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    The Power of COALESCE in SQL: A Complete Guide for Data Professionals - Tpoint Tech
    SQL COALESCE Introduction In the world of data management and analytics, dealing with NULL values is a common and often frustrating challenge. Whether you're building reports, performing calculations, or preparing datasets for machine learning, missing values can break queries and distort results. That’s where the COALESCE SQL function comes in — a simple yet ...
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  • CANNES POLITIK
    (Qualcosa brucia ancora…)


    I festival sono spesso vissuti come passerelle di glamour, selfie e tappeti rossi. Cannes, come Berlino e Venezia, non fa eccezione. Ma da qualche anno, la Croisette sta mutando pelle. Non più solo vetrina patinata, ma fronte culturale e politico dove il cinema torna a essere arma, testimonianza, urlo necessario.
    In un’Italia assuefatta all’indifferenza, Cannes 2025 si erge come un fronte di resistenza, in cui l’arte si ribella, i corpi ritornano scena e le parole graffiano. Per chi — come il sottoscritto — sogna ancora una Nouvelle Vague che parta dalle strade di Milano e arrivi al cuore dell’Europa, è ossigeno puro.
    Quest’anno, sulla Croisette, qualcosa brucia ancora. E noi dobbiamo raccogliere quelle fiamme.

    3⃣ momenti CULT per riscrivere la storia

    1. JULIAN ASSANGE: un corpo politico sulla terrazza del Palais
    Non ha mai abbassato lo sguardo, e anche stavolta lo fa con stile e sostanza. Julian Assange irrompe a Cannes con una camicia kaki e una t-shirt che urla giustizia: stampati, i nomi di quasi 5.000 bambini uccisi a Gaza. Sulla schiena, una sola scritta: STOP ISRAEL.
    Al suo fianco, Stella Morris, moglie e avvocata, e il regista Eugene Jarecki che presenta The Six Billion Dollar Man. Il film-documento su Assange — già vincitore del primo Golden Globe dedicato al documentario — è fuori concorso, ma dentro ogni battito politico del festival.
    “Fare il giornalista è diventato il mestiere più pericoloso al mondo” — dichiara Jarecki. E a Gaza, questo, lo abbiamo visto fin troppo bene.
    Assange non è solo simbolo. È lotta incarnata.

    2. JAFAR PANAHI: la libertà (ri)trovata
    Un altro volto, un’altra prigione, un’altra resistenza.
    Jafar Panahi torna a Cannes dopo anni di silenzi forzati, prigionia e censura. Dal 1995 — anno in cui vinse la Camera d’Or — la sua sedia era rimasta vuota. Oggi la occupa di nuovo. E lo fa con A Simple Accident, film girato senza autorizzazione iraniana.
    Accanto a lui, la figlia Solmaz e la moglie. Un ritorno che è una ferita che si rimargina, ma che sanguina ancora: quattro membri della troupe sono stati recentemente interrogati in Iran.
    Panahi non è solo regista. È memoria vivente della libertà negata.
    E la Croisette applaude.


    3. IL MANIFESTO EUROPEO: cinema contro l’impero delle merci
    A sigillare quest’edizione infuocata, ecco il Manifesto dei Cineasti Europei.
    Lo firmano Sorrentino, Tornatore, i fratelli Dardenne, Rohrwacher, Amelio, Costa-Gavras e decine di altri.
    Lettura pubblica sulla Plage de la Quinzaine. Parole chiare contro i dazi di Trump e contro la Commissione Europea che, a forza di rincorrere il mercato, rischia di svendere l’identità culturale del cinema.
    “Il cinema è arte. E in quanto arte ha una responsabilità: proporre pensiero, punto di vista e spettacolo. Non possiamo essere ridotti a semplici merci.”
    Un appello alla difesa della diversità culturale, della libertà d’espressione, della dignità artistica.
    Il cinema europeo resiste. E rilancia.


    In un mondo che anestetizza, il cinema che brucia è rivoluzione.
    Assange, Panahi, il Manifesto: tre atti di un’unica ribellione che ci chiama a raccolta.
    È in questi momenti che la cultura torna ad essere strumento di giustizia e rito collettivo di riconciliazione. Una dialettica perfetta tra arte, politica e visione.
    Cannes 2025 ci ricorda che qualcosa, ancora, brucia.
    E non possiamo permetterci di lasciarlo spegnere.
    Anzi. Soffiamoci sopra.

    #Cannes2025 #CinemaPolitico #Assange #JafarPanahi #ManifestoCineastiEuropei #NouvelleVague #CinemaComeResistenza #ArtIsNotACommodity #CannesPolitik #CulturaÈLotta #StopIsrael #FreePress #Iran #ResistenzaCreativa
    CANNES POLITIK (Qualcosa brucia ancora…) 🔥✊ I festival sono spesso vissuti come passerelle di glamour, selfie e tappeti rossi. Cannes, come Berlino e Venezia, non fa eccezione. Ma da qualche anno, la Croisette sta mutando pelle. Non più solo vetrina patinata, ma fronte culturale e politico dove il cinema torna a essere arma, testimonianza, urlo necessario. In un’Italia assuefatta all’indifferenza, Cannes 2025 si erge come un fronte di resistenza, in cui l’arte si ribella, i corpi ritornano scena e le parole graffiano. Per chi — come il sottoscritto — sogna ancora una Nouvelle Vague che parta dalle strade di Milano e arrivi al cuore dell’Europa, è ossigeno puro. Quest’anno, sulla Croisette, qualcosa brucia ancora. E noi dobbiamo raccogliere quelle fiamme. 3⃣ momenti CULT per riscrivere la storia 1. JULIAN ASSANGE: un corpo politico sulla terrazza del Palais Non ha mai abbassato lo sguardo, e anche stavolta lo fa con stile e sostanza. Julian Assange irrompe a Cannes con una camicia kaki e una t-shirt che urla giustizia: stampati, i nomi di quasi 5.000 bambini uccisi a Gaza. Sulla schiena, una sola scritta: STOP ISRAEL. Al suo fianco, Stella Morris, moglie e avvocata, e il regista Eugene Jarecki che presenta The Six Billion Dollar Man. Il film-documento su Assange — già vincitore del primo Golden Globe dedicato al documentario — è fuori concorso, ma dentro ogni battito politico del festival. “Fare il giornalista è diventato il mestiere più pericoloso al mondo” — dichiara Jarecki. E a Gaza, questo, lo abbiamo visto fin troppo bene. Assange non è solo simbolo. È lotta incarnata. 2. JAFAR PANAHI: la libertà (ri)trovata Un altro volto, un’altra prigione, un’altra resistenza. Jafar Panahi torna a Cannes dopo anni di silenzi forzati, prigionia e censura. Dal 1995 — anno in cui vinse la Camera d’Or — la sua sedia era rimasta vuota. Oggi la occupa di nuovo. E lo fa con A Simple Accident, film girato senza autorizzazione iraniana. Accanto a lui, la figlia Solmaz e la moglie. Un ritorno che è una ferita che si rimargina, ma che sanguina ancora: quattro membri della troupe sono stati recentemente interrogati in Iran. Panahi non è solo regista. È memoria vivente della libertà negata. E la Croisette applaude. 🎬✊ 3. IL MANIFESTO EUROPEO: cinema contro l’impero delle merci A sigillare quest’edizione infuocata, ecco il Manifesto dei Cineasti Europei. Lo firmano Sorrentino, Tornatore, i fratelli Dardenne, Rohrwacher, Amelio, Costa-Gavras e decine di altri. Lettura pubblica sulla Plage de la Quinzaine. Parole chiare contro i dazi di Trump e contro la Commissione Europea che, a forza di rincorrere il mercato, rischia di svendere l’identità culturale del cinema. “Il cinema è arte. E in quanto arte ha una responsabilità: proporre pensiero, punto di vista e spettacolo. Non possiamo essere ridotti a semplici merci.” Un appello alla difesa della diversità culturale, della libertà d’espressione, della dignità artistica. Il cinema europeo resiste. E rilancia. 🎥 In un mondo che anestetizza, il cinema che brucia è rivoluzione. Assange, Panahi, il Manifesto: tre atti di un’unica ribellione che ci chiama a raccolta. È in questi momenti che la cultura torna ad essere strumento di giustizia e rito collettivo di riconciliazione. Una dialettica perfetta tra arte, politica e visione. Cannes 2025 ci ricorda che qualcosa, ancora, brucia. E non possiamo permetterci di lasciarlo spegnere. Anzi. Soffiamoci sopra. #Cannes2025 #CinemaPolitico #Assange #JafarPanahi #ManifestoCineastiEuropei #NouvelleVague #CinemaComeResistenza #ArtIsNotACommodity #CannesPolitik #CulturaÈLotta #StopIsrael #FreePress #Iran #ResistenzaCreativa
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  • Storico accordo dell'Oms sulle pandemie, l'Italia si astiene 'per riaffermare la sovranità degli Stati' - Sanità.
    L'intesa è stata adottata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità 'per rendere il mondo più equo e sicuro da future crisi'. Oltre all'Italia altri 11 Paesi si astengono, tra cui Iran, Israele e Russia (ANSA).

