammali. Non di strane patologie esotiche, ma delle stesse infezioni simil-influenzali che questi sieri dovevano “prevenire”. La medicina preventiva trasformata in abbonamento stagionale alla malattia.

    Su quasi 2.000 operatori sanitari monitorati nell’inverno 2023–2024, chi aveva fatto un richiamo presentava un 56% di probabilità in più di ammalarsi; con due richiami, il rischio saliva al 70%. Hanno passato i dati al setaccio per eliminare altre cause possibili e il risultato è rimasto lì, immobile: il booster è un boomerang.

    Eppure, i ricercatori - ligi al galateo accademico - non scrivono «abbiamo peggiorato la situazione», ma scelgono il più innocuo “solleva interrogativi sul miglior uso delle dosi di richiamo”. Traduzione: abbiamo fatto un disastro, ma non possiamo ammetterlo in chiaro.

    Non è nemmeno un fulmine a ciel sereno: già la Cleveland Clinic, nel 2022, aveva documentato che più vaccini mRNA ricevevi, più “COVID” prendevi (dove “COVID” significa nella pratica raffreddori, sintomi simil-influenzali o altre infezioni respiratorie). Ma l’elefante nella stanza è tabù, quindi si fa finta di non vederlo.

    Il confronto con l’antinfluenzale tradizionale è quasi imbarazzante: quello abbassa il rischio, l’mRNA lo alza, soprattutto se l’iniezione è recente. E nonostante questo, preparatevi: tra poche settimane i ministeri della Salute torneranno a intasare media e farmacie con l’ennesimo slogan “per la vostra sicurezza” - che, a conti fatti, sembra più un abbonamento alla prossima influenza.

    Per aggiornamenti senza filtri: https://t.me/carmen_tortora1
    Richiami COVID: più ti dosi, più ti ammali. Lo ammette persino Nature Uno studio svizzero pubblicato su Nature sbriciola la favoletta della protezione mRNA: più richiami fai, più ti ammali. Non di strane patologie esotiche, ma delle stesse infezioni simil-influenzali che questi sieri dovevano “prevenire”. La medicina preventiva trasformata in abbonamento stagionale alla malattia. Su quasi 2.000 operatori sanitari monitorati nell’inverno 2023–2024, chi aveva fatto un richiamo presentava un 56% di probabilità in più di ammalarsi; con due richiami, il rischio saliva al 70%. Hanno passato i dati al setaccio per eliminare altre cause possibili e il risultato è rimasto lì, immobile: il booster è un boomerang. Eppure, i ricercatori - ligi al galateo accademico - non scrivono «abbiamo peggiorato la situazione», ma scelgono il più innocuo “solleva interrogativi sul miglior uso delle dosi di richiamo”. Traduzione: abbiamo fatto un disastro, ma non possiamo ammetterlo in chiaro. Non è nemmeno un fulmine a ciel sereno: già la Cleveland Clinic, nel 2022, aveva documentato che più vaccini mRNA ricevevi, più “COVID” prendevi (dove “COVID” significa nella pratica raffreddori, sintomi simil-influenzali o altre infezioni respiratorie). Ma l’elefante nella stanza è tabù, quindi si fa finta di non vederlo. Il confronto con l’antinfluenzale tradizionale è quasi imbarazzante: quello abbassa il rischio, l’mRNA lo alza, soprattutto se l’iniezione è recente. E nonostante questo, preparatevi: tra poche settimane i ministeri della Salute torneranno a intasare media e farmacie con l’ennesimo slogan “per la vostra sicurezza” - che, a conti fatti, sembra più un abbonamento alla prossima influenza. Per aggiornamenti senza filtri: https://t.me/carmen_tortora1
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  • Djokovic si schiera contro il presidente serbo. E sposta il torneo da lui organizzato da Belgrado ad Atene
    Da tempo Nole è critico verso il governo del suo Paese, mentre appoggia il movimento studentesco. E ha minacciato anche di lasciare per sempre la Serbia.
    Da tempo Nole è critico verso il governo del suo Paese, mentre appoggia il movimento studentesco. E ha minacciato anche di lasciare per sempre la Serbia

    Un comunicato di pochi giorni fa dell'Atp ha ufficializzato il trasferimento del 250 di Belgrado ad Atene, dal 2 all'8 novembre, nella settimana che precede le Atp Finals di Torino. Un torneo, si legge nella nota ufficiale dell'associazione dei giocatori, «organizzato dal team esperto che ha già lavorato a nove precedenti tornei internazionali». Un team guidato da Djordje Djokovic, fratello di Nole, che a New York tra 10 giorni proverà a dare per l'ennesima volta l'assalto al suo 25° titolo Slam.

    Una scelta che può sembrare strana, visto il legame di Nole con la Serbia, ma che in questo momento storico non è affatto casuale. Da tempo, infatti, la posizione di Djokovic è fortemente critica verso il governo e il presidente Aleksandar Vucic, e vicina al movimento studentesco, con la situazione precipitata nel novembre scorso dopo che il crollo della pensilina di una stazione ferroviaria di Novi Sad ha causato la morte di 15 persone, diventando un caso politico e scatenando le proteste nei confronti del governo accusato di corruzione e irregolarità nella concessione degli appalti per la ristrutturazione della stazione.

