• CANNES POLITIK
    (Qualcosa brucia ancora…)


    I festival sono spesso vissuti come passerelle di glamour, selfie e tappeti rossi. Cannes, come Berlino e Venezia, non fa eccezione. Ma da qualche anno, la Croisette sta mutando pelle. Non più solo vetrina patinata, ma fronte culturale e politico dove il cinema torna a essere arma, testimonianza, urlo necessario.
    In un’Italia assuefatta all’indifferenza, Cannes 2025 si erge come un fronte di resistenza, in cui l’arte si ribella, i corpi ritornano scena e le parole graffiano. Per chi — come il sottoscritto — sogna ancora una Nouvelle Vague che parta dalle strade di Milano e arrivi al cuore dell’Europa, è ossigeno puro.
    Quest’anno, sulla Croisette, qualcosa brucia ancora. E noi dobbiamo raccogliere quelle fiamme.

    3⃣ momenti CULT per riscrivere la storia

    1. JULIAN ASSANGE: un corpo politico sulla terrazza del Palais
    Non ha mai abbassato lo sguardo, e anche stavolta lo fa con stile e sostanza. Julian Assange irrompe a Cannes con una camicia kaki e una t-shirt che urla giustizia: stampati, i nomi di quasi 5.000 bambini uccisi a Gaza. Sulla schiena, una sola scritta: STOP ISRAEL.
    Al suo fianco, Stella Morris, moglie e avvocata, e il regista Eugene Jarecki che presenta The Six Billion Dollar Man. Il film-documento su Assange — già vincitore del primo Golden Globe dedicato al documentario — è fuori concorso, ma dentro ogni battito politico del festival.
    “Fare il giornalista è diventato il mestiere più pericoloso al mondo” — dichiara Jarecki. E a Gaza, questo, lo abbiamo visto fin troppo bene.
    Assange non è solo simbolo. È lotta incarnata.

    2. JAFAR PANAHI: la libertà (ri)trovata
    Un altro volto, un’altra prigione, un’altra resistenza.
    Jafar Panahi torna a Cannes dopo anni di silenzi forzati, prigionia e censura. Dal 1995 — anno in cui vinse la Camera d’Or — la sua sedia era rimasta vuota. Oggi la occupa di nuovo. E lo fa con A Simple Accident, film girato senza autorizzazione iraniana.
    Accanto a lui, la figlia Solmaz e la moglie. Un ritorno che è una ferita che si rimargina, ma che sanguina ancora: quattro membri della troupe sono stati recentemente interrogati in Iran.
    Panahi non è solo regista. È memoria vivente della libertà negata.
    E la Croisette applaude.


    3. IL MANIFESTO EUROPEO: cinema contro l’impero delle merci
    A sigillare quest’edizione infuocata, ecco il Manifesto dei Cineasti Europei.
    Lo firmano Sorrentino, Tornatore, i fratelli Dardenne, Rohrwacher, Amelio, Costa-Gavras e decine di altri.
    Lettura pubblica sulla Plage de la Quinzaine. Parole chiare contro i dazi di Trump e contro la Commissione Europea che, a forza di rincorrere il mercato, rischia di svendere l’identità culturale del cinema.
    “Il cinema è arte. E in quanto arte ha una responsabilità: proporre pensiero, punto di vista e spettacolo. Non possiamo essere ridotti a semplici merci.”
    Un appello alla difesa della diversità culturale, della libertà d’espressione, della dignità artistica.
    Il cinema europeo resiste. E rilancia.


    In un mondo che anestetizza, il cinema che brucia è rivoluzione.
    Assange, Panahi, il Manifesto: tre atti di un’unica ribellione che ci chiama a raccolta.
    È in questi momenti che la cultura torna ad essere strumento di giustizia e rito collettivo di riconciliazione. Una dialettica perfetta tra arte, politica e visione.
    Cannes 2025 ci ricorda che qualcosa, ancora, brucia.
    E non possiamo permetterci di lasciarlo spegnere.
    Anzi. Soffiamoci sopra.

    #Cannes2025 #CinemaPolitico #Assange #JafarPanahi #ManifestoCineastiEuropei #NouvelleVague #CinemaComeResistenza #ArtIsNotACommodity #CannesPolitik #CulturaÈLotta #StopIsrael #FreePress #Iran #ResistenzaCreativa
    CANNES POLITIK (Qualcosa brucia ancora…) 🔥✊ I festival sono spesso vissuti come passerelle di glamour, selfie e tappeti rossi. Cannes, come Berlino e Venezia, non fa eccezione. Ma da qualche anno, la Croisette sta mutando pelle. Non più solo vetrina patinata, ma fronte culturale e politico dove il cinema torna a essere arma, testimonianza, urlo necessario. In un’Italia assuefatta all’indifferenza, Cannes 2025 si erge come un fronte di resistenza, in cui l’arte si ribella, i corpi ritornano scena e le parole graffiano. Per chi — come il sottoscritto — sogna ancora una Nouvelle Vague che parta dalle strade di Milano e arrivi al cuore dell’Europa, è ossigeno puro. Quest’anno, sulla Croisette, qualcosa brucia ancora. E noi dobbiamo raccogliere quelle fiamme. 3⃣ momenti CULT per riscrivere la storia 1. JULIAN ASSANGE: un corpo politico sulla terrazza del Palais Non ha mai abbassato lo sguardo, e anche stavolta lo fa con stile e sostanza. Julian Assange irrompe a Cannes con una camicia kaki e una t-shirt che urla giustizia: stampati, i nomi di quasi 5.000 bambini uccisi a Gaza. Sulla schiena, una sola scritta: STOP ISRAEL. Al suo fianco, Stella Morris, moglie e avvocata, e il regista Eugene Jarecki che presenta The Six Billion Dollar Man. Il film-documento su Assange — già vincitore del primo Golden Globe dedicato al documentario — è fuori concorso, ma dentro ogni battito politico del festival. “Fare il giornalista è diventato il mestiere più pericoloso al mondo” — dichiara Jarecki. E a Gaza, questo, lo abbiamo visto fin troppo bene. Assange non è solo simbolo. È lotta incarnata. 2. JAFAR PANAHI: la libertà (ri)trovata Un altro volto, un’altra prigione, un’altra resistenza. Jafar Panahi torna a Cannes dopo anni di silenzi forzati, prigionia e censura. Dal 1995 — anno in cui vinse la Camera d’Or — la sua sedia era rimasta vuota. Oggi la occupa di nuovo. E lo fa con A Simple Accident, film girato senza autorizzazione iraniana. Accanto a lui, la figlia Solmaz e la moglie. Un ritorno che è una ferita che si rimargina, ma che sanguina ancora: quattro membri della troupe sono stati recentemente interrogati in Iran. Panahi non è solo regista. È memoria vivente della libertà negata. E la Croisette applaude. 🎬✊ 3. IL MANIFESTO EUROPEO: cinema contro l’impero delle merci A sigillare quest’edizione infuocata, ecco il Manifesto dei Cineasti Europei. Lo firmano Sorrentino, Tornatore, i fratelli Dardenne, Rohrwacher, Amelio, Costa-Gavras e decine di altri. Lettura pubblica sulla Plage de la Quinzaine. Parole chiare contro i dazi di Trump e contro la Commissione Europea che, a forza di rincorrere il mercato, rischia di svendere l’identità culturale del cinema. “Il cinema è arte. E in quanto arte ha una responsabilità: proporre pensiero, punto di vista e spettacolo. Non possiamo essere ridotti a semplici merci.” Un appello alla difesa della diversità culturale, della libertà d’espressione, della dignità artistica. Il cinema europeo resiste. E rilancia. 🎥 In un mondo che anestetizza, il cinema che brucia è rivoluzione. Assange, Panahi, il Manifesto: tre atti di un’unica ribellione che ci chiama a raccolta. È in questi momenti che la cultura torna ad essere strumento di giustizia e rito collettivo di riconciliazione. Una dialettica perfetta tra arte, politica e visione. Cannes 2025 ci ricorda che qualcosa, ancora, brucia. E non possiamo permetterci di lasciarlo spegnere. Anzi. Soffiamoci sopra. #Cannes2025 #CinemaPolitico #Assange #JafarPanahi #ManifestoCineastiEuropei #NouvelleVague #CinemaComeResistenza #ArtIsNotACommodity #CannesPolitik #CulturaÈLotta #StopIsrael #FreePress #Iran #ResistenzaCreativa
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  • *25° RESPIRANDO POESIA – La follia della guerra, la parola della pace*

