CANNES POLITIK
(Qualcosa brucia ancora…)
I festival sono spesso vissuti come passerelle di glamour, selfie e tappeti rossi. Cannes, come Berlino e Venezia, non fa eccezione. Ma da qualche anno, la Croisette sta mutando pelle. Non più solo vetrina patinata, ma fronte culturale e politico dove il cinema torna a essere arma, testimonianza, urlo necessario.
In un’Italia assuefatta all’indifferenza, Cannes 2025 si erge come un fronte di resistenza, in cui l’arte si ribella, i corpi ritornano scena e le parole graffiano. Per chi — come il sottoscritto — sogna ancora una Nouvelle Vague che parta dalle strade di Milano e arrivi al cuore dell’Europa, è ossigeno puro.
Quest’anno, sulla Croisette, qualcosa brucia ancora. E noi dobbiamo raccogliere quelle fiamme.
3⣠momenti CULT per riscrivere la storia
1. JULIAN ASSANGE: un corpo politico sulla terrazza del Palais
Non ha mai abbassato lo sguardo, e anche stavolta lo fa con stile e sostanza. Julian Assange irrompe a Cannes con una camicia kaki e una t-shirt che urla giustizia: stampati, i nomi di quasi 5.000 bambini uccisi a Gaza. Sulla schiena, una sola scritta: STOP ISRAEL.
Al suo fianco, Stella Morris, moglie e avvocata, e il regista Eugene Jarecki che presenta The Six Billion Dollar Man. Il film-documento su Assange — già vincitore del primo Golden Globe dedicato al documentario — è fuori concorso, ma dentro ogni battito politico del festival.
“Fare il giornalista è diventato il mestiere più pericoloso al mondo” — dichiara Jarecki. E a Gaza, questo, lo abbiamo visto fin troppo bene.
Assange non è solo simbolo. È lotta incarnata.
2. JAFAR PANAHI: la libertà (ri)trovata
Un altro volto, un’altra prigione, un’altra resistenza.
Jafar Panahi torna a Cannes dopo anni di silenzi forzati, prigionia e censura. Dal 1995 — anno in cui vinse la Camera d’Or — la sua sedia era rimasta vuota. Oggi la occupa di nuovo. E lo fa con A Simple Accident, film girato senza autorizzazione iraniana.
Accanto a lui, la figlia Solmaz e la moglie. Un ritorno che è una ferita che si rimargina, ma che sanguina ancora: quattro membri della troupe sono stati recentemente interrogati in Iran.
Panahi non è solo regista. È memoria vivente della libertà negata.
E la Croisette applaude.
3. IL MANIFESTO EUROPEO: cinema contro l’impero delle merci
A sigillare quest’edizione infuocata, ecco il Manifesto dei Cineasti Europei.
Lo firmano Sorrentino, Tornatore, i fratelli Dardenne, Rohrwacher, Amelio, Costa-Gavras e decine di altri.
Lettura pubblica sulla Plage de la Quinzaine. Parole chiare contro i dazi di Trump e contro la Commissione Europea che, a forza di rincorrere il mercato, rischia di svendere l’identità culturale del cinema.
“Il cinema è arte. E in quanto arte ha una responsabilità: proporre pensiero, punto di vista e spettacolo. Non possiamo essere ridotti a semplici merci.”
Un appello alla difesa della diversità culturale, della libertà d’espressione, della dignità artistica.
Il cinema europeo resiste. E rilancia.
In un mondo che anestetizza, il cinema che brucia è rivoluzione.
Assange, Panahi, il Manifesto: tre atti di un’unica ribellione che ci chiama a raccolta.
È in questi momenti che la cultura torna ad essere strumento di giustizia e rito collettivo di riconciliazione. Una dialettica perfetta tra arte, politica e visione.
Cannes 2025 ci ricorda che qualcosa, ancora, brucia.
E non possiamo permetterci di lasciarlo spegnere.
Anzi. Soffiamoci sopra.
