• ANTIFA OMEOPATICI

    Marco Travaglio - 3 Maggio 2025

    Degli “antifascisti immaginari” ritratti da Padellaro non c’è bisogno di fare i nomi, anche perché sono troppi. Ma basta vedere chi s’è infuriato per la definizione, che ovviamente esclude gli antifascisti veri e seri. E include chi dell’antifascismo di maniera e di carriera ha fatto un mestiere a rischio zero e guadagno mille. Come dice Giordano Bruno Guerri, i partigiani doc rischiavano la vita e molti la persero: quelli fuori tempo massimo rischiano al massimo qualche applauso (e royalty). Un’altra cartina al tornasole per riconoscerli è ciò che accadrà il 9 maggio, 80° anniversario della vittoria dell’Urss contro il Terzo Reich. A Mosca la vittoria nella “Grande Guerra Patriottica” sarà celebrata con la consueta parata nella Piazza Rossa, più solenne del solito per la cifra tonda, dove Putin mostrerà al mondo di essere tutt’altro che isolato ospitando i leader di Cina, India, Brasile, Sudafrica, altri Brics e Palestina. Dall’Europa giungeranno solo lo slovacco Fico e il serbo Vucic, subito minacciati dalla rappresentante per la Politica estera Ue, la estone Kaja Kallas, il cui Paese 80 anni fa stava coi nazisti. E non era il solo: era filonazista anche la parte occidentale dell’Ucraina, la Galizia attorno a Leopoli. Lì nel 1941 migliaia di collaborazionisti accolsero come liberatori i soldati hitleriani della Wehrmacht in marcia verso la Russia e da allora aiutarono le SS a rastrellare e depredare gli ebrei ucraini (1,6 milioni), in parte trucidati in loco e in parte deportati nei lager nazisti. Nella sola Leopoli una serie di terribili pogrom ridusse gli ebrei da 100 mila a un migliaio scarso in quattro anni. Vicino a Leopoli era nato l’ideologo nazionalista Stepan Bandera, filo-nazista, razzista e antisemita, fondatore della 14ª divisione Waffen-Grenadier delle SS, criminale di guerra responsabile dello sterminio di decine di migliaia di ebrei, polacchi, ucraini, russi, fuggito nel dopoguerra in Germania con la protezione dell’MI6, poi giustiziato dal Kgb e tuttoggi venerato in Ucraina come eroe nazionale.

    Che fa la cosiddetta Europa antifascista e antinazista? Trova il modo di commemorare i 26-28 milioni di morti sovietici che la liberarono da Hitler & complici insieme a mezzo milione di caduti anglo-americani? Non sia mai. Nel 1985 s’è inventata un contro-anniversario nel tentativo di oscurare quello russo: la “Giornata dell’Europa per la pace, l’unità e la solidarietà”, che guardacaso cade il 9 maggio come la Dichiarazione Schuman del 1950 (vuoi mettere con la sconfitta del nazifascismo). Quest’anno il ministro degli Esteri ucraino Sybiha ha invitato i vertici Ue a festeggiare. Indovinate dove? A Leopoli. “Grande idea”, ha esultato il suo omologo polacco Sikorski. E il prossimo anno tutti a Salò.

    Fatto Quotidiano
    ANTIFA OMEOPATICI Marco Travaglio - 3 Maggio 2025 Degli “antifascisti immaginari” ritratti da Padellaro non c’è bisogno di fare i nomi, anche perché sono troppi. Ma basta vedere chi s’è infuriato per la definizione, che ovviamente esclude gli antifascisti veri e seri. E include chi dell’antifascismo di maniera e di carriera ha fatto un mestiere a rischio zero e guadagno mille. Come dice Giordano Bruno Guerri, i partigiani doc rischiavano la vita e molti la persero: quelli fuori tempo massimo rischiano al massimo qualche applauso (e royalty). Un’altra cartina al tornasole per riconoscerli è ciò che accadrà il 9 maggio, 80° anniversario della vittoria dell’Urss contro il Terzo Reich. A Mosca la vittoria nella “Grande Guerra Patriottica” sarà celebrata con la consueta parata nella Piazza Rossa, più solenne del solito per la cifra tonda, dove Putin mostrerà al mondo di essere tutt’altro che isolato ospitando i leader di Cina, India, Brasile, Sudafrica, altri Brics e Palestina. Dall’Europa giungeranno solo lo slovacco Fico e il serbo Vucic, subito minacciati dalla rappresentante per la Politica estera Ue, la estone Kaja Kallas, il cui Paese 80 anni fa stava coi nazisti. E non era il solo: era filonazista anche la parte occidentale dell’Ucraina, la Galizia attorno a Leopoli. Lì nel 1941 migliaia di collaborazionisti accolsero come liberatori i soldati hitleriani della Wehrmacht in marcia verso la Russia e da allora aiutarono le SS a rastrellare e depredare gli ebrei ucraini (1,6 milioni), in parte trucidati in loco e in parte deportati nei lager nazisti. Nella sola Leopoli una serie di terribili pogrom ridusse gli ebrei da 100 mila a un migliaio scarso in quattro anni. Vicino a Leopoli era nato l’ideologo nazionalista Stepan Bandera, filo-nazista, razzista e antisemita, fondatore della 14ª divisione Waffen-Grenadier delle SS, criminale di guerra responsabile dello sterminio di decine di migliaia di ebrei, polacchi, ucraini, russi, fuggito nel dopoguerra in Germania con la protezione dell’MI6, poi giustiziato dal Kgb e tuttoggi venerato in Ucraina come eroe nazionale. Che fa la cosiddetta Europa antifascista e antinazista? Trova il modo di commemorare i 26-28 milioni di morti sovietici che la liberarono da Hitler & complici insieme a mezzo milione di caduti anglo-americani? Non sia mai. Nel 1985 s’è inventata un contro-anniversario nel tentativo di oscurare quello russo: la “Giornata dell’Europa per la pace, l’unità e la solidarietà”, che guardacaso cade il 9 maggio come la Dichiarazione Schuman del 1950 (vuoi mettere con la sconfitta del nazifascismo). Quest’anno il ministro degli Esteri ucraino Sybiha ha invitato i vertici Ue a festeggiare. Indovinate dove? A Leopoli. “Grande idea”, ha esultato il suo omologo polacco Sikorski. E il prossimo anno tutti a Salò. Fatto Quotidiano
    Angry
    2
    0 Σχόλια 0 Μοιράστηκε 5χλμ. Views
  • Storie della Resistenza che ci piacciono.

    La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: "Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti" - Il Fatto Quotidiano
    Solo la determinazione delle donne ha permesso di salvare oltre 60 uomini: ecco cosa è successo

    Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana"

    La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: “Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti”
    di Martina Castigliani
    Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana"

    La nebbia, quel giorno, è fittissima. “Di quelle pesanti e piovose che penetrano nelle ossa”, racconta chi c’era. In Pianura Padana, nel lembo di terra che separa Correggio e Carpi, tra Reggio Emilia e Modena, vuol dire non riuscire a vedere oltre i propri piedi. Che il 12 marzo 1945 c’è un rastrellamento in corso, gli abitanti della frazione di Budrione lo capiscono dalle voci serrate dei comandi: ogni 10 metri c’è una testa e gli ordini si passano da uomo a uomo “come in una battuta di caccia”. Quello che avviene a un mese dalla Liberazione dal Nazifascismo è uno dei tanti episodi quasi sconosciuti di una guerra che ha travolto le campagne dove si nascondevano i partigiani. Questa volta però, l’epilogo è unico: a risolvere e impedire l’ennesimo eccidio sarà la resistenza civile e pacifica delle donne. Un atto raccontato in un libro preziosissimo del 2005, voluto dall’Anpi di Carpi (circolo E. Goldoni) e curato da Annamaria Loschi. Si intitola “Il coraggio delle donne” ed è un documento storico: contiene decine di testimonianze, molte delle quali di persone che ora non ci sono più, e che ricostruiscono un fatto mai arrivato sulle cronache nazionali. Ma che nelle campagne della bassa emiliana nessuno, finora, ha mai scordato. A raccontarlo sono i figli di chi quel giorno nero venne catturato: “Io avevo 13 anni e presero mio padre”, dice a ilfattoquotidiano.it Augusto Barbieri che ora di anni ne ha 93. “Anzi, di casa mia presero quattro uomini. Ricordo la paura. Tantissima paura”. Il rastrellamento lo fanno i tedeschi per vendicare l’agguato a un auto dei loro, avvenuto una settimana prima. A bordo c’erano un ufficiale e un sottoufficiale della Wehrmacht e un soldato mongolo: i primi due sapevano troppo e sono stati eliminati, il terzo ha chiesto e ottenuto di unirsi ai partigiani. I tedeschi non lo sanno e organizzano una controffensiva per liberarli che inizia alle 6 del mattino: catturano più di sessanta uomini (se ne contano almeno 63) e poi, in colonna, li portano in carcere a Correggio. Ma a quel punto succede qualcosa che nessun soldato nemico avrebbe potuto prevedere: i prigionieri vengono seguiti dalle donne in corteo che, sfidando armi e bombardamenti, ne chiedono il rilascio. Sono quasi due ore di cammino, quattro andata e ritorno, che ripeteranno ogni giorno per undici giorni. Fino alla liberazione.

