• DIAMO AI PALESTINESI CHE NON HANNO PIU' NULLA LA POSSIBILITA' di RICOSTRUIRSI UNA PROPRIA VITA!
    Idf iniziano ritiro da Gaza dopo il via libera di Netanyahu alla tregua. Trump: "Ostaggi liberi entro martedì. Manderemo 200 soldati" - Il Fatto Quotidiano
    Le ultime novità sulla pace tra Israele e Hamas in diretta...
    Con l’approvazione dell’accordo da parte del governo israeliano, è entrato subito in vigore il cessate il fuoco a Gaza. Così come prevede il documento siglato in Egitto giovedì mattina e ratificato a mezzanotte e mezzo (ora italiana) dall’esecutivo di Gerusalemme. L’Idf si ritirerà fino alla Linea Gialla indicata nelle mappe dell’accordo entro le prossime 24 ore, al termine delle quali Hamas dovrà rilasciare tutti gli ostaggi vivi entro 72 ore in cambio di circa 2.000 prigionieri di sicurezza palestinesi.

    La maggior parte dei ministri del governo Netanyahu ha votato a favore dell’accordo; si sono opposti i ministri di estrema destra del Partito Sionista Religioso del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, a eccezione del ministro Ofir Sofer che ha votato a favore. Contrari anche tutti i membri del partito ultranazionalista Otzma Yehudit. L’esercito israeliano si ritirerà ora su nuove linee all’interno della Striscia di Gaza, mantenendo un dispiegamento che controlla circa il 53% del territorio di Gaza.

    LET'S GIVE THE PALESTINIANS WHO NO LONGER HAVE ANYTHING THE OPPORTUNITY TO REBUILD THEIR OWN LIFE!
    IDF begins withdrawal from Gaza after Netanyahu gives green light to truce. Trump: "Hostages free by Tuesday. We will send 200 soldiers" - Il Fatto Quotidiano
    The latest news on peace between Israel and Hamas live...
    With the approval of the agreement by the Israeli government, the ceasefire in Gaza immediately came into force. As envisaged by the document signed in Egypt on Thursday morning and ratified at half past midnight (Italian time) by the Jerusalem executive. The IDF will withdraw to the Yellow Line indicated in the agreement's maps within the next 24 hours, after which Hamas must release all live hostages within 72 hours in exchange for approximately 2,000 Palestinian security prisoners.

    Most ministers in Netanyahu's government voted in favor of the agreement; the far-right ministers of Finance Minister Bezalel Smotrich's Religious Zionist Party opposed it, with the exception of Minister Ofir Sofer who voted in favor. All members of the ultranationalist Otzma Yehudit party are also against it. The Israeli army will now retreat to new lines inside the Gaza Strip, maintaining a deployment that controls around 53% of Gaza's territory.

    https://www.ilfattoquotidiano.it/live-post/2025/10/10/gaza-israele-approva-il-piano-di-pace-con-hamas-trump-ostaggi-liberi-entro-martedi-manderemo-200-soldati/8155604/
    DIAMO AI PALESTINESI CHE NON HANNO PIU' NULLA LA POSSIBILITA' di RICOSTRUIRSI UNA PROPRIA VITA! Idf iniziano ritiro da Gaza dopo il via libera di Netanyahu alla tregua. Trump: "Ostaggi liberi entro martedì. Manderemo 200 soldati" - Il Fatto Quotidiano Le ultime novità sulla pace tra Israele e Hamas in diretta... Con l’approvazione dell’accordo da parte del governo israeliano, è entrato subito in vigore il cessate il fuoco a Gaza. Così come prevede il documento siglato in Egitto giovedì mattina e ratificato a mezzanotte e mezzo (ora italiana) dall’esecutivo di Gerusalemme. L’Idf si ritirerà fino alla Linea Gialla indicata nelle mappe dell’accordo entro le prossime 24 ore, al termine delle quali Hamas dovrà rilasciare tutti gli ostaggi vivi entro 72 ore in cambio di circa 2.000 prigionieri di sicurezza palestinesi. La maggior parte dei ministri del governo Netanyahu ha votato a favore dell’accordo; si sono opposti i ministri di estrema destra del Partito Sionista Religioso del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, a eccezione del ministro Ofir Sofer che ha votato a favore. Contrari anche tutti i membri del partito ultranazionalista Otzma Yehudit. L’esercito israeliano si ritirerà ora su nuove linee all’interno della Striscia di Gaza, mantenendo un dispiegamento che controlla circa il 53% del territorio di Gaza. LET'S GIVE THE PALESTINIANS WHO NO LONGER HAVE ANYTHING THE OPPORTUNITY TO REBUILD THEIR OWN LIFE! IDF begins withdrawal from Gaza after Netanyahu gives green light to truce. Trump: "Hostages free by Tuesday. We will send 200 soldiers" - Il Fatto Quotidiano The latest news on peace between Israel and Hamas live... With the approval of the agreement by the Israeli government, the ceasefire in Gaza immediately came into force. As envisaged by the document signed in Egypt on Thursday morning and ratified at half past midnight (Italian time) by the Jerusalem executive. The IDF will withdraw to the Yellow Line indicated in the agreement's maps within the next 24 hours, after which Hamas must release all live hostages within 72 hours in exchange for approximately 2,000 Palestinian security prisoners. Most ministers in Netanyahu's government voted in favor of the agreement; the far-right ministers of Finance Minister Bezalel Smotrich's Religious Zionist Party opposed it, with the exception of Minister Ofir Sofer who voted in favor. All members of the ultranationalist Otzma Yehudit party are also against it. The Israeli army will now retreat to new lines inside the Gaza Strip, maintaining a deployment that controls around 53% of Gaza's territory. https://www.ilfattoquotidiano.it/live-post/2025/10/10/gaza-israele-approva-il-piano-di-pace-con-hamas-trump-ostaggi-liberi-entro-martedi-manderemo-200-soldati/8155604/
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  • Centurion Group delivers luxury farmhouses & lake-plots near Jewar Airport along the Yamuna Expressway. Located just 3 km from Yamuna Expressway and 40 km from the Noida/Greater Noida IT hub.

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  • ORRORE SENZA FINE!
    Le testimonianze drammatiche degli operatori MSF sotto le bombe di Gaza
    Fame, bombardamenti e migliaia di bambini amputati: le voci di Tanya e Rosa raccontano l'inferno quotidiano di Gaza.

    Non guardare. Decine e decine di cadaveri disseminati sui lati della strada: sembrano marcire per terra. Si alza la polvere. Avvolge tutto. Macerie davanti, dietro. Di colpo ritornano quell’odore, quando il sangue si raggruma e si fa nero, e la puzza delle fogne. Il rumore dei carri di legno trasportati dagli asini, carichi di corpi flaccidi e sporchi di gesso, misto al gemito dei motori diesel dei blindati, con i soldati israeliani a bordo. Sotto, il ronzio dei droni. “Oggi in ospedale dovevo gridare per sentire la mia voce, i droni erano assordanti”, racconta al Fatto prima che internet salti per tutto il giorno Rosa Mazzone, amministratrice di missione per Medici Senza Frontiere a Deir al-Balah, dove attualmente l’ong ha uno dei suoi due ospedali da campo. “Qui stanno arrivando le persone che scappano dall’offensiva del nord. La scorsa settimana abbiamo soccorso nelle cliniche dove operiamo oltre 3.600 persone, pazienti che pochi giorni fa erano nelle terapie intensive al nord, che mai sarebbero dovuti essere dimessi, che sono stati caricati dalle loro famiglie su carretti e trasportati in ospedali che non riescono ad accoglierli né curarli. Ci sono moltissimi feriti di guerra con infezioni e siamo senza antibiotici, garze sterili, mancano tutte le forniture mediche essenziali bloccate al confine dalle autorità israeliane”. La medicazione delle amputazioni – nei 18 ospedali funzionanti (erano 36) al limite del collasso e che continuano a subire attacchi mirati – è diventata la principale attività medica. “Abbiamo aumentato i posti posti letto, siamo determinati ma affranti”, prosegue Rosa. “Nel nord abbiamo dovuto chiudere le nostre cliniche, avevamo i blindati a pochi metri…”. Anche la Croce Rossa, dopo MSF, pochi giorni fa è stata costretta a fare la stessa cosa. “Da due anni si susseguono i bombardamenti, gli sfollamenti, la carestia, gli attacchi agli ospedali, altri bombardamenti, altri sfollamenti. Ci chiediamo: ma i leader mondiali che aspettano? Da mesi, mesi e mesi servono due cose: cessate il fuoco immediato e duraturo e un massiccio ingresso di aiuti in tutta la Striscia”.

    Il blocco degli aiuti umanitari e alimentari, imposto a Gaza dal 2 marzo scorso, sta riducendo i palestinesi a una dipendenza. Per mangiare, devono strisciare verso i loro assassini e mendicare. Umiliati, terrorizzati, disperati per pochi brandelli di cibo, sono privati della dignità, dell’autonomia e della libertà di agire. “Non esiste un caso, dalla Seconda guerra mondiale, in cui un’intera popolazione sia stata ridotta alla fame estrema e all’indigenza con tale rapidità”, ha scritto sul Guardian Alex de Waal, direttore esecutivo della World Peace Foundation. Chi sta morendo di fame non ha abbastanza calorie per sostenersi. In preda alla disperazione, inizia a mangiare erba o foglie se le trova, insetti, topi, sporcizia. Strappa piccoli pezzi di cibo, spesso avariato, e li raziona. Soffre di diarrea e di infezioni respiratorie. Si abbassa il livello di ossigeno dai polmoni al corpo. Diventa anemico. I muscoli deperiscono. I reni si bloccano. Il sistema immunitario impazzisce. E malattie infettive come tifo o tubercolosi finiscono quel che resta di corpi scheletrici che vagano come zombie. In cerca di cibo e acqua. Con occhi svuotati, vitrei.