    Oggi ci ritroviamo, ancora una volta, con gli amici poeti dell’associazione Respirando Poesia per un incontro speciale che unisce arte, emozione e impegno civile.

    All’interno del Festival Internazionale di Poesia di Milano, il 25° appuntamento si presenta con un titolo evocativo:
    “C’è qualcosa di FOLLE oggi nel sole (anzi d’antico)”,
    per denunciare attraverso la poesia tutta la follia della guerra e restituire voce a un orizzonte dove sia la Pace a pronunciare l’ultima parola.
    Un pomeriggio in cui saranno i versi – non i comizi – a costruire ponti tra popoli e coscienze.

    Parteciperanno al reading le Poete e i Poeti dell’associazione, ma anche tu puoi salire sul palco:
    l’Open Mic è aperto a tutti.

    Quando: Sabato 17 maggio, ore 16:00
    Dove: Spazio Bistrot, Festival Internazionale di Poesia di Milano - MUDEC , Via Tortona 56, Milano.

    Info evento e dettagli: https://www.facebook.com/share/p/1GBFEeD43p/

    #RespirandoPoesia #FestivalPoesiaMilano #PoesiaPerLaPace #ParoleCheUniscono #OpenMicMilano #EventiCulturali #PoesiaContemporanea
    *25° RESPIRANDO POESIA – La follia della guerra, la parola della pace* Oggi ci ritroviamo, ancora una volta, con gli amici poeti dell’associazione Respirando Poesia per un incontro speciale che unisce arte, emozione e impegno civile. All’interno del Festival Internazionale di Poesia di Milano, il 25° appuntamento si presenta con un titolo evocativo: “C’è qualcosa di FOLLE oggi nel sole (anzi d’antico)”, per denunciare attraverso la poesia tutta la follia della guerra e restituire voce a un orizzonte dove sia la Pace a pronunciare l’ultima parola. Un pomeriggio in cui saranno i versi – non i comizi – a costruire ponti tra popoli e coscienze. Parteciperanno al reading le Poete e i Poeti dell’associazione, ma anche tu puoi salire sul palco: l’Open Mic è aperto a tutti. Quando: Sabato 17 maggio, ore 16:00 Dove: Spazio Bistrot, Festival Internazionale di Poesia di Milano - MUDEC , Via Tortona 56, Milano. Info evento e dettagli: https://www.facebook.com/share/p/1GBFEeD43p/ #RespirandoPoesia #FestivalPoesiaMilano #PoesiaPerLaPace #ParoleCheUniscono #OpenMicMilano #EventiCulturali #PoesiaContemporanea
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  • Ogni giorno è una tragica conta delle donne sacrificate sull’altare della società multiculturale e dei porti aperti

    1️⃣ Termoli, al terminal dei bus, un 18enne nordafricano con precedenti ha cercato di violentare una ragazza di 19 anni: solo l'intervento di quattro passanti ha impedito che l'aggressione si trasformasse in uno stupro

    2️⃣ Civitanova, iniziato il processo che vede imputato per violenza sessuale un 24enne marocchino: la vittima ha soltanto 14 anni

    3️⃣ Bagnacavallo, una giovane mamma con la bimba di 4 mesi in braccio è stata molestata e palpeggiata da due magrebini

    4️⃣ Terni, anziana professoressa in pensione aggredita, sfregiata e rapinata in casa: l’indagato è un vicino, un 17enne colombiano con precedenti per spaccio, che è stato anche denunciato per stalking dalla ex fidanzata
    Ogni giorno è una tragica conta delle donne sacrificate sull’altare della società multiculturale e dei porti aperti 1️⃣ Termoli, al terminal dei bus, un 18enne nordafricano con precedenti ha cercato di violentare una ragazza di 19 anni: solo l'intervento di quattro passanti ha impedito che l'aggressione si trasformasse in uno stupro 2️⃣ Civitanova, iniziato il processo che vede imputato per violenza sessuale un 24enne marocchino: la vittima ha soltanto 14 anni 3️⃣ Bagnacavallo, una giovane mamma con la bimba di 4 mesi in braccio è stata molestata e palpeggiata da due magrebini 4️⃣ Terni, anziana professoressa in pensione aggredita, sfregiata e rapinata in casa: l’indagato è un vicino, un 17enne colombiano con precedenti per spaccio, che è stato anche denunciato per stalking dalla ex fidanzata
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  • La pandemia è stato una prova generale di colpo di stato totalitario della Elite mondialista.