    Commento: Italia astenuta su trattato pandemico. Le opposizioni insorgono. PD, 5 s, Renzi Fratoianni gridano allo scandalo che il governo Meloni non ha accettato il trattato pandemico.
    Se avevate bisogno di una altra prova di chi sta rubando la nostra libertà personale e come nazione la avete avuta.
    Questuo governo non ha mantenuto le promesse.
    Queste opposizioni sono da processare per alto tradimento, collusione con potenze straniere e vendute ai fabbricanti di armi e di sieri di sterminio.


    https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2025/05/20/oms-adottato-storico-accordo-sulle-pandemie_8776b091-ecc6-4576-9bb0-f2c305115ed1.html
    Storico accordo dell'Oms sulle pandemie, l'Italia si astiene 'per riaffermare la sovranità degli Stati' - Sanità. L'intesa è stata adottata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità 'per rendere il mondo più equo e sicuro da future crisi'. Oltre all'Italia altri 11 Paesi si astengono, tra cui Iran, Israele e Russia (ANSA). Commento: Italia astenuta su trattato pandemico. Le opposizioni insorgono. PD, 5 s, Renzi Fratoianni gridano allo scandalo che il governo Meloni non ha accettato il trattato pandemico. Se avevate bisogno di una altra prova di chi sta rubando la nostra libertà personale e come nazione la avete avuta. Questuo governo non ha mantenuto le promesse. Queste opposizioni sono da processare per alto tradimento, collusione con potenze straniere e vendute ai fabbricanti di armi e di sieri di sterminio. https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2025/05/20/oms-adottato-storico-accordo-sulle-pandemie_8776b091-ecc6-4576-9bb0-f2c305115ed1.html
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    L'intesa è stata adottata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità 'per rendere il mondo più equo e sicuro da future crisi'. Oltre all'Italia altri 11 Paesi si astengono, tra cui Iran, Israele e Russia (ANSA)
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  • Il cerchio si sta chiudendo sempre più verso i veri colpevoli. Le indagini sono state depistate scientemente.
    Garlasco, "Sempio era nella villetta il giorno del delitto di Chiara Poggi"
    I nuovi elementi, emersi dalle ultime indagini dei carabinieri, lo geolocalizzerebbero sulla scena del crimine...

    Ci sarebbero elementi che collocano Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara Poggi e oggi indagato, nella villetta di Garlasco proprio la mattina del 13 agosto 2007 mentre la 26enne veniva colpita a morte con un oggetto mai identificato né ritrovato.

    Quasi certamente questi quattro o cinque elementi saranno messi sul tavolo oggi alle 14 dal procuratore Fabio Napoleone, dall’aggiunto Stefano Civardi, e dalle pm Valentina De Stefano e Giuliana Rizza, che sentiranno in procura Sempio. I nuovi elementi, emersi dalle ultime indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, geolocalizzerebbero l’allora 19enne sulla scena del crimine e non a casa con il padre e poi in una libreria a Vigevano, come dallo stesso da sempre dichiarato (con tanto di scontrino del parcheggio).

    Tutto questo in attesa dei risultati dell’incidente probatorio sul dna trovato sotte le unghie di Chiara, che secondo l’ipotesi dei magistrati sarebbe quello dello stesso Andrea Sempio. Non è ancora noto se l’indagato risponderà alle domande dei pm o se si avvarrà – come permesso dalla legge – della facoltà di non rispondere.

    In contemporanea, in un’altra stanza della procura di Pavia, arriverà anche Alberto Stasi – che sta finendo di espiare la condanna a 16 anni di carcere per l’omicidio dell’allora fidanzata Chiara – che sarà sentito come “testimone assistito“. A Venezia, invece, verrà ascoltato anche Marco Poggi, il fratello della vittima. I tre saranno chiamati a chiarire i tanti punti ancora poco chiari e i nuovi elementi emersi. Convocazioni separate ma in contemporanea, per evitare eventuali fughe di notizie come si è già verificato in questi mesi.

    Dopo 18 anni il caso è stato riaperto e, tra comprensibili difficoltà tecniche per il tempo trascorso, per la prima volta ad essere in discussione è la ricostruzione di un’unica persona sulla scena dell’omicidio che ha sorpreso Chiara senza nemmeno darle il tempo di difendersi.

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/05/20/garlasco-nuovi-elementi-sempio-nella-villetta-giorno-delitto-chiara-poggi-news/7995149/
    Il cerchio si sta chiudendo sempre più verso i veri colpevoli. Le indagini sono state depistate scientemente. Garlasco, "Sempio era nella villetta il giorno del delitto di Chiara Poggi" I nuovi elementi, emersi dalle ultime indagini dei carabinieri, lo geolocalizzerebbero sulla scena del crimine... Ci sarebbero elementi che collocano Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara Poggi e oggi indagato, nella villetta di Garlasco proprio la mattina del 13 agosto 2007 mentre la 26enne veniva colpita a morte con un oggetto mai identificato né ritrovato. Quasi certamente questi quattro o cinque elementi saranno messi sul tavolo oggi alle 14 dal procuratore Fabio Napoleone, dall’aggiunto Stefano Civardi, e dalle pm Valentina De Stefano e Giuliana Rizza, che sentiranno in procura Sempio. I nuovi elementi, emersi dalle ultime indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, geolocalizzerebbero l’allora 19enne sulla scena del crimine e non a casa con il padre e poi in una libreria a Vigevano, come dallo stesso da sempre dichiarato (con tanto di scontrino del parcheggio). Tutto questo in attesa dei risultati dell’incidente probatorio sul dna trovato sotte le unghie di Chiara, che secondo l’ipotesi dei magistrati sarebbe quello dello stesso Andrea Sempio. Non è ancora noto se l’indagato risponderà alle domande dei pm o se si avvarrà – come permesso dalla legge – della facoltà di non rispondere. In contemporanea, in un’altra stanza della procura di Pavia, arriverà anche Alberto Stasi – che sta finendo di espiare la condanna a 16 anni di carcere per l’omicidio dell’allora fidanzata Chiara – che sarà sentito come “testimone assistito“. A Venezia, invece, verrà ascoltato anche Marco Poggi, il fratello della vittima. I tre saranno chiamati a chiarire i tanti punti ancora poco chiari e i nuovi elementi emersi. Convocazioni separate ma in contemporanea, per evitare eventuali fughe di notizie come si è già verificato in questi mesi. Dopo 18 anni il caso è stato riaperto e, tra comprensibili difficoltà tecniche per il tempo trascorso, per la prima volta ad essere in discussione è la ricostruzione di un’unica persona sulla scena dell’omicidio che ha sorpreso Chiara senza nemmeno darle il tempo di difendersi. https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/05/20/garlasco-nuovi-elementi-sempio-nella-villetta-giorno-delitto-chiara-poggi-news/7995149/
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    Garlasco, "Sempio era nella villetta il giorno del delitto di Chiara Poggi"
    I nuovi elementi, emersi dalle ultime indagini dei carabinieri, lo geolocalizzerebbero sulla scena del crimine
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  • *25° RESPIRANDO POESIA – La follia della guerra, la parola della pace*

    Oggi ci ritroviamo, ancora una volta, con gli amici poeti dell’associazione Respirando Poesia per un incontro speciale che unisce arte, emozione e impegno civile.