    “Negli ultimi anni sono stata in missione nella Striscia molte volte, l’ultima a marzo”, spiega Tanya Haj-Hassan, pediatra statunitense specializzata in terapia intensiva che lavora con MSF e con Medical Aid for Palestinians UK, in questi giorni in visita in diversi Paesi per raccontare come l’umanità sia morta a Gaza. Le sue parole e lacrime al Forum delle Nazioni Unite, l’anno scorso, fecero il giro del mondo. “A Gaza i bambini vengono uccisi e mutilati a un ritmo mai visto: sono la più grande popolazione di amputati pediatrici della storia”. Tanya ricorda quelli che hanno vissuto abbastanza da incrociare la sua missione. Pensa ad Amer, 13 anni, con una grave lesione al collo dopo il bombardamento della sua casa. Continuava a chiamare la sorella, senza riconoscerla nel letto accanto: era bruciata viva. Pensa ad Aline, sette mesi, sopravvissuta a stento, mentre i suoi genitori cercavano di proteggerla. Poi, la bomba. “Le ciglia e i capelli bruciacchiati, la pelle intrisa dell’odore acre delle armi fornite e finanziate dall’Occidente, si stringeva a me in terapia intensiva. Sua madre, suo padre e la sorellina di cinque anni tutti morti. E lei è rimasta orfana a sette mesi. Come mi ha detto un medico di Gaza, quando gli ho chiesto cosa volesse che raccontassi al mondo: ‘La gente là fuori ha visto davvero i corpi carbonizzati dei bambini? Io non riesco a capirlo’.”

    Negli ultimi due anni, gli operatori sanitari che hanno prestato volontariato a Gaza hanno lanciato senza sosta appelli e testimonianze ai media, ai governi nazionali, agli organismi internazionali. Nulla è cambiato. In questa striscia di terra e macerie, sono stati uccisi in 1.600: il 2024 è stato l’anno più letale per chi decide di aiutare semplicemente chi va aiutato, come amava ripetere Gino Strada. “Vi dico: continuate a mobilitarvi per Gaza. Da qui vi vediamo e ci sentiamo meno soli”. La voce di Rosa da Deir al-Balah arriva, forte. Poi, però, la comunicazione si interrompe.

    MASSIMA DIFFUSIONE!

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/10/06/msf-gaza-testimonianze-crisi-umanitaria-oggi/8150850/
    ORRORE SENZA FINE! Le testimonianze drammatiche degli operatori MSF sotto le bombe di Gaza Fame, bombardamenti e migliaia di bambini amputati: le voci di Tanya e Rosa raccontano l'inferno quotidiano di Gaza. Non guardare. Decine e decine di cadaveri disseminati sui lati della strada: sembrano marcire per terra. Si alza la polvere. Avvolge tutto. Macerie davanti, dietro. Di colpo ritornano quell’odore, quando il sangue si raggruma e si fa nero, e la puzza delle fogne. Il rumore dei carri di legno trasportati dagli asini, carichi di corpi flaccidi e sporchi di gesso, misto al gemito dei motori diesel dei blindati, con i soldati israeliani a bordo. Sotto, il ronzio dei droni. “Oggi in ospedale dovevo gridare per sentire la mia voce, i droni erano assordanti”, racconta al Fatto prima che internet salti per tutto il giorno Rosa Mazzone, amministratrice di missione per Medici Senza Frontiere a Deir al-Balah, dove attualmente l’ong ha uno dei suoi due ospedali da campo. “Qui stanno arrivando le persone che scappano dall’offensiva del nord. La scorsa settimana abbiamo soccorso nelle cliniche dove operiamo oltre 3.600 persone, pazienti che pochi giorni fa erano nelle terapie intensive al nord, che mai sarebbero dovuti essere dimessi, che sono stati caricati dalle loro famiglie su carretti e trasportati in ospedali che non riescono ad accoglierli né curarli. Ci sono moltissimi feriti di guerra con infezioni e siamo senza antibiotici, garze sterili, mancano tutte le forniture mediche essenziali bloccate al confine dalle autorità israeliane”. La medicazione delle amputazioni – nei 18 ospedali funzionanti (erano 36) al limite del collasso e che continuano a subire attacchi mirati – è diventata la principale attività medica. “Abbiamo aumentato i posti posti letto, siamo determinati ma affranti”, prosegue Rosa. “Nel nord abbiamo dovuto chiudere le nostre cliniche, avevamo i blindati a pochi metri…”. Anche la Croce Rossa, dopo MSF, pochi giorni fa è stata costretta a fare la stessa cosa. “Da due anni si susseguono i bombardamenti, gli sfollamenti, la carestia, gli attacchi agli ospedali, altri bombardamenti, altri sfollamenti. Ci chiediamo: ma i leader mondiali che aspettano? Da mesi, mesi e mesi servono due cose: cessate il fuoco immediato e duraturo e un massiccio ingresso di aiuti in tutta la Striscia”. Il blocco degli aiuti umanitari e alimentari, imposto a Gaza dal 2 marzo scorso, sta riducendo i palestinesi a una dipendenza. Per mangiare, devono strisciare verso i loro assassini e mendicare. Umiliati, terrorizzati, disperati per pochi brandelli di cibo, sono privati della dignità, dell’autonomia e della libertà di agire. “Non esiste un caso, dalla Seconda guerra mondiale, in cui un’intera popolazione sia stata ridotta alla fame estrema e all’indigenza con tale rapidità”, ha scritto sul Guardian Alex de Waal, direttore esecutivo della World Peace Foundation. Chi sta morendo di fame non ha abbastanza calorie per sostenersi. In preda alla disperazione, inizia a mangiare erba o foglie se le trova, insetti, topi, sporcizia. Strappa piccoli pezzi di cibo, spesso avariato, e li raziona. Soffre di diarrea e di infezioni respiratorie. Si abbassa il livello di ossigeno dai polmoni al corpo. Diventa anemico. I muscoli deperiscono. I reni si bloccano. Il sistema immunitario impazzisce. E malattie infettive come tifo o tubercolosi finiscono quel che resta di corpi scheletrici che vagano come zombie. In cerca di cibo e acqua. Con occhi svuotati, vitrei. “Negli ultimi anni sono stata in missione nella Striscia molte volte, l’ultima a marzo”, spiega Tanya Haj-Hassan, pediatra statunitense specializzata in terapia intensiva che lavora con MSF e con Medical Aid for Palestinians UK, in questi giorni in visita in diversi Paesi per raccontare come l’umanità sia morta a Gaza. Le sue parole e lacrime al Forum delle Nazioni Unite, l’anno scorso, fecero il giro del mondo. “A Gaza i bambini vengono uccisi e mutilati a un ritmo mai visto: sono la più grande popolazione di amputati pediatrici della storia”. Tanya ricorda quelli che hanno vissuto abbastanza da incrociare la sua missione. Pensa ad Amer, 13 anni, con una grave lesione al collo dopo il bombardamento della sua casa. Continuava a chiamare la sorella, senza riconoscerla nel letto accanto: era bruciata viva. Pensa ad Aline, sette mesi, sopravvissuta a stento, mentre i suoi genitori cercavano di proteggerla. Poi, la bomba. “Le ciglia e i capelli bruciacchiati, la pelle intrisa dell’odore acre delle armi fornite e finanziate dall’Occidente, si stringeva a me in terapia intensiva. Sua madre, suo padre e la sorellina di cinque anni tutti morti. E lei è rimasta orfana a sette mesi. Come mi ha detto un medico di Gaza, quando gli ho chiesto cosa volesse che raccontassi al mondo: ‘La gente là fuori ha visto davvero i corpi carbonizzati dei bambini? Io non riesco a capirlo’.” Negli ultimi due anni, gli operatori sanitari che hanno prestato volontariato a Gaza hanno lanciato senza sosta appelli e testimonianze ai media, ai governi nazionali, agli organismi internazionali. Nulla è cambiato. In questa striscia di terra e macerie, sono stati uccisi in 1.600: il 2024 è stato l’anno più letale per chi decide di aiutare semplicemente chi va aiutato, come amava ripetere Gino Strada. “Vi dico: continuate a mobilitarvi per Gaza. Da qui vi vediamo e ci sentiamo meno soli”. La voce di Rosa da Deir al-Balah arriva, forte. Poi, però, la comunicazione si interrompe. MASSIMA DIFFUSIONE! https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/10/06/msf-gaza-testimonianze-crisi-umanitaria-oggi/8150850/
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    Le testimonianze drammatiche degli operatori MSF sotto le bombe di Gaza
    Fame, bombardamenti e migliaia di bambini amputati: le voci di Tanya e Rosa raccontano l'inferno quotidiano di Gaza
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  • S.O.S. COMUNICAZIONE URGENTISSIMA E IMPORTANTE : FERMIAMO LO SCANDALO EDILIZIO PIÙ IMPORTANTE DELLA STORIA DI MILANO , LA (S)VENDITA DI SAN SIRO E DELLE AREE CIRCOSTANTI