    Il rastrellamento – Siamo a pochi km da Fossoli, dove sorgeva il campo di concentramento e transito verso i lager nazisti. In questa piana infinita, dove a sprazzi sorgono casolari e stalle, si nascondono i partigiani. Qui trovano accoglienza, mentre la vita quotidiana fatta di albe e lavoro va avanti. Il rastrellamento arriva all’improvviso e stravolge le comunità di Budrione, Fossoli e Migliarina. Se oggi sappiamo cosa è avvenuto, è grazie alle voci dei testimoni raccolte da Loschi in collaborazione con Augusto Barbieri, Pierino Bassoli e Lauro Cestelli. “Abbiamo cercato di parlare con più persone possibile”, ricorda Barbieri. Qui riportiamo alcune delle testimonianze contenute nel libro, ancora disponibile presso l’Anpi di Carpi. “Avevo 22 anni, quella mattina eravamo già tutti al lavoro”, dice Isden Morelli. “I tedeschi sono arrivati a casa nostra e hanno portato via con sé mio padre Bortolomeo e mio fratello Brenno”. Dante Bonatti parla del papà Dario che era “falegname e fabbro” ed era “anche addetto alle riparazioni delle armi dei partigiani. Eravamo tutti svegli”, “il rastrellamento è iniziato alle 5.30 del mattino”. Insieme ai tedeschi ci sono anche dei componenti della Brigata Nera di Carpi, che “in tuta grigioverde, avanzava nella nebbia fittissima. Questi ultimi erano ragazzi di 15-16 anni che noi conoscevamo, perché venivano a prendere i cocomeri durante la stagione. Per dissimulare la loro identità, però, tentavano di esprimersi in tedesco”. Luciano Bonatti ricorda che lo zio Dorno “venne preso dall’ultimo tedesco della fila mentre andava di corsa ad avvisare gli altri abitanti”. Bruno Dodi dice di essere rimasto in casa “sperando nella protezione della nebbia”. Ma è arrivato un tedesco che conosceva – “perché gli davamo qualcosa” – e al quale ha ubbidito, fidandosi che l’avrebbe liberato poi. “Invece la realtà è che io ero un ragazzo, ma i tedeschi erano uomini fatti, soldati abituati alla guerra”, dice.

    La maggior parte sono semplici contadini. Ma tra loro vengono catturati anche partigiani. Ad esempio, Bruno Cavazzoli che faceva la ronda e non riesce a prevenire il rastrellamento. Per “la nebbia tremenda”, “non abbiamo visto né sentito i tedeschi arrivare”. Cerca di scappare, ma viene fermato da due uomini a fucili spianati: “La mia prima reazione è stata molto umana”, confessa. “Ho sentito un rivolo caldo scendere lungo la gamba. È stato il massimo dell’angoscia che ho mai provato in vita mia”. Prima di essere catturato, prova a togliere la cravatta rossa per non provocarli: viene visto e schiaffeggiato.

    La rivolta delle donne – Il corteo dei 64 prigionieri parte da Budrione e va verso il carcere di Correggio: circa un’ora e mezza di cammino a piedi. “Disposti in fila per due o per quattro, i rastrellati si sono avviati senza nessun mezzo di trasporto”, raccontano. Erano tutti uomini, tranne una: fra di loro c’era Ardilia o Arsilia Goldoni, catturata mentre andava a lavorare al servizio della famiglia Pisa perché scambiata per una staffetta. Ma piano piano succede l’impensabile: lungo la strada il corteo comincia a ingrossarsi. “Il corteo, formato da tedeschi, fascisti e prigionieri non camminava solo: nonostante il grande pericolo, le donne hanno iniziato a seguirlo, chiamandosi l’una con l’altra”, racconta Vinicio Magnanini. Che ricorda come quel gesto, così forte e d’autonomia, avesse radici lontane. “Non si trattava tuttavia di una manifestazione semplice e spontanea: dietro c’era un’organizzazione politica e culturale, messa in atto da molti mesi, che poteva in questo frangente dare il coraggio alle donne, da sempre abituate a lavorare stando in secondo piano, (…) di affrontare e sfidare per chilometri soldati di un esercito feroce, ormai incalzato dagli eventi e per questo tanto più pericoloso”.

    Secondo i testimoni, il corteo a Correggio raduna più di 500 donne. Maria Allegretti racconta: “Un giorno il comandante partigiano, mi disse: devi organizzare le donne e dovete andare a Correggio a manifestare per gli uomini di Budrione! lo avevo mobilitato tutte le donne della zona e loro venivano volentieri, perché avevano tutte il marito, o un figlio, o un parente in prigione”. Prima di arrivare a Correggio, Allegretti avverte: state attente, perché potrebbero sparare dai tetti. “Loro però erano tutte con me perché volevano tentare di liberare i propri cari. La nostra manifestazione era pacifica: non avevamo armi, ma eravamo molto determinate. E cosi è stato fatto: noi, staffette e simpatizzanti, siamo andate a casa dei contadini a chiedere il cavallo, il biroccio, ma la maggioranza quel giorno è andata a piedi”.

    Ad un certo punto, i tedeschi sparano qualche colpo sulle manifestanti per disperderle: la tensione si alza. “Li seguimmo per circa 3 o 4 Km”, continua Zoe Busi. “Poi, in un momento di disperazione, incominciammo tutte a parlare: chiedevamo ai tedeschi di rilasciare i prigionieri”. È un gesto di sfida che richiede un enorme coraggio e non ci pensano due volte. “Zelmira Marchi si avvicinò loro e rimproverò il comportamento crudele. Un tedesco le lanciò una bomba a mano”. Anche Bruna Malavasi rimane ferita: “Io avevo 17 anni, ma in campagna allora si cresceva in fretta… Non mi ricordo neanche da dove sono partita io o chi mi avesse informata: so solo che con tutto un passaggio di voci ci siamo radunate in tante donne. Proprio in quella località ci hanno sparato: a me è arrivata una scheggia nell’avambraccio sinistro; ho sentito gli spari e mi sono trovata sanguinante. Mi è rimasto il segno, ancora oggi, dopo tanti anni”.

    Il corteo tuttavia riesce da arrivare fino a Correggio e qui le 500 donne che ormai si sono raggruppate inscenano una grande manifestazione davanti alla casa del fascio adibita a prigione. Lì, iniziano a sparare e arrestano Allegretti: “Le donne si sono
    spaventate moltissimo e si sono tutte sparpagliate, mentre io ed altre staffette siamo rimaste al centro della strada. Mi si sono avvicinati due fascisti che ci hanno accusate di fare una manifestazione senza l’autorizzazione, ma noi siamo ugualmente entrate nel cortile della prigione per fare sentire le nostre proteste”. Allora, vanno a cercare il comandante della Brigata Nera di Correggio, Alberto Giorgi: “Le donne sono entrate nel cortile”, dice Vanda Veroni, “e hanno tirato giù dal letto il comandante, anche se era indisposto, in modo che si interessasse della cosa. Lui fu costretto a occuparsi del fatto”.

    La resistenza civile e pacifica delle donne va avanti per undici giorni. Sono undici giorni di cortei che partivano al mattino e rientravano a metà giornata. Sempre e solo animati dalle donne. Di tutte le età. “Per tutto il tempo che rimasero chiusi, noi, con qualsiasi mezzo, carri, biciclette poche o a piedi, eravamo là davanti alla prigione“. Racconta ancora Vanda che a pranzo, spesso, si fermavano dal salumificio Veroni che dava loro “una minestra” e la signora cercava di tranquillizzarle. Si erano schierati con loro. Per le donne il lavoro era doppio: quando tornavano a casa, dovevano fare anche tutto quello che di solito spettava agli uomini nelle stalle. “Fu un periodo durissimo”. Maria viene liberata dopo tre giorni e solo perché nega di conoscere le altre: quando viene scortata dai soldati mongoli e tutte le vengono incontro, riesce a salvarsi perché parla in dialetto e loro non la capiscono.

    Barbieri ricorda molto bene quei giorni: “Come adesso”, dice a ilfattoquotidiano.it. “Sarò anche in difficoltà a muovere la lingua, ma ricordo tutto. Anche perché di casa mia avevo quattro prigionieri. E io, a 13 anni, all’improvviso ero rimasto l’uomo più grande della casa. E allora restavo a casa a tenere dietro alle mucche. Mia mamma e le mie zie andavano tutte le mattine”. E aggiunge: “All’inizio era molto difficile perché le donne si erano divise in commissioni e andavano a parlare con le varie autorità. Ma loro facevano degli ultimatum e dicevano che se non liberavamo i tre soldati, loro avrebbero fucilato tutti i prigionieri”. E poi, dice, “erano semi-analfabete e andare a parlare per una cosa così importante non era facile”. Un giorno, anche il piccolo Barbieri si unisce al corteo e riesce a vedere il padre: “Papà quando vi liberano?”, gli chiede. “E sapete cosa mi ha risposto? Quando tirano via il catenaccio”, ride. “Aveva fatto una battuta per non spaventarmi. Anche perché erano giorni di grande paura”. Si temeva che gli uomini non sarebbero usciti vivi, che ci sarebbe stata una strage. “Ma anche le colonne di donne nelle campagne ogni mattina erano un pericolo perché giravano gli apparecchi e potevano bombardarle. Il loro impegno è stato molto importante”, chiude.