    All’interno del Festival Internazionale di Poesia di Milano, il 25° appuntamento si presenta con un titolo evocativo:
    “C’è qualcosa di FOLLE oggi nel sole (anzi d’antico)”,
    per denunciare attraverso la poesia tutta la follia della guerra e restituire voce a un orizzonte dove sia la Pace a pronunciare l’ultima parola.
    Un pomeriggio in cui saranno i versi – non i comizi – a costruire ponti tra popoli e coscienze.

    Parteciperanno al reading le Poete e i Poeti dell’associazione, ma anche tu puoi salire sul palco:
    l’Open Mic è aperto a tutti.

    Quando: Sabato 17 maggio, ore 16:00
    Dove: Spazio Bistrot, Festival Internazionale di Poesia di Milano - MUDEC , Via Tortona 56, Milano.

    Info evento e dettagli: https://www.facebook.com/share/p/1GBFEeD43p/

    #RespirandoPoesia #FestivalPoesiaMilano #PoesiaPerLaPace #ParoleCheUniscono #OpenMicMilano #EventiCulturali #PoesiaContemporanea
    *25° RESPIRANDO POESIA – La follia della guerra, la parola della pace* Oggi ci ritroviamo, ancora una volta, con gli amici poeti dell’associazione Respirando Poesia per un incontro speciale che unisce arte, emozione e impegno civile. All’interno del Festival Internazionale di Poesia di Milano, il 25° appuntamento si presenta con un titolo evocativo: “C’è qualcosa di FOLLE oggi nel sole (anzi d’antico)”, per denunciare attraverso la poesia tutta la follia della guerra e restituire voce a un orizzonte dove sia la Pace a pronunciare l’ultima parola. Un pomeriggio in cui saranno i versi – non i comizi – a costruire ponti tra popoli e coscienze. Parteciperanno al reading le Poete e i Poeti dell’associazione, ma anche tu puoi salire sul palco: l’Open Mic è aperto a tutti. Quando: Sabato 17 maggio, ore 16:00 Dove: Spazio Bistrot, Festival Internazionale di Poesia di Milano - MUDEC , Via Tortona 56, Milano. Info evento e dettagli: https://www.facebook.com/share/p/1GBFEeD43p/ #RespirandoPoesia #FestivalPoesiaMilano #PoesiaPerLaPace #ParoleCheUniscono #OpenMicMilano #EventiCulturali #PoesiaContemporanea
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  • DELIRIUM TRUMP
    (ovvero: quando la politica fa il cosplay di sé stessa)

    È da un mese buono che va in scena un one-man-show che manco Broadway ai tempi d’oro.

    Tra minacce apocalittiche, trovate da reality show e deliri da film distopico anni ’80, lo Zio Donald sembra aver deciso che la politica estera (e pure interna) sia solo un palcoscenico su cui gridare più forte del pubblico.
    Eppure, nonostante le urla e i proclami, l’unica reazione logica è un misto tra imbarazzo e ilarità. Perché se un tempo certe sparate incutevano timore, oggi suonano più come barzellette stiracchiate da cabaret di provincia.
    La verità è che dietro la maschera da “uomo forte” si nasconde una crisi di credibilità (e forse di lucidità). Un copione già visto, in cui lo showman Trump si sforza di sembrare il salvatore dell’Occidente, mentre spara nel mucchio e isola l’America più di quanto non facciano le sue politiche.

    ATTO I – Alcatraz Reloaded

    Con la delicatezza di un bulldozer in una boutique, Trump ha deciso di riportare in auge la mitica Alcatraz.
    Sì, proprio lei: la prigione su un’isola, oggi simbolo di turismo e cultura, trasformata di nuovo in un penitenziario d’élite per “i peggiori criminali d’America”.
    Un piano così vintage da sembrare un reboot mal riuscito di “Fuga da Alcatraz”, con Clint Eastwood che si rifiuta pure di tornare per un cameo.
    Peccato solo che:
    l’isola è patrimonio nazionale;
    le strutture sono mangiate dal sale;
    serve un budget da Marvel Cinematic Universe;
    e il National Park Service, a occhio, non sembra entusiasta.
    Ma tranquilli, l’effetto scenico c’è. E in fondo a Trump non serve altro.

    ATTO II – Hollywood a stelle e… dazi

    Non pago di riscrivere la storia del sistema carcerario, il nostro ha deciso di lanciarsi contro i film stranieri, rei di minare l’economia americana con la scusa degli incentivi alle produzioni.
    La risposta? Un dazio del 100% su ogni pellicola che non parli inglese con accento del Midwest.

    Peccato che:
    metà delle mega-produzioni USA si girano in Nuova Zelanda, Canada o Italia;
    Hollywood vive di co-produzioni;
    le piattaforme streaming non sanno nemmeno da dove cominciare con le regole.
    Il risultato? Ritorsioni possibili, aumento dei biglietti, meno export e... una standing ovation da parte di Netflix India e dei BRICS, che ringraziano per il favore.

    Questo "Delirium Trump" non è solo intrattenimento tragicomico: è una spia rossa su un certo modo di fare politica dove il gesto conta più del contenuto.
    Si gioca sul presente, ignorando il futuro. Si urla per coprire i vuoti.
    Ma ogni volta che l’America si isola, il mondo si riorganizza. E lo fa senza aspettarla.
    Nel frattempo, respiriamo. Ironizziamo. Sdrammatizziamo.
    Perché il potere, anche quello più teatrale, ha sempre una data di scadenza.

    E a noi non resta che aspettare il finale… con i popcorn in mano.