    Carissime e carissimi,
    come saprete da stampa e TV in Consiglio Comunale è stata approvata la Delibera che prevede la più grande operazione di (S)vendita di un bene pubblico della storia di Milano. Lo Stadio Meazza e l’area circostante di oltre 280.000 mq verranno acquistati da Fondi finanziari esteri, proprietari di Inter e Milan, che vogliono demolirlo per fare spazio ad una speculazione edilizia di enormi proporzioni oltre a costruire un nuovo stadio al posto del Parco dei Capitani a 74 mt (= 80 PASSI) dalle abitazioni dei residenti.
    Per fermare la devastazione e il saccheggio del nostro quartiere è INDISPENSABILE fare un nuovo ricorso al TAR contro la vergognosa vendita del Meazza per demolirlo e raccogliere ancora firme e soldi per l’avvocato in base alle vostre possibilità.
    La Delibera confusa, contraddittoria e piena di lacune, presenta molti punti attaccabili e va impugnata prima del Rogito tra Comune e Fondi in modo da consentire che la Soprintendenza possa apporre il Vincolo .
    IN QUESTO MOMENTO PER PRIMA COSA SONO URGENTISSIME LE FIRME DELLE DELEGHE DEI RESIDENTI CORREDATE DA UNA FOTOCOPIA DELLA CI.
    Per questo vi invitiamo LUNEDI 13 dalle 17 alle 19 al ristorante la Barchetta di via Tesio dove due Avvocati raccoglieranno le deleghe per il nostro legale Stefano Nespor che ha già fatto i precedenti ricorsi pendenti al TAR, perché il Comune continua a cambiare “strumenti” amministrativi per arrivare alla vendita il prima possibile e aggirare tutte le norme possibili e immaginabili previste in questi casi.
    Se non vogliamo che il nostro quartiere diventi invivibile, con cantieri per 10 anni e polveri cariche di amianto, piombo e altre sostanze tossiche rilasciate durante la demolizione del Meazza, mettendo a rischio la salute nostra, dei nostri figli, degli anziani e dei fragili, VI INVITO AD ADERIRE SOLLECITAMENTE A QUESTO NUOVO RICORSO.
    Se lasciamo che scadano i tempi tecnici sarà tutto inutile e la nostra vita e la nostra salute diventeranno un incubo
    Per quanto riguarda i soldi per questo nuovo ricorso è possibile partecipare al crowdfunding oppure fare un versamento sul c/c dell’Associazione GVSS per bloccare la demolizione e difendere il quartiere San Siro la nostra salute e la storia di Milano.
    1) Crowdfunding https://gofund.me/eb10c45d
    (Puoi contribuire senza lasciare il 10% alla piattaforma scegliendo l’opzione “Altro”)

    2) Bonifico IBAN: IT98Q 050340 17560000 00006388 Intestato: Associazione Gruppo Verde San Siro - Causale: Contributo per ricorso al TAR contro il progetto nuovo stadio a San Siro 2025
    Per ulteriori informazioni, contattatemi.
    Grazie.
    silvana

    ALL VOLANTINO PER IL PASSAPAROLA
    S.O.S. COMUNICAZIONE URGENTISSIMA E IMPORTANTE : FERMIAMO LO SCANDALO EDILIZIO PIÙ IMPORTANTE DELLA STORIA DI MILANO , LA (S)VENDITA DI SAN SIRO E DELLE AREE CIRCOSTANTI Carissime e carissimi, come saprete da stampa e TV in Consiglio Comunale è stata approvata la Delibera che prevede la più grande operazione di (S)vendita di un bene pubblico della storia di Milano. Lo Stadio Meazza e l’area circostante di oltre 280.000 mq verranno acquistati da Fondi finanziari esteri, proprietari di Inter e Milan, che vogliono demolirlo per fare spazio ad una speculazione edilizia di enormi proporzioni oltre a costruire un nuovo stadio al posto del Parco dei Capitani a 74 mt (= 80 PASSI) dalle abitazioni dei residenti. Per fermare la devastazione e il saccheggio del nostro quartiere è INDISPENSABILE fare un nuovo ricorso al TAR contro la vergognosa vendita del Meazza per demolirlo e raccogliere ancora firme e soldi per l’avvocato in base alle vostre possibilità. La Delibera confusa, contraddittoria e piena di lacune, presenta molti punti attaccabili e va impugnata prima del Rogito tra Comune e Fondi in modo da consentire che la Soprintendenza possa apporre il Vincolo . IN QUESTO MOMENTO PER PRIMA COSA SONO URGENTISSIME LE FIRME DELLE DELEGHE DEI RESIDENTI CORREDATE DA UNA FOTOCOPIA DELLA CI. Per questo vi invitiamo LUNEDI 13 dalle 17 alle 19 al ristorante la Barchetta di via Tesio dove due Avvocati raccoglieranno le deleghe per il nostro legale Stefano Nespor che ha già fatto i precedenti ricorsi pendenti al TAR, perché il Comune continua a cambiare “strumenti” amministrativi per arrivare alla vendita il prima possibile e aggirare tutte le norme possibili e immaginabili previste in questi casi. Se non vogliamo che il nostro quartiere diventi invivibile, con cantieri per 10 anni e polveri cariche di amianto, piombo e altre sostanze tossiche rilasciate durante la demolizione del Meazza, mettendo a rischio la salute nostra, dei nostri figli, degli anziani e dei fragili, VI INVITO AD ADERIRE SOLLECITAMENTE A QUESTO NUOVO RICORSO. Se lasciamo che scadano i tempi tecnici sarà tutto inutile e la nostra vita e la nostra salute diventeranno un incubo Per quanto riguarda i soldi per questo nuovo ricorso è possibile partecipare al crowdfunding oppure fare un versamento sul c/c dell’Associazione GVSS per bloccare la demolizione e difendere il quartiere San Siro la nostra salute e la storia di Milano. 1) Crowdfunding https://gofund.me/eb10c45d (Puoi contribuire senza lasciare il 10% alla piattaforma scegliendo l’opzione “Altro”) 2) Bonifico IBAN: IT98Q 050340 17560000 00006388 Intestato: Associazione Gruppo Verde San Siro - Causale: Contributo per ricorso al TAR contro il progetto nuovo stadio a San Siro 2025 Per ulteriori informazioni, contattatemi. Grazie. silvana ALL VOLANTINO PER IL PASSAPAROLA
    GOFUND.ME
    Fermiamo l'abbattimento del Meazza!, organized by AGVSS Associazione Gruppo Verde San Siro
    RISTRUTTURIAMO INSIEME LO STADIO DI SAN SIRO! Lo Stadio d… AGVSS Associazione Gruppo Verde San Siro ha bisogno del tuo sostegno per Fermiamo l'abbattimento del Meazza!
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  • CHE FACCIA DI TOLLA!
    Startup, l'allarme di Ursula von der Leyen: «In Ue non mancano i soldi ma capitale di rischio ed equity. Ora dobbiamo recuperare terreno» - StartupItalia
    La presidente è intervenuta anche su incentivi e nuove soluzioni innovative in materia di IA per ospedali e aziende farmaceutiche e sostegno all'industria automobilistica italiana...
    https://startupitalia.eu/startup/von-der-leyen-ue-capitali-rischia-startup/
    CHE FACCIA DI TOLLA! Startup, l'allarme di Ursula von der Leyen: «In Ue non mancano i soldi ma capitale di rischio ed equity. Ora dobbiamo recuperare terreno» - StartupItalia La presidente è intervenuta anche su incentivi e nuove soluzioni innovative in materia di IA per ospedali e aziende farmaceutiche e sostegno all'industria automobilistica italiana... https://startupitalia.eu/startup/von-der-leyen-ue-capitali-rischia-startup/
    STARTUPITALIA.EU
    Startup, l'allarme di Ursula von der Leyen: «In Ue non mancano i soldi ma capitale di rischio ed equity. Ora dobbiamo recuperare terreno» - StartupItalia
    La presidente è intervenuta anche su incentivi e nuove soluzioni innovative in materia di IA per ospedali e aziende farmaceutiche e sostegno all'industria automobilistica italiana
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  • CONSIDERAZIONI
    Questo articolo dimostra quanto abbiamo già spiegato da mesi se non da un paio d'anni: Hamas agisce su richiesta di Netanyahu, è una creatura di Israele, alimentata con i soldi del Qatar attraverso Netanyahu, come hanno già scritto giornali come Haaretz ... Il 7 ottobre Hamas entra, quando alcuni soldati IDF avevano ricevuto l'ordine di non monitorare il confine. A lavoro fatto, Hamas diventa inutile e viene tolto di mezzo. Il reato di alto tradimento non resterà a lungo solo una mera ipotesi.

    Israele, la moglie dell’ex capo IDF Herzi Halevi: "Il 7 ottobre 2023 mio marito è uscito prima delle 7 dicendomi 'Gaza sarà distrutta'" - VIDEO
    Emergono sempre più elementi che dimostrerebbero che "Israele era a conoscenza dell'attacco del 7 ottobre e non fece nulla per avere la scusa per attaccare Gaza"; il soldato Shalom Sheetrit: “Abbiamo ricevuto l’ordine dai comandanti della Brigata Golani il 7 ottobre di sospendere tutti i pattugliamenti lungo il confine di Gaza dalle 5:20 alle 9:00”

    Sharon Halevi, moglie dell’ex capo dell’IDF Herzi Halevi, ha rivelato in un’intervista alla trasmissione “U’Vacharta Ba’Chayim” che il 7 ottobre 2023, dunque nel giorno dell'attacco di Hamas, suo marito "se ne è andato presto, molto prima delle 7... ha baciato la mezuzah e mi detto “Gaza sarà distrutta”... Mi sono davvero spaventato quando l’ha detto, perché sapevo che era vero. Lui non si ricorda di averlo detto".

