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  • Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane
    Il Cremlino risponderà all’idea del cancelliere tedesco Merz di utilizzare le riserve congelate russe per finanziare l’Ucraina: ecco che cosa ha in mente lo Zar (e cosa rischia l’Italia...

    la newsletter
    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane
    di Federico Fubini

    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, così Putin mette le mani su 150 miliardi di dollari
    Vladimir Putin (a destra) con Sergei Lavrov

    (Questo articolo è tratto dalla newsletter Whatever it takes ad opera di Federico Fubini, se vuoi iscriverti clicca qui)

    Si è udito un silenzio irreale da Mosca dopo che il cancelliere tedesco Friedrich Merz, per la prima volta, ha messo la sua firma su una decisione che sta prendendo forma: usare le riserve congelate della Russia per finanziare l’Ucraina, dapprima mobilitando 170 miliardi di euro e alla lunga ben oltre duecento. La vicenda dei fondi di Mosca risale ai primi giorni della guerra totale all’Ucraina, quando i leader del G7 bloccarono quei conti in dollari, euro, sterline e yen e li sottrassero alla disponibilità di Vladimir Putin (foto sotto). Ho scritto sul “Corriere” (qui, qui e qui, con Mara Gergolet) dei modi in cui questo può accadere, a partire dal G7 dei ministri delle Finanze già previsto mercoledì. Si può ipotizzare che la decisione diventi esecutiva fra marzo e aprile prossimi.

    La risposta del Cremlino
    Ora però mi interessano altri aspetti, perché quel silenzio di Mosca è ingannevole. Il Cremlino risponderà. Prenderà di mira e confischerà i conti e probabilmente anche i beni fisici delle aziende attive in Russia dei Paesi che dovessero partecipare all’intervento sulle riserve – incluse almeno una sessantina di imprese italiane – se questa decisione sarà confermata. La tensione tra Mosca e i governi europei, già altissima, non farà che crescere ancora.

    Le ritorsioni
    Dirò più sotto perché temo che tutto ciò sia inevitabile e perché gli averi delle aziende europee in Russia già oggi sono probabilmente irrecuperabili; quindi, non è il momento per italiani, francesi, tedeschi o britannici di farsi intimidire dalle minacce di ritorsioni. Il senso di ciò che sta accadendo è sempre più chiaro. La ritirata degli Stati Uniti dal conflitto per scelta di Donald Trump, così come la determinazione di Putin (sostenuto dalla Cina) di perseguire comunque i suoi obiettivi massimi di guerra, stanno spingendo una parte d’Europa verso ciò che per ottant’anni non aveva mai fatto: esporsi sempre di più – con denaro, armi, industria e tecnologie – perché l’Ucraina non ceda; perché Putin non divenga una minaccia sempre maggiore anche per noi stessi.


    Le riserve russe
    Usare le riserve russe è un modo di continuare questo sforzo cercando di prevenire una rivolta dei contribuenti europei, che verrebbe molto presto cavalcata dai populisti di ogni segno. Ma nei fatti la scomparsa dell’America da questo scacchiere accelera un degrado ulteriore nei rapporti tra l’Europa e la Russia, con ricadute anche finanziarie e industriali finora poco comprese. Vediamo.

    Il decreto presidenziale
    Esiste a Mosca, almeno dall’inizio dell’anno, la bozza di un decreto presidenziale che prevede la nazionalizzazione delle attività di aziende di Paesi considerati «non amichevoli». La novità sarebbe solo nella scala – vastissima, macroeconomica – sulla quale tutto ciò potrebbe avvenire. Perché il resto si è già visto tutto. In questi tre anni e mezzo Putin, il suo governo o i giudici da esso controllati hanno già requisito per motivi politici, messo sotto il controllo dello Stato o trasferito a oligarchi amici 103 aziende o proprietà; fra queste le attività russe della francese Danone (trasferite al leader ceceno e signore della guerra Ramzan Kadyrov), quella della danese Carlsberg, della belga InBev, della tedesca Bosch, dell’americana Exxon Mobil e dell’italiana Ariston. Queste ultime erano state addossate a Gazprom, la quale le ha restituite ad Ariston stessa dopo appena sette mesi (succedeva a marzo scorso).

    Il valore dei beni fisici
    Tutto questo molto probabilmente è solo il prologo di ciò che sta per accadere ora, se e quando l’uso per l’Ucraina delle riserve congelate russe diventerà operativo in primavera. Una stima approssimativa che circola negli ambienti di affari legati a Mosca indica che il valore dei beni fisici d’investimento delle società occidentali in Russia sia oggi attorno ai 150 miliardi di dollari; a questi si aggiungono conti bancari di imprese di Paesi “non amichevoli” per altri 150 miliardi di dollari circa.
    Per quanto riguarda le imprese italiane, i conti bancari esposti al sequestro in Russia molto probabilmente custodiscono almeno l’equivalente in rubli di almeno mezzo miliardo di euro; ma si tratta con ogni verosimiglianza di una stima cauta.