#Cannes2025 #CinemaPolitico #Assange #JafarPanahi #ManifestoCineastiEuropei #NouvelleVague #CinemaComeResistenza #ArtIsNotACommodity #CannesPolitik #CulturaÈLotta #StopIsrael #FreePress #Iran #ResistenzaCreativa
(Qualcosa brucia ancora…)
I festival sono spesso vissuti come passerelle di glamour, selfie e tappeti rossi. Cannes, come Berlino e Venezia, non fa eccezione. Ma da qualche anno, la Croisette sta mutando pelle. Non più solo vetrina patinata, ma fronte culturale e politico dove il cinema torna a essere arma, testimonianza, urlo necessario.
In un’Italia assuefatta all’indifferenza, Cannes 2025 si erge come un fronte di resistenza, in cui l’arte si ribella, i corpi ritornano scena e le parole graffiano. Per chi — come il sottoscritto — sogna ancora una Nouvelle Vague che parta dalle strade di Milano e arrivi al cuore dell’Europa, è ossigeno puro.
Quest’anno, sulla Croisette, qualcosa brucia ancora. E noi dobbiamo raccogliere quelle fiamme.
3⣠momenti CULT per riscrivere la storia
1. JULIAN ASSANGE: un corpo politico sulla terrazza del Palais
Non ha mai abbassato lo sguardo, e anche stavolta lo fa con stile e sostanza. Julian Assange irrompe a Cannes con una camicia kaki e una t-shirt che urla giustizia: stampati, i nomi di quasi 5.000 bambini uccisi a Gaza. Sulla schiena, una sola scritta: STOP ISRAEL.
Al suo fianco, Stella Morris, moglie e avvocata, e il regista Eugene Jarecki che presenta The Six Billion Dollar Man. Il film-documento su Assange — già vincitore del primo Golden Globe dedicato al documentario — è fuori concorso, ma dentro ogni battito politico del festival.
“Fare il giornalista è diventato il mestiere più pericoloso al mondo” — dichiara Jarecki. E a Gaza, questo, lo abbiamo visto fin troppo bene.
Assange non è solo simbolo. È lotta incarnata.
2. JAFAR PANAHI: la libertà (ri)trovata
Un altro volto, un’altra prigione, un’altra resistenza.
Jafar Panahi torna a Cannes dopo anni di silenzi forzati, prigionia e censura. Dal 1995 — anno in cui vinse la Camera d’Or — la sua sedia era rimasta vuota. Oggi la occupa di nuovo. E lo fa con A Simple Accident, film girato senza autorizzazione iraniana.
Accanto a lui, la figlia Solmaz e la moglie. Un ritorno che è una ferita che si rimargina, ma che sanguina ancora: quattro membri della troupe sono stati recentemente interrogati in Iran.
Panahi non è solo regista. È memoria vivente della libertà negata.
E la Croisette applaude.
3. IL MANIFESTO EUROPEO: cinema contro l’impero delle merci
A sigillare quest’edizione infuocata, ecco il Manifesto dei Cineasti Europei.
Lo firmano Sorrentino, Tornatore, i fratelli Dardenne, Rohrwacher, Amelio, Costa-Gavras e decine di altri.
Lettura pubblica sulla Plage de la Quinzaine. Parole chiare contro i dazi di Trump e contro la Commissione Europea che, a forza di rincorrere il mercato, rischia di svendere l’identità culturale del cinema.
“Il cinema è arte. E in quanto arte ha una responsabilità: proporre pensiero, punto di vista e spettacolo. Non possiamo essere ridotti a semplici merci.”
Un appello alla difesa della diversità culturale, della libertà d’espressione, della dignità artistica.
Il cinema europeo resiste. E rilancia.
In un mondo che anestetizza, il cinema che brucia è rivoluzione.
Assange, Panahi, il Manifesto: tre atti di un’unica ribellione che ci chiama a raccolta.
È in questi momenti che la cultura torna ad essere strumento di giustizia e rito collettivo di riconciliazione. Una dialettica perfetta tra arte, politica e visione.
Cannes 2025 ci ricorda che qualcosa, ancora, brucia.
E non possiamo permetterci di lasciarlo spegnere.
Anzi. Soffiamoci sopra.