    Perché l'ex capo dell'Idf ha detto quelle parole proprio nel giorno dell'attacco di Hamas ed è uscito presto? Nell'ultimo anno, sono emersi sempre più report secondo cui Israele sarebbe stato a conoscenza dell'attacco di Hamas, ma non avrebbe fatto nulla per impedirlo, trovando così la "scusa" per poter attaccare Gaza e attuando un piano che era stato creato molto tempo prima.

    https://www.ilgiornaleditalia.it/video/esteri/736246/israele-moglie-ex-capo-idf-herzi-halevi-7-ottobre-2023-marito-gaza-distrutta-video.html

    ❗️Che cosa è l'imperialismo esoterico? Perché le élite ricorrono sistematicamente alla magia e alla tecnologia per il dominio geopolitico?
    Nel Rinascimento nasce una vera e propria «fratellanza saturniana», volta a mantenere in eterno il proprio potere e la propria ricchezza attraverso riti magici e teurgici nelle loro forme più arcaiche e violente, incanalando l’energia draconiana, il potere che deriva dal serpente-dragone, cioè, da «Ba’al Hammon, noto anche come Kronos e Saturno, ma più notoriamente come il biblico Moloch, il divoratore di bambini», conosciuto anche come Remphan e Kiyyun.

    «Difficile fare a meno di questo volume, una volta letto. La percezione della storia della cultura e della religione europea e occidentale non sarà più la stessa» (G. M. Prati).

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    Prima che qualcuno decida che sia "troppo per te".

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    CONSIDERAZIONI Questo articolo dimostra quanto abbiamo già spiegato da mesi se non da un paio d'anni: Hamas agisce su richiesta di Netanyahu, è una creatura di Israele, alimentata con i soldi del Qatar attraverso Netanyahu, come hanno già scritto giornali come Haaretz ... Il 7 ottobre Hamas entra, quando alcuni soldati IDF avevano ricevuto l'ordine di non monitorare il confine. A lavoro fatto, Hamas diventa inutile e viene tolto di mezzo. Il reato di alto tradimento non resterà a lungo solo una mera ipotesi. Israele, la moglie dell’ex capo IDF Herzi Halevi: "Il 7 ottobre 2023 mio marito è uscito prima delle 7 dicendomi 'Gaza sarà distrutta'" - VIDEO Emergono sempre più elementi che dimostrerebbero che "Israele era a conoscenza dell'attacco del 7 ottobre e non fece nulla per avere la scusa per attaccare Gaza"; il soldato Shalom Sheetrit: “Abbiamo ricevuto l’ordine dai comandanti della Brigata Golani il 7 ottobre di sospendere tutti i pattugliamenti lungo il confine di Gaza dalle 5:20 alle 9:00” Sharon Halevi, moglie dell’ex capo dell’IDF Herzi Halevi, ha rivelato in un’intervista alla trasmissione “U’Vacharta Ba’Chayim” che il 7 ottobre 2023, dunque nel giorno dell'attacco di Hamas, suo marito "se ne è andato presto, molto prima delle 7... ha baciato la mezuzah e mi detto “Gaza sarà distrutta”... Mi sono davvero spaventato quando l’ha detto, perché sapevo che era vero. Lui non si ricorda di averlo detto". Perché l'ex capo dell'Idf ha detto quelle parole proprio nel giorno dell'attacco di Hamas ed è uscito presto? Nell'ultimo anno, sono emersi sempre più report secondo cui Israele sarebbe stato a conoscenza dell'attacco di Hamas, ma non avrebbe fatto nulla per impedirlo, trovando così la "scusa" per poter attaccare Gaza e attuando un piano che era stato creato molto tempo prima. https://www.ilgiornaleditalia.it/video/esteri/736246/israele-moglie-ex-capo-idf-herzi-halevi-7-ottobre-2023-marito-gaza-distrutta-video.html ❗️Che cosa è l'imperialismo esoterico? Perché le élite ricorrono sistematicamente alla magia e alla tecnologia per il dominio geopolitico? Nel Rinascimento nasce una vera e propria «fratellanza saturniana», volta a mantenere in eterno il proprio potere e la propria ricchezza attraverso riti magici e teurgici nelle loro forme più arcaiche e violente, incanalando l’energia draconiana, il potere che deriva dal serpente-dragone, cioè, da «Ba’al Hammon, noto anche come Kronos e Saturno, ma più notoriamente come il biblico Moloch, il divoratore di bambini», conosciuto anche come Remphan e Kiyyun. 👀 «Difficile fare a meno di questo volume, una volta letto. La percezione della storia della cultura e della religione europea e occidentale non sarà più la stessa» (G. M. Prati). 🔎 Scopri il lato più inquietante della filosofia magica rinascimentale. 📕 Acquista ora "Le Radici del Male da Platone a Dugin. Illuminati, magia e potere" 👉 QUI ⚠️ Prima che qualcuno decida che sia "troppo per te". Seguici su 👉 https://t.me/chaosmega
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    Emergono sempre più elementi che dimostrerebbero che "Israele era a conoscenza dell'attacco del 7 ottobre e non fece nulla per avere la scusa per attaccare Gaza"; il soldato Shalom Sheetrit: “Abbiamo ricevuto l’ordine dai comandanti della Brigata Golani il 7 ottobre di s...
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  • Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane
    Il Cremlino risponderà all’idea del cancelliere tedesco Merz di utilizzare le riserve congelate russe per finanziare l’Ucraina: ecco che cosa ha in mente lo Zar (e cosa rischia l’Italia...

    la newsletter
    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane
    di Federico Fubini

    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, così Putin mette le mani su 150 miliardi di dollari
    Vladimir Putin (a destra) con Sergei Lavrov

    (Questo articolo è tratto dalla newsletter Whatever it takes ad opera di Federico Fubini, se vuoi iscriverti clicca qui)

    Si è udito un silenzio irreale da Mosca dopo che il cancelliere tedesco Friedrich Merz, per la prima volta, ha messo la sua firma su una decisione che sta prendendo forma: usare le riserve congelate della Russia per finanziare l’Ucraina, dapprima mobilitando 170 miliardi di euro e alla lunga ben oltre duecento. La vicenda dei fondi di Mosca risale ai primi giorni della guerra totale all’Ucraina, quando i leader del G7 bloccarono quei conti in dollari, euro, sterline e yen e li sottrassero alla disponibilità di Vladimir Putin (foto sotto). Ho scritto sul “Corriere” (qui, qui e qui, con Mara Gergolet) dei modi in cui questo può accadere, a partire dal G7 dei ministri delle Finanze già previsto mercoledì. Si può ipotizzare che la decisione diventi esecutiva fra marzo e aprile prossimi.

    La risposta del Cremlino
    Ora però mi interessano altri aspetti, perché quel silenzio di Mosca è ingannevole. Il Cremlino risponderà. Prenderà di mira e confischerà i conti e probabilmente anche i beni fisici delle aziende attive in Russia dei Paesi che dovessero partecipare all’intervento sulle riserve – incluse almeno una sessantina di imprese italiane – se questa decisione sarà confermata. La tensione tra Mosca e i governi europei, già altissima, non farà che crescere ancora.

    Le ritorsioni
    Dirò più sotto perché temo che tutto ciò sia inevitabile e perché gli averi delle aziende europee in Russia già oggi sono probabilmente irrecuperabili; quindi, non è il momento per italiani, francesi, tedeschi o britannici di farsi intimidire dalle minacce di ritorsioni. Il senso di ciò che sta accadendo è sempre più chiaro. La ritirata degli Stati Uniti dal conflitto per scelta di Donald Trump, così come la determinazione di Putin (sostenuto dalla Cina) di perseguire comunque i suoi obiettivi massimi di guerra, stanno spingendo una parte d’Europa verso ciò che per ottant’anni non aveva mai fatto: esporsi sempre di più – con denaro, armi, industria e tecnologie – perché l’Ucraina non ceda; perché Putin non divenga una minaccia sempre maggiore anche per noi stessi.


    Le riserve russe
    Usare le riserve russe è un modo di continuare questo sforzo cercando di prevenire una rivolta dei contribuenti europei, che verrebbe molto presto cavalcata dai populisti di ogni segno. Ma nei fatti la scomparsa dell’America da questo scacchiere accelera un degrado ulteriore nei rapporti tra l’Europa e la Russia, con ricadute anche finanziarie e industriali finora poco comprese. Vediamo.