    La spinta dell’inflazione
    Spiegherò meglio tra poco, prima però va chiarito perché il valore complessivo dei conti e degli averi delle imprese dei Paesi occidentali in Russia (Giappone politicamente incluso) è così alto. Solo i primi otto gruppi di Paesi “non amichevoli” hanno fatturato in Russia l’equivalente di circa venti miliardi di euro all’ultimo anno dichiarato, spesso il 2023 o il 2024. Il colosso giapponese del tabacco JTI dal 2023 è in testa con vendite per l’equivalente di 4,9 miliardi nel 2023, grazie a un aumento nominale dei fatturati del 40% registrato solo dall’inizio della guerra.

    La spinta dell’inflazione
    JTI ha superato l’americana Philip Morris, diretta concorrente, la quale ha invece fatturato in Russia 4,5 miliardi di euro nel 2023 con un aumento nominale del 12% dall’inizio dell’invasione totale dell’Ucraina. Si tratta di una crescita sospinta in parte da un’inflazione di circa il 20% nei primi due anni del conflitto e dall’accelerazione dei consumi dei russi, perché la spesa militare in quella fase ha creato occupazione e aumentato il potere d’acquisto di milioni di persone.

    I dati
    I dati provengono dalle dichiarazioni fiscali delle imprese stesse all’agenzia delle tasse e all’agenzia statistica russe, raccolti e resi disponibili dalla banca dati Interfax Spark. In questo paradossalmente il governo di Mosca è più trasparente di quelli europei, perché pubblica i dati delle singole aziende (con eccezioni ed esenzioni di natura molto politica).

    Le aziende che hanno lasciato la Russia
    Naturalmente circa 17 mila aziende di Europa, Stati Uniti, Giappone, Australia hanno lasciato la Russia. Anche a costo di essere costrette a vendere a vecchi e nuovi oligarchi locali. Lo hanno fatto ad esempio l'americana McDonald, le tedesche Volkswagen, Mercedes-Benz e Henkel o le italiane Eni ed Enel. Fra i grandi gruppi globali colpiscono, in particolare, due traiettorie.

    Il caso Pepsi
    L’americana Pepsi vede salire i suoi fatturati russi del 58% nei primi tre anni di guerra fino all’equivalente di 2,5 miliardi di euro, proprio mentre da Washington arrivava un pacchetto dopo l’altro di sanzioni (ma non nei beni di consumo come cibi e bevande). E il colosso farmaceutico anglo-svedese Astra-Zeneca, malgrado i rapporti pessimi fra le capitali, dall’inizio del conflitto al 2024 vede quasi triplicare i fatturati fino a un miliardo di euro. Non è chiaro se abbia ricevuto contratti del governo di Mosca nel suo settore, che peraltro è anch’esso del tutto esente dalle sanzioni.

    La curva dei ricavi
    Al confronto le aziende italiane mostrano tendenze simili, ma su una scala molto più modesta. Circa il 70% di quelle che erano presenti prima del 2022 non ha mai lasciato la Russia neanche dopo le sanzioni; e delle 61 imprese di cui è stato possibile reperire le dichiarazioni fiscali su Interfax Spark, 37 avevano fatturati nominali in Russia più alti nel 2024 che prima dell’inizio della guerra. Di una cinquantina di imprese italiane è stato possibile ricostruire l’andamento nel Paese di Vladimir Putin da prima dello scoppio del conflitto totale in Ucraina fino all’anno scorso: il loro fatturato complessivo negli anni di guerra sale del 37%, di una decina di punti in più rispetto all’inflazione locale, fino all’equivalente di 1,7 miliardi di euro nel 2024. L’utile netto aggregato degli anni di guerra è di circa mezzo miliardo di euro, con oltre cento milioni in tasse versate nello stesso periodo al governo di Mosca.

    L’Aperol Spritz
    Quali sono queste imprese? Campari ha una filiale di importazione – non di produzione – che non investe né fa alcuna promozione per crescere, eppure ha visto i fatturati raddoppiare a circa 120 milioni di euro negli anni di guerra per una ragione legata ai paradossi della società russa: mentre i poveri muoiono nel Donbass, nelle élite di Mosca che non possono più viaggiare si è diffusa la moda dell’Aperol Spritz «all'italiana».

    Le italiane, da Chiesi a Barilla e Ferrero
    Crescono molto le farmaceutiche Chiesi e soprattutto Angelini (ma meno di AstraZeneca); decresce in Russia l’impianto di Marcegaglia per acciai di uso civile (700 mila euro di utile in Russia, su un totale di gruppo di quasi duecento milioni nel 2023). Pirelli fattura più di trecento milioni di euro, un risultato che al netto dell’inflazione risulta in frenata dall’inizio della guerra. A queste si aggiungono Cremonini (rifornisce la catena di ex McDonald), Barilla e Ferrero, quest’ultima con un giro d’affari in Russia che resta comunque una frazione dei quasi due miliardi di euro della concorrente americana Mars.