    Dopo i primi giorni, vengono individuati e fucilati cinque partigiani: Mauro Bompani, Enzo Cremonini, Ettore Giovanardi. Ferruccio Tusberti, Augusto Armani. Poi iniziano lunghe ed estenuanti trattative: i tedeschi vogliono indietro i tre, ma non sanno che è impossibile. Alla fine avviene la liberazione dei sessanta, grazie all’intervento del commissario prefettizio di Carpi Enzo Scaltriti, che si dimostra aperto ai partigiani, e alla mediazione di monsignor Giuseppe Bonacini. Ma soprattutto grazie alla pressione esercitata dalla comunità femminile che non ha mai ceduto.

    Bruno racconta gli attimi successivi alla liberazione: “Siamo andati di corsa dalle donne che ci aspettavano fuori. Tutto il rientro è stata una gioia immensa: per la strada ci portavano dei pezzi di gnocco fritto e, quando siamo arrivati a Budrione, c’era una festa inimmaginabile. Le campane suonavano a distesa”. Dice Vanda: “Eravamo tutte contente. Durante il cammino, mi ricordo che un tale è salito sul rimorchio, anche se io ero davanti sul biroccio e poi voleva prendere la guida. Io allora mi sono detta: per undici giorni sono venuta qua, quindi adesso sto davanti io”. Parole importantissime, di un cambiamento che era avvenuto anche fuori dalla prigione. E ancora: “Io ed alcune signore, con le gambe penzoloni dal carretto, facevamo quasi ridere. Tutta la gente, lungo le strade, batteva le mani, con le lacrime agli occhi perché tutti erano soddisfatti di vedere che era stata una bella cosa che l’avventura era finita bene”.

    La partecipazione popolare oltre i partigiani – I racconti di chi c’era sono come fotografie che rimangono nel tempo. Scatti di un avvenimento che ha fatto la storia locale, ma non ha trovato abbastanza spazio nei libri di scuola o sui giornali. Il lavoro di memoria è stato possibile, “grazie ad Annamaria Loschi, insegnante animatrice dell’Associazione Memoria Storica di Budrione”, morta nel 2024, ricorda Lucio Ferrari, presidente dell’Anpi di Carpi. “Lei era appassionatissima”, dice. “Budrione è stato un centro di Resistenza molto forte qui nel Carpigiano e nella zona partigiana della provincia di Modena che è quella più vivace. Qui ci sono stati molti caduti: abbiamo 57 tra cippi e lapidi. In occasione dell’80esimo anniversario della Liberazione, siamo andati a rendere omaggio a tutti. E il 23 marzo scorso, abbiamo ricordato il rastrellamento”.Questo episodio, racconta, “è stata un’esperienza così forte che è rimasta” nel ricordo della comunità. “Da parte delle donne c’è voluto un grande coraggio perché lì c’erano tedeschi e fascisti che si sentivano un po’ accerchiati ed erano particolarmente aggressivi e violenti. Soprattutto nei confronti delle donne”. E la loro rivolta “è stata fondamentale per fare pressione e per liberare i prigionieri. È stata decisiva”. Ma in tutti gli anni della Resistenza, le donne hanno avuto un ruolo importante. Anche e non solo tra i partigiani: “Ricordiamo lo sciopero delle operaie della Manifattura tabacchi, quello delle mondine o quello per il pane”. E pure la battaglia della trebbiatura, “quando uomini e donne tolsero le cinghie alle trebbie per evitare che i tedeschi prendessero il grano da portare in Germania”. E “parteciparono anche le donne”. La resistenza “è diventato un momento di grande emancipazione perché la donna nella famiglia qui non aveva un posto. Il nonno e la nonna erano i cosiddetti comandanti della famiglia. E nella gerarchia c’era un posto solo per la moglie del nonno, che si chiamava la resdora. Quando è iniziata la lotta di Liberazione anche le donne hanno cominciato a cercare di conquistare uno spazio dentro e fuori la famiglia. Prima non era così”.

    Quello che i fatti di Budrione, Migliarina e Fossoli dimostrano è che non c’erano solo i partigiani e le partigiane. Ma anche una società civile attiva e comunità mobilitate per la Resistenza. “Il 22 aprile”, continua Ferrari, “giorno della Liberazione di Carpi, abbiamo inaugurato la mostra ‘Noi stavamo con i partigiani’ che racconta proprio tutta la partecipazione popolare. Nella nostra zona più di 100 case sono diventate rifugio, nascondendo le persone nelle stalle o nei fienili. Ci fu una grande copertura della popolazione. Certo ci furono anche le spie, ma in generale ci fu una grande partecipazione. Anche di altre formazioni: cattolici, socialisti e naturalmente comunisti”. Proprio “la partecipazione popolare pacifica”, chiude Ferrari, “ha reso possibile la lotta partigiana”. E senza la resistenza de “la” Maria, “la” Vanda, “la” Isden e di tutte le altre, probabilmente il lembo di terra tra Correggio e Carpi avrebbe pianto altri sessanta uomini.

    *Foto da “Il coraggio delle donne. 12-23 marzo 1945” (a cura di Annamaria Loschi e di Anpi Carpi – Circolo E.Goldoni Budrione)