    Il decreto presidenziale
    Esiste a Mosca, almeno dall’inizio dell’anno, la bozza di un decreto presidenziale che prevede la nazionalizzazione delle attività di aziende di Paesi considerati «non amichevoli». La novità sarebbe solo nella scala – vastissima, macroeconomica – sulla quale tutto ciò potrebbe avvenire. Perché il resto si è già visto tutto. In questi tre anni e mezzo Putin, il suo governo o i giudici da esso controllati hanno già requisito per motivi politici, messo sotto il controllo dello Stato o trasferito a oligarchi amici 103 aziende o proprietà; fra queste le attività russe della francese Danone (trasferite al leader ceceno e signore della guerra Ramzan Kadyrov), quella della danese Carlsberg, della belga InBev, della tedesca Bosch, dell’americana Exxon Mobil e dell’italiana Ariston. Queste ultime erano state addossate a Gazprom, la quale le ha restituite ad Ariston stessa dopo appena sette mesi (succedeva a marzo scorso).

    Il valore dei beni fisici
    Tutto questo molto probabilmente è solo il prologo di ciò che sta per accadere ora, se e quando l’uso per l’Ucraina delle riserve congelate russe diventerà operativo in primavera. Una stima approssimativa che circola negli ambienti di affari legati a Mosca indica che il valore dei beni fisici d’investimento delle società occidentali in Russia sia oggi attorno ai 150 miliardi di dollari; a questi si aggiungono conti bancari di imprese di Paesi “non amichevoli” per altri 150 miliardi di dollari circa.
    Per quanto riguarda le imprese italiane, i conti bancari esposti al sequestro in Russia molto probabilmente custodiscono almeno l’equivalente in rubli di almeno mezzo miliardo di euro; ma si tratta con ogni verosimiglianza di una stima cauta.

    La spinta dell’inflazione
    Spiegherò meglio tra poco, prima però va chiarito perché il valore complessivo dei conti e degli averi delle imprese dei Paesi occidentali in Russia (Giappone politicamente incluso) è così alto. Solo i primi otto gruppi di Paesi “non amichevoli” hanno fatturato in Russia l’equivalente di circa venti miliardi di euro all’ultimo anno dichiarato, spesso il 2023 o il 2024. Il colosso giapponese del tabacco JTI dal 2023 è in testa con vendite per l’equivalente di 4,9 miliardi nel 2023, grazie a un aumento nominale dei fatturati del 40% registrato solo dall’inizio della guerra.

    La spinta dell’inflazione
    JTI ha superato l’americana Philip Morris, diretta concorrente, la quale ha invece fatturato in Russia 4,5 miliardi di euro nel 2023 con un aumento nominale del 12% dall’inizio dell’invasione totale dell’Ucraina. Si tratta di una crescita sospinta in parte da un’inflazione di circa il 20% nei primi due anni del conflitto e dall’accelerazione dei consumi dei russi, perché la spesa militare in quella fase ha creato occupazione e aumentato il potere d’acquisto di milioni di persone.

    I dati
    I dati provengono dalle dichiarazioni fiscali delle imprese stesse all’agenzia delle tasse e all’agenzia statistica russe, raccolti e resi disponibili dalla banca dati Interfax Spark. In questo paradossalmente il governo di Mosca è più trasparente di quelli europei, perché pubblica i dati delle singole aziende (con eccezioni ed esenzioni di natura molto politica).

    Le aziende che hanno lasciato la Russia
    Naturalmente circa 17 mila aziende di Europa, Stati Uniti, Giappone, Australia hanno lasciato la Russia. Anche a costo di essere costrette a vendere a vecchi e nuovi oligarchi locali. Lo hanno fatto ad esempio l'americana McDonald, le tedesche Volkswagen, Mercedes-Benz e Henkel o le italiane Eni ed Enel. Fra i grandi gruppi globali colpiscono, in particolare, due traiettorie.

    Il caso Pepsi
    L’americana Pepsi vede salire i suoi fatturati russi del 58% nei primi tre anni di guerra fino all’equivalente di 2,5 miliardi di euro, proprio mentre da Washington arrivava un pacchetto dopo l’altro di sanzioni (ma non nei beni di consumo come cibi e bevande). E il colosso farmaceutico anglo-svedese Astra-Zeneca, malgrado i rapporti pessimi fra le capitali, dall’inizio del conflitto al 2024 vede quasi triplicare i fatturati fino a un miliardo di euro. Non è chiaro se abbia ricevuto contratti del governo di Mosca nel suo settore, che peraltro è anch’esso del tutto esente dalle sanzioni.

    La curva dei ricavi
    Al confronto le aziende italiane mostrano tendenze simili, ma su una scala molto più modesta. Circa il 70% di quelle che erano presenti prima del 2022 non ha mai lasciato la Russia neanche dopo le sanzioni; e delle 61 imprese di cui è stato possibile reperire le dichiarazioni fiscali su Interfax Spark, 37 avevano fatturati nominali in Russia più alti nel 2024 che prima dell’inizio della guerra. Di una cinquantina di imprese italiane è stato possibile ricostruire l’andamento nel Paese di Vladimir Putin da prima dello scoppio del conflitto totale in Ucraina fino all’anno scorso: il loro fatturato complessivo negli anni di guerra sale del 37%, di una decina di punti in più rispetto all’inflazione locale, fino all’equivalente di 1,7 miliardi di euro nel 2024. L’utile netto aggregato degli anni di guerra è di circa mezzo miliardo di euro, con oltre cento milioni in tasse versate nello stesso periodo al governo di Mosca.

    L’Aperol Spritz
    Quali sono queste imprese? Campari ha una filiale di importazione – non di produzione – che non investe né fa alcuna promozione per crescere, eppure ha visto i fatturati raddoppiare a circa 120 milioni di euro negli anni di guerra per una ragione legata ai paradossi della società russa: mentre i poveri muoiono nel Donbass, nelle élite di Mosca che non possono più viaggiare si è diffusa la moda dell’Aperol Spritz «all'italiana».

    Le italiane, da Chiesi a Barilla e Ferrero
    Crescono molto le farmaceutiche Chiesi e soprattutto Angelini (ma meno di AstraZeneca); decresce in Russia l’impianto di Marcegaglia per acciai di uso civile (700 mila euro di utile in Russia, su un totale di gruppo di quasi duecento milioni nel 2023). Pirelli fattura più di trecento milioni di euro, un risultato che al netto dell’inflazione risulta in frenata dall’inizio della guerra. A queste si aggiungono Cremonini (rifornisce la catena di ex McDonald), Barilla e Ferrero, quest’ultima con un giro d’affari in Russia che resta comunque una frazione dei quasi due miliardi di euro della concorrente americana Mars.

    La presa d'ostaggio
    Nessuna delle imprese che ho citato viola le sanzioni, ma tutte ormai rischiano molto. Spiega The Bell, un quotidiano online molto ben informato sull’economia russa e le dinamiche del potere a Mosca che il governo ha bollato come “agente straniero”: «Gli utili realizzati dalle filiali russe delle aziende (occidentali, ndr.) non possono essere rimpatriati». Dal 2022 devono confluire tutti nei cosiddetti “conti S” fatti istituire dal Cremlino: nella sostanza depositi congelati, così come lo sono le riserve russe in Europa.

    I capitali delle imprese
    Centinaia e centinaia di imprese occidentali non possono disporre dei loro soldi, mentre i profitti e le partecipazioni si accumulano ormai da quasi quattro anni. Di fatto sono stati presi finanziariamente in ostaggio da Putin. Se si aggiunge al conto la quota da circa dieci miliardi di dollari della britannica BP in Rosneft, quella da circa otto miliardi della francese TotalEnergies in Novatek più varie altre e i relativi flussi di dividendi, la stima di conti congelati degli occidentali in Russia per circa 150 miliardi di dollari non suona infondata.

    La fuga inevasa dalla Russia
    Perché tutte queste aziende di tanti Paesi diversi non hanno lasciato la Russia prima? I casi di avidità o opportunismo ci saranno, ma forse non sono molti. Certe imprese sono rimaste perché i loro concorrenti lo facevano (Philip Morris contro JTI). Alcune nel 2022 hanno rinviato l’uscita perché il governo di Mosca imponeva svendite al 50%, per poi scoprire che lo sconto forzoso ora è salito all’80% o al 90%. Altre ancora pensavano che il ritorno di Trump avrebbe portato la pace e il ritiro delle sanzioni. Tutte sono vestigia viventi di un’epoca finita, quella della globalizzazione e del “mondo piatto”, rimaste incagliate in questo tempo di guerra e sanzioni.

    Il ciclo delle ritorsioni
    Putin nel 2022 ha costretto gli europei – che esitavano – a smettere di comprare il gas russo. Oggi è perfettamente capace e deciso a sequestrare gli averi finanziari e materiali delle imprese occidentali, quando l’Europa userà le riserve di Mosca. Per tutte queste imprese ormai non c'è più tempo per tentare di uscire. Per il Cremlino – osserva The Bell – la confisca dell'Occidente sarà una scorciatoia per coprire il crescente deficit di bilancio nel 2026, ma a un prezzo astronomico: con questi espropri la Russia si taglierà fuori dai mercati finanziari internazionali per una generazione a venire, finendo sempre di più nelle mani e alla mercé della Cina.


    I conti S
    Peraltro non potrà estrarre molto denaro dai "conti S", perché la quota liquida è limitata mentre vendere la parte in azioni o obbligazioni può far crollare il mercato di Mosca. Ma Putin accetterà anche questo, pur di servire la sua ossessione di guerra. Per l’Europa cedere al ricatto per salvare i conti russi delle proprie imprese sarebbe comunque un errore. Essi resterebbero comunque congelati per sempre, o almeno fino alla sottomissione dei governi europei agli obiettivi di restaurazione imperiale del Cremlino. Il costo sarebbe ben più alto di qualunque profitto accumulato.