    La presa d'ostaggio
    Nessuna delle imprese che ho citato viola le sanzioni, ma tutte ormai rischiano molto. Spiega The Bell, un quotidiano online molto ben informato sull’economia russa e le dinamiche del potere a Mosca che il governo ha bollato come “agente straniero”: «Gli utili realizzati dalle filiali russe delle aziende (occidentali, ndr.) non possono essere rimpatriati». Dal 2022 devono confluire tutti nei cosiddetti “conti S” fatti istituire dal Cremlino: nella sostanza depositi congelati, così come lo sono le riserve russe in Europa.

    I capitali delle imprese
    Centinaia e centinaia di imprese occidentali non possono disporre dei loro soldi, mentre i profitti e le partecipazioni si accumulano ormai da quasi quattro anni. Di fatto sono stati presi finanziariamente in ostaggio da Putin. Se si aggiunge al conto la quota da circa dieci miliardi di dollari della britannica BP in Rosneft, quella da circa otto miliardi della francese TotalEnergies in Novatek più varie altre e i relativi flussi di dividendi, la stima di conti congelati degli occidentali in Russia per circa 150 miliardi di dollari non suona infondata.

    La fuga inevasa dalla Russia
    Perché tutte queste aziende di tanti Paesi diversi non hanno lasciato la Russia prima? I casi di avidità o opportunismo ci saranno, ma forse non sono molti. Certe imprese sono rimaste perché i loro concorrenti lo facevano (Philip Morris contro JTI). Alcune nel 2022 hanno rinviato l’uscita perché il governo di Mosca imponeva svendite al 50%, per poi scoprire che lo sconto forzoso ora è salito all’80% o al 90%. Altre ancora pensavano che il ritorno di Trump avrebbe portato la pace e il ritiro delle sanzioni. Tutte sono vestigia viventi di un’epoca finita, quella della globalizzazione e del “mondo piatto”, rimaste incagliate in questo tempo di guerra e sanzioni.

    Il ciclo delle ritorsioni
    Putin nel 2022 ha costretto gli europei – che esitavano – a smettere di comprare il gas russo. Oggi è perfettamente capace e deciso a sequestrare gli averi finanziari e materiali delle imprese occidentali, quando l’Europa userà le riserve di Mosca. Per tutte queste imprese ormai non c'è più tempo per tentare di uscire. Per il Cremlino – osserva The Bell – la confisca dell'Occidente sarà una scorciatoia per coprire il crescente deficit di bilancio nel 2026, ma a un prezzo astronomico: con questi espropri la Russia si taglierà fuori dai mercati finanziari internazionali per una generazione a venire, finendo sempre di più nelle mani e alla mercé della Cina.


    I conti S
    Peraltro non potrà estrarre molto denaro dai "conti S", perché la quota liquida è limitata mentre vendere la parte in azioni o obbligazioni può far crollare il mercato di Mosca. Ma Putin accetterà anche questo, pur di servire la sua ossessione di guerra. Per l’Europa cedere al ricatto per salvare i conti russi delle proprie imprese sarebbe comunque un errore. Essi resterebbero comunque congelati per sempre, o almeno fino alla sottomissione dei governi europei agli obiettivi di restaurazione imperiale del Cremlino. Il costo sarebbe ben più alto di qualunque profitto accumulato.