    Source: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/25/la-rivolta-pacifica-delle-donne-che-salvo-63-uomini-in-emilia-per-11-giorni-in-corteo-fino-alla-prigione-dopo-il-rastrellamento-dei-nazisti/7961324/
    Storie della Resistenza che ci piacciono. La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: "Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti" - Il Fatto Quotidiano Solo la determinazione delle donne ha permesso di salvare oltre 60 uomini: ecco cosa è successo Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana" La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: “Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti” di Martina Castigliani Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana" La nebbia, quel giorno, è fittissima. “Di quelle pesanti e piovose che penetrano nelle ossa”, racconta chi c’era. In Pianura Padana, nel lembo di terra che separa Correggio e Carpi, tra Reggio Emilia e Modena, vuol dire non riuscire a vedere oltre i propri piedi. Che il 12 marzo 1945 c’è un rastrellamento in corso, gli abitanti della frazione di Budrione lo capiscono dalle voci serrate dei comandi: ogni 10 metri c’è una testa e gli ordini si passano da uomo a uomo “come in una battuta di caccia”. Quello che avviene a un mese dalla Liberazione dal Nazifascismo è uno dei tanti episodi quasi sconosciuti di una guerra che ha travolto le campagne dove si nascondevano i partigiani. Questa volta però, l’epilogo è unico: a risolvere e impedire l’ennesimo eccidio sarà la resistenza civile e pacifica delle donne. Un atto raccontato in un libro preziosissimo del 2005, voluto dall’Anpi di Carpi (circolo E. Goldoni) e curato da Annamaria Loschi. Si intitola “Il coraggio delle donne” ed è un documento storico: contiene decine di testimonianze, molte delle quali di persone che ora non ci sono più, e che ricostruiscono un fatto mai arrivato sulle cronache nazionali. Ma che nelle campagne della bassa emiliana nessuno, finora, ha mai scordato. A raccontarlo sono i figli di chi quel giorno nero venne catturato: “Io avevo 13 anni e presero mio padre”, dice a ilfattoquotidiano.it Augusto Barbieri che ora di anni ne ha 93. “Anzi, di casa mia presero quattro uomini. Ricordo la paura. Tantissima paura”. Il rastrellamento lo fanno i tedeschi per vendicare l’agguato a un auto dei loro, avvenuto una settimana prima. A bordo c’erano un ufficiale e un sottoufficiale della Wehrmacht e un soldato mongolo: i primi due sapevano troppo e sono stati eliminati, il terzo ha chiesto e ottenuto di unirsi ai partigiani. I tedeschi non lo sanno e organizzano una controffensiva per liberarli che inizia alle 6 del mattino: catturano più di sessanta uomini (se ne contano almeno 63) e poi, in colonna, li portano in carcere a Correggio. Ma a quel punto succede qualcosa che nessun soldato nemico avrebbe potuto prevedere: i prigionieri vengono seguiti dalle donne in corteo che, sfidando armi e bombardamenti, ne chiedono il rilascio. Sono quasi due ore di cammino, quattro andata e ritorno, che ripeteranno ogni giorno per undici giorni. Fino alla liberazione. Il rastrellamento – Siamo a pochi km da Fossoli, dove sorgeva il campo di concentramento e transito verso i lager nazisti. In questa piana infinita, dove a sprazzi sorgono casolari e stalle, si nascondono i partigiani. Qui trovano accoglienza, mentre la vita quotidiana fatta di albe e lavoro va avanti. Il rastrellamento arriva all’improvviso e stravolge le comunità di Budrione, Fossoli e Migliarina. Se oggi sappiamo cosa è avvenuto, è grazie alle voci dei testimoni raccolte da Loschi in collaborazione con Augusto Barbieri, Pierino Bassoli e Lauro Cestelli. “Abbiamo cercato di parlare con più persone possibile”, ricorda Barbieri. Qui riportiamo alcune delle testimonianze contenute nel libro, ancora disponibile presso l’Anpi di Carpi. “Avevo 22 anni, quella mattina eravamo già tutti al lavoro”, dice Isden Morelli. “I tedeschi sono arrivati a casa nostra e hanno portato via con sé mio padre Bortolomeo e mio fratello Brenno”. Dante Bonatti parla del papà Dario che era “falegname e fabbro” ed era “anche addetto alle riparazioni delle armi dei partigiani. Eravamo tutti svegli”, “il rastrellamento è iniziato alle 5.30 del mattino”. Insieme ai tedeschi ci sono anche dei componenti della Brigata Nera di Carpi, che “in tuta grigioverde, avanzava nella nebbia fittissima. Questi ultimi erano ragazzi di 15-16 anni che noi conoscevamo, perché venivano a prendere i cocomeri durante la stagione. Per dissimulare la loro identità, però, tentavano di esprimersi in tedesco”. Luciano Bonatti ricorda che lo zio Dorno “venne preso dall’ultimo tedesco della fila mentre andava di corsa ad avvisare gli altri abitanti”. Bruno Dodi dice di essere rimasto in casa “sperando nella protezione della nebbia”. Ma è arrivato un tedesco che conosceva – “perché gli davamo qualcosa” – e al quale ha ubbidito, fidandosi che l’avrebbe liberato poi. “Invece la realtà è che io ero un ragazzo, ma i tedeschi erano uomini fatti, soldati abituati alla guerra”, dice. La maggior parte sono semplici contadini. Ma tra loro vengono catturati anche partigiani. Ad esempio, Bruno Cavazzoli che faceva la ronda e non riesce a prevenire il rastrellamento. Per “la nebbia tremenda”, “non abbiamo visto né sentito i tedeschi arrivare”. Cerca di scappare, ma viene fermato da due uomini a fucili spianati: “La mia prima reazione è stata molto umana”, confessa. “Ho sentito un rivolo caldo scendere lungo la gamba. È stato il massimo dell’angoscia che ho mai provato in vita mia”. Prima di essere catturato, prova a togliere la cravatta rossa per non provocarli: viene visto e schiaffeggiato. La rivolta delle donne – Il corteo dei 64 prigionieri parte da Budrione e va verso il carcere di Correggio: circa un’ora e mezza di cammino a piedi. “Disposti in fila per due o per quattro, i rastrellati si sono avviati senza nessun mezzo di trasporto”, raccontano. Erano tutti uomini, tranne una: fra di loro c’era Ardilia o Arsilia Goldoni, catturata mentre andava a lavorare al servizio della famiglia Pisa perché scambiata per una staffetta. Ma piano piano succede l’impensabile: lungo la strada il corteo comincia a ingrossarsi. “Il corteo, formato da tedeschi, fascisti e prigionieri non camminava solo: nonostante il grande pericolo, le donne hanno iniziato a seguirlo, chiamandosi l’una con l’altra”, racconta Vinicio Magnanini. Che ricorda come quel gesto, così forte e d’autonomia, avesse radici lontane. “Non si trattava tuttavia di una manifestazione semplice e spontanea: dietro c’era un’organizzazione politica e culturale, messa in atto da molti mesi, che poteva in questo frangente dare il coraggio alle donne, da sempre abituate a lavorare stando in secondo piano, (…) di affrontare e sfidare per chilometri soldati di un esercito feroce, ormai incalzato dagli eventi e per questo tanto più pericoloso”. Secondo i testimoni, il corteo a Correggio raduna più di 500 donne. Maria Allegretti racconta: “Un giorno il comandante partigiano, mi disse: devi organizzare le donne e dovete andare a Correggio a manifestare per gli uomini di Budrione! lo avevo mobilitato tutte le donne della zona e loro venivano volentieri, perché avevano tutte il marito, o un figlio, o un parente in prigione”. Prima di arrivare a Correggio, Allegretti avverte: state attente, perché potrebbero sparare dai tetti. “Loro però erano tutte con me perché volevano tentare di liberare i propri cari. La nostra manifestazione era pacifica: non avevamo armi, ma eravamo molto determinate. E cosi è stato fatto: noi, staffette e simpatizzanti, siamo andate a casa dei contadini a chiedere il cavallo, il biroccio, ma la maggioranza quel giorno è andata a piedi”. Ad un certo punto, i tedeschi sparano qualche colpo sulle manifestanti per disperderle: la tensione si alza. “Li seguimmo per circa 3 o 4 Km”, continua Zoe Busi. “Poi, in un momento di disperazione, incominciammo tutte a parlare: chiedevamo ai tedeschi di rilasciare i prigionieri”. È un gesto di sfida che richiede un enorme coraggio e non ci pensano due volte. “Zelmira Marchi si avvicinò loro e rimproverò il comportamento crudele. Un tedesco le lanciò una bomba a mano”. Anche Bruna Malavasi rimane ferita: “Io avevo 17 anni, ma in campagna allora si cresceva in fretta… Non mi ricordo neanche da dove sono partita io o chi mi avesse informata: so solo che con tutto un passaggio di voci ci siamo radunate in tante donne. Proprio in quella località ci hanno sparato: a me è arrivata una scheggia nell’avambraccio sinistro; ho sentito gli spari e mi sono trovata sanguinante. Mi è rimasto il segno, ancora oggi, dopo tanti anni”. Il corteo tuttavia riesce da arrivare fino a Correggio e qui le 500 donne che ormai si sono raggruppate inscenano una grande manifestazione davanti alla casa del fascio adibita a prigione. Lì, iniziano a sparare e arrestano Allegretti: “Le donne si sono spaventate moltissimo e si sono tutte sparpagliate, mentre io ed altre staffette siamo rimaste al centro della strada. Mi si sono avvicinati due fascisti che ci hanno accusate di fare una manifestazione senza l’autorizzazione, ma noi siamo ugualmente entrate nel cortile della prigione per fare sentire le nostre proteste”. Allora, vanno a cercare il comandante della Brigata Nera di Correggio, Alberto Giorgi: “Le donne sono entrate nel cortile”, dice Vanda Veroni, “e hanno tirato giù dal letto il comandante, anche se era indisposto, in modo che si interessasse della cosa. Lui fu costretto a occuparsi del fatto”. La resistenza civile e pacifica delle donne va avanti per undici giorni. Sono undici giorni di cortei che partivano al mattino e rientravano a metà giornata. Sempre e solo animati dalle donne. Di tutte le età. “Per tutto il tempo che rimasero chiusi, noi, con qualsiasi mezzo, carri, biciclette poche o a piedi, eravamo là davanti alla prigione“. Racconta ancora Vanda che a pranzo, spesso, si fermavano dal salumificio Veroni che dava loro “una minestra” e la signora cercava di tranquillizzarle. Si erano schierati con loro. Per le donne il lavoro era doppio: quando tornavano a casa, dovevano fare anche tutto quello che di solito spettava agli uomini nelle stalle. “Fu un periodo durissimo”. Maria viene liberata dopo tre giorni e solo perché nega di conoscere le altre: quando viene scortata dai soldati mongoli e tutte le vengono incontro, riesce a salvarsi perché parla in dialetto e loro non la capiscono. Barbieri ricorda molto bene quei giorni: “Come adesso”, dice a ilfattoquotidiano.it. “Sarò anche in difficoltà a muovere la lingua, ma ricordo tutto. Anche perché di casa mia avevo quattro prigionieri. E io, a 13 anni, all’improvviso ero rimasto l’uomo più grande della casa. E allora restavo a casa a tenere dietro alle mucche. Mia mamma e le mie zie andavano tutte le mattine”. E aggiunge: “All’inizio era molto difficile perché le donne si erano divise in commissioni e andavano a parlare con le varie autorità. Ma loro facevano degli ultimatum e dicevano che se non liberavamo i tre soldati, loro avrebbero fucilato tutti i prigionieri”. E poi, dice, “erano semi-analfabete e andare a parlare per una cosa così importante non era facile”. Un giorno, anche il piccolo Barbieri si unisce al corteo e riesce a vedere il padre: “Papà quando vi liberano?”, gli chiede. “E sapete cosa mi ha risposto? Quando tirano via il catenaccio”, ride. “Aveva fatto una battuta per non spaventarmi. Anche perché erano giorni di grande paura”. Si temeva che gli uomini non sarebbero usciti vivi, che ci sarebbe stata una strage. “Ma anche le colonne di donne nelle campagne ogni mattina erano un pericolo perché giravano gli apparecchi e potevano bombardarle. Il loro impegno è stato molto importante”, chiude. Dopo i primi giorni, vengono individuati e fucilati cinque partigiani: Mauro Bompani, Enzo Cremonini, Ettore Giovanardi. Ferruccio Tusberti, Augusto Armani. Poi iniziano lunghe ed estenuanti trattative: i tedeschi vogliono indietro i tre, ma non sanno che è impossibile. Alla fine avviene la liberazione dei sessanta, grazie all’intervento del commissario prefettizio di Carpi Enzo Scaltriti, che si dimostra aperto ai partigiani, e alla mediazione di monsignor Giuseppe Bonacini. Ma soprattutto grazie alla pressione esercitata dalla comunità femminile che non ha mai ceduto. Bruno racconta gli attimi successivi alla liberazione: “Siamo andati di corsa dalle donne che ci aspettavano fuori. Tutto il rientro è stata una gioia immensa: per la strada ci portavano dei pezzi di gnocco fritto e, quando siamo arrivati a Budrione, c’era una festa inimmaginabile. Le campane suonavano a distesa”. Dice Vanda: “Eravamo tutte contente. Durante il cammino, mi ricordo che un tale è salito sul rimorchio, anche se io ero davanti sul biroccio e poi voleva prendere la guida. Io allora mi sono detta: per undici giorni sono venuta qua, quindi adesso sto davanti io”. Parole importantissime, di un cambiamento che era avvenuto anche fuori dalla prigione. E ancora: “Io ed alcune signore, con le gambe penzoloni dal carretto, facevamo quasi ridere. Tutta la gente, lungo le strade, batteva le mani, con le lacrime agli occhi perché tutti erano soddisfatti di vedere che era stata una bella cosa che l’avventura era finita bene”. La partecipazione popolare oltre i partigiani – I racconti di chi c’era sono come fotografie che rimangono nel tempo. Scatti di un avvenimento che ha fatto la storia locale, ma non ha trovato abbastanza spazio nei libri di scuola o sui giornali. Il lavoro di memoria è stato possibile, “grazie ad Annamaria Loschi, insegnante animatrice dell’Associazione Memoria Storica di Budrione”, morta nel 2024, ricorda Lucio Ferrari, presidente dell’Anpi di Carpi. “Lei era appassionatissima”, dice. “Budrione è stato un centro di Resistenza molto forte qui nel Carpigiano e nella zona partigiana della provincia di Modena che è quella più vivace. Qui ci sono stati molti caduti: abbiamo 57 tra cippi e lapidi. In occasione dell’80esimo anniversario della Liberazione, siamo andati a rendere omaggio a tutti. E il 23 marzo scorso, abbiamo ricordato il rastrellamento”.Questo episodio, racconta, “è stata un’esperienza così forte che è rimasta” nel ricordo della comunità. “Da parte delle donne c’è voluto un grande coraggio perché lì c’erano tedeschi e fascisti che si sentivano un po’ accerchiati ed erano particolarmente aggressivi e violenti. Soprattutto nei confronti delle donne”. E la loro rivolta “è stata fondamentale per fare pressione e per liberare i prigionieri. È stata decisiva”. Ma in tutti gli anni della Resistenza, le donne hanno avuto un ruolo importante. Anche e non solo tra i partigiani: “Ricordiamo lo sciopero delle operaie della Manifattura tabacchi, quello delle mondine o quello per il pane”. E pure la battaglia della trebbiatura, “quando uomini e donne tolsero le cinghie alle trebbie per evitare che i tedeschi prendessero il grano da portare in Germania”. E “parteciparono anche le donne”. La resistenza “è diventato un momento di grande emancipazione perché la donna nella famiglia qui non aveva un posto. Il nonno e la nonna erano i cosiddetti comandanti della famiglia. E nella gerarchia c’era un posto solo per la moglie del nonno, che si chiamava la resdora. Quando è iniziata la lotta di Liberazione anche le donne hanno cominciato a cercare di conquistare uno spazio dentro e fuori la famiglia. Prima non era così”. Quello che i fatti di Budrione, Migliarina e Fossoli dimostrano è che non c’erano solo i partigiani e le partigiane. Ma anche una società civile attiva e comunità mobilitate per la Resistenza. “Il 22 aprile”, continua Ferrari, “giorno della Liberazione di Carpi, abbiamo inaugurato la mostra ‘Noi stavamo con i partigiani’ che racconta proprio tutta la partecipazione popolare. Nella nostra zona più di 100 case sono diventate rifugio, nascondendo le persone nelle stalle o nei fienili. Ci fu una grande copertura della popolazione. Certo ci furono anche le spie, ma in generale ci fu una grande partecipazione. Anche di altre formazioni: cattolici, socialisti e naturalmente comunisti”. Proprio “la partecipazione popolare pacifica”, chiude Ferrari, “ha reso possibile la lotta partigiana”. E senza la resistenza de “la” Maria, “la” Vanda, “la” Isden e di tutte le altre, probabilmente il lembo di terra tra Correggio e Carpi avrebbe pianto altri sessanta uomini. *Foto da “Il coraggio delle donne. 12-23 marzo 1945” (a cura di Annamaria Loschi e di Anpi Carpi – Circolo E.Goldoni Budrione) Source: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/25/la-rivolta-pacifica-delle-donne-che-salvo-63-uomini-in-emilia-per-11-giorni-in-corteo-fino-alla-prigione-dopo-il-rastrellamento-dei-nazisti/7961324/
    Like
    3
    0 Σχόλια 0 Μοιράστηκε 11χλμ. Views
  • Dopo 40 giorni di internamento finalmente la delegazione di avvocati sui diritti umani incontra Enrico. Enrico Giannini e apparso sedato ,molto provato ed emozionato. Nonostante il suo rifiuto , e la volontà di non voler prendere psicofarmaci " ESSENDO UNO SANO DI MENTE"gli è stato coattivamente somministratO psicofarmaci dal lager di concentramento psichiatrico. FORZA ENRICO NON SI MOLLA. Per chi non lo sapesse Enrico Gianini 3 l'operatore aeroportuale di Malpensa che ha denunciato le scie chimiche con tanto di prove analizzate e certificate.
    Dopo 40 giorni di internamento finalmente la delegazione di avvocati sui diritti umani incontra Enrico. Enrico Giannini e apparso sedato ,molto provato ed emozionato. Nonostante il suo rifiuto , e la volontà di non voler prendere psicofarmaci " ESSENDO UNO SANO DI MENTE"gli è stato coattivamente somministratO psicofarmaci dal lager di concentramento psichiatrico. FORZA ENRICO NON SI MOLLA. Per chi non lo sapesse Enrico Gianini 3 l'operatore aeroportuale di Malpensa che ha denunciato le scie chimiche con tanto di prove analizzate e certificate.
    Angry
    2
    0 Σχόλια 0 Μοιράστηκε 2χλμ. Views
  • https://matthewsliquor.com.au/index.php/xxxx-gold-lager-cn6pk
    https://matthewsliquor.com.au/index.php/xxxx-gold-lager-cn6pk
    XXXX Gold Lager Can 375Ml | Matthew's Liquor
    Buy XXXX Gold Lager Can 375Ml online from Matthew's Liquor. We provide 1-hour delivery at the best price. Order now to have yourself the best Midstrength in Australia.
    0 Σχόλια 0 Μοιράστηκε 1χλμ. Views
  • La Sig.ra Maria Grazia Evangelista, coniugata in Pederzoli , moglie del compianto Luciano Pederzoli, scrive quanto segue , sulla scomparsa del suo ben conosciuto marito:

    "Io ho fatto una denuncia per omicidio volontario aggravato di un non  vaccinato, mio marito, ing.Luciano Pederzoli. Ora mi sta seguendo L'avv.Taormina. A Firenze ci sono l'avv.Cecilia Cusi, civilista e l'avv.Donatella Casini, penalista."

    "La drammatica scomparsa di Luciano Pederzoli. Punta di diamante della ricerca scientifica"
    https://www.ibs.it/drammatica-scomparsa-di-luciano-pederzoli-libro-maria-grazia-evangelista/e/9788894772104#:~:text=La-,drammatica,-scomparsa%20di%20Luciano

    Pederzoli muore il 29 marzo del 2022 nell'ospedale di Careggi a Firenze. Qui inizia il giallo che in breve tempo si colora di rosso sangue. Un calvario, un'esecuzione? L'autrice ha la verità vera, ma quella giudiziaria arriverà? Forse un giorno, quando si chiariranno definitivamente, e la STORIA ci metterà il suo sigillo, le circostanze di questi tre anni di estrema decadenza di valori, della morale, dell'umanità e per di più dell'imperizia e negligenza di chi aveva il compito di salvare vite umane.

    Lo hanno TORTURATO !!
    Lasciato senza bere , legato , morfinizzato senza consenso , tagliandolo fuori da ogni possibilità di comunicazione verso l'esterno, come in prigione
    " Paziente collaborativo " c'era pure scritto sulla cartella medica

    Io , che scrivo, sono stato ricoverato in ben 2 ospedali - lager : sopravvissuto grazie al mio forte spirito di sopravvivenza e all' eloquio non improntato al far play,  molto dissuasivo !