    #DeliriumTrump #Trump2025 #AlcatrazIsBack #HollywoodTax #AmericaFirstButAlone #SatiraPolitica #GeopoliticaPop #MakeSatireGreatAgain
    DELIRIUM TRUMP (ovvero: quando la politica fa il cosplay di sé stessa)🎭🧱🎬🚔 È da un mese buono che va in scena un one-man-show che manco Broadway ai tempi d’oro. Tra minacce apocalittiche, trovate da reality show e deliri da film distopico anni ’80, lo Zio Donald sembra aver deciso che la politica estera (e pure interna) sia solo un palcoscenico su cui gridare più forte del pubblico. Eppure, nonostante le urla e i proclami, l’unica reazione logica è un misto tra imbarazzo e ilarità. Perché se un tempo certe sparate incutevano timore, oggi suonano più come barzellette stiracchiate da cabaret di provincia. La verità è che dietro la maschera da “uomo forte” si nasconde una crisi di credibilità (e forse di lucidità). Un copione già visto, in cui lo showman Trump si sforza di sembrare il salvatore dell’Occidente, mentre spara nel mucchio e isola l’America più di quanto non facciano le sue politiche. ATTO I – Alcatraz Reloaded 🔒🧂🚁 Con la delicatezza di un bulldozer in una boutique, Trump ha deciso di riportare in auge la mitica Alcatraz. Sì, proprio lei: la prigione su un’isola, oggi simbolo di turismo e cultura, trasformata di nuovo in un penitenziario d’élite per “i peggiori criminali d’America”. Un piano così vintage da sembrare un reboot mal riuscito di “Fuga da Alcatraz”, con Clint Eastwood che si rifiuta pure di tornare per un cameo. Peccato solo che: l’isola è patrimonio nazionale; le strutture sono mangiate dal sale; serve un budget da Marvel Cinematic Universe; e il National Park Service, a occhio, non sembra entusiasta. Ma tranquilli, l’effetto scenico c’è. E in fondo a Trump non serve altro. ATTO II – Hollywood a stelle e… dazi 💸🎥🎫 Non pago di riscrivere la storia del sistema carcerario, il nostro ha deciso di lanciarsi contro i film stranieri, rei di minare l’economia americana con la scusa degli incentivi alle produzioni. La risposta? Un dazio del 100% su ogni pellicola che non parli inglese con accento del Midwest. Peccato che: metà delle mega-produzioni USA si girano in Nuova Zelanda, Canada o Italia; Hollywood vive di co-produzioni; le piattaforme streaming non sanno nemmeno da dove cominciare con le regole. Il risultato? Ritorsioni possibili, aumento dei biglietti, meno export e... una standing ovation da parte di Netflix India e dei BRICS, che ringraziano per il favore. Questo "Delirium Trump" non è solo intrattenimento tragicomico: è una spia rossa su un certo modo di fare politica dove il gesto conta più del contenuto. Si gioca sul presente, ignorando il futuro. Si urla per coprire i vuoti. Ma ogni volta che l’America si isola, il mondo si riorganizza. E lo fa senza aspettarla. Nel frattempo, respiriamo. Ironizziamo. Sdrammatizziamo. Perché il potere, anche quello più teatrale, ha sempre una data di scadenza. E a noi non resta che aspettare il finale… con i popcorn in mano. #DeliriumTrump #Trump2025 #AlcatrazIsBack #HollywoodTax #AmericaFirstButAlone #SatiraPolitica #GeopoliticaPop #MakeSatireGreatAgain
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  • Storie della Resistenza che ci piacciono.

    La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: "Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti" - Il Fatto Quotidiano
    Solo la determinazione delle donne ha permesso di salvare oltre 60 uomini: ecco cosa è successo

    Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana"

    La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: “Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti”
    di Martina Castigliani
    Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana"

    La nebbia, quel giorno, è fittissima. “Di quelle pesanti e piovose che penetrano nelle ossa”, racconta chi c’era. In Pianura Padana, nel lembo di terra che separa Correggio e Carpi, tra Reggio Emilia e Modena, vuol dire non riuscire a vedere oltre i propri piedi. Che il 12 marzo 1945 c’è un rastrellamento in corso, gli abitanti della frazione di Budrione lo capiscono dalle voci serrate dei comandi: ogni 10 metri c’è una testa e gli ordini si passano da uomo a uomo “come in una battuta di caccia”. Quello che avviene a un mese dalla Liberazione dal Nazifascismo è uno dei tanti episodi quasi sconosciuti di una guerra che ha travolto le campagne dove si nascondevano i partigiani. Questa volta però, l’epilogo è unico: a risolvere e impedire l’ennesimo eccidio sarà la resistenza civile e pacifica delle donne. Un atto raccontato in un libro preziosissimo del 2005, voluto dall’Anpi di Carpi (circolo E. Goldoni) e curato da Annamaria Loschi. Si intitola “Il coraggio delle donne” ed è un documento storico: contiene decine di testimonianze, molte delle quali di persone che ora non ci sono più, e che ricostruiscono un fatto mai arrivato sulle cronache nazionali. Ma che nelle campagne della bassa emiliana nessuno, finora, ha mai scordato. A raccontarlo sono i figli di chi quel giorno nero venne catturato: “Io avevo 13 anni e presero mio padre”, dice a ilfattoquotidiano.it Augusto Barbieri che ora di anni ne ha 93. “Anzi, di casa mia presero quattro uomini. Ricordo la paura. Tantissima paura”. Il rastrellamento lo fanno i tedeschi per vendicare l’agguato a un auto dei loro, avvenuto una settimana prima. A bordo c’erano un ufficiale e un sottoufficiale della Wehrmacht e un soldato mongolo: i primi due sapevano troppo e sono stati eliminati, il terzo ha chiesto e ottenuto di unirsi ai partigiani. I tedeschi non lo sanno e organizzano una controffensiva per liberarli che inizia alle 6 del mattino: catturano più di sessanta uomini (se ne contano almeno 63) e poi, in colonna, li portano in carcere a Correggio. Ma a quel punto succede qualcosa che nessun soldato nemico avrebbe potuto prevedere: i prigionieri vengono seguiti dalle donne in corteo che, sfidando armi e bombardamenti, ne chiedono il rilascio. Sono quasi due ore di cammino, quattro andata e ritorno, che ripeteranno ogni giorno per undici giorni. Fino alla liberazione.

    Il rastrellamento – Siamo a pochi km da Fossoli, dove sorgeva il campo di concentramento e transito verso i lager nazisti. In questa piana infinita, dove a sprazzi sorgono casolari e stalle, si nascondono i partigiani. Qui trovano accoglienza, mentre la vita quotidiana fatta di albe e lavoro va avanti. Il rastrellamento arriva all’improvviso e stravolge le comunità di Budrione, Fossoli e Migliarina. Se oggi sappiamo cosa è avvenuto, è grazie alle voci dei testimoni raccolte da Loschi in collaborazione con Augusto Barbieri, Pierino Bassoli e Lauro Cestelli. “Abbiamo cercato di parlare con più persone possibile”, ricorda Barbieri. Qui riportiamo alcune delle testimonianze contenute nel libro, ancora disponibile presso l’Anpi di Carpi. “Avevo 22 anni, quella mattina eravamo già tutti al lavoro”, dice Isden Morelli. “I tedeschi sono arrivati a casa nostra e hanno portato via con sé mio padre Bortolomeo e mio fratello Brenno”. Dante Bonatti parla del papà Dario che era “falegname e fabbro” ed era “anche addetto alle riparazioni delle armi dei partigiani. Eravamo tutti svegli”, “il rastrellamento è iniziato alle 5.30 del mattino”. Insieme ai tedeschi ci sono anche dei componenti della Brigata Nera di Carpi, che “in tuta grigioverde, avanzava nella nebbia fittissima. Questi ultimi erano ragazzi di 15-16 anni che noi conoscevamo, perché venivano a prendere i cocomeri durante la stagione. Per dissimulare la loro identità, però, tentavano di esprimersi in tedesco”. Luciano Bonatti ricorda che lo zio Dorno “venne preso dall’ultimo tedesco della fila mentre andava di corsa ad avvisare gli altri abitanti”. Bruno Dodi dice di essere rimasto in casa “sperando nella protezione della nebbia”. Ma è arrivato un tedesco che conosceva – “perché gli davamo qualcosa” – e al quale ha ubbidito, fidandosi che l’avrebbe liberato poi. “Invece la realtà è che io ero un ragazzo, ma i tedeschi erano uomini fatti, soldati abituati alla guerra”, dice.

    La maggior parte sono semplici contadini. Ma tra loro vengono catturati anche partigiani. Ad esempio, Bruno Cavazzoli che faceva la ronda e non riesce a prevenire il rastrellamento. Per “la nebbia tremenda”, “non abbiamo visto né sentito i tedeschi arrivare”. Cerca di scappare, ma viene fermato da due uomini a fucili spianati: “La mia prima reazione è stata molto umana”, confessa. “Ho sentito un rivolo caldo scendere lungo la gamba. È stato il massimo dell’angoscia che ho mai provato in vita mia”. Prima di essere catturato, prova a togliere la cravatta rossa per non provocarli: viene visto e schiaffeggiato.