    Source: https://www.corriere.it/economia/finanza/25_settembre_29/russia-ue-nuova-guerra-finanziaria-144a5e5d-82d0-47d6-885e-4646cbfa6xlk_amp.shtml
    Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane Il Cremlino risponderà all’idea del cancelliere tedesco Merz di utilizzare le riserve congelate russe per finanziare l’Ucraina: ecco che cosa ha in mente lo Zar (e cosa rischia l’Italia... la newsletter Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, le mani di Putin su 150 miliardi di dollari, cosa rischiano le italiane di Federico Fubini Russia-Ue, la nuova guerra (finanziaria): i conti bloccati delle imprese occidentali, così Putin mette le mani su 150 miliardi di dollari Vladimir Putin (a destra) con Sergei Lavrov (Questo articolo è tratto dalla newsletter Whatever it takes ad opera di Federico Fubini, se vuoi iscriverti clicca qui) Si è udito un silenzio irreale da Mosca dopo che il cancelliere tedesco Friedrich Merz, per la prima volta, ha messo la sua firma su una decisione che sta prendendo forma: usare le riserve congelate della Russia per finanziare l’Ucraina, dapprima mobilitando 170 miliardi di euro e alla lunga ben oltre duecento. La vicenda dei fondi di Mosca risale ai primi giorni della guerra totale all’Ucraina, quando i leader del G7 bloccarono quei conti in dollari, euro, sterline e yen e li sottrassero alla disponibilità di Vladimir Putin (foto sotto). Ho scritto sul “Corriere” (qui, qui e qui, con Mara Gergolet) dei modi in cui questo può accadere, a partire dal G7 dei ministri delle Finanze già previsto mercoledì. Si può ipotizzare che la decisione diventi esecutiva fra marzo e aprile prossimi. La risposta del Cremlino Ora però mi interessano altri aspetti, perché quel silenzio di Mosca è ingannevole. Il Cremlino risponderà. Prenderà di mira e confischerà i conti e probabilmente anche i beni fisici delle aziende attive in Russia dei Paesi che dovessero partecipare all’intervento sulle riserve – incluse almeno una sessantina di imprese italiane – se questa decisione sarà confermata. La tensione tra Mosca e i governi europei, già altissima, non farà che crescere ancora. Le ritorsioni Dirò più sotto perché temo che tutto ciò sia inevitabile e perché gli averi delle aziende europee in Russia già oggi sono probabilmente irrecuperabili; quindi, non è il momento per italiani, francesi, tedeschi o britannici di farsi intimidire dalle minacce di ritorsioni. Il senso di ciò che sta accadendo è sempre più chiaro. La ritirata degli Stati Uniti dal conflitto per scelta di Donald Trump, così come la determinazione di Putin (sostenuto dalla Cina) di perseguire comunque i suoi obiettivi massimi di guerra, stanno spingendo una parte d’Europa verso ciò che per ottant’anni non aveva mai fatto: esporsi sempre di più – con denaro, armi, industria e tecnologie – perché l’Ucraina non ceda; perché Putin non divenga una minaccia sempre maggiore anche per noi stessi. Le riserve russe Usare le riserve russe è un modo di continuare questo sforzo cercando di prevenire una rivolta dei contribuenti europei, che verrebbe molto presto cavalcata dai populisti di ogni segno. Ma nei fatti la scomparsa dell’America da questo scacchiere accelera un degrado ulteriore nei rapporti tra l’Europa e la Russia, con ricadute anche finanziarie e industriali finora poco comprese. Vediamo. Il decreto presidenziale Esiste a Mosca, almeno dall’inizio dell’anno, la bozza di un decreto presidenziale che prevede la nazionalizzazione delle attività di aziende di Paesi considerati «non amichevoli». La novità sarebbe solo nella scala – vastissima, macroeconomica – sulla quale tutto ciò potrebbe avvenire. Perché il resto si è già visto tutto. In questi tre anni e mezzo Putin, il suo governo o i giudici da esso controllati hanno già requisito per motivi politici, messo sotto il controllo dello Stato o trasferito a oligarchi amici 103 aziende o proprietà; fra queste le attività russe della francese Danone (trasferite al leader ceceno e signore della guerra Ramzan Kadyrov), quella della danese Carlsberg, della belga InBev, della tedesca Bosch, dell’americana Exxon Mobil e dell’italiana Ariston. Queste ultime erano state addossate a Gazprom, la quale le ha restituite ad Ariston stessa dopo appena sette mesi (succedeva a marzo scorso). Il valore dei beni fisici Tutto questo molto probabilmente è solo il prologo di ciò che sta per accadere ora, se e quando l’uso per l’Ucraina delle riserve congelate russe diventerà operativo in primavera. Una stima approssimativa che circola negli ambienti di affari legati a Mosca indica che il valore dei beni fisici d’investimento delle società occidentali in Russia sia oggi attorno ai 150 miliardi di dollari; a questi si aggiungono conti bancari di imprese di Paesi “non amichevoli” per altri 150 miliardi di dollari circa. Per quanto riguarda le imprese italiane, i conti bancari esposti al sequestro in Russia molto probabilmente custodiscono almeno l’equivalente in rubli di almeno mezzo miliardo di euro; ma si tratta con ogni verosimiglianza di una stima cauta. La spinta dell’inflazione Spiegherò meglio tra poco, prima però va chiarito perché il valore complessivo dei conti e degli averi delle imprese dei Paesi occidentali in Russia (Giappone politicamente incluso) è così alto. Solo i primi otto gruppi di Paesi “non amichevoli” hanno fatturato in Russia l’equivalente di circa venti miliardi di euro all’ultimo anno dichiarato, spesso il 2023 o il 2024. Il colosso giapponese del tabacco JTI dal 2023 è in testa con vendite per l’equivalente di 4,9 miliardi nel 2023, grazie a un aumento nominale dei fatturati del 40% registrato solo dall’inizio della guerra. La spinta dell’inflazione JTI ha superato l’americana Philip Morris, diretta concorrente, la quale ha invece fatturato in Russia 4,5 miliardi di euro nel 2023 con un aumento nominale del 12% dall’inizio dell’invasione totale dell’Ucraina. Si tratta di una crescita sospinta in parte da un’inflazione di circa il 20% nei primi due anni del conflitto e dall’accelerazione dei consumi dei russi, perché la spesa militare in quella fase ha creato occupazione e aumentato il potere d’acquisto di milioni di persone. I dati I dati provengono dalle dichiarazioni fiscali delle imprese stesse all’agenzia delle tasse e all’agenzia statistica russe, raccolti e resi disponibili dalla banca dati Interfax Spark. In questo paradossalmente il governo di Mosca è più trasparente di quelli europei, perché pubblica i dati delle singole aziende (con eccezioni ed esenzioni di natura molto politica). Le aziende che hanno lasciato la Russia Naturalmente circa 17 mila aziende di Europa, Stati Uniti, Giappone, Australia hanno lasciato la Russia. Anche a costo di essere costrette a vendere a vecchi e nuovi oligarchi locali. Lo hanno fatto ad esempio l'americana McDonald, le tedesche Volkswagen, Mercedes-Benz e Henkel o le italiane Eni ed Enel. Fra i grandi gruppi globali colpiscono, in particolare, due traiettorie. Il caso Pepsi L’americana Pepsi vede salire i suoi fatturati russi del 58% nei primi tre anni di guerra fino all’equivalente di 2,5 miliardi di euro, proprio mentre da Washington arrivava un pacchetto dopo l’altro di sanzioni (ma non nei beni di consumo come cibi e bevande). E il colosso farmaceutico anglo-svedese Astra-Zeneca, malgrado i rapporti pessimi fra le capitali, dall’inizio del conflitto al 2024 vede quasi triplicare i fatturati fino a un miliardo di euro. Non è chiaro se abbia ricevuto contratti del governo di Mosca nel suo settore, che peraltro è anch’esso del tutto esente dalle sanzioni. La curva dei ricavi Al confronto le aziende italiane mostrano tendenze simili, ma su una scala molto più modesta. Circa il 70% di quelle che erano presenti prima del 2022 non ha mai lasciato la Russia neanche dopo le sanzioni; e delle 61 imprese di cui è stato possibile reperire le dichiarazioni fiscali su Interfax Spark, 37 avevano fatturati nominali in Russia più alti nel 2024 che prima dell’inizio della guerra. Di una cinquantina di imprese italiane è stato possibile ricostruire l’andamento nel Paese di Vladimir Putin da prima dello scoppio del conflitto totale in Ucraina fino all’anno scorso: il loro fatturato complessivo negli anni di guerra sale del 37%, di una decina di punti in più rispetto all’inflazione locale, fino all’equivalente di 1,7 miliardi di euro nel 2024. L’utile netto aggregato degli anni di guerra è di circa mezzo miliardo di euro, con oltre cento milioni in tasse versate nello stesso periodo al governo di Mosca. L’Aperol Spritz Quali sono queste imprese? Campari ha una filiale di importazione – non di produzione – che non investe né fa alcuna promozione per crescere, eppure ha visto i fatturati raddoppiare a circa 120 milioni di euro negli anni di guerra per una ragione legata ai paradossi della società russa: mentre i poveri muoiono nel Donbass, nelle élite di Mosca che non possono più viaggiare si è diffusa la moda dell’Aperol Spritz «all'italiana». Le italiane, da Chiesi a Barilla e Ferrero Crescono molto le farmaceutiche Chiesi e soprattutto Angelini (ma meno di AstraZeneca); decresce in Russia l’impianto di Marcegaglia per acciai di uso civile (700 mila euro di utile in Russia, su un totale di gruppo di quasi duecento milioni nel 2023). Pirelli fattura più di trecento milioni di euro, un risultato che al netto dell’inflazione risulta in frenata dall’inizio della guerra. A queste si aggiungono Cremonini (rifornisce la catena di ex McDonald), Barilla e Ferrero, quest’ultima con un giro d’affari in Russia che resta comunque una frazione dei quasi due miliardi di euro della concorrente americana Mars. La presa d'ostaggio Nessuna delle imprese che ho citato viola le sanzioni, ma tutte ormai rischiano molto. Spiega The Bell, un quotidiano online molto ben informato sull’economia russa e le dinamiche del potere a Mosca che il governo ha bollato come “agente straniero”: «Gli utili realizzati dalle filiali russe delle aziende (occidentali, ndr.) non possono essere rimpatriati». Dal 2022 devono confluire tutti nei cosiddetti “conti S” fatti istituire dal Cremlino: nella sostanza depositi congelati, così come lo sono le riserve russe in Europa. I capitali delle imprese Centinaia e centinaia di imprese occidentali non possono disporre dei loro soldi, mentre i profitti e le partecipazioni si accumulano ormai da quasi quattro anni. Di fatto sono stati presi finanziariamente in ostaggio da Putin. Se si aggiunge al conto la quota da circa dieci miliardi di dollari della britannica BP in Rosneft, quella da circa otto miliardi della francese TotalEnergies in Novatek più varie altre e i relativi flussi di dividendi, la stima di conti congelati degli occidentali in Russia per circa 150 miliardi di dollari non suona infondata. La fuga inevasa dalla Russia Perché tutte queste aziende di tanti Paesi diversi non hanno lasciato la Russia prima? I casi di avidità o opportunismo ci saranno, ma forse non sono molti. Certe imprese sono rimaste perché i loro concorrenti lo facevano (Philip Morris contro JTI). Alcune nel 2022 hanno rinviato l’uscita perché il governo di Mosca imponeva svendite al 50%, per poi scoprire che lo sconto forzoso ora è salito all’80% o al 90%. Altre ancora pensavano che il ritorno di Trump avrebbe portato la pace e il ritiro delle sanzioni. Tutte sono vestigia viventi di un’epoca finita, quella della globalizzazione e del “mondo piatto”, rimaste incagliate in questo tempo di guerra e sanzioni. Il ciclo delle ritorsioni Putin nel 2022 ha costretto gli europei – che esitavano – a smettere di comprare il gas russo. Oggi è perfettamente capace e deciso a sequestrare gli averi finanziari e materiali delle imprese occidentali, quando l’Europa userà le riserve di Mosca. Per tutte queste imprese ormai non c'è più tempo per tentare di uscire. Per il Cremlino – osserva The Bell – la confisca dell'Occidente sarà una scorciatoia per coprire il crescente deficit di bilancio nel 2026, ma a un prezzo astronomico: con questi espropri la Russia si taglierà fuori dai mercati finanziari internazionali per una generazione a venire, finendo sempre di più nelle mani e alla mercé della Cina. I conti S Peraltro non potrà estrarre molto denaro dai "conti S", perché la quota liquida è limitata mentre vendere la parte in azioni o obbligazioni può far crollare il mercato di Mosca. Ma Putin accetterà anche questo, pur di servire la sua ossessione di guerra. Per l’Europa cedere al ricatto per salvare i conti russi delle proprie imprese sarebbe comunque un errore. Essi resterebbero comunque congelati per sempre, o almeno fino alla sottomissione dei governi europei agli obiettivi di restaurazione imperiale del Cremlino. Il costo sarebbe ben più alto di qualunque profitto accumulato. Source: https://www.corriere.it/economia/finanza/25_settembre_29/russia-ue-nuova-guerra-finanziaria-144a5e5d-82d0-47d6-885e-4646cbfa6xlk_amp.shtml
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  • “Uffici, grattacieli, il più grande centro commerciale d’Europa servono a ripagare l’operazione del nuovo stadio e abbattere un’icona di Milano come il Meazza”. Sono queste le parole di Gianni Barbacetto, giornalista de Il Fatto Quotidiano, a margine del Consiglio comunale che lunedì 29 settembre è stato chiamato a decidere le sorti dello Stadio Giuseppe Meazza e
    dell’intera Zona Urbana di San Siro, nel capoluogo lombardo. A emergere, nel corso della seduta, è stato un cambio nella maggioranza che voterebbe a favore del nuovo stadio, con l’abbattimento della ‘Scala del Calcio’: “Forza Italia e Letizia Moratti hanno fatto capire che probabilmente faranno passare la delibera”, ha sottolineato il giornalista. “Come ha detto il
    comitato di Nando Dalla Chiesa, qui c’è rischio antiriciclaggio e antimafia perché a monte non sappiamo di chi sono i soldi e a valle non sappiamo chi farà i lavori”, ha concluso poi Barbacetto..