    Ci hanno provato anche con me quei bastardi infiniti !
    Mi misero in stanza con le sbarre ...maledetti

    Fonte: https://t.me/c/1697064133/11804
    La Sig.ra Maria Grazia Evangelista, coniugata in Pederzoli , moglie del compianto Luciano Pederzoli, scrive quanto segue , sulla scomparsa del suo ben conosciuto marito: "Io ho fatto una denuncia per omicidio volontario aggravato di un non  vaccinato, mio marito, ing.Luciano Pederzoli. Ora mi sta seguendo L'avv.Taormina. A Firenze ci sono l'avv.Cecilia Cusi, civilista e l'avv.Donatella Casini, penalista." "La drammatica scomparsa di Luciano Pederzoli. Punta di diamante della ricerca scientifica" https://www.ibs.it/drammatica-scomparsa-di-luciano-pederzoli-libro-maria-grazia-evangelista/e/9788894772104#:~:text=La-,drammatica,-scomparsa%20di%20Luciano Pederzoli muore il 29 marzo del 2022 nell'ospedale di Careggi a Firenze. Qui inizia il giallo che in breve tempo si colora di rosso sangue. Un calvario, un'esecuzione? L'autrice ha la verità vera, ma quella giudiziaria arriverà? Forse un giorno, quando si chiariranno definitivamente, e la STORIA ci metterà il suo sigillo, le circostanze di questi tre anni di estrema decadenza di valori, della morale, dell'umanità e per di più dell'imperizia e negligenza di chi aveva il compito di salvare vite umane. Lo hanno TORTURATO !! Lasciato senza bere , legato , morfinizzato senza consenso , tagliandolo fuori da ogni possibilità di comunicazione verso l'esterno, come in prigione " Paziente collaborativo " c'era pure scritto sulla cartella medica 😭😭😭 Io , che scrivo, sono stato ricoverato in ben 2 ospedali - lager : sopravvissuto grazie al mio forte spirito di sopravvivenza e all' eloquio non improntato al far play,  molto dissuasivo ! Ci hanno provato anche con me quei bastardi infiniti ! Mi misero in stanza con le sbarre ...maledetti Fonte: https://t.me/c/1697064133/11804
    WWW.IBS.IT
    La drammatica scomparsa di Luciano Pederzoli. Punta di diamante della ricerca scientifica - Maria Grazia Evangelista - Libro - Edizioni Udom - | IBS
    La drammatica scomparsa di Luciano Pederzoli. Punta di diamante della ricerca scientifica è un libro di Maria Grazia Evangelista pubblicato da Edizioni Udom : acquista su IBS a 17.10€!
    0 Σχόλια 0 Μοιράστηκε 6χλμ. Views
  • "Torturato e lasciato morire": emergono nuovi dettagli sull'omicidio da parte di Israele di un importante chirurgo di Gaza

    Un'inchiesta di Sky News pubblicata il 16 novembre, ha rivelato nuovi dettagli sulla tortura e l'omicidio, da parte di Israele del famoso chirurgo palestinese di Gaza Adnan al-Bursh, avvenuto nel carcere di Ofer, nella Cisgiordania palestinese occupata, lo scorso maggio.

    Un compagno di prigionia palestinese a Ofer, ha raccontato al canale di notizie britannico, che le guardie israeliane hanno torturato selvaggiamente il dottor Bursh, e poi lo hanno lasciato morire da solo, nudo dalla vita in giù, nel cortile della prigione..!!

    Il prigioniero, che in precedenza conosceva il medico a Gaza, ha fornito i nuovi dettagli in una deposizione agli avvocati di HaMoked, un'organizzazione israeliana per i diritti umani.

    "A metà aprile 2024, il dottor Adnan Al-Bursh, arrivava alla Sezione 23 della prigione di Ofer, le guardie carcerarie hanno portato il dottor Adnan Al-Bursh nella sezione in uno stato deplorevole..

    Era stato chiaramente aggredito con ferite su tutto il corpo, era nudo nella parte inferiore del corpo", afferma la deposizione del prigioniero.

    Le guardie carcerarie lo gettarono in mezzo al cortile, e lo lasciarono lì..

    Il dottor Adnan Al-Bursh non riusciva nemmeno a stare in piedi.. Uno dei prigionieri lo aiutò, e lo accompagnò in una delle stanze.

    Pochi minuti dopo, si udirono i prigionieri urlare dalla stanza in cui erano entrati, dichiarando che il dottor Adnan Al-Bursh (era morto)."

    Il dottor Bursh era ampiamente considerato uno dei chirurghi più qualificati e noti di Gaza..!!

    Quando la guerra di Israele a Gaza è iniziata nell'ottobre dell'anno scorso, il dott. Bursh lavorava all'ospedale Al-Shifa come primario di chirurgia ortopedica.

    Lavorava 24 ore su 24, eseguendo interventi chirurgici sui palestinesi feriti dall'orribile campagna di bombardamenti di Israele..!!!

    Quando le truppe israeliane assediarono Al-Shifa a novembre, il personale fu costretto a fuggire.

    Bursh fuggì a piedi all'ospedale indonesiano di Bait Lahia, per continuare a prestare assistenza ai pazienti feriti.

    Ha documentato le sue esperienze in video, incluso il momento in cui Israele ha bombardato l'ospedale, uccidendo 12 persone.

    Fu poi costretto a lasciare anche l'ospedale indonesiano, e trasferitosi all'ospedale Al-Awda nel nord di Gaza, fu rapito dalle forze israeliane.

    Dopo che i soldati circondarono l'ospedale, " dissero al dottor Bursh che se non fossero scesi tutti gli uomini, avrebbero distrutto l'ospedale Awda con tutte le donne e i bambini che conteneva", ha riferito a Sky News, un collega medico dell'Al-Awda, Mohammad Obeid .

    Dopo che il dottor Bursh lasciò l'ospedale, i soldati israeliani " lo chiamarono per nome" e poi lo portarono via "brutalmente", ha affermato Obeid.

    Il dottor Bursh venne poi portato nel famigerato campo di detenzione di Sde Teiman, nel deserto del Negev.

    La struttura è diventata famosa quest'estate, dopo che guardie carcerarie, medici ed ex detenuti, hanno rilasciato testimonianze di prigionieri torturati e stuprati..!!

    Il dottor Khalid Hamouda, ex detenuto di Sde Teiman, ha dichiarato a Sky News, che dei 100 prigionieri nella sezione del campo in cui era detenuto, almeno un quarto erano operatori sanitari.

    Il dottor Bursh venne picchiato selvaggiamente a Sde Teiman.

    È stato sottoposto ad abusi e torture ed infine ucciso..La rete britannica Sky News ha rivelato i risultati delle sue indagini sulla morte del medico di Gaza, Adnan Al Bursh, rapito e poi detenuto dopo nelle carceri-lager dell'occupazione sionista.

    Pensava di essersi rotto le costole", ha detto il dottor Hamouda.. "Non era nemmeno in grado di andare in bagno da solo".

    Il medico venne poi trasferito nella prigione di Ofer, nel sistema carcerario israeliano, ma non fu mai accusato di alcun crimine o terrorismo.

    Secondo la Palestinian Prisoners Society, dal 7 ottobre 2023, almeno 43 prigionieri sono morti nelle carceri israeliane.

    https://thecradle.co/articles/tortured-and-left-to-die-new-details-emerge-about-israels-murder-of-prominent-gaza-surgeon

    THECRADLE

    "Tortured and left to die": New details emerge in Israel's murder of top Gaza surgeon

    https://t.me/Liberaveritas2/4267

    A Sky News investigation published on November 16 has revealed new details about Israel's torture and murder of top Gazan Palestinian surgeon Adnan al-Bursh in Ofer prison in the occupied Palestinian West Bank last May.

    A fellow Palestinian prisoner in Ofer told the British news channel that Israeli guards savagely tortured Dr Bursh, then left him to die alone, naked from the waist down, in the prison yard..!!

    The prisoner, who previously knew the doctor in Gaza, provided the new details in a deposition to lawyers from HaMoked, an Israeli human rights organization.

    "In mid-April 2024, Dr. Adnan Al-Bursh, arrived at Section 23 of Ofer Prison, the prison guards brought Dr. Adnan Al-Bursh to the section in a deplorable state.

    He had been clearly assaulted with wounds all over his body, he was naked in the lower part of his body," the prisoner's deposition states.

    The prison guards threw him into the middle of the courtyard, and left him there.

    Dr. Adnan Al-Bursh could not even stand up. One of the prisoners helped him, and accompanied him to one of the rooms.

    A few minutes later, prisoners could be heard screaming from the room they had entered, declaring that Dr. Adnan Al-Bursh (was dead)."

    Dr. Bursh was widely considered one of the most skilled and well-known surgeons in Gaza..!!

    When Israel's war on Gaza began in October last year, Dr. Bursh was working at Al-Shifa Hospital as the head of orthopedic surgery.

    He worked around the clock, performing surgeries on Palestinians injured by Israel's horrific bombing campaign..!!!