    I media vicini a Vucic hanno definito Djokovic un «falso patriota», anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate negli ultimi mesi dal campione serbo: «Sto con il popolo e con i giovani, quello che succede è inaccettabile - aveva detto a Wimbledon -. Sono scene orribili, provo solo simpatia e sostegno per chi protesta». Da qui, la scelta di trasferire intanto l'organizzazione del torneo da Belgrado ad Atene, decisione a cui pare possa far seguito anche un cambio di residenza, con Djokovic che ha ammesso di aver incontrato il primo ministro greco Kyriakos Mītsotakīs, per discutere di potenziali investimenti come per esempio l'organizzazione dell'Atp 250 al centro olimpico di OAKA. «Il trasferimento della mia famiglia non è attualmente in programma - ha dichiarato di recente Djokovic, che dopo aver perso contro Sinner a Wimbledon ha scelto Mykonos come meta per qualche giorno di relax -. Ma in futuro potrebbe accadere».

    https://www.corriere.it/sport/tennis/25_agosto_14/djokovic-si-schiera-contro-il-presidente-serbo-8b9a6411-875a-49d1-9fd2-828af1253xlk.shtml
    Djokovic si schiera contro il presidente serbo. E sposta il torneo da lui organizzato da Belgrado ad Atene Da tempo Nole è critico verso il governo del suo Paese, mentre appoggia il movimento studentesco. E ha minacciato anche di lasciare per sempre la Serbia. Da tempo Nole è critico verso il governo del suo Paese, mentre appoggia il movimento studentesco. E ha minacciato anche di lasciare per sempre la Serbia Un comunicato di pochi giorni fa dell'Atp ha ufficializzato il trasferimento del 250 di Belgrado ad Atene, dal 2 all'8 novembre, nella settimana che precede le Atp Finals di Torino. Un torneo, si legge nella nota ufficiale dell'associazione dei giocatori, «organizzato dal team esperto che ha già lavorato a nove precedenti tornei internazionali». Un team guidato da Djordje Djokovic, fratello di Nole, che a New York tra 10 giorni proverà a dare per l'ennesima volta l'assalto al suo 25° titolo Slam. Una scelta che può sembrare strana, visto il legame di Nole con la Serbia, ma che in questo momento storico non è affatto casuale. Da tempo, infatti, la posizione di Djokovic è fortemente critica verso il governo e il presidente Aleksandar Vucic, e vicina al movimento studentesco, con la situazione precipitata nel novembre scorso dopo che il crollo della pensilina di una stazione ferroviaria di Novi Sad ha causato la morte di 15 persone, diventando un caso politico e scatenando le proteste nei confronti del governo accusato di corruzione e irregolarità nella concessione degli appalti per la ristrutturazione della stazione. I media vicini a Vucic hanno definito Djokovic un «falso patriota», anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate negli ultimi mesi dal campione serbo: «Sto con il popolo e con i giovani, quello che succede è inaccettabile - aveva detto a Wimbledon -. Sono scene orribili, provo solo simpatia e sostegno per chi protesta». Da qui, la scelta di trasferire intanto l'organizzazione del torneo da Belgrado ad Atene, decisione a cui pare possa far seguito anche un cambio di residenza, con Djokovic che ha ammesso di aver incontrato il primo ministro greco Kyriakos Mītsotakīs, per discutere di potenziali investimenti come per esempio l'organizzazione dell'Atp 250 al centro olimpico di OAKA. «Il trasferimento della mia famiglia non è attualmente in programma - ha dichiarato di recente Djokovic, che dopo aver perso contro Sinner a Wimbledon ha scelto Mykonos come meta per qualche giorno di relax -. Ma in futuro potrebbe accadere». https://www.corriere.it/sport/tennis/25_agosto_14/djokovic-si-schiera-contro-il-presidente-serbo-8b9a6411-875a-49d1-9fd2-828af1253xlk.shtml
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    Djokovic si schiera contro il presidente serbo. E sposta il torneo da lui organizzato da Belgrado ad Atene
    Da tempo Nole è critico verso il governo del suo Paese, mentre appoggia il movimento studentesco. E ha minacciato anche di lasciare per sempre la Serbia
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  • Developing AI apps used to require large investments and top-tier talent. Now, with open-source tools, pre-trained models, and no-code/low-code platforms, AI development is more accessible than ever. Build smart apps quickly and affordably, no data science team required.

    https://medium.com/@jennifergraner5665/9-game-changing-ai-app-ideas-for-startups-in-2025-a3a9d3a6d84d

    #AIDevelopment #NoCodeAI #OpenSourceAI #TechInnovation #AccessibleAI #TechMadeSimple
    Developing AI apps used to require large investments and top-tier talent. Now, with open-source tools, pre-trained models, and no-code/low-code platforms, AI development is more accessible than ever.💡 Build smart apps quickly and affordably, no data science team required. https://medium.com/@jennifergraner5665/9-game-changing-ai-app-ideas-for-startups-in-2025-a3a9d3a6d84d #AIDevelopment #NoCodeAI #OpenSourceAI #TechInnovation #AccessibleAI #TechMadeSimple
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