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/09/29/san-siro-meazza-operazione-immobiliare-milano-notizie/8143501/amp/
    “Uffici, grattacieli, il più grande centro commerciale d’Europa servono a ripagare l’operazione del nuovo stadio e abbattere un’icona di Milano come il Meazza”. Sono queste le parole di Gianni Barbacetto, giornalista de Il Fatto Quotidiano, a margine del Consiglio comunale che lunedì 29 settembre è stato chiamato a decidere le sorti dello Stadio Giuseppe Meazza e dell’intera Zona Urbana di San Siro, nel capoluogo lombardo. A emergere, nel corso della seduta, è stato un cambio nella maggioranza che voterebbe a favore del nuovo stadio, con l’abbattimento della ‘Scala del Calcio’: “Forza Italia e Letizia Moratti hanno fatto capire che probabilmente faranno passare la delibera”, ha sottolineato il giornalista. “Come ha detto il comitato di Nando Dalla Chiesa, qui c’è rischio antiriciclaggio e antimafia perché a monte non sappiamo di chi sono i soldi e a valle non sappiamo chi farà i lavori”, ha concluso poi Barbacetto.. https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/09/29/san-siro-meazza-operazione-immobiliare-milano-notizie/8143501/amp/
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  • Sustainable Solutions: Industrial Design Engineering for Eco-Friendly Products