    Ecco il testo integrale dell'intervista:

    L’intervista
    ANDREA ZHOK
    «No, non possiamo chiudere il capitolo della pandemia»
    Il filosofo: «Le ingiustizie di quella stagione devono ancora essere sanate. Cosa peggiore, l’esperimento autoritario che allora si aprì in Occidente rischia di essere solo agli inizi»

    di FABIO DRAGONI

    Andrea Zhok, professore di Filosofia morale all’Università degli studi di Milano: «I risarcimenti alle vittime e la sanzione delle gravi ingiustizie sono le spalle da voltare alla stagione della pandemia».
    Eppure la volontà pare inspiegabilmente latente, la critica di gestione pandemica è ancora un tabù.
    «È comprensibile, da settant’anni in qua tendiamo ad assimilare la memoria storica. Riflessi condizionati, in questo riflettere e contrapporre eventi passati deve provare fastidio, discredito per un’epoca di cui si è deciso di essere stati parte».
    Ora, la coazione quasi etica a “voltare pagina” impedisce di rendere giustizia a quanti furono penalizzati da provvedimenti illiberali. Così si rinuncia a porre rimedio. E si rinuncia, anche, a consolidare i fondamenti democratici: l’uso di poteri straordinari in tempi ordinari è diventato una possibilità.
    La morale collettiva si è rotta, e i torti che continuano a infierire meritano giustizia.

    Morale, che vuol dire?
    «L’aspetto morale centrale riguarda un’ingiustizia profonda, mai riconosciuta e tantomeno sanata. La pandemia, in particolare il 15% della popolazione italiana – coloro che, per vari motivi, hanno scelto di non vaccinarsi o non vaccinarsi dopo i figli – è stato sottoposto a un bullismo istituzionale e sociale di proporzioni inedite. Non semplicemente con esclusione da luoghi vari, ma proprio su campagna di deliberata denigrazione. Processo di “chiarificazione amico/nemico” ben orchestrato in cui rappresentanti istituzionali e media, insieme a medici, esperti, officer, supervisori di vario tipo, non solo si sono resi attori, ma hanno attivamente sostenuto l’idea che fosse giusto colpire i non allineati e che non si potesse loro concedere voce, rispetto o tolleranza. Il meccanismo psicologico e sociale messo in atto è quello tipico di ogni persecuzione».

    Una persecuzione?
    «Sì. E proprio perché questo meccanismo è stato a lungo attivo, e ha prodotto danni pesanti (che sono tuttora presenti), sarebbe necessario riconoscerli pubblicamente e moralmente. È un’esigenza morale e civile di verità, ma anche psicologica e sociale. Non si può “passare oltre” come se nulla fosse stato».

    Perché?
    «Perché questi torti, queste ferite, sono rimaste aperte. Nessuno ha chiesto scusa, nessuno ha cercato di ristabilire il diritto a esistere, socialmente e simbolicamente, delle persone così colpite».

    E allora?
    «Bisogna ricominciare dalla verità dei fatti e dei comportamenti. Non si è trattato solo di una serie di decisioni pubbliche più o meno discutibili. Le istituzioni sono andate ben oltre, nella direzione di una campagna sistematica di marginalizzazione del dissenso. Questa è la verità che deve venire alla luce, e di cui si deve rispondere».

    E invece?
    «Nessun tentativo di rielaborazione collettiva. Tutto sotto il tappeto, in attesa che il tempo cancelli i ricordi. Il fatto è che questa ferita non rimarginata è rimasta sana, e continua a ritornare sull’argomento. La rimozione non basta».

    Le paure anche le motivazioni sono rimaste
    «Le conseguenze pratiche della gestione antidemocratica della pandemia sono molte e altrettanto rilevanti. Sul piano istituzionale, il Parlamento è stato esautorato; sul piano giudiziario, si è rivelato incapace di far valere fondamentali diritti costituzionali; sul piano mediatico, si è realizzato un controllo totale dell’informazione, con la messa al bando del dissenso e la sua criminalizzazione; sul piano culturale, si è attivata una spinta alla conformizzazione sociale e alla delazione; sul piano economico, si sono discriminati i lavoratori e imposti obblighi arbitrari, producendo la perdita del reddito. Si sono prodotti danni sanitari, psicologici e traumatici e tutt’oggi ci sono costi persistenti. E che dire dell’impatto psicologico sulle giovani generazioni? Preadolescenti e adolescenti, costretti a lockdown, distanza, distanziamenti e isolamenti, con l’uso della pandemia come tassa obbligata di depressione, ansia, insonnia, isolamento, suicidio e abbandono scolastico. Gli psicologi che lavorano con loro confermano: il sistema di supporto psicologico è già collassato».

    E anche chi non ha avuto traumi, dice che qualcosa è cambiato.
    «Tutti, anche chi è stato meno coinvolto, ha visto mutare radicalmente l’ambiente, l’aria che si respira. Una fetta della popolazione ha smesso di avere fiducia nelle istituzioni, nei media, nella giustizia, nella scienza. È emerso un problema di controllo capillare dell’informazione. Una delle cose emblematiche di quell’evento, rimossa e non discussa, è proprio l’uso sistematico del “fact checking” come dispositivo di manipolazione».

    Le parole della scienza.
    «Sì. E anche l’uso propagandistico della “scienza”, evocata come “autorità indiscutibile”, che però è stata contraddetta sistematicamente dai fatti. La gestione della pandemia è stata una guerra psicologica in piena regola. E ora? Ora, secondo Zhok, «è da lì (da quella data) che il sistema occidentale non riesce più a tornare a una dimensione ordinaria».

    La militarizzazione è un’eredità della pandemia?
    «In Germania alcuni documenti ufficiali hanno reso noto che gli strumenti di controllo della pandemia erano già stati predisposti nel 2012: test di simulazione, documenti e testimonianze confermano la presenza di esperti militari e rappresentanti della Nato nei comitati scientifici, giustificata dalla possibilità di un attacco batteriologico. Indipendentemente da dove il virus che oggi sembri accreditato essere artificiale – ciò che accaduto è stato un cambiamento di paradigma politico».

    A proposito di lockdown, Neil Ferguson ed epidemiologi britannici ebbero a dire: “la Cina è un regime comunista e parlò di uno. Non riusciremmo a farlo in Europa, ah, abbiamo provato. E poi l’Italia lo ha fatto. E si è messo così come potevano farlo».
    Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale le società occidentali sono state sottoposte a meccanismi di sorveglianza e controllo degni di uno stato totalitario. Una trasformazione è stata gestita con una violenza senza precedenti. L’intimidazione è stata massiccia, sostenuta da organismi sanitari, ministri, talk show, stampa e riviste scientifiche».

    E chi ha provato a opporsi?
    «È stato deriso, criminalizzato, censurato. I media, le piattaforme, i social hanno selezionato sistematicamente le fonti e le opinioni da pubblicare. L’informazione è stata appaltata a “verificatori indipendenti”, che nel 90% dei casi hanno agito come censori. Il dissenso è diventato un reato».