    La rivolta delle donne – Il corteo dei 64 prigionieri parte da Budrione e va verso il carcere di Correggio: circa un’ora e mezza di cammino a piedi. “Disposti in fila per due o per quattro, i rastrellati si sono avviati senza nessun mezzo di trasporto”, raccontano. Erano tutti uomini, tranne una: fra di loro c’era Ardilia o Arsilia Goldoni, catturata mentre andava a lavorare al servizio della famiglia Pisa perché scambiata per una staffetta. Ma piano piano succede l’impensabile: lungo la strada il corteo comincia a ingrossarsi. “Il corteo, formato da tedeschi, fascisti e prigionieri non camminava solo: nonostante il grande pericolo, le donne hanno iniziato a seguirlo, chiamandosi l’una con l’altra”, racconta Vinicio Magnanini. Che ricorda come quel gesto, così forte e d’autonomia, avesse radici lontane. “Non si trattava tuttavia di una manifestazione semplice e spontanea: dietro c’era un’organizzazione politica e culturale, messa in atto da molti mesi, che poteva in questo frangente dare il coraggio alle donne, da sempre abituate a lavorare stando in secondo piano, (…) di affrontare e sfidare per chilometri soldati di un esercito feroce, ormai incalzato dagli eventi e per questo tanto più pericoloso”.

    Secondo i testimoni, il corteo a Correggio raduna più di 500 donne. Maria Allegretti racconta: “Un giorno il comandante partigiano, mi disse: devi organizzare le donne e dovete andare a Correggio a manifestare per gli uomini di Budrione! lo avevo mobilitato tutte le donne della zona e loro venivano volentieri, perché avevano tutte il marito, o un figlio, o un parente in prigione”. Prima di arrivare a Correggio, Allegretti avverte: state attente, perché potrebbero sparare dai tetti. “Loro però erano tutte con me perché volevano tentare di liberare i propri cari. La nostra manifestazione era pacifica: non avevamo armi, ma eravamo molto determinate. E cosi è stato fatto: noi, staffette e simpatizzanti, siamo andate a casa dei contadini a chiedere il cavallo, il biroccio, ma la maggioranza quel giorno è andata a piedi”.

    Ad un certo punto, i tedeschi sparano qualche colpo sulle manifestanti per disperderle: la tensione si alza. “Li seguimmo per circa 3 o 4 Km”, continua Zoe Busi. “Poi, in un momento di disperazione, incominciammo tutte a parlare: chiedevamo ai tedeschi di rilasciare i prigionieri”. È un gesto di sfida che richiede un enorme coraggio e non ci pensano due volte. “Zelmira Marchi si avvicinò loro e rimproverò il comportamento crudele. Un tedesco le lanciò una bomba a mano”. Anche Bruna Malavasi rimane ferita: “Io avevo 17 anni, ma in campagna allora si cresceva in fretta… Non mi ricordo neanche da dove sono partita io o chi mi avesse informata: so solo che con tutto un passaggio di voci ci siamo radunate in tante donne. Proprio in quella località ci hanno sparato: a me è arrivata una scheggia nell’avambraccio sinistro; ho sentito gli spari e mi sono trovata sanguinante. Mi è rimasto il segno, ancora oggi, dopo tanti anni”.

    Il corteo tuttavia riesce da arrivare fino a Correggio e qui le 500 donne che ormai si sono raggruppate inscenano una grande manifestazione davanti alla casa del fascio adibita a prigione. Lì, iniziano a sparare e arrestano Allegretti: “Le donne si sono
    spaventate moltissimo e si sono tutte sparpagliate, mentre io ed altre staffette siamo rimaste al centro della strada. Mi si sono avvicinati due fascisti che ci hanno accusate di fare una manifestazione senza l’autorizzazione, ma noi siamo ugualmente entrate nel cortile della prigione per fare sentire le nostre proteste”. Allora, vanno a cercare il comandante della Brigata Nera di Correggio, Alberto Giorgi: “Le donne sono entrate nel cortile”, dice Vanda Veroni, “e hanno tirato giù dal letto il comandante, anche se era indisposto, in modo che si interessasse della cosa. Lui fu costretto a occuparsi del fatto”.

    La resistenza civile e pacifica delle donne va avanti per undici giorni. Sono undici giorni di cortei che partivano al mattino e rientravano a metà giornata. Sempre e solo animati dalle donne. Di tutte le età. “Per tutto il tempo che rimasero chiusi, noi, con qualsiasi mezzo, carri, biciclette poche o a piedi, eravamo là davanti alla prigione“. Racconta ancora Vanda che a pranzo, spesso, si fermavano dal salumificio Veroni che dava loro “una minestra” e la signora cercava di tranquillizzarle. Si erano schierati con loro. Per le donne il lavoro era doppio: quando tornavano a casa, dovevano fare anche tutto quello che di solito spettava agli uomini nelle stalle. “Fu un periodo durissimo”. Maria viene liberata dopo tre giorni e solo perché nega di conoscere le altre: quando viene scortata dai soldati mongoli e tutte le vengono incontro, riesce a salvarsi perché parla in dialetto e loro non la capiscono.

    Barbieri ricorda molto bene quei giorni: “Come adesso”, dice a ilfattoquotidiano.it. “Sarò anche in difficoltà a muovere la lingua, ma ricordo tutto. Anche perché di casa mia avevo quattro prigionieri. E io, a 13 anni, all’improvviso ero rimasto l’uomo più grande della casa. E allora restavo a casa a tenere dietro alle mucche. Mia mamma e le mie zie andavano tutte le mattine”. E aggiunge: “All’inizio era molto difficile perché le donne si erano divise in commissioni e andavano a parlare con le varie autorità. Ma loro facevano degli ultimatum e dicevano che se non liberavamo i tre soldati, loro avrebbero fucilato tutti i prigionieri”. E poi, dice, “erano semi-analfabete e andare a parlare per una cosa così importante non era facile”. Un giorno, anche il piccolo Barbieri si unisce al corteo e riesce a vedere il padre: “Papà quando vi liberano?”, gli chiede. “E sapete cosa mi ha risposto? Quando tirano via il catenaccio”, ride. “Aveva fatto una battuta per non spaventarmi. Anche perché erano giorni di grande paura”. Si temeva che gli uomini non sarebbero usciti vivi, che ci sarebbe stata una strage. “Ma anche le colonne di donne nelle campagne ogni mattina erano un pericolo perché giravano gli apparecchi e potevano bombardarle. Il loro impegno è stato molto importante”, chiude.

    Dopo i primi giorni, vengono individuati e fucilati cinque partigiani: Mauro Bompani, Enzo Cremonini, Ettore Giovanardi. Ferruccio Tusberti, Augusto Armani. Poi iniziano lunghe ed estenuanti trattative: i tedeschi vogliono indietro i tre, ma non sanno che è impossibile. Alla fine avviene la liberazione dei sessanta, grazie all’intervento del commissario prefettizio di Carpi Enzo Scaltriti, che si dimostra aperto ai partigiani, e alla mediazione di monsignor Giuseppe Bonacini. Ma soprattutto grazie alla pressione esercitata dalla comunità femminile che non ha mai ceduto.

    Bruno racconta gli attimi successivi alla liberazione: “Siamo andati di corsa dalle donne che ci aspettavano fuori. Tutto il rientro è stata una gioia immensa: per la strada ci portavano dei pezzi di gnocco fritto e, quando siamo arrivati a Budrione, c’era una festa inimmaginabile. Le campane suonavano a distesa”. Dice Vanda: “Eravamo tutte contente. Durante il cammino, mi ricordo che un tale è salito sul rimorchio, anche se io ero davanti sul biroccio e poi voleva prendere la guida. Io allora mi sono detta: per undici giorni sono venuta qua, quindi adesso sto davanti io”. Parole importantissime, di un cambiamento che era avvenuto anche fuori dalla prigione. E ancora: “Io ed alcune signore, con le gambe penzoloni dal carretto, facevamo quasi ridere. Tutta la gente, lungo le strade, batteva le mani, con le lacrime agli occhi perché tutti erano soddisfatti di vedere che era stata una bella cosa che l’avventura era finita bene”.