    Industrial design engineering plays a pivotal role in shaping the products we use every day. With the growing awareness of environmental challenges, industries are increasingly turning to sustainable solutions that minimize waste, reduce energy consumption, and promote eco-friendly practices. Integrating sustainability into industrial design engineering is no longer optional—it’s essential for the future of manufacturing and product development.
    The Role of Industrial Design Engineering in Sustainability
    Industrial design engineering bridges creativity and functionality. Engineers and designers work together to ensure products are not only aesthetically pleasing but also efficient, durable, and environmentally responsible. By considering the entire lifecycle of a product—from raw material extraction to disposal—industrial design engineers can significantly reduce a product’s environmental footprint.
    Materials Matter
    One of the most significant areas where industrial design engineering impacts sustainability is in material selection. Choosing biodegradable, recycled, or renewable materials helps reduce waste and pollution. Advanced industrial design engineering techniques allow for the optimization of material usage without compromising product strength or usability, ensuring that less is wasted during production.
    Energy-Efficient Manufacturing
    Industrial design engineering also focuses on energy-efficient manufacturing processes. From using low-energy production methods to designing products that require less energy during use, engineers can make significant contributions to sustainability. Innovations in 3D printing and modular design are examples of how industrial design engineering supports eco-friendly practices.
    Designing for Longevity
    Sustainability isn’t just about eco-friendly materials—it’s also about durability. Industrial design engineering emphasizes designing products that last longer and are easier to repair or upgrade. This approach reduces the need for frequent replacements, cutting down on resource consumption and waste.
    Circular Economy and Product Lifecycle
    A key concept in sustainable industrial design engineering is the circular economy. Products are designed with end-of-life reuse or recycling in mind, ensuring materials can be recovered and repurposed. By considering the full product lifecycle, industrial design engineers help companies adopt eco-conscious practices that align with global sustainability goals.
    Conclusion
    Industrial design engineering is at the forefront of creating eco-friendly products that meet both consumer demands and environmental standards. By integrating sustainable materials, energy-efficient processes, and circular economy principles, industrial design engineers are shaping a future where products are both innovative and responsible. For more insights and sustainable solutions in industrial design engineering, visit Clixroute.