    Source: https://www.corriere.it/economia/finanza/25_settembre_29/russia-ue-nuova-guerra-finanziaria-144a5e5d-82d0-47d6-885e-4646cbfa6xlk_amp.shtml
    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane Il Cremlino risponderà all’idea del cancelliere tedesco Merz di utilizzare le riserve congelate russe per finanziare l’Ucraina: ecco che cosa ha in mente lo Zar (e cosa rischia l’Italia... la newsletter Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane di Federico Fubini Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, così Putin mette le mani su 150 miliardi di dollari Vladimir Putin (a destra) con Sergei Lavrov (Questo articolo è tratto dalla newsletter Whatever it takes ad opera di Federico Fubini, se vuoi iscriverti clicca qui) Si è udito un silenzio irreale da Mosca dopo che il cancelliere tedesco Friedrich Merz, per la prima volta, ha messo la sua firma su una decisione che sta prendendo forma: usare le riserve congelate della Russia per finanziare l’Ucraina, dapprima mobilitando 170 miliardi di euro e alla lunga ben oltre duecento. La vicenda dei fondi di Mosca risale ai primi giorni della guerra totale all’Ucraina, quando i leader del G7 bloccarono quei conti in dollari, euro, sterline e yen e li sottrassero alla disponibilità di Vladimir Putin (foto sotto). Ho scritto sul “Corriere” (qui, qui e qui, con Mara Gergolet) dei modi in cui questo può accadere, a partire dal G7 dei ministri delle Finanze già previsto mercoledì. Si può ipotizzare che la decisione diventi esecutiva fra marzo e aprile prossimi. La risposta del Cremlino Ora però mi interessano altri aspetti, perché quel silenzio di Mosca è ingannevole. Il Cremlino risponderà. Prenderà di mira e confischerà i conti e probabilmente anche i beni fisici delle aziende attive in Russia dei Paesi che dovessero partecipare all’intervento sulle riserve – incluse almeno una sessantina di imprese italiane – se questa decisione sarà confermata. La tensione tra Mosca e i governi europei, già altissima, non farà che crescere ancora. Le ritorsioni Dirò più sotto perché temo che tutto ciò sia inevitabile e perché gli averi delle aziende europee in Russia già oggi sono probabilmente irrecuperabili; quindi, non è il momento per italiani, francesi, tedeschi o britannici di farsi intimidire dalle minacce di ritorsioni. Il senso di ciò che sta accadendo è sempre più chiaro. La ritirata degli Stati Uniti dal conflitto per scelta di Donald Trump, così come la determinazione di Putin (sostenuto dalla Cina) di perseguire comunque i suoi obiettivi massimi di guerra, stanno spingendo una parte d’Europa verso ciò che per ottant’anni non aveva mai fatto: esporsi sempre di più – con denaro, armi, industria e tecnologie – perché l’Ucraina non ceda; perché Putin non divenga una minaccia sempre maggiore anche per noi stessi. Le riserve russe Usare le riserve russe è un modo di continuare questo sforzo cercando di prevenire una rivolta dei contribuenti europei, che verrebbe molto presto cavalcata dai populisti di ogni segno. Ma nei fatti la scomparsa dell’America da questo scacchiere accelera un degrado ulteriore nei rapporti tra l’Europa e la Russia, con ricadute anche finanziarie e industriali finora poco comprese. Vediamo. Il decreto presidenziale Esiste a Mosca, almeno dall’inizio dell’anno, la bozza di un decreto presidenziale che prevede la nazionalizzazione delle attività di aziende di Paesi considerati «non amichevoli». La novità sarebbe solo nella scala – vastissima, macroeconomica – sulla quale tutto ciò potrebbe avvenire. Perché il resto si è già visto tutto. In questi tre anni e mezzo Putin, il suo governo o i giudici da esso controllati hanno già requisito per motivi politici, messo sotto il controllo dello Stato o trasferito a oligarchi amici 103 aziende o proprietà; fra queste le attività russe della francese Danone (trasferite al leader ceceno e signore della guerra Ramzan Kadyrov), quella della danese Carlsberg, della belga InBev, della tedesca Bosch, dell’americana Exxon Mobil e dell’italiana Ariston. Queste ultime erano state addossate a Gazprom, la quale le ha restituite ad Ariston stessa dopo appena sette mesi (succedeva a marzo scorso). Il valore dei beni fisici Tutto questo molto probabilmente è solo il prologo di ciò che sta per accadere ora, se e quando l’uso per l’Ucraina delle riserve congelate russe diventerà operativo in primavera. Una stima approssimativa che circola negli ambienti di affari legati a Mosca indica che il valore dei beni fisici d’investimento delle società occidentali in Russia sia oggi attorno ai 150 miliardi di dollari; a questi si aggiungono conti bancari di imprese di Paesi “non amichevoli” per altri 150 miliardi di dollari circa. Per quanto riguarda le imprese italiane, i conti bancari esposti al sequestro in Russia molto probabilmente custodiscono almeno l’equivalente in rubli di almeno mezzo miliardo di euro; ma si tratta con ogni verosimiglianza di una stima cauta. La spinta dell’inflazione Spiegherò meglio tra poco, prima però va chiarito perché il valore complessivo dei conti e degli averi delle imprese dei Paesi occidentali in Russia (Giappone politicamente incluso) è così alto. Solo i primi otto gruppi di Paesi “non amichevoli” hanno fatturato in Russia l’equivalente di circa venti miliardi di euro all’ultimo anno dichiarato, spesso il 2023 o il 2024. Il colosso giapponese del tabacco JTI dal 2023 è in testa con vendite per l’equivalente di 4,9 miliardi nel 2023, grazie a un aumento nominale dei fatturati del 40% registrato solo dall’inizio della guerra. La spinta dell’inflazione JTI ha superato l’americana Philip Morris, diretta concorrente, la quale ha invece fatturato in Russia 4,5 miliardi di euro nel 2023 con un aumento nominale del 12% dall’inizio dell’invasione totale dell’Ucraina. Si tratta di una crescita sospinta in parte da un’inflazione di circa il 20% nei primi due anni del conflitto e dall’accelerazione dei consumi dei russi, perché la spesa militare in quella fase ha creato occupazione e aumentato il potere d’acquisto di milioni di persone. I dati I dati provengono dalle dichiarazioni fiscali delle imprese stesse all’agenzia delle tasse e all’agenzia statistica russe, raccolti e resi disponibili dalla banca dati Interfax Spark. In questo paradossalmente il governo di Mosca è più trasparente di quelli europei, perché pubblica i dati delle singole aziende (con eccezioni ed esenzioni di natura molto politica). Le aziende che hanno lasciato la Russia Naturalmente circa 17 mila aziende di Europa, Stati Uniti, Giappone, Australia hanno lasciato la Russia. Anche a costo di essere costrette a vendere a vecchi e nuovi oligarchi locali. Lo hanno fatto ad esempio l'americana McDonald, le tedesche Volkswagen, Mercedes-Benz e Henkel o le italiane Eni ed Enel. Fra i grandi gruppi globali colpiscono, in particolare, due traiettorie. Il caso Pepsi L’americana Pepsi vede salire i suoi fatturati russi del 58% nei primi tre anni di guerra fino all’equivalente di 2,5 miliardi di euro, proprio mentre da Washington arrivava un pacchetto dopo l’altro di sanzioni (ma non nei beni di consumo come cibi e bevande). E il colosso farmaceutico anglo-svedese Astra-Zeneca, malgrado i rapporti pessimi fra le capitali, dall’inizio del conflitto al 2024 vede quasi triplicare i fatturati fino a un miliardo di euro. Non è chiaro se abbia ricevuto contratti del governo di Mosca nel suo settore, che peraltro è anch’esso del tutto esente dalle sanzioni. La curva dei ricavi Al confronto le aziende italiane mostrano tendenze simili, ma su una scala molto più modesta. Circa il 70% di quelle che erano presenti prima del 2022 non ha mai lasciato la Russia neanche dopo le sanzioni; e delle 61 imprese di cui è stato possibile reperire le dichiarazioni fiscali su Interfax Spark, 37 avevano fatturati nominali in Russia più alti nel 2024 che prima dell’inizio della guerra. Di una cinquantina di imprese italiane è stato possibile ricostruire l’andamento nel Paese di Vladimir Putin da prima dello scoppio del conflitto totale in Ucraina fino all’anno scorso: il loro fatturato complessivo negli anni di guerra sale del 37%, di una decina di punti in più rispetto all’inflazione locale, fino all’equivalente di 1,7 miliardi di euro nel 2024. L’utile netto aggregato degli anni di guerra è di circa mezzo miliardo di euro, con oltre cento milioni in tasse versate nello stesso periodo al governo di Mosca. L’Aperol Spritz Quali sono queste imprese? Campari ha una filiale di importazione – non di produzione – che non investe né fa alcuna promozione per crescere, eppure ha visto i fatturati raddoppiare a circa 120 milioni di euro negli anni di guerra per una ragione legata ai paradossi della società russa: mentre i poveri muoiono nel Donbass, nelle élite di Mosca che non possono più viaggiare si è diffusa la moda dell’Aperol Spritz «all'italiana». Le italiane, da Chiesi a Barilla e Ferrero Crescono molto le farmaceutiche Chiesi e soprattutto Angelini (ma meno di AstraZeneca); decresce in Russia l’impianto di Marcegaglia per acciai di uso civile (700 mila euro di utile in Russia, su un totale di gruppo di quasi duecento milioni nel 2023). Pirelli fattura più di trecento milioni di euro, un risultato che al netto dell’inflazione risulta in frenata dall’inizio della guerra. A queste si aggiungono Cremonini (rifornisce la catena di ex McDonald), Barilla e Ferrero, quest’ultima con un giro d’affari in Russia che resta comunque una frazione dei quasi due miliardi di euro della concorrente americana Mars. La presa d'ostaggio Nessuna delle imprese che ho citato viola le sanzioni, ma tutte ormai rischiano molto. Spiega The Bell, un quotidiano online molto ben informato sull’economia russa e le dinamiche del potere a Mosca che il governo ha bollato come “agente straniero”: «Gli utili realizzati dalle filiali russe delle aziende (occidentali, ndr.) non possono essere rimpatriati». Dal 2022 devono confluire tutti nei cosiddetti “conti S” fatti istituire dal Cremlino: nella sostanza depositi congelati, così come lo sono le riserve russe in Europa. I capitali delle imprese Centinaia e centinaia di imprese occidentali non possono disporre dei loro soldi, mentre i profitti e le partecipazioni si accumulano ormai da quasi quattro anni. Di fatto sono stati presi finanziariamente in ostaggio da Putin. Se si aggiunge al conto la quota da circa dieci miliardi di dollari della britannica BP in Rosneft, quella da circa otto miliardi della francese TotalEnergies in Novatek più varie altre e i relativi flussi di dividendi, la stima di conti congelati degli occidentali in Russia per circa 150 miliardi di dollari non suona infondata. La fuga inevasa dalla Russia Perché tutte queste aziende di tanti Paesi diversi non hanno lasciato la Russia prima? I casi di avidità o opportunismo ci saranno, ma forse non sono molti. Certe imprese sono rimaste perché i loro concorrenti lo facevano (Philip Morris contro JTI). Alcune nel 2022 hanno rinviato l’uscita perché il governo di Mosca imponeva svendite al 50%, per poi scoprire che lo sconto forzoso ora è salito all’80% o al 90%. Altre ancora pensavano che il ritorno di Trump avrebbe portato la pace e il ritiro delle sanzioni. Tutte sono vestigia viventi di un’epoca finita, quella della globalizzazione e del “mondo piatto”, rimaste incagliate in questo tempo di guerra e sanzioni. Il ciclo delle ritorsioni Putin nel 2022 ha costretto gli europei – che esitavano – a smettere di comprare il gas russo. Oggi è perfettamente capace e deciso a sequestrare gli averi finanziari e materiali delle imprese occidentali, quando l’Europa userà le riserve di Mosca. Per tutte queste imprese ormai non c'è più tempo per tentare di uscire. Per il Cremlino – osserva The Bell – la confisca dell'Occidente sarà una scorciatoia per coprire il crescente deficit di bilancio nel 2026, ma a un prezzo astronomico: con questi espropri la Russia si taglierà fuori dai mercati finanziari internazionali per una generazione a venire, finendo sempre di più nelle mani e alla mercé della Cina. I conti S Peraltro non potrà estrarre molto denaro dai "conti S", perché la quota liquida è limitata mentre vendere la parte in azioni o obbligazioni può far crollare il mercato di Mosca. Ma Putin accetterà anche questo, pur di servire la sua ossessione di guerra. Per l’Europa cedere al ricatto per salvare i conti russi delle proprie imprese sarebbe comunque un errore. Essi resterebbero comunque congelati per sempre, o almeno fino alla sottomissione dei governi europei agli obiettivi di restaurazione imperiale del Cremlino. Il costo sarebbe ben più alto di qualunque profitto accumulato. Source: https://www.corriere.it/economia/finanza/25_settembre_29/russia-ue-nuova-guerra-finanziaria-144a5e5d-82d0-47d6-885e-4646cbfa6xlk_amp.shtml
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  • “Uffici, grattacieli, il più grande centro commerciale d’Europa servono a ripagare l’operazione del nuovo stadio e abbattere un’icona di Milano come il Meazza”. Sono queste le parole di Gianni Barbacetto, giornalista de Il Fatto Quotidiano, a margine del Consiglio comunale che lunedì 29 settembre è stato chiamato a decidere le sorti dello Stadio Giuseppe Meazza e
    dell’intera Zona Urbana di San Siro, nel capoluogo lombardo. A emergere, nel corso della seduta, è stato un cambio nella maggioranza che voterebbe a favore del nuovo stadio, con l’abbattimento della ‘Scala del Calcio’: “Forza Italia e Letizia Moratti hanno fatto capire che probabilmente faranno passare la delibera”, ha sottolineato il giornalista. “Come ha detto il
    comitato di Nando Dalla Chiesa, qui c’è rischio antiriciclaggio e antimafia perché a monte non sappiamo di chi sono i soldi e a valle non sappiamo chi farà i lavori”, ha concluso poi Barbacetto..