    Cosa significa oggi?
    «Che non si tratta solo di una parentesi. Il problema è che questo esperimento autoritario rischia di essere solo agli inizi. Oggi abbiamo ancora stati di emergenza prorogati in molti Paesi occidentali. E resta la tendenza a criminalizzare il dissenso: ancora oggi in Germania le manifestazioni vengono vietate, in Italia molti professionisti sono stati sospesi o radiati, i media censurano posizioni “controverse”, i social censurano voci dissonanti. La democrazia occidentale non si è ripresa».
    La pandemia è stato una prova generale di colpo di stato totalitario della Elite mondialista. Ecco il testo integrale dell'intervista: L’intervista ANDREA ZHOK «No, non possiamo chiudere il capitolo della pandemia» Il filosofo: «Le ingiustizie di quella stagione devono ancora essere sanate. Cosa peggiore, l’esperimento autoritario che allora si aprì in Occidente rischia di essere solo agli inizi» di FABIO DRAGONI Andrea Zhok, professore di Filosofia morale all’Università degli studi di Milano: «I risarcimenti alle vittime e la sanzione delle gravi ingiustizie sono le spalle da voltare alla stagione della pandemia». Eppure la volontà pare inspiegabilmente latente, la critica di gestione pandemica è ancora un tabù. «È comprensibile, da settant’anni in qua tendiamo ad assimilare la memoria storica. Riflessi condizionati, in questo riflettere e contrapporre eventi passati deve provare fastidio, discredito per un’epoca di cui si è deciso di essere stati parte». Ora, la coazione quasi etica a “voltare pagina” impedisce di rendere giustizia a quanti furono penalizzati da provvedimenti illiberali. Così si rinuncia a porre rimedio. E si rinuncia, anche, a consolidare i fondamenti democratici: l’uso di poteri straordinari in tempi ordinari è diventato una possibilità. La morale collettiva si è rotta, e i torti che continuano a infierire meritano giustizia. Morale, che vuol dire? «L’aspetto morale centrale riguarda un’ingiustizia profonda, mai riconosciuta e tantomeno sanata. La pandemia, in particolare il 15% della popolazione italiana – coloro che, per vari motivi, hanno scelto di non vaccinarsi o non vaccinarsi dopo i figli – è stato sottoposto a un bullismo istituzionale e sociale di proporzioni inedite. Non semplicemente con esclusione da luoghi vari, ma proprio su campagna di deliberata denigrazione. Processo di “chiarificazione amico/nemico” ben orchestrato in cui rappresentanti istituzionali e media, insieme a medici, esperti, officer, supervisori di vario tipo, non solo si sono resi attori, ma hanno attivamente sostenuto l’idea che fosse giusto colpire i non allineati e che non si potesse loro concedere voce, rispetto o tolleranza. Il meccanismo psicologico e sociale messo in atto è quello tipico di ogni persecuzione». Una persecuzione? «Sì. E proprio perché questo meccanismo è stato a lungo attivo, e ha prodotto danni pesanti (che sono tuttora presenti), sarebbe necessario riconoscerli pubblicamente e moralmente. È un’esigenza morale e civile di verità, ma anche psicologica e sociale. Non si può “passare oltre” come se nulla fosse stato». Perché? «Perché questi torti, queste ferite, sono rimaste aperte. Nessuno ha chiesto scusa, nessuno ha cercato di ristabilire il diritto a esistere, socialmente e simbolicamente, delle persone così colpite». E allora? «Bisogna ricominciare dalla verità dei fatti e dei comportamenti. Non si è trattato solo di una serie di decisioni pubbliche più o meno discutibili. Le istituzioni sono andate ben oltre, nella direzione di una campagna sistematica di marginalizzazione del dissenso. Questa è la verità che deve venire alla luce, e di cui si deve rispondere». E invece? «Nessun tentativo di rielaborazione collettiva. Tutto sotto il tappeto, in attesa che il tempo cancelli i ricordi. Il fatto è che questa ferita non rimarginata è rimasta sana, e continua a ritornare sull’argomento. La rimozione non basta». Le paure anche le motivazioni sono rimaste «Le conseguenze pratiche della gestione antidemocratica della pandemia sono molte e altrettanto rilevanti. Sul piano istituzionale, il Parlamento è stato esautorato; sul piano giudiziario, si è rivelato incapace di far valere fondamentali diritti costituzionali; sul piano mediatico, si è realizzato un controllo totale dell’informazione, con la messa al bando del dissenso e la sua criminalizzazione; sul piano culturale, si è attivata una spinta alla conformizzazione sociale e alla delazione; sul piano economico, si sono discriminati i lavoratori e imposti obblighi arbitrari, producendo la perdita del reddito. Si sono prodotti danni sanitari, psicologici e traumatici e tutt’oggi ci sono costi persistenti. E che dire dell’impatto psicologico sulle giovani generazioni? Preadolescenti e adolescenti, costretti a lockdown, distanza, distanziamenti e isolamenti, con l’uso della pandemia come tassa obbligata di depressione, ansia, insonnia, isolamento, suicidio e abbandono scolastico. Gli psicologi che lavorano con loro confermano: il sistema di supporto psicologico è già collassato». E anche chi non ha avuto traumi, dice che qualcosa è cambiato. «Tutti, anche chi è stato meno coinvolto, ha visto mutare radicalmente l’ambiente, l’aria che si respira. Una fetta della popolazione ha smesso di avere fiducia nelle istituzioni, nei media, nella giustizia, nella scienza. È emerso un problema di controllo capillare dell’informazione. Una delle cose emblematiche di quell’evento, rimossa e non discussa, è proprio l’uso sistematico del “fact checking” come dispositivo di manipolazione». Le parole della scienza. «Sì. E anche l’uso propagandistico della “scienza”, evocata come “autorità indiscutibile”, che però è stata contraddetta sistematicamente dai fatti. La gestione della pandemia è stata una guerra psicologica in piena regola. E ora? Ora, secondo Zhok, «è da lì (da quella data) che il sistema occidentale non riesce più a tornare a una dimensione ordinaria». La militarizzazione è un’eredità della pandemia? «In Germania alcuni documenti ufficiali hanno reso noto che gli strumenti di controllo della pandemia erano già stati predisposti nel 2012: test di simulazione, documenti e testimonianze confermano la presenza di esperti militari e rappresentanti della Nato nei comitati scientifici, giustificata dalla possibilità di un attacco batteriologico. Indipendentemente da dove il virus che oggi sembri accreditato essere artificiale – ciò che accaduto è stato un cambiamento di paradigma politico». A proposito di lockdown, Neil Ferguson ed epidemiologi britannici ebbero a dire: “la Cina è un regime comunista e parlò di uno. Non riusciremmo a farlo in Europa, ah, abbiamo provato. E poi l’Italia lo ha fatto. E si è messo così come potevano farlo». Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale le società occidentali sono state sottoposte a meccanismi di sorveglianza e controllo degni di uno stato totalitario. Una trasformazione è stata gestita con una violenza senza precedenti. L’intimidazione è stata massiccia, sostenuta da organismi sanitari, ministri, talk show, stampa e riviste scientifiche». E chi ha provato a opporsi? «È stato deriso, criminalizzato, censurato. I media, le piattaforme, i social hanno selezionato sistematicamente le fonti e le opinioni da pubblicare. L’informazione è stata appaltata a “verificatori indipendenti”, che nel 90% dei casi hanno agito come censori. Il dissenso è diventato un reato». Cosa significa oggi? «Che non si tratta solo di una parentesi. Il problema è che questo esperimento autoritario rischia di essere solo agli inizi. Oggi abbiamo ancora stati di emergenza prorogati in molti Paesi occidentali. E resta la tendenza a criminalizzare il dissenso: ancora oggi in Germania le manifestazioni vengono vietate, in Italia molti professionisti sono stati sospesi o radiati, i media censurano posizioni “controverse”, i social censurano voci dissonanti. La democrazia occidentale non si è ripresa».
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  • MILANO – Fattore 3C
    Contaminata. Costosa. Cattiva.