    https://www.clixroute.com/services/design-engineering/
    Sustainable Solutions: Industrial Design Engineering for Eco-Friendly Products Industrial design engineering plays a pivotal role in shaping the products we use every day. With the growing awareness of environmental challenges, industries are increasingly turning to sustainable solutions that minimize waste, reduce energy consumption, and promote eco-friendly practices. Integrating sustainability into industrial design engineering is no longer optional—it’s essential for the future of manufacturing and product development. The Role of Industrial Design Engineering in Sustainability Industrial design engineering bridges creativity and functionality. Engineers and designers work together to ensure products are not only aesthetically pleasing but also efficient, durable, and environmentally responsible. By considering the entire lifecycle of a product—from raw material extraction to disposal—industrial design engineers can significantly reduce a product’s environmental footprint. Materials Matter One of the most significant areas where industrial design engineering impacts sustainability is in material selection. Choosing biodegradable, recycled, or renewable materials helps reduce waste and pollution. Advanced industrial design engineering techniques allow for the optimization of material usage without compromising product strength or usability, ensuring that less is wasted during production. Energy-Efficient Manufacturing Industrial design engineering also focuses on energy-efficient manufacturing processes. From using low-energy production methods to designing products that require less energy during use, engineers can make significant contributions to sustainability. Innovations in 3D printing and modular design are examples of how industrial design engineering supports eco-friendly practices. Designing for Longevity Sustainability isn’t just about eco-friendly materials—it’s also about durability. Industrial design engineering emphasizes designing products that last longer and are easier to repair or upgrade. This approach reduces the need for frequent replacements, cutting down on resource consumption and waste. Circular Economy and Product Lifecycle A key concept in sustainable industrial design engineering is the circular economy. Products are designed with end-of-life reuse or recycling in mind, ensuring materials can be recovered and repurposed. By considering the full product lifecycle, industrial design engineers help companies adopt eco-conscious practices that align with global sustainability goals. Conclusion Industrial design engineering is at the forefront of creating eco-friendly products that meet both consumer demands and environmental standards. By integrating sustainable materials, energy-efficient processes, and circular economy principles, industrial design engineers are shaping a future where products are both innovative and responsible. For more insights and sustainable solutions in industrial design engineering, visit Clixroute. https://www.clixroute.com/services/design-engineering/
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    Design Engineering & Product Development | Clixroute Industries
    Clixroute Industries excels in design engineering, DFM, and product development, delivering innovative, cost-effective solutions for diverse manufacturing needs.
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  • The Rise of Gourmet Street Food: Tradition Meets Innovation