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/09/29/san-siro-meazza-operazione-immobiliare-milano-notizie/8143501/amp/
    “Uffici, grattacieli, il più grande centro commerciale d’Europa servono a ripagare l’operazione del nuovo stadio e abbattere un’icona di Milano come il Meazza”. Sono queste le parole di Gianni Barbacetto, giornalista de Il Fatto Quotidiano, a margine del Consiglio comunale che lunedì 29 settembre è stato chiamato a decidere le sorti dello Stadio Giuseppe Meazza e dell’intera Zona Urbana di San Siro, nel capoluogo lombardo. A emergere, nel corso della seduta, è stato un cambio nella maggioranza che voterebbe a favore del nuovo stadio, con l’abbattimento della ‘Scala del Calcio’: “Forza Italia e Letizia Moratti hanno fatto capire che probabilmente faranno passare la delibera”, ha sottolineato il giornalista. “Come ha detto il comitato di Nando Dalla Chiesa, qui c’è rischio antiriciclaggio e antimafia perché a monte non sappiamo di chi sono i soldi e a valle non sappiamo chi farà i lavori”, ha concluso poi Barbacetto.. https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/09/29/san-siro-meazza-operazione-immobiliare-milano-notizie/8143501/amp/
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  • SAN SIRO SVENDUTO, MILANO TRADITA Nessuna speranza senza opposizione...

    Normale essere indignati. Anzi, ormai è quasi scontato: il voto finale sulla delibera di San Siro era scritto da mesi.
    Ci si poteva illudere in un colpo di reni, in qualcuno che avesse la forza di ribaltare un destino già apparecchiato. Ma è arrivata solo l’ennesima colata di cemento e delusione.

    Chi ieri di noi era fuori da Palazzo Marino con cartelli e megafoni ha fatto più opposizione di tutti i consiglieri comunali messi insieme. La verità è semplice: la partita era truccata dall’inizio.

    In Consiglio non esiste destra né sinistra. Esiste una maggioranza trasversale di viltà e convenienze. Forza Italia si astiene per non disturbare, il PD si allinea docilmente al sindaco e ai poteri calcistici. Tutti complici, tutti già pronti a garantirsi la prossima candidatura. Non è politica, è spartizione. Non è democrazia, è svendita.

    E l’opposizione? Un fantasma. Qualche voce isolata, certo. Ma non esiste un’alternativa capace di resistere dentro le istituzioni. Fuori, i cittadini hanno fatto ricorsi, appelli, manifestazioni. Dentro, il vuoto.

    E allora la domanda resta: quando sapremo costruire una vera forza politica? Non eroi solitari, ma uomini e donne con la schiena dritta. Non soldatini da triplo mandato, ma persone disposte a servire la città invece dei capipartito.

    Io non credo che tutto sia perduto. Neanche San Siro. Il TAR ha già respinto il vincolo sul secondo anello, e possiamo discutere di cavilli burocratici fino all’infinito. Ma sul piano dell’etica non ci sono appelli: o ce l’hai, o non ce l’hai. O scegli la strada lunga della giustizia sociale, o le scorciatoie delle promesse di partito.

    Per ora resta la magra consolazione di un San Siro che sopravvivrà fino al 2026, per le Olimpiadi che Milano non ha mai chiesto né desiderato. Dopo? Sarà troppo tardi se non cominciamo a costruire l’alternativa politica adesso.