    La partecipazione popolare oltre i partigiani – I racconti di chi c’era sono come fotografie che rimangono nel tempo. Scatti di un avvenimento che ha fatto la storia locale, ma non ha trovato abbastanza spazio nei libri di scuola o sui giornali. Il lavoro di memoria è stato possibile, “grazie ad Annamaria Loschi, insegnante animatrice dell’Associazione Memoria Storica di Budrione”, morta nel 2024, ricorda Lucio Ferrari, presidente dell’Anpi di Carpi. “Lei era appassionatissima”, dice. “Budrione è stato un centro di Resistenza molto forte qui nel Carpigiano e nella zona partigiana della provincia di Modena che è quella più vivace. Qui ci sono stati molti caduti: abbiamo 57 tra cippi e lapidi. In occasione dell’80esimo anniversario della Liberazione, siamo andati a rendere omaggio a tutti. E il 23 marzo scorso, abbiamo ricordato il rastrellamento”.Questo episodio, racconta, “è stata un’esperienza così forte che è rimasta” nel ricordo della comunità. “Da parte delle donne c’è voluto un grande coraggio perché lì c’erano tedeschi e fascisti che si sentivano un po’ accerchiati ed erano particolarmente aggressivi e violenti. Soprattutto nei confronti delle donne”. E la loro rivolta “è stata fondamentale per fare pressione e per liberare i prigionieri. È stata decisiva”. Ma in tutti gli anni della Resistenza, le donne hanno avuto un ruolo importante. Anche e non solo tra i partigiani: “Ricordiamo lo sciopero delle operaie della Manifattura tabacchi, quello delle mondine o quello per il pane”. E pure la battaglia della trebbiatura, “quando uomini e donne tolsero le cinghie alle trebbie per evitare che i tedeschi prendessero il grano da portare in Germania”. E “parteciparono anche le donne”. La resistenza “è diventato un momento di grande emancipazione perché la donna nella famiglia qui non aveva un posto. Il nonno e la nonna erano i cosiddetti comandanti della famiglia. E nella gerarchia c’era un posto solo per la moglie del nonno, che si chiamava la resdora. Quando è iniziata la lotta di Liberazione anche le donne hanno cominciato a cercare di conquistare uno spazio dentro e fuori la famiglia. Prima non era così”.

    Quello che i fatti di Budrione, Migliarina e Fossoli dimostrano è che non c’erano solo i partigiani e le partigiane. Ma anche una società civile attiva e comunità mobilitate per la Resistenza. “Il 22 aprile”, continua Ferrari, “giorno della Liberazione di Carpi, abbiamo inaugurato la mostra ‘Noi stavamo con i partigiani’ che racconta proprio tutta la partecipazione popolare. Nella nostra zona più di 100 case sono diventate rifugio, nascondendo le persone nelle stalle o nei fienili. Ci fu una grande copertura della popolazione. Certo ci furono anche le spie, ma in generale ci fu una grande partecipazione. Anche di altre formazioni: cattolici, socialisti e naturalmente comunisti”. Proprio “la partecipazione popolare pacifica”, chiude Ferrari, “ha reso possibile la lotta partigiana”. E senza la resistenza de “la” Maria, “la” Vanda, “la” Isden e di tutte le altre, probabilmente il lembo di terra tra Correggio e Carpi avrebbe pianto altri sessanta uomini.

    *Foto da “Il coraggio delle donne. 12-23 marzo 1945” (a cura di Annamaria Loschi e di Anpi Carpi – Circolo E.Goldoni Budrione)