    Street Food Street Food has always been the heartbeat of bustling cities, colorful festivals, and hidden corners where culture meets cuisine. From sizzling skewers on roadside grills to steaming bowls of noodles prepared in minutes, street food has been a true symbol of affordability, flavor, and authenticity. But in recent years, a new culinary wave has emerged—gourmet street food, where tradition meets innovation.
    The Evolution of Street Food
    Traditionally, street food was all about quick, tasty, and inexpensive meals. It catered to workers, travelers, and everyday people who craved a bite on the go. Over time, however, chefs and food entrepreneurs began experimenting—adding global influences, creative presentations, and fine-dining twists to age-old recipes.
    This evolution transformed the humble food cart into a stage for culinary artistry, where local favorites like momos, tacos, and kebabs are reimagined with gourmet flavors, fusion ingredients, and eye-catching plating.
    Why Gourmet Street Food is Winning Hearts
    Fusion of Cultures – A dosa stuffed with Mexican fillings or a burger infused with Asian spices. Street Food Street Food now blends flavors that once seemed worlds apart.


    High-Quality Ingredients – Gourmet vendors focus on fresh produce, organic meats, and artisanal sauces, elevating the street experience.


    Creative Presentation – It’s not just about taste; street food today is Instagram-worthy, appealing to modern foodies who eat with their eyes first.


    Affordability Meets Luxury – While still budget-friendly, gourmet street food gives a taste of fine dining without burning a hole in your pocket.


    Tradition Meets Innovation
    What makes gourmet street food truly special is that it doesn’t erase tradition—it celebrates it. Classic recipes are preserved but enhanced with new cooking techniques, spices, and presentations. This blend ensures that while the essence of “street” remains intact, the experience feels refreshingly new.
    Street Food Street Food continues to evolve, proving that culinary innovation doesn’t always need a fancy restaurant. Sometimes, it thrives best on a bustling corner, under a humble food truck canopy.
    Conclusion
    The rise of gourmet street food is a testament to how food adapts with time while staying rooted in culture. It’s where tradition meets creativity, and where flavors tell stories of both history and modernity. Whether you’re exploring local food carts or international food festivals, gourmet street food is an adventure worth taking.Discover more unique flavors and food journeys with Meghna’s Food Magic.
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    The Rise of Gourmet Street Food: Tradition Meets Innovation Street Food Street Food has always been the heartbeat of bustling cities, colorful festivals, and hidden corners where culture meets cuisine. From sizzling skewers on roadside grills to steaming bowls of noodles prepared in minutes, street food has been a true symbol of affordability, flavor, and authenticity. But in recent years, a new culinary wave has emerged—gourmet street food, where tradition meets innovation. The Evolution of Street Food Traditionally, street food was all about quick, tasty, and inexpensive meals. It catered to workers, travelers, and everyday people who craved a bite on the go. Over time, however, chefs and food entrepreneurs began experimenting—adding global influences, creative presentations, and fine-dining twists to age-old recipes. This evolution transformed the humble food cart into a stage for culinary artistry, where local favorites like momos, tacos, and kebabs are reimagined with gourmet flavors, fusion ingredients, and eye-catching plating. Why Gourmet Street Food is Winning Hearts Fusion of Cultures – A dosa stuffed with Mexican fillings or a burger infused with Asian spices. Street Food Street Food now blends flavors that once seemed worlds apart. High-Quality Ingredients – Gourmet vendors focus on fresh produce, organic meats, and artisanal sauces, elevating the street experience. Creative Presentation – It’s not just about taste; street food today is Instagram-worthy, appealing to modern foodies who eat with their eyes first. Affordability Meets Luxury – While still budget-friendly, gourmet street food gives a taste of fine dining without burning a hole in your pocket. Tradition Meets Innovation What makes gourmet street food truly special is that it doesn’t erase tradition—it celebrates it. Classic recipes are preserved but enhanced with new cooking techniques, spices, and presentations. This blend ensures that while the essence of “street” remains intact, the experience feels refreshingly new. Street Food Street Food continues to evolve, proving that culinary innovation doesn’t always need a fancy restaurant. Sometimes, it thrives best on a bustling corner, under a humble food truck canopy. Conclusion The rise of gourmet street food is a testament to how food adapts with time while staying rooted in culture. It’s where tradition meets creativity, and where flavors tell stories of both history and modernity. Whether you’re exploring local food carts or international food festivals, gourmet street food is an adventure worth taking.Discover more unique flavors and food journeys with Meghna’s Food Magic. Visit us- https://meghnasfoodmagic.in
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    Buttock Enhancement NY | Brazilian Butt Lift Surgery in New York & New Jersey
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