    Se sono rimasto ancora a Milano, credo che ci sia un interesse, una passione di fondo, un legame ancora forte con le mie origini. Non si può semplificare tutto riducendolo a scadenze, obblighi, lavoro. La mobilità c’è e in futuro non la escludo, ma intanto sono qui. E voglio battermi per salvaguardare il rapporto con questa città.

    Come si fa con un legame affettivo, anche quando si logora.
    E nel nostro caso, fra noi e Milano, il rapporto si è logorato. Non è tutto perduto, ma è tempo di fare il punto, senza drammi e senza illusioni.
    Capire da dove ripartire.

    Le 3 C che oggi raccontano il declino di Milano:

    CONTAMINATA

    Milano è una città che respira male. Non solo per l’aria, ma per ciò che ha scelto di diventare: un terreno di conquista per la speculazione, dove ogni albero abbattuto è una riga in più sul conto della collettività. Si costruisce in verticale, si consuma in orizzontale. Si celebra la grandeur nei mesi dell’evento, ma si dimenticano i quartieri quando finisce la passerella. È una città che si è contaminata culturalmente, arrendendosi all’estetica del profitto.

    COSTOSA

    Milano è diventata inaccessibile. Troppo cara per viverci, troppo competitiva per restarci, troppo indifferente per sentirsi accolti. La forbice sociale si allarga, e la città premia chi ha già. Le opportunità esistono, ma sempre più ristrette. I giovani partono, chi resta spesso si adatta, e chi prova a resistere lo fa a caro prezzo.
    Milano non è più inclusiva: è un supermercato a più corsie, dove la dignità si misura con l’IBAN.

    CATTIVA

    C’è una cattiveria diffusa, strisciante, che nasce non solo dal disagio ma dalla rassegnazione. È l’indifferenza sui mezzi pubblici, la tensione per strada, la freddezza nei condomìni. Milano ha smarrito il senso della prossimità. Ci si difende più che riconoscersi.
    Non è solo insicurezza, è mancanza di legami. Una città dove tutto scorre veloce, ma niente si lega più.

    ❗️Se pensate che il mio sia il solito pianto greco o una lamentela populista, liberissimi di farlo.
    Ma se anche solo in parte vi riconoscete in queste parole, se riuscite a guardare oltre la retorica e il vaneggiamento, allora forse potete concordare con me:
    quella che una volta era una realtà luccicante e piena di opportunità è oggi una terra arida, fatta di contraddizioni e disuguaglianze sempre più evidenti.
    Abbiamo identificato i problemi. Ora tocca a noi lavorare per cambiare le cose.

    ❗️Per questo rivolgo un appello a tutti i comitati, i gruppi, le realtà esistenti: superiamo le differenze, le sensibilità, le gelosie. Facciamo il salto. Ricominciamo a cooperare e torniamo nei luoghi decisionali, nelle istituzioni, dove si può ancora incidere.
    Ma dobbiamo volerlo davvero. Non per una leadership, ma per una maturità collettiva.
    Se vogliamo farlo, troviamoci. Parliamo di lavoro politico.
    Se non vogliamo, allora tanti auguri a ognuno di noi.
    Nell’accettazione della duplice fatica: la miseria… e l’assuefazione a una realtà che non si vuole cambiare.

    "If Winter comes, can Spring be far behind?"
    (Cit. Percy Bysshe Shelley – Ode al vento d’Occidente)

    #Milano #Fattore3C #Cambiamento #Attivismo #CittàDaRifare #GiustiziaSociale #TreC #Speculazione #Carovita #SolitudineUrbana #RomanticismoPolitico #Partecipa #RivoltaCivile
    MILANO – Fattore 3C Contaminata. Costosa. Cattiva. ⚠️🏙️💔 Se sono rimasto ancora a Milano, credo che ci sia un interesse, una passione di fondo, un legame ancora forte con le mie origini. Non si può semplificare tutto riducendolo a scadenze, obblighi, lavoro. La mobilità c’è e in futuro non la escludo, ma intanto sono qui. E voglio battermi per salvaguardare il rapporto con questa città. Come si fa con un legame affettivo, anche quando si logora. E nel nostro caso, fra noi e Milano, il rapporto si è logorato. Non è tutto perduto, ma è tempo di fare il punto, senza drammi e senza illusioni. Capire da dove ripartire. Le 3 C che oggi raccontano il declino di Milano: CONTAMINATA Milano è una città che respira male. Non solo per l’aria, ma per ciò che ha scelto di diventare: un terreno di conquista per la speculazione, dove ogni albero abbattuto è una riga in più sul conto della collettività. Si costruisce in verticale, si consuma in orizzontale. Si celebra la grandeur nei mesi dell’evento, ma si dimenticano i quartieri quando finisce la passerella. È una città che si è contaminata culturalmente, arrendendosi all’estetica del profitto. COSTOSA Milano è diventata inaccessibile. Troppo cara per viverci, troppo competitiva per restarci, troppo indifferente per sentirsi accolti. La forbice sociale si allarga, e la città premia chi ha già. Le opportunità esistono, ma sempre più ristrette. I giovani partono, chi resta spesso si adatta, e chi prova a resistere lo fa a caro prezzo. Milano non è più inclusiva: è un supermercato a più corsie, dove la dignità si misura con l’IBAN. CATTIVA C’è una cattiveria diffusa, strisciante, che nasce non solo dal disagio ma dalla rassegnazione. È l’indifferenza sui mezzi pubblici, la tensione per strada, la freddezza nei condomìni. Milano ha smarrito il senso della prossimità. Ci si difende più che riconoscersi. Non è solo insicurezza, è mancanza di legami. Una città dove tutto scorre veloce, ma niente si lega più. ❗️Se pensate che il mio sia il solito pianto greco o una lamentela populista, liberissimi di farlo. Ma se anche solo in parte vi riconoscete in queste parole, se riuscite a guardare oltre la retorica e il vaneggiamento, allora forse potete concordare con me: quella che una volta era una realtà luccicante e piena di opportunità è oggi una terra arida, fatta di contraddizioni e disuguaglianze sempre più evidenti. Abbiamo identificato i problemi. Ora tocca a noi lavorare per cambiare le cose. ❗️👉🙏Per questo rivolgo un appello a tutti i comitati, i gruppi, le realtà esistenti: superiamo le differenze, le sensibilità, le gelosie. Facciamo il salto. Ricominciamo a cooperare e torniamo nei luoghi decisionali, nelle istituzioni, dove si può ancora incidere. Ma dobbiamo volerlo davvero. Non per una leadership, ma per una maturità collettiva. Se vogliamo farlo, troviamoci. Parliamo di lavoro politico. Se non vogliamo, allora tanti auguri a ognuno di noi. Nell’accettazione della duplice fatica: la miseria… e l’assuefazione a una realtà che non si vuole cambiare. "If Winter comes, can Spring be far behind?" (Cit. Percy Bysshe Shelley – Ode al vento d’Occidente) #Milano #Fattore3C #Cambiamento #Attivismo #CittàDaRifare #GiustiziaSociale #TreC #Speculazione #Carovita #SolitudineUrbana #RomanticismoPolitico #Partecipa #RivoltaCivile
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  • DIRIGENTE SCOLASTICO, SOTTRAE 400MILA € ALLE CASSE DI UNA SCUOLA NEL BRESCIANO