    #SanSiroResiste
    #MilanoTradita
    #OpposizioneFantasma
    #SvenditaDelFuturo
    #NoAllaSpeculazione
    #MilanoMeritaDiPiù
    #CostruireAlternativa
    #CittadiniInPiedi
    #StopCompromessi
    #difendiamomilano
    SAN SIRO SVENDUTO, MILANO TRADITA ⚡ Nessuna speranza senza opposizione... Normale essere indignati. Anzi, ormai è quasi scontato: il voto finale sulla delibera di San Siro era scritto da mesi. Ci si poteva illudere in un colpo di reni, in qualcuno che avesse la forza di ribaltare un destino già apparecchiato. Ma è arrivata solo l’ennesima colata di cemento e delusione. Chi ieri di noi era fuori da Palazzo Marino con cartelli e megafoni ha fatto più opposizione di tutti i consiglieri comunali messi insieme. La verità è semplice: la partita era truccata dall’inizio. In Consiglio non esiste destra né sinistra. Esiste una maggioranza trasversale di viltà e convenienze. Forza Italia si astiene per non disturbare, il PD si allinea docilmente al sindaco e ai poteri calcistici. Tutti complici, tutti già pronti a garantirsi la prossima candidatura. Non è politica, è spartizione. Non è democrazia, è svendita. E l’opposizione? Un fantasma. Qualche voce isolata, certo. Ma non esiste un’alternativa capace di resistere dentro le istituzioni. Fuori, i cittadini hanno fatto ricorsi, appelli, manifestazioni. Dentro, il vuoto. E allora la domanda resta: quando sapremo costruire una vera forza politica? Non eroi solitari, ma uomini e donne con la schiena dritta. Non soldatini da triplo mandato, ma persone disposte a servire la città invece dei capipartito. Io non credo che tutto sia perduto. Neanche San Siro. Il TAR ha già respinto il vincolo sul secondo anello, e possiamo discutere di cavilli burocratici fino all’infinito. Ma sul piano dell’etica non ci sono appelli: o ce l’hai, o non ce l’hai. O scegli la strada lunga della giustizia sociale, o le scorciatoie delle promesse di partito. Per ora resta la magra consolazione di un San Siro che sopravvivrà fino al 2026, per le Olimpiadi che Milano non ha mai chiesto né desiderato. Dopo? Sarà troppo tardi se non cominciamo a costruire l’alternativa politica adesso. #SanSiroResiste #MilanoTradita #OpposizioneFantasma #SvenditaDelFuturo #NoAllaSpeculazione #MilanoMeritaDiPiù #CostruireAlternativa #CittadiniInPiedi #StopCompromessi #difendiamomilano
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  • I tre «sconosciuti» dell’Usb e la batosta Cgil: perché lo sciopero pro Pal di lunedì ha cambiato il sindacato
    di Luca Angelini
    26 settembre 2025
    L’atto di proclamazione ufficiale dello sciopero è stato firmato da Daniela Mencarelli, Cinzia Della Porta e Guido Lutrario: ignoti ai più. Il clima collettivo del «blocchiamo tutto» ha lasciato la Cgil in mezzo al guado

    Visto che i primi sconfitti per le violenze, in particolare alla stazione Centrale di Milano, sono stati gli organizzatori dei cortei pro Palestina, non si è fatto molto caso al fatto che quella di lunedì fosse una giornata di sciopero generale. Secondo Dario Di Vico, però, non è da sottovalutare il fatto che l’atto di proclamazione ufficiale dello sciopero fosse stato firmato da Daniela Mencarelli, Cinzia Della Porta e Guido Lutrario. «Tre sindacalisti - scrive Di Vico in un intervento sul Foglio - che fanno parte degli organi dirigenti dell’Usb (Unione sindacati di base) ma che sono sconosciuti sia al grande pubblico sia agli addetti ai lavori».



    L’identikit dei tre alla guida di Usb
    È possibile, ma non troppo probabile, che quei tre nomi si conquistino, d'ora in avanti, una duratura ribalta. Di sicuro, però, un posto sotto i riflettori se l'è assicurato, da un po', l’Usb, il cui identikit Di Vico tratteggia così: «Nata nel 2010, è una piccola organizzazione della galassia Cobas che però nel tempo si è radicata nel territorio (dichiara 80 sedi territoriali) e soprattutto nei settori dei servizi come logistica, trasporti, scuola e pubblico impiego. (...) Vale il dato che nelle periferie del lavoro vari sindacatini più o meno simil-Cobas sono riusciti a radicarsi, come nel caso di Prato in cui organizzano gli operai pachistani in lotta contro i padroni sia cinesi sia italiani».

    Lo sciopero di venerdì
    Quel che a Di Vico preme di più far notare è, però, che un altro sciopero pro Palestina c'era stato appena pochi giorni prima, venerdì 19 settembre. A proclamarlo era stata la Cgil di Maurizio Landini. Eppure, fors'anche perché si era generata «una discreta confusione su quali fossero i settori coinvolti e le modalità dell’astensione», «la partecipazione non è stata minimamente paragonabile a quella delle 70 piazze di lunedì». E non basta, a spiegare come sia potuto succedere, il fatto che «il segmento di tute blu più vicino ai sindacati di base, e anche più coinvolto nel boicottaggio delle merci e armi dirette in Israele, è quello dei portuali soprattutto di Genova e Livorno».

    Il terzo settore
    Se, come ha scritto Prospero, portando quasi 15 milioni di italiani alle urne l'8 e 9 giugno «la Cgil ha mostrato che la strettoia per il recupero di rappresentanza rimane tuttora aperta», il fatto che in quella strettoia sembri essersi inserito qualcun altro è, per Di Vico, la conseguenza di errori imputabili al segretario generale: «Nella rete sapientemente tessuta in questi anni da Landini sono presenti realtà del terzo settore e organizzazioni come Arci e Acli o Libera ma pare più un’adunata di ufficiali che di soldati semplici. Un progetto cerebrale che quando si scontra con la realtà dei fatti si rivela una sorta di prefabbricato costruito a misura di una leadership e per minare l’unità sindacale più che indicare nuove strade. Con il risultato però che la Cgil da una parte perde le sue caratteristiche storiche fondate sulla contrattazione e la rappresentatività e dall’altra non conquista nuovo consenso».

    Source: https://www.corriere.it/economia/lavoro/25_settembre_26/i-tre-sconosciuti-dell-usb-e-la-batosta-cgil-perche-lo-sciopero-pro-pal-di-lunedi-ha-cambiato-il-sindacato-9fc80ef2-ddb2-4038-9745-d14a24facxlk_amp.shtml
    I tre «sconosciuti» dell’Usb e la batosta Cgil: perché lo sciopero pro Pal di lunedì ha cambiato il sindacato di Luca Angelini 26 settembre 2025 L’atto di proclamazione ufficiale dello sciopero è stato firmato da Daniela Mencarelli, Cinzia Della Porta e Guido Lutrario: ignoti ai più. Il clima collettivo del «blocchiamo tutto» ha lasciato la Cgil in mezzo al guado Visto che i primi sconfitti per le violenze, in particolare alla stazione Centrale di Milano, sono stati gli organizzatori dei cortei pro Palestina, non si è fatto molto caso al fatto che quella di lunedì fosse una giornata di sciopero generale. Secondo Dario Di Vico, però, non è da sottovalutare il fatto che l’atto di proclamazione ufficiale dello sciopero fosse stato firmato da Daniela Mencarelli, Cinzia Della Porta e Guido Lutrario. «Tre sindacalisti - scrive Di Vico in un intervento sul Foglio - che fanno parte degli organi dirigenti dell’Usb (Unione sindacati di base) ma che sono sconosciuti sia al grande pubblico sia agli addetti ai lavori». L’identikit dei tre alla guida di Usb È possibile, ma non troppo probabile, che quei tre nomi si conquistino, d'ora in avanti, una duratura ribalta. Di sicuro, però, un posto sotto i riflettori se l'è assicurato, da un po', l’Usb, il cui identikit Di Vico tratteggia così: «Nata nel 2010, è una piccola organizzazione della galassia Cobas che però nel tempo si è radicata nel territorio (dichiara 80 sedi territoriali) e soprattutto nei settori dei servizi come logistica, trasporti, scuola e pubblico impiego. (...) Vale il dato che nelle periferie del lavoro vari sindacatini più o meno simil-Cobas sono riusciti a radicarsi, come nel caso di Prato in cui organizzano gli operai pachistani in lotta contro i padroni sia cinesi sia italiani». Lo sciopero di venerdì Quel che a Di Vico preme di più far notare è, però, che un altro sciopero pro Palestina c'era stato appena pochi giorni prima, venerdì 19 settembre. A proclamarlo era stata la Cgil di Maurizio Landini. Eppure, fors'anche perché si era generata «una discreta confusione su quali fossero i settori coinvolti e le modalità dell’astensione», «la partecipazione non è stata minimamente paragonabile a quella delle 70 piazze di lunedì». E non basta, a spiegare come sia potuto succedere, il fatto che «il segmento di tute blu più vicino ai sindacati di base, e anche più coinvolto nel boicottaggio delle merci e armi dirette in Israele, è quello dei portuali soprattutto di Genova e Livorno». Il terzo settore Se, come ha scritto Prospero, portando quasi 15 milioni di italiani alle urne l'8 e 9 giugno «la Cgil ha mostrato che la strettoia per il recupero di rappresentanza rimane tuttora aperta», il fatto che in quella strettoia sembri essersi inserito qualcun altro è, per Di Vico, la conseguenza di errori imputabili al segretario generale: «Nella rete sapientemente tessuta in questi anni da Landini sono presenti realtà del terzo settore e organizzazioni come Arci e Acli o Libera ma pare più un’adunata di ufficiali che di soldati semplici. Un progetto cerebrale che quando si scontra con la realtà dei fatti si rivela una sorta di prefabbricato costruito a misura di una leadership e per minare l’unità sindacale più che indicare nuove strade. Con il risultato però che la Cgil da una parte perde le sue caratteristiche storiche fondate sulla contrattazione e la rappresentatività e dall’altra non conquista nuovo consenso». Source: https://www.corriere.it/economia/lavoro/25_settembre_26/i-tre-sconosciuti-dell-usb-e-la-batosta-cgil-perche-lo-sciopero-pro-pal-di-lunedi-ha-cambiato-il-sindacato-9fc80ef2-ddb2-4038-9745-d14a24facxlk_amp.shtml
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