#Cannes2025 #CinemaPolitico #Assange #JafarPanahi #ManifestoCineastiEuropei #NouvelleVague #CinemaComeResistenza #ArtIsNotACommodity #CannesPolitik #CulturaÈLotta #StopIsrael #FreePress #Iran #ResistenzaCreativa
CANNES POLITIK
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I festival sono spesso vissuti come passerelle di glamour, selfie e tappeti rossi. Cannes, come Berlino e Venezia, non fa eccezione. Ma da qualche anno, la Croisette sta mutando pelle. Non più solo vetrina patinata, ma fronte culturale e politico dove il cinema torna a essere arma, testimonianza, urlo necessario.
In un’Italia assuefatta all’indifferenza, Cannes 2025 si erge come un fronte di resistenza, in cui l’arte si ribella, i corpi ritornano scena e le parole graffiano. Per chi — come il sottoscritto — sogna ancora una Nouvelle Vague che parta dalle strade di Milano e arrivi al cuore dell’Europa, è ossigeno puro.
Quest’anno, sulla Croisette, qualcosa brucia ancora. E noi dobbiamo raccogliere quelle fiamme.
3⣠momenti CULT per riscrivere la storia
1. JULIAN ASSANGE: un corpo politico sulla terrazza del Palais
Non ha mai abbassato lo sguardo, e anche stavolta lo fa con stile e sostanza. Julian Assange irrompe a Cannes con una camicia kaki e una t-shirt che urla giustizia: stampati, i nomi di quasi 5.000 bambini uccisi a Gaza. Sulla schiena, una sola scritta: STOP ISRAEL.
Al suo fianco, Stella Morris, moglie e avvocata, e il regista Eugene Jarecki che presenta The Six Billion Dollar Man. Il film-documento su Assange — già vincitore del primo Golden Globe dedicato al documentario — è fuori concorso, ma dentro ogni battito politico del festival.
“Fare il giornalista è diventato il mestiere più pericoloso al mondo” — dichiara Jarecki. E a Gaza, questo, lo abbiamo visto fin troppo bene.
Assange non è solo simbolo. È lotta incarnata.
2. JAFAR PANAHI: la libertà (ri)trovata
Un altro volto, un’altra prigione, un’altra resistenza.
Jafar Panahi torna a Cannes dopo anni di silenzi forzati, prigionia e censura. Dal 1995 — anno in cui vinse la Camera d’Or — la sua sedia era rimasta vuota. Oggi la occupa di nuovo. E lo fa con A Simple Accident, film girato senza autorizzazione iraniana.
Accanto a lui, la figlia Solmaz e la moglie. Un ritorno che è una ferita che si rimargina, ma che sanguina ancora: quattro membri della troupe sono stati recentemente interrogati in Iran.
Panahi non è solo regista. È memoria vivente della libertà negata.
E la Croisette applaude.
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3. IL MANIFESTO EUROPEO: cinema contro l’impero delle merci
A sigillare quest’edizione infuocata, ecco il Manifesto dei Cineasti Europei.
Lo firmano Sorrentino, Tornatore, i fratelli Dardenne, Rohrwacher, Amelio, Costa-Gavras e decine di altri.
Lettura pubblica sulla Plage de la Quinzaine. Parole chiare contro i dazi di Trump e contro la Commissione Europea che, a forza di rincorrere il mercato, rischia di svendere l’identità culturale del cinema.
“Il cinema è arte. E in quanto arte ha una responsabilità: proporre pensiero, punto di vista e spettacolo. Non possiamo essere ridotti a semplici merci.”
Un appello alla difesa della diversità culturale, della libertà d’espressione, della dignità artistica.
Il cinema europeo resiste. E rilancia.
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In un mondo che anestetizza, il cinema che brucia è rivoluzione.
Assange, Panahi, il Manifesto: tre atti di un’unica ribellione che ci chiama a raccolta.
È in questi momenti che la cultura torna ad essere strumento di giustizia e rito collettivo di riconciliazione. Una dialettica perfetta tra arte, politica e visione.
Cannes 2025 ci ricorda che qualcosa, ancora, brucia.
E non possiamo permetterci di lasciarlo spegnere.
Anzi. Soffiamoci sopra.
#Cannes2025 #CinemaPolitico #Assange #JafarPanahi #ManifestoCineastiEuropei #NouvelleVague #CinemaComeResistenza #ArtIsNotACommodity #CannesPolitik #CulturaÈLotta #StopIsrael #FreePress #Iran #ResistenzaCreativa