    “ L’uomo oltre ai bonifici che indirizzava ai propri conti bancari, avrebbe comprato anche beni di valore come opere d’arte e libri d’antiquariato, inoltre faceva versare le rette degli alunni direttamente sui suoi conti privati…”
    https://www.ascuolaoggi.com/post/dirigente-scolastico-sottra-400mila-alle-casse-di-una-scuola-nel-bresciano.

    Il presidente della cooperativa che gestisce il centro culturale e formativo Don Arcangelo Tadini di Montichiari, in provincia di Brescia, è stato arrestato con l’accusa di aver sottratto 400 mila € dalle casse dell’istituto. L’uomo effettuava alcuni bonifici diretti ai propri conti correnti, usando il denaro per fini personali. Il presidente della cooperativa che gestisce l’istituto si trova ora agli arresti domiciliari per peculato e riciclaggio di denaro. Come riporta “Fanpage”, l’uomo oltre ai bonifici che indirizzava ai propri conti bancari, avrebbe comprato anche beni di valore come opere d’arte e libri d’antiquariato, inoltre faceva versare le rette degli alunni direttamente sui suoi conti privati anziché nelle casse della scuola.
    DIRIGENTE SCOLASTICO, SOTTRAE 400MILA € ALLE CASSE DI UNA SCUOLA NEL BRESCIANO “ L’uomo oltre ai bonifici che indirizzava ai propri conti bancari, avrebbe comprato anche beni di valore come opere d’arte e libri d’antiquariato, inoltre faceva versare le rette degli alunni direttamente sui suoi conti privati…” https://www.ascuolaoggi.com/post/dirigente-scolastico-sottra-400mila-alle-casse-di-una-scuola-nel-bresciano. Il presidente della cooperativa che gestisce il centro culturale e formativo Don Arcangelo Tadini di Montichiari, in provincia di Brescia, è stato arrestato con l’accusa di aver sottratto 400 mila € dalle casse dell’istituto. L’uomo effettuava alcuni bonifici diretti ai propri conti correnti, usando il denaro per fini personali. Il presidente della cooperativa che gestisce l’istituto si trova ora agli arresti domiciliari per peculato e riciclaggio di denaro. Come riporta “Fanpage”, l’uomo oltre ai bonifici che indirizzava ai propri conti bancari, avrebbe comprato anche beni di valore come opere d’arte e libri d’antiquariato, inoltre faceva versare le rette degli alunni direttamente sui suoi conti privati anziché nelle casse della scuola.
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  • Resurrezione Culturale – Appello per un Nuovo Inizio
    Uniamoci per scrivere insieme un nuovo programma culturale


    Se continuo a insistere sulla Cultura, un motivo ci sarà. E no, non è solo un’ossessione personale che mi tiene sveglio la notte. Se cerco di spingerla fino al limite, quasi a forza, è perché ci manca. Come una vitamina essenziale che, se assente, manda in tilt il corpo.

    E sfido chiunque a dimostrarmi il contrario: la Cultura, nei programmi elettorali degli ultimi dieci anni, non c’è. O comunque, non tra le priorità. Neanche nella top ten dei desideri più utopici.
    È un errore gravissimo.
    E non lo dico da intellettuale elitario o nostalgico, ma da cittadino che crede ancora nel valore trasversale, sociale e rigenerativo della Cultura.
    In un’epoca di guerre, repressioni e comunicazioni distorte, ci stiamo dimenticando delle sue proprietà nutritive. Eppure la Cultura – nelle sue forme più vive come l’Arte, la Comunicazione, l’Espressione – è sempre stata quel ponte che collega le differenze, che aggrega dove la politica ha diviso.
    Non è uno slogan.
    È una visione concreta che parte da un presupposto: non si può fare politica senza un’anima umanistica.

    Non servono lauree ad Harvard o trent’anni di carriera istituzionale per capirlo:

    L’Italia ha smarrito lo spirito critico che l’ha resa grande.
    Le nostre città hanno perso la capacità di immaginare e narrare il futuro.
    Abbiamo dimenticato il potere educativo ed evolutivo di un teatro, di una mostra, di una narrazione collettiva.

    Vogliamo ancora ignorare tutto questo?
    Vogliamo continuare a nasconderci dietro l'alibi delle emergenze?
    Sanità, lavoro, ambiente: temi cruciali. Ma nessuno di questi può essere affrontato davvero se non recuperiamo la nostra coscienza collettiva, la capacità di parlare, raccontare, sognare.
    Serve visione. Serve umanità.

    A Milano, ci attende una nuova tornata amministrativa.
    E io non mi rassegno a vedere, ancora una volta, la Cultura relegata in fondo, tra le note a piè di pagina di qualche documento programmatico.