    When Israeli troops besieged Al-Shifa in November, the staff were forced to flee.

    Bursh fled on foot to the Indonesian hospital in Bait Lahia, to continue caring for the injured patients.

    He documented his experiences on video, including the moment Israel bombed the hospital, killing 12 people.

    He was later forced to leave the Indonesian hospital as well, and moved to Al-Awda Hospital in northern Gaza, where he was kidnapped by Israeli forces.

    After soldiers surrounded the hospital, "they told Dr Bursh that if all the men didn't come down, they would destroy Awda Hospital and all the women and children in it," fellow Al-Awda doctor Mohammad Obeid told Sky News.

    After Dr Bursh left the hospital, Israeli soldiers "called him by name" and then "brutally" took him away, Obeid said.

    Dr Bursh was then taken to the notorious Sde Teiman detention camp in the Negev desert.

    The facility became infamous this summer after prison guards, doctors and former detainees gave testimonies of prisoners being tortured and raped..!!

    Former Sde Teiman prisoner Dr Khalid Hamouda told Sky News that of the 100 prisoners in the section of the camp where he was held, at least a quarter were medical workers.

    Dr Bursh was savagely beaten in Sde Teiman.

    He was subjected to abuse and torture and was eventually killed..Britain's Sky News has revealed the results of its investigation into the death of Gaza doctor Adnan Al Bursh, who was kidnapped and then held in Zionist occupation prisons.

    He thought he had broken his ribs," Dr Hamouda said. "He wasn't even able to go to the toilet on his own."

    The doctor was later transferred to Ofer prison in the Israeli prison system, but was never charged with any crime or terrorism.

    According to the Palestinian Prisoners Society, at least 43 prisoners have died in Israeli prisons since October 7, 2023.

    THECRADLE

    @Liberatoria

    Source: https://t.me/Liberaveritas2/4267
    🆘🩸🪖🇮🇱❌🇵🇸"Torturato e lasciato morire": emergono nuovi dettagli sull'omicidio da parte di Israele di un importante chirurgo di Gaza 🇬🇧Un'inchiesta di Sky News pubblicata il 16 novembre, ha rivelato nuovi dettagli sulla tortura e l'omicidio, da parte di Israele del famoso chirurgo palestinese di Gaza Adnan al-Bursh, avvenuto nel carcere di Ofer, nella Cisgiordania palestinese occupata, lo scorso maggio. Un compagno di prigionia palestinese a Ofer, ha raccontato al canale di notizie britannico, che le guardie israeliane hanno torturato selvaggiamente il dottor Bursh, e poi lo hanno lasciato morire da solo, nudo dalla vita in giù, nel cortile della prigione..!! Il prigioniero, che in precedenza conosceva il medico a Gaza, ha fornito i nuovi dettagli in una deposizione agli avvocati di HaMoked, un'organizzazione israeliana per i diritti umani. "A metà aprile 2024, il dottor Adnan Al-Bursh, arrivava alla Sezione 23 della prigione di Ofer, le guardie carcerarie hanno portato il dottor Adnan Al-Bursh nella sezione in uno stato deplorevole.. Era stato chiaramente aggredito con ferite su tutto il corpo, era nudo nella parte inferiore del corpo", afferma la deposizione del prigioniero. Le guardie carcerarie lo gettarono in mezzo al cortile, e lo lasciarono lì.. Il dottor Adnan Al-Bursh non riusciva nemmeno a stare in piedi.. Uno dei prigionieri lo aiutò, e lo accompagnò in una delle stanze. Pochi minuti dopo, si udirono i prigionieri urlare dalla stanza in cui erano entrati, dichiarando che il dottor Adnan Al-Bursh (era morto)." Il dottor Bursh era ampiamente considerato uno dei chirurghi più qualificati e noti di Gaza..!! Quando la guerra di Israele a Gaza è iniziata nell'ottobre dell'anno scorso, il dott. Bursh lavorava all'ospedale Al-Shifa come primario di chirurgia ortopedica. Lavorava 24 ore su 24, eseguendo interventi chirurgici sui palestinesi feriti dall'orribile campagna di bombardamenti di Israele..!!! Quando le truppe israeliane assediarono Al-Shifa a novembre, il personale fu costretto a fuggire. Bursh fuggì a piedi all'ospedale indonesiano di Bait Lahia, per continuare a prestare assistenza ai pazienti feriti. Ha documentato le sue esperienze in video, incluso il momento in cui Israele ha bombardato l'ospedale, uccidendo 12 persone. Fu poi costretto a lasciare anche l'ospedale indonesiano, e trasferitosi all'ospedale Al-Awda nel nord di Gaza, fu rapito dalle forze israeliane. Dopo che i soldati circondarono l'ospedale, " dissero al dottor Bursh che se non fossero scesi tutti gli uomini, avrebbero distrutto l'ospedale Awda con tutte le donne e i bambini che conteneva", ha riferito a Sky News, un collega medico dell'Al-Awda, Mohammad Obeid . Dopo che il dottor Bursh lasciò l'ospedale, i soldati israeliani " lo chiamarono per nome" e poi lo portarono via "brutalmente", ha affermato Obeid. Il dottor Bursh venne poi portato nel famigerato campo di detenzione di Sde Teiman, nel deserto del Negev. La struttura è diventata famosa quest'estate, dopo che guardie carcerarie, medici ed ex detenuti, hanno rilasciato testimonianze di prigionieri torturati e stuprati..!! Il dottor Khalid Hamouda, ex detenuto di Sde Teiman, ha dichiarato a Sky News, che dei 100 prigionieri nella sezione del campo in cui era detenuto, almeno un quarto erano operatori sanitari. Il dottor Bursh venne picchiato selvaggiamente a Sde Teiman. È stato sottoposto ad abusi e torture ed infine ucciso..La rete britannica Sky News ha rivelato i risultati delle sue indagini sulla morte del medico di Gaza, Adnan Al Bursh, rapito e poi detenuto dopo nelle carceri-lager dell'occupazione sionista. Pensava di essersi rotto le costole", ha detto il dottor Hamouda.. "Non era nemmeno in grado di andare in bagno da solo". Il medico venne poi trasferito nella prigione di Ofer, nel sistema carcerario israeliano, ma non fu mai accusato di alcun crimine o terrorismo. Secondo la Palestinian Prisoners Society, dal 7 ottobre 2023, almeno 43 prigionieri sono morti nelle carceri israeliane. https://thecradle.co/articles/tortured-and-left-to-die-new-details-emerge-about-israels-murder-of-prominent-gaza-surgeon THECRADLE 🆘🩸🪖🇮🇱❌🇵🇸"Tortured and left to die": New details emerge in Israel's murder of top Gaza surgeon https://t.me/Liberaveritas2/4267 🇬🇧A Sky News investigation published on November 16 has revealed new details about Israel's torture and murder of top Gazan Palestinian surgeon Adnan al-Bursh in Ofer prison in the occupied Palestinian West Bank last May. A fellow Palestinian prisoner in Ofer told the British news channel that Israeli guards savagely tortured Dr Bursh, then left him to die alone, naked from the waist down, in the prison yard..!! The prisoner, who previously knew the doctor in Gaza, provided the new details in a deposition to lawyers from HaMoked, an Israeli human rights organization. "In mid-April 2024, Dr. Adnan Al-Bursh, arrived at Section 23 of Ofer Prison, the prison guards brought Dr. Adnan Al-Bursh to the section in a deplorable state. He had been clearly assaulted with wounds all over his body, he was naked in the lower part of his body," the prisoner's deposition states. The prison guards threw him into the middle of the courtyard, and left him there. Dr. Adnan Al-Bursh could not even stand up. One of the prisoners helped him, and accompanied him to one of the rooms. A few minutes later, prisoners could be heard screaming from the room they had entered, declaring that Dr. Adnan Al-Bursh (was dead)." Dr. Bursh was widely considered one of the most skilled and well-known surgeons in Gaza..!! When Israel's war on Gaza began in October last year, Dr. Bursh was working at Al-Shifa Hospital as the head of orthopedic surgery. He worked around the clock, performing surgeries on Palestinians injured by Israel's horrific bombing campaign..!!! When Israeli troops besieged Al-Shifa in November, the staff were forced to flee. Bursh fled on foot to the Indonesian hospital in Bait Lahia, to continue caring for the injured patients. He documented his experiences on video, including the moment Israel bombed the hospital, killing 12 people. He was later forced to leave the Indonesian hospital as well, and moved to Al-Awda Hospital in northern Gaza, where he was kidnapped by Israeli forces. After soldiers surrounded the hospital, "they told Dr Bursh that if all the men didn't come down, they would destroy Awda Hospital and all the women and children in it," fellow Al-Awda doctor Mohammad Obeid told Sky News. After Dr Bursh left the hospital, Israeli soldiers "called him by name" and then "brutally" took him away, Obeid said. Dr Bursh was then taken to the notorious Sde Teiman detention camp in the Negev desert. The facility became infamous this summer after prison guards, doctors and former detainees gave testimonies of prisoners being tortured and raped..!! Former Sde Teiman prisoner Dr Khalid Hamouda told Sky News that of the 100 prisoners in the section of the camp where he was held, at least a quarter were medical workers. Dr Bursh was savagely beaten in Sde Teiman. He was subjected to abuse and torture and was eventually killed..Britain's Sky News has revealed the results of its investigation into the death of Gaza doctor Adnan Al Bursh, who was kidnapped and then held in Zionist occupation prisons. He thought he had broken his ribs," Dr Hamouda said. "He wasn't even able to go to the toilet on his own." The doctor was later transferred to Ofer prison in the Israeli prison system, but was never charged with any crime or terrorism. According to the Palestinian Prisoners Society, at least 43 prisoners have died in Israeli prisons since October 7, 2023. THECRADLE @Liberatoria Source: https://t.me/Liberaveritas2/4267
    THECRADLE.CO
    'Tortured and left to die': New details emerge about Israel's murder of prominent Gaza surgeon
    A new report from Britain's Sky News provides details of Adnan al-Bursh's death by torture in Israel's Ofer Prison
    Angry
    1
    0 Σχόλια 0 Μοιράστηκε 9χλμ. Views
  • Nel distretto di Hoshangabad a Madhya Pradesh, India, hanno rivelato antichi dipinti rupestri che potrebbero alterare la nostra comprensione dell'interazione umana preistorica con esseri di un altro mondo.