    Source: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/25/la-rivolta-pacifica-delle-donne-che-salvo-63-uomini-in-emilia-per-11-giorni-in-corteo-fino-alla-prigione-dopo-il-rastrellamento-dei-nazisti/7961324/
    Storie della Resistenza che ci piacciono. La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: "Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti" - Il Fatto Quotidiano Solo la determinazione delle donne ha permesso di salvare oltre 60 uomini: ecco cosa è successo Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana" La rivolta pacifica delle donne che salvò 63 uomini in Emilia: “Per 11 giorni in corteo fino alla prigione dopo il rastrellamento dei nazisti” di Martina Castigliani Il 12 marzo 1945 i tedeschi fanno un rastrellamento tra Reggio e Modena. Le donne decidono di andare ogni giorno a piedi (circa due ore solo andata) per chiedere il rilascio di mariti e padri. Barbieri, che all'epoca aveva 13 anni: "Ricordo la paura". Ferrari (Anpi): "Qui la partecipazione popolare ha permesso la lotta partigiana" La nebbia, quel giorno, è fittissima. “Di quelle pesanti e piovose che penetrano nelle ossa”, racconta chi c’era. In Pianura Padana, nel lembo di terra che separa Correggio e Carpi, tra Reggio Emilia e Modena, vuol dire non riuscire a vedere oltre i propri piedi. Che il 12 marzo 1945 c’è un rastrellamento in corso, gli abitanti della frazione di Budrione lo capiscono dalle voci serrate dei comandi: ogni 10 metri c’è una testa e gli ordini si passano da uomo a uomo “come in una battuta di caccia”. Quello che avviene a un mese dalla Liberazione dal Nazifascismo è uno dei tanti episodi quasi sconosciuti di una guerra che ha travolto le campagne dove si nascondevano i partigiani. Questa volta però, l’epilogo è unico: a risolvere e impedire l’ennesimo eccidio sarà la resistenza civile e pacifica delle donne. Un atto raccontato in un libro preziosissimo del 2005, voluto dall’Anpi di Carpi (circolo E. Goldoni) e curato da Annamaria Loschi. Si intitola “Il coraggio delle donne” ed è un documento storico: contiene decine di testimonianze, molte delle quali di persone che ora non ci sono più, e che ricostruiscono un fatto mai arrivato sulle cronache nazionali. Ma che nelle campagne della bassa emiliana nessuno, finora, ha mai scordato. A raccontarlo sono i figli di chi quel giorno nero venne catturato: “Io avevo 13 anni e presero mio padre”, dice a ilfattoquotidiano.it Augusto Barbieri che ora di anni ne ha 93. “Anzi, di casa mia presero quattro uomini. Ricordo la paura. Tantissima paura”. Il rastrellamento lo fanno i tedeschi per vendicare l’agguato a un auto dei loro, avvenuto una settimana prima. A bordo c’erano un ufficiale e un sottoufficiale della Wehrmacht e un soldato mongolo: i primi due sapevano troppo e sono stati eliminati, il terzo ha chiesto e ottenuto di unirsi ai partigiani. I tedeschi non lo sanno e organizzano una controffensiva per liberarli che inizia alle 6 del mattino: catturano più di sessanta uomini (se ne contano almeno 63) e poi, in colonna, li portano in carcere a Correggio. Ma a quel punto succede qualcosa che nessun soldato nemico avrebbe potuto prevedere: i prigionieri vengono seguiti dalle donne in corteo che, sfidando armi e bombardamenti, ne chiedono il rilascio. Sono quasi due ore di cammino, quattro andata e ritorno, che ripeteranno ogni giorno per undici giorni. Fino alla liberazione. Il rastrellamento – Siamo a pochi km da Fossoli, dove sorgeva il campo di concentramento e transito verso i lager nazisti. In questa piana infinita, dove a sprazzi sorgono casolari e stalle, si nascondono i partigiani. Qui trovano accoglienza, mentre la vita quotidiana fatta di albe e lavoro va avanti. Il rastrellamento arriva all’improvviso e stravolge le comunità di Budrione, Fossoli e Migliarina. Se oggi sappiamo cosa è avvenuto, è grazie alle voci dei testimoni raccolte da Loschi in collaborazione con Augusto Barbieri, Pierino Bassoli e Lauro Cestelli. “Abbiamo cercato di parlare con più persone possibile”, ricorda Barbieri. Qui riportiamo alcune delle testimonianze contenute nel libro, ancora disponibile presso l’Anpi di Carpi. “Avevo 22 anni, quella mattina eravamo già tutti al lavoro”, dice Isden Morelli. “I tedeschi sono arrivati a casa nostra e hanno portato via con sé mio padre Bortolomeo e mio fratello Brenno”. Dante Bonatti parla del papà Dario che era “falegname e fabbro” ed era “anche addetto alle riparazioni delle armi dei partigiani. Eravamo tutti svegli”, “il rastrellamento è iniziato alle 5.30 del mattino”. Insieme ai tedeschi ci sono anche dei componenti della Brigata Nera di Carpi, che “in tuta grigioverde, avanzava nella nebbia fittissima. Questi ultimi erano ragazzi di 15-16 anni che noi conoscevamo, perché venivano a prendere i cocomeri durante la stagione. Per dissimulare la loro identità, però, tentavano di esprimersi in tedesco”. Luciano Bonatti ricorda che lo zio Dorno “venne preso dall’ultimo tedesco della fila mentre andava di corsa ad avvisare gli altri abitanti”. Bruno Dodi dice di essere rimasto in casa “sperando nella protezione della nebbia”. Ma è arrivato un tedesco che conosceva – “perché gli davamo qualcosa” – e al quale ha ubbidito, fidandosi che l’avrebbe liberato poi. “Invece la realtà è che io ero un ragazzo, ma i tedeschi erano uomini fatti, soldati abituati alla guerra”, dice. La maggior parte sono semplici contadini. Ma tra loro vengono catturati anche partigiani. Ad esempio, Bruno Cavazzoli che faceva la ronda e non riesce a prevenire il rastrellamento. Per “la nebbia tremenda”, “non abbiamo visto né sentito i tedeschi arrivare”. Cerca di scappare, ma viene fermato da due uomini a fucili spianati: “La mia prima reazione è stata molto umana”, confessa. “Ho sentito un rivolo caldo scendere lungo la gamba. È stato il massimo dell’angoscia che ho mai provato in vita mia”. Prima di essere catturato, prova a togliere la cravatta rossa per non provocarli: viene visto e schiaffeggiato. La rivolta delle donne – Il corteo dei 64 prigionieri parte da Budrione e va verso il carcere di Correggio: circa un’ora e mezza di cammino a piedi. “Disposti in fila per due o per quattro, i rastrellati si sono avviati senza nessun mezzo di trasporto”, raccontano. Erano tutti uomini, tranne una: fra di loro c’era Ardilia o Arsilia Goldoni, catturata mentre andava a lavorare al servizio della famiglia Pisa perché scambiata per una staffetta. Ma piano piano succede l’impensabile: lungo la strada il corteo comincia a ingrossarsi. “Il corteo, formato da tedeschi, fascisti e prigionieri non camminava solo: nonostante il grande pericolo, le donne hanno iniziato a seguirlo, chiamandosi l’una con l’altra”, racconta Vinicio Magnanini. Che ricorda come quel gesto, così forte e d’autonomia, avesse radici lontane. “Non si trattava tuttavia di una manifestazione semplice e spontanea: dietro c’era un’organizzazione politica e culturale, messa in atto da molti mesi, che poteva in questo frangente dare il coraggio alle donne, da sempre abituate a lavorare stando in secondo piano, (…) di affrontare e sfidare per chilometri soldati di un esercito feroce, ormai incalzato dagli eventi e per questo tanto più pericoloso”. Secondo i testimoni, il corteo a Correggio raduna più di 500 donne. Maria Allegretti racconta: “Un giorno il comandante partigiano, mi disse: devi organizzare le donne e dovete andare a Correggio a manifestare per gli uomini di Budrione! lo avevo mobilitato tutte le donne della zona e loro venivano volentieri, perché avevano tutte il marito, o un figlio, o un parente in prigione”. Prima di arrivare a Correggio, Allegretti avverte: state attente, perché potrebbero sparare dai tetti. “Loro però erano tutte con me perché volevano tentare di liberare i propri cari. La nostra manifestazione era pacifica: non avevamo armi, ma eravamo molto determinate. E cosi è stato fatto: noi, staffette e simpatizzanti, siamo andate a casa dei contadini a chiedere il cavallo, il biroccio, ma la maggioranza quel giorno è andata a piedi”. Ad un certo punto, i tedeschi sparano qualche colpo sulle manifestanti per disperderle: la tensione si alza. “Li seguimmo per circa 3 o 4 Km”, continua Zoe Busi. “Poi, in un momento di disperazione, incominciammo tutte a parlare: chiedevamo ai tedeschi di rilasciare i prigionieri”. È un gesto di sfida che richiede un enorme coraggio e non ci pensano due volte. “Zelmira Marchi si avvicinò loro e rimproverò il comportamento crudele. Un tedesco le lanciò una bomba a mano”. Anche Bruna Malavasi rimane ferita: “Io avevo 17 anni, ma in campagna allora si cresceva in fretta… Non mi ricordo neanche da dove sono partita io o chi mi avesse informata: so solo che con tutto un passaggio di voci ci siamo radunate in tante donne. Proprio in quella località ci hanno sparato: a me è arrivata una scheggia nell’avambraccio sinistro; ho sentito gli spari e mi sono trovata sanguinante. Mi è rimasto il segno, ancora oggi, dopo tanti anni”. Il corteo tuttavia riesce da arrivare fino a Correggio e qui le 500 donne che ormai si sono raggruppate inscenano una grande manifestazione davanti alla casa del fascio adibita a prigione. Lì, iniziano a sparare e arrestano Allegretti: “Le donne si sono spaventate moltissimo e si sono tutte sparpagliate, mentre io ed altre staffette siamo rimaste al centro della strada. Mi si sono avvicinati due fascisti che ci hanno accusate di fare una manifestazione senza l’autorizzazione, ma noi siamo ugualmente entrate nel cortile della prigione per fare sentire le nostre proteste”. Allora, vanno a cercare il comandante della Brigata Nera di Correggio, Alberto Giorgi: “Le donne sono entrate nel cortile”, dice Vanda Veroni, “e hanno tirato giù dal letto il comandante, anche se era indisposto, in modo che si interessasse della cosa. Lui fu costretto a occuparsi del fatto”. La resistenza civile e pacifica delle donne va avanti per undici giorni. Sono undici giorni di cortei che partivano al mattino e rientravano a metà giornata. Sempre e solo animati dalle donne. Di tutte le età. “Per tutto il tempo che rimasero chiusi, noi, con qualsiasi mezzo, carri, biciclette poche o a piedi, eravamo là davanti alla prigione“. Racconta ancora Vanda che a pranzo, spesso, si fermavano dal salumificio Veroni che dava loro “una minestra” e la signora cercava di tranquillizzarle. Si erano schierati con loro. Per le donne il lavoro era doppio: quando tornavano a casa, dovevano fare anche tutto quello che di solito spettava agli uomini nelle stalle. “Fu un periodo durissimo”. Maria viene liberata dopo tre giorni e solo perché nega di conoscere le altre: quando viene scortata dai soldati mongoli e tutte le vengono incontro, riesce a salvarsi perché parla in dialetto e loro non la capiscono. Barbieri ricorda molto bene quei giorni: “Come adesso”, dice a ilfattoquotidiano.it. “Sarò anche in difficoltà a muovere la lingua, ma ricordo tutto. Anche perché di casa mia avevo quattro prigionieri. E io, a 13 anni, all’improvviso ero rimasto l’uomo più grande della casa. E allora restavo a casa a tenere dietro alle mucche. Mia mamma e le mie zie andavano tutte le mattine”. E aggiunge: “All’inizio era molto difficile perché le donne si erano divise in commissioni e andavano a parlare con le varie autorità. Ma loro facevano degli ultimatum e dicevano che se non liberavamo i tre soldati, loro avrebbero fucilato tutti i prigionieri”. E poi, dice, “erano semi-analfabete e andare a parlare per una cosa così importante non era facile”. Un giorno, anche il piccolo Barbieri si unisce al corteo e riesce a vedere il padre: “Papà quando vi liberano?”, gli chiede. “E sapete cosa mi ha risposto? Quando tirano via il catenaccio”, ride. “Aveva fatto una battuta per non spaventarmi. Anche perché erano giorni di grande paura”. Si temeva che gli uomini non sarebbero usciti vivi, che ci sarebbe stata una strage. “Ma anche le colonne di donne nelle campagne ogni mattina erano un pericolo perché giravano gli apparecchi e potevano bombardarle. Il loro impegno è stato molto importante”, chiude. Dopo i primi giorni, vengono individuati e fucilati cinque partigiani: Mauro Bompani, Enzo Cremonini, Ettore Giovanardi. Ferruccio Tusberti, Augusto Armani. Poi iniziano lunghe ed estenuanti trattative: i tedeschi vogliono indietro i tre, ma non sanno che è impossibile. Alla fine avviene la liberazione dei sessanta, grazie all’intervento del commissario prefettizio di Carpi Enzo Scaltriti, che si dimostra aperto ai partigiani, e alla mediazione di monsignor Giuseppe Bonacini. Ma soprattutto grazie alla pressione esercitata dalla comunità femminile che non ha mai ceduto. Bruno racconta gli attimi successivi alla liberazione: “Siamo andati di corsa dalle donne che ci aspettavano fuori. Tutto il rientro è stata una gioia immensa: per la strada ci portavano dei pezzi di gnocco fritto e, quando siamo arrivati a Budrione, c’era una festa inimmaginabile. Le campane suonavano a distesa”. Dice Vanda: “Eravamo tutte contente. Durante il cammino, mi ricordo che un tale è salito sul rimorchio, anche se io ero davanti sul biroccio e poi voleva prendere la guida. Io allora mi sono detta: per undici giorni sono venuta qua, quindi adesso sto davanti io”. Parole importantissime, di un cambiamento che era avvenuto anche fuori dalla prigione. E ancora: “Io ed alcune signore, con le gambe penzoloni dal carretto, facevamo quasi ridere. Tutta la gente, lungo le strade, batteva le mani, con le lacrime agli occhi perché tutti erano soddisfatti di vedere che era stata una bella cosa che l’avventura era finita bene”. La partecipazione popolare oltre i partigiani – I racconti di chi c’era sono come fotografie che rimangono nel tempo. Scatti di un avvenimento che ha fatto la storia locale, ma non ha trovato abbastanza spazio nei libri di scuola o sui giornali. Il lavoro di memoria è stato possibile, “grazie ad Annamaria Loschi, insegnante animatrice dell’Associazione Memoria Storica di Budrione”, morta nel 2024, ricorda Lucio Ferrari, presidente dell’Anpi di Carpi. “Lei era appassionatissima”, dice. “Budrione è stato un centro di Resistenza molto forte qui nel Carpigiano e nella zona partigiana della provincia di Modena che è quella più vivace. Qui ci sono stati molti caduti: abbiamo 57 tra cippi e lapidi. In occasione dell’80esimo anniversario della Liberazione, siamo andati a rendere omaggio a tutti. E il 23 marzo scorso, abbiamo ricordato il rastrellamento”.Questo episodio, racconta, “è stata un’esperienza così forte che è rimasta” nel ricordo della comunità. “Da parte delle donne c’è voluto un grande coraggio perché lì c’erano tedeschi e fascisti che si sentivano un po’ accerchiati ed erano particolarmente aggressivi e violenti. Soprattutto nei confronti delle donne”. E la loro rivolta “è stata fondamentale per fare pressione e per liberare i prigionieri. È stata decisiva”. Ma in tutti gli anni della Resistenza, le donne hanno avuto un ruolo importante. Anche e non solo tra i partigiani: “Ricordiamo lo sciopero delle operaie della Manifattura tabacchi, quello delle mondine o quello per il pane”. E pure la battaglia della trebbiatura, “quando uomini e donne tolsero le cinghie alle trebbie per evitare che i tedeschi prendessero il grano da portare in Germania”. E “parteciparono anche le donne”. La resistenza “è diventato un momento di grande emancipazione perché la donna nella famiglia qui non aveva un posto. Il nonno e la nonna erano i cosiddetti comandanti della famiglia. E nella gerarchia c’era un posto solo per la moglie del nonno, che si chiamava la resdora. Quando è iniziata la lotta di Liberazione anche le donne hanno cominciato a cercare di conquistare uno spazio dentro e fuori la famiglia. Prima non era così”. Quello che i fatti di Budrione, Migliarina e Fossoli dimostrano è che non c’erano solo i partigiani e le partigiane. Ma anche una società civile attiva e comunità mobilitate per la Resistenza. “Il 22 aprile”, continua Ferrari, “giorno della Liberazione di Carpi, abbiamo inaugurato la mostra ‘Noi stavamo con i partigiani’ che racconta proprio tutta la partecipazione popolare. Nella nostra zona più di 100 case sono diventate rifugio, nascondendo le persone nelle stalle o nei fienili. Ci fu una grande copertura della popolazione. Certo ci furono anche le spie, ma in generale ci fu una grande partecipazione. Anche di altre formazioni: cattolici, socialisti e naturalmente comunisti”. Proprio “la partecipazione popolare pacifica”, chiude Ferrari, “ha reso possibile la lotta partigiana”. E senza la resistenza de “la” Maria, “la” Vanda, “la” Isden e di tutte le altre, probabilmente il lembo di terra tra Correggio e Carpi avrebbe pianto altri sessanta uomini. *Foto da “Il coraggio delle donne. 12-23 marzo 1945” (a cura di Annamaria Loschi e di Anpi Carpi – Circolo E.Goldoni Budrione) Source: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/25/la-rivolta-pacifica-delle-donne-che-salvo-63-uomini-in-emilia-per-11-giorni-in-corteo-fino-alla-prigione-dopo-il-rastrellamento-dei-nazisti/7961324/
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  • Dopo aver lasciato correre e in un certo senso giustificato e sostenuto i decreti per invio di armi in Ucraina, dopo aver ricevuto per due volte al Quirinale il presidente di israele Isaac Herzog mentre era in corso il gen*cidio.