    ❗️Per questo faccio un appello.
    A cittadine e cittadini.
    A chi lavora nella cultura e a chi ne è appassionato.
    A giovani e a veterani.
    A chi vuole mettersi in gioco, senza etichette, senza bandiere, con l’unico obiettivo di costruire insieme un programma culturale vero, forte, non decorativo.
    Ho già messo nero su bianco alcune idee. Ma non voglio che restino le mie.
    Voglio che siano il calcio d’inizio di un lavoro collettivo.
    È tempo di rimettere in circolo questa vitamina essenziale.

    È tempo di costruire ponti e connessioni umane, oltre le divisioni e le delusioni.
    Io ci sono. E voi?

    Contattatemi per partecipare a questo percorso.
    Milano lo merita. Noi lo meritiamo.


    #ResurrezioneCulturale #CulturaÈPolitica #Milano2026 #ProgrammaCulturale #AppelloAllaCultura #CostruirePonti #VisioneComune #RinascitaCivile #MilanoRiparte #PoliticaUmanistica
    Resurrezione Culturale – Appello per un Nuovo Inizio ✊📚 Uniamoci per scrivere insieme un nuovo programma culturale Se continuo a insistere sulla Cultura, un motivo ci sarà. E no, non è solo un’ossessione personale che mi tiene sveglio la notte. Se cerco di spingerla fino al limite, quasi a forza, è perché ci manca. Come una vitamina essenziale che, se assente, manda in tilt il corpo. E sfido chiunque a dimostrarmi il contrario: la Cultura, nei programmi elettorali degli ultimi dieci anni, non c’è. O comunque, non tra le priorità. Neanche nella top ten dei desideri più utopici. È un errore gravissimo. E non lo dico da intellettuale elitario o nostalgico, ma da cittadino che crede ancora nel valore trasversale, sociale e rigenerativo della Cultura. In un’epoca di guerre, repressioni e comunicazioni distorte, ci stiamo dimenticando delle sue proprietà nutritive. Eppure la Cultura – nelle sue forme più vive come l’Arte, la Comunicazione, l’Espressione – è sempre stata quel ponte che collega le differenze, che aggrega dove la politica ha diviso. Non è uno slogan. È una visione concreta che parte da un presupposto: non si può fare politica senza un’anima umanistica. Non servono lauree ad Harvard o trent’anni di carriera istituzionale per capirlo: L’Italia ha smarrito lo spirito critico che l’ha resa grande. Le nostre città hanno perso la capacità di immaginare e narrare il futuro. Abbiamo dimenticato il potere educativo ed evolutivo di un teatro, di una mostra, di una narrazione collettiva. Vogliamo ancora ignorare tutto questo? Vogliamo continuare a nasconderci dietro l'alibi delle emergenze? Sanità, lavoro, ambiente: temi cruciali. Ma nessuno di questi può essere affrontato davvero se non recuperiamo la nostra coscienza collettiva, la capacità di parlare, raccontare, sognare. Serve visione. Serve umanità. A Milano, ci attende una nuova tornata amministrativa. E io non mi rassegno a vedere, ancora una volta, la Cultura relegata in fondo, tra le note a piè di pagina di qualche documento programmatico. 👉❗️Per questo faccio un appello. A cittadine e cittadini. A chi lavora nella cultura e a chi ne è appassionato. A giovani e a veterani. A chi vuole mettersi in gioco, senza etichette, senza bandiere, con l’unico obiettivo di costruire insieme un programma culturale vero, forte, non decorativo. Ho già messo nero su bianco alcune idee. Ma non voglio che restino le mie. Voglio che siano il calcio d’inizio di un lavoro collettivo. È tempo di rimettere in circolo questa vitamina essenziale. 🙏È tempo di costruire ponti e connessioni umane, oltre le divisioni e le delusioni. Io ci sono. E voi? Contattatemi per partecipare a questo percorso. Milano lo merita. Noi lo meritiamo. #ResurrezioneCulturale #CulturaÈPolitica #Milano2026 #ProgrammaCulturale #AppelloAllaCultura #CostruirePonti #VisioneComune #RinascitaCivile #MilanoRiparte #PoliticaUmanistica
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  • 𝐈𝐥 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐧𝐮𝐦𝐞𝐫𝐨 𝐝𝐞 𝐢𝐥 𝐒𝐔𝐃 𝐌𝐢𝐥𝐚𝐧𝐨 𝐞‌ 𝐢𝐧 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐫𝐢𝐛𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞! / Maggio 2025

    Puntualmente insieme a voi con nuovi servizi e approfondimenti ma soprattutto dando spazio & voce ai #Territori ❗️

    E ancora: interviste, cultura, storie di impegno, resistenza e rubriche su musica, serie TV ecc..


    Vuoi leggerlo in anteprima? Clicca qui:

    https://www.ilsudmilano.it/2025/05/07/il-sud-milano-di-maggio-e-in-distribuzione-dal-7-maggio-non-perdetelo/?fbclid=IwY2xjawKKw-xleHRuA2FlbQIxMQABHnVrGXRTnj8odDp8dLZQ3T9iWyrSPNX0cJckFfM1mFAuq3odA0EoI4nSb4vD_aem_FqpQqZVHdH5rnUFWnSx2Gg


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    #ilsudmilano #milano #cultura #Teatro #musica #attualita‌ #cronacalocale #societa‌ #eventimilano #notizie #interviste #inchieste #rubriche #FreePress #digitaljournal #giornale
    📢 𝐈𝐥 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐧𝐮𝐦𝐞𝐫𝐨 𝐝𝐞 𝐢𝐥 𝐒𝐔𝐃 𝐌𝐢𝐥𝐚𝐧𝐨 𝐞‌ 𝐢𝐧 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐫𝐢𝐛𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞! 📢 / Maggio 2025 Puntualmente insieme a voi con nuovi servizi e approfondimenti ma soprattutto dando spazio & voce ai #Territori ❗️👍 🗞️ E ancora: interviste, cultura, storie di impegno, resistenza e rubriche su musica, serie TV ecc.. 📰 Vuoi leggerlo in anteprima? Clicca qui👉: https://www.ilsudmilano.it/2025/05/07/il-sud-milano-di-maggio-e-in-distribuzione-dal-7-maggio-non-perdetelo/?fbclid=IwY2xjawKKw-xleHRuA2FlbQIxMQABHnVrGXRTnj8odDp8dLZQ3T9iWyrSPNX0cJckFfM1mFAuq3odA0EoI4nSb4vD_aem_FqpQqZVHdH5rnUFWnSx2Gg 🔗 Seguici su Facebook: facebook.com/ilSUDMilano #ilsudmilano #milano #cultura #Teatro #musica #attualita‌ #cronacalocale #societa‌ #eventimilano #notizie #interviste #inchieste #rubriche #FreePress #digitaljournal #giornale
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  • Goldengatehotel is ideally located for visitors seeking a Hotel Near Pragati Maidan and Hotel Near Nizamuddin Dargah, offering a comfortable stay close to cultural landmarks and event venues in New Delhi https://thegoldengatehotels.com/
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  • DELIRIUM TRUMP
    (ovvero: quando la politica fa il cosplay di sé stessa)

    È da un mese buono che va in scena un one-man-show che manco Broadway ai tempi d’oro.