    Questi dipinti di 10.000 anni fa, trovati nella regione di Charama nel distretto di Kanker, Chhattisgarh, rappresentano quella che sembra essere vita extraterrestre e UFO.

    Queste scoperte sono particolarmente significative in quanto si allineano a scoperte simili in tutto il mondo, suggerendo incontri extraterrestri preistorici globali.

    Gli antropologi che lavorano con tribù montanari in questa zona remota hanno scoperto intricate rappresentazioni di figure umanoidi che apparentemente indossano tute spaziali e navi a forma di disco che assomigliano alle concezioni moderne degli UFO.

    Queste immagini includono anche grandi esseri umanoidi che scendono dal cielo, con caschi o antenne, accanto a quella che sembra essere una formazione di un wormhole nel cielo.

    L'uso di colori naturali, che hanno conservato notevolmente la chiarezza delle pitture per millenni, aggiunge autenticità e intriga a questi artefatti.

    Una scoperta particolarmente enigmatica è un insieme di pitture rupestri che sembrano funzionare come un vecchio calendario.
    Questi dipinti sembrano narrare la venuta nel passate di queste entità extraterrestri e potenzialmente prevedere visite future.

    Il calendario suggerisce date che potrebbero corrispondere agli anni 2030 e 2046, anche se le date esatte non sono ancora chiare a causa della difficoltà di tradurre con precisione i simboli antichi.

    La gente del posto ha mantenuto a lungo credenze e leggende sul 'popopolo Rohela', esseri del cielo che avrebbero preso gli abitanti del villaggio e impartito conoscenza e tecnologia prima di scomparire.

    Questo folklore risuona con la teoria degli antichi astronauti, che postula che esseri alieni abbiano influenzato le prime civiltà

    Archeoambiente


    In the Hoshangabad district of Madhya Pradesh, India, they have revealed ancient cave paintings that could alter our understanding of prehistoric human interaction with otherworldly beings.

    These 10,000-year-old paintings, found in the Charama region of Kanker district, Chhattisgarh, depict what appears to be extraterrestrial life and UFOs.

    These discoveries are particularly significant as they align with similar discoveries around the world, suggesting global prehistoric extraterrestrial encounters.

    Anthropologists working with hill tribes in this remote area have discovered intricate depictions of humanoid figures apparently wearing space suits and saucer-shaped craft that resemble modern conceptions of UFOs.

    These images also include large humanoid beings descending from the sky, wearing helmets or antennas, alongside what appears to be a wormhole formation in the sky.

    The use of natural colors, which have remarkably preserved the clarity of the paintings over millennia, adds to the authenticity and intrigue of these artifacts.

    One particularly enigmatic discovery is a set of cave paintings that appear to function as an ancient calendar.

    These paintings appear to narrate the coming of these extraterrestrial entities in the past and potentially predict future visits.

    The calendar suggests dates that could correspond to the years 2030 and 2046, although the exact dates are still unclear due to the difficulty of accurately translating the ancient symbols.

    Locals have long held beliefs and legends about the 'Rohela people', sky beings who supposedly took the villagers and imparted knowledge and technology before disappearing.

    This folklore resonates with the ancient astronaut theory, which posits that alien beings influenced early civilizations

    Archaeology
    Nel distretto di Hoshangabad a Madhya Pradesh, India, hanno rivelato antichi dipinti rupestri che potrebbero alterare la nostra comprensione dell'interazione umana preistorica con esseri di un altro mondo. Questi dipinti di 10.000 anni fa, trovati nella regione di Charama nel distretto di Kanker, Chhattisgarh, rappresentano quella che sembra essere vita extraterrestre e UFO. Queste scoperte sono particolarmente significative in quanto si allineano a scoperte simili in tutto il mondo, suggerendo incontri extraterrestri preistorici globali. Gli antropologi che lavorano con tribù montanari in questa zona remota hanno scoperto intricate rappresentazioni di figure umanoidi che apparentemente indossano tute spaziali e navi a forma di disco che assomigliano alle concezioni moderne degli UFO. Queste immagini includono anche grandi esseri umanoidi che scendono dal cielo, con caschi o antenne, accanto a quella che sembra essere una formazione di un wormhole nel cielo. L'uso di colori naturali, che hanno conservato notevolmente la chiarezza delle pitture per millenni, aggiunge autenticità e intriga a questi artefatti. Una scoperta particolarmente enigmatica è un insieme di pitture rupestri che sembrano funzionare come un vecchio calendario. Questi dipinti sembrano narrare la venuta nel passate di queste entità extraterrestri e potenzialmente prevedere visite future. Il calendario suggerisce date che potrebbero corrispondere agli anni 2030 e 2046, anche se le date esatte non sono ancora chiare a causa della difficoltà di tradurre con precisione i simboli antichi. La gente del posto ha mantenuto a lungo credenze e leggende sul 'popopolo Rohela', esseri del cielo che avrebbero preso gli abitanti del villaggio e impartito conoscenza e tecnologia prima di scomparire. Questo folklore risuona con la teoria degli antichi astronauti, che postula che esseri alieni abbiano influenzato le prime civiltà Archeoambiente In the Hoshangabad district of Madhya Pradesh, India, they have revealed ancient cave paintings that could alter our understanding of prehistoric human interaction with otherworldly beings. These 10,000-year-old paintings, found in the Charama region of Kanker district, Chhattisgarh, depict what appears to be extraterrestrial life and UFOs. These discoveries are particularly significant as they align with similar discoveries around the world, suggesting global prehistoric extraterrestrial encounters. Anthropologists working with hill tribes in this remote area have discovered intricate depictions of humanoid figures apparently wearing space suits and saucer-shaped craft that resemble modern conceptions of UFOs. These images also include large humanoid beings descending from the sky, wearing helmets or antennas, alongside what appears to be a wormhole formation in the sky. The use of natural colors, which have remarkably preserved the clarity of the paintings over millennia, adds to the authenticity and intrigue of these artifacts. One particularly enigmatic discovery is a set of cave paintings that appear to function as an ancient calendar. These paintings appear to narrate the coming of these extraterrestrial entities in the past and potentially predict future visits. The calendar suggests dates that could correspond to the years 2030 and 2046, although the exact dates are still unclear due to the difficulty of accurately translating the ancient symbols. Locals have long held beliefs and legends about the 'Rohela people', sky beings who supposedly took the villagers and imparted knowledge and technology before disappearing. This folklore resonates with the ancient astronaut theory, which posits that alien beings influenced early civilizations Archaeology
    Like
    1
    0 Σχόλια 0 Μοιράστηκε 10χλμ. Views
  • il centro-destra è più "israeliano" del centro-sinistra,
    anche la Verità è "israeliana"

    sarà l'effetto inconscio dei circa 200 film di Hollywood
    sugli ebrei nei lager...quella che #Norman #Finkelstein (figlio di gente finita ad Auschwitz), ha descritto nel suo libro come "l'industria dell'Olocausto" google.com/url?sa=t&rct=j…

    G.Zibordi

    https://twitter.com/pbecchi/status/1762499811662606370?t=1HSv1Z0zkIRuL0EBnaCfug&s=19
    il centro-destra è più "israeliano" del centro-sinistra, anche la Verità è "israeliana" sarà l'effetto inconscio dei circa 200 film di Hollywood sugli ebrei nei lager...quella che #Norman #Finkelstein (figlio di gente finita ad Auschwitz), ha descritto nel suo libro come "l'industria dell'Olocausto" google.com/url?sa=t&rct=j… G.Zibordi https://twitter.com/pbecchi/status/1762499811662606370?t=1HSv1Z0zkIRuL0EBnaCfug&s=19
    0 Σχόλια 0 Μοιράστηκε 1χλμ. Views