    Tra minacce apocalittiche, trovate da reality show e deliri da film distopico anni ’80, lo Zio Donald sembra aver deciso che la politica estera (e pure interna) sia solo un palcoscenico su cui gridare più forte del pubblico.
    Eppure, nonostante le urla e i proclami, l’unica reazione logica è un misto tra imbarazzo e ilarità. Perché se un tempo certe sparate incutevano timore, oggi suonano più come barzellette stiracchiate da cabaret di provincia.
    La verità è che dietro la maschera da “uomo forte” si nasconde una crisi di credibilità (e forse di lucidità). Un copione già visto, in cui lo showman Trump si sforza di sembrare il salvatore dell’Occidente, mentre spara nel mucchio e isola l’America più di quanto non facciano le sue politiche.

    ATTO I – Alcatraz Reloaded

    Con la delicatezza di un bulldozer in una boutique, Trump ha deciso di riportare in auge la mitica Alcatraz.
    Sì, proprio lei: la prigione su un’isola, oggi simbolo di turismo e cultura, trasformata di nuovo in un penitenziario d’élite per “i peggiori criminali d’America”.
    Un piano così vintage da sembrare un reboot mal riuscito di “Fuga da Alcatraz”, con Clint Eastwood che si rifiuta pure di tornare per un cameo.
    Peccato solo che:
    l’isola è patrimonio nazionale;
    le strutture sono mangiate dal sale;
    serve un budget da Marvel Cinematic Universe;
    e il National Park Service, a occhio, non sembra entusiasta.
    Ma tranquilli, l’effetto scenico c’è. E in fondo a Trump non serve altro.

    ATTO II – Hollywood a stelle e… dazi

    Non pago di riscrivere la storia del sistema carcerario, il nostro ha deciso di lanciarsi contro i film stranieri, rei di minare l’economia americana con la scusa degli incentivi alle produzioni.
    La risposta? Un dazio del 100% su ogni pellicola che non parli inglese con accento del Midwest.

    Peccato che:
    metà delle mega-produzioni USA si girano in Nuova Zelanda, Canada o Italia;
    Hollywood vive di co-produzioni;
    le piattaforme streaming non sanno nemmeno da dove cominciare con le regole.
    Il risultato? Ritorsioni possibili, aumento dei biglietti, meno export e... una standing ovation da parte di Netflix India e dei BRICS, che ringraziano per il favore.

    Questo "Delirium Trump" non è solo intrattenimento tragicomico: è una spia rossa su un certo modo di fare politica dove il gesto conta più del contenuto.
    Si gioca sul presente, ignorando il futuro. Si urla per coprire i vuoti.
    Ma ogni volta che l’America si isola, il mondo si riorganizza. E lo fa senza aspettarla.
    Nel frattempo, respiriamo. Ironizziamo. Sdrammatizziamo.
    Perché il potere, anche quello più teatrale, ha sempre una data di scadenza.

    E a noi non resta che aspettare il finale… con i popcorn in mano.

    #DeliriumTrump #Trump2025 #AlcatrazIsBack #HollywoodTax #AmericaFirstButAlone #SatiraPolitica #GeopoliticaPop #MakeSatireGreatAgain
    DELIRIUM TRUMP (ovvero: quando la politica fa il cosplay di sé stessa)🎭🧱🎬🚔 È da un mese buono che va in scena un one-man-show che manco Broadway ai tempi d’oro. Tra minacce apocalittiche, trovate da reality show e deliri da film distopico anni ’80, lo Zio Donald sembra aver deciso che la politica estera (e pure interna) sia solo un palcoscenico su cui gridare più forte del pubblico. Eppure, nonostante le urla e i proclami, l’unica reazione logica è un misto tra imbarazzo e ilarità. Perché se un tempo certe sparate incutevano timore, oggi suonano più come barzellette stiracchiate da cabaret di provincia. La verità è che dietro la maschera da “uomo forte” si nasconde una crisi di credibilità (e forse di lucidità). Un copione già visto, in cui lo showman Trump si sforza di sembrare il salvatore dell’Occidente, mentre spara nel mucchio e isola l’America più di quanto non facciano le sue politiche. ATTO I – Alcatraz Reloaded 🔒🧂🚁 Con la delicatezza di un bulldozer in una boutique, Trump ha deciso di riportare in auge la mitica Alcatraz. Sì, proprio lei: la prigione su un’isola, oggi simbolo di turismo e cultura, trasformata di nuovo in un penitenziario d’élite per “i peggiori criminali d’America”. Un piano così vintage da sembrare un reboot mal riuscito di “Fuga da Alcatraz”, con Clint Eastwood che si rifiuta pure di tornare per un cameo. Peccato solo che: l’isola è patrimonio nazionale; le strutture sono mangiate dal sale; serve un budget da Marvel Cinematic Universe; e il National Park Service, a occhio, non sembra entusiasta. Ma tranquilli, l’effetto scenico c’è. E in fondo a Trump non serve altro. ATTO II – Hollywood a stelle e… dazi 💸🎥🎫 Non pago di riscrivere la storia del sistema carcerario, il nostro ha deciso di lanciarsi contro i film stranieri, rei di minare l’economia americana con la scusa degli incentivi alle produzioni. La risposta? Un dazio del 100% su ogni pellicola che non parli inglese con accento del Midwest. Peccato che: metà delle mega-produzioni USA si girano in Nuova Zelanda, Canada o Italia; Hollywood vive di co-produzioni; le piattaforme streaming non sanno nemmeno da dove cominciare con le regole. Il risultato? Ritorsioni possibili, aumento dei biglietti, meno export e... una standing ovation da parte di Netflix India e dei BRICS, che ringraziano per il favore. Questo "Delirium Trump" non è solo intrattenimento tragicomico: è una spia rossa su un certo modo di fare politica dove il gesto conta più del contenuto. Si gioca sul presente, ignorando il futuro. Si urla per coprire i vuoti. Ma ogni volta che l’America si isola, il mondo si riorganizza. E lo fa senza aspettarla. Nel frattempo, respiriamo. Ironizziamo. Sdrammatizziamo. Perché il potere, anche quello più teatrale, ha sempre una data di scadenza. E a noi non resta che aspettare il finale… con i popcorn in mano. #DeliriumTrump #Trump2025 #AlcatrazIsBack #HollywoodTax #AmericaFirstButAlone #SatiraPolitica #GeopoliticaPop #MakeSatireGreatAgain
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