    Dopo non aver mai condannato esplicitamente il crimin@le di guerra Netanyahu, dopo aver paragonato la Russia al Terzo Reich, dopo aver ricordato a Hiroshima davanti ai morti della bomba atomica statunitense che il problema atomico è la Russia senza mai menzionare gli unici carnefici nucleari della storia, ne arriva un'altra.

    Sergio Mattarella ha appena firmato il decreto sicurezza. Da oggi chi dissente è un criminale. Chi protesta un nemico dello Stato da perseguire penalmente. Questo decreto fa a pezzi chiunque voglia dire al potere politico che non è d'accordo con le sue scelte.

    Questo decreto attacca frontalmente i diritti costituzionali come la libertà di manifestazione del pensiero e di dissenso e legittima gli abusi di potere. Fa a pezzi l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e la libertà di riunione e associazione.

    Questo decreto, inoltre, è quel decreto che consentirà agli agenti dei servizi segreti di comandare le organizzazioni criminali. Vedendo la storia dell'Italia, dove tra strategia della tensione, stragi, poteri occulti, sabotaggi, depistaggi eccetera eccetera, questa "legalizzazione" è pericolosissima.

    Questo decreto è una vergogna. L'ennesima vergogna. Questo decreto non andava firmato. Ma Mattarella l'ha firmato nonostante oltre al contenuto da regime dittatoriale avesse una procedura di approvazione decisamente da autocrazia. Concludo: adesso voglio vedere cosa diranno di Mattarella tutti quelli che ne hanno dette di cotte e di crude contro il governo per questo decreto. Voglio anche vedere tutti quei blogger della sinistra rosé che non vanno a letto se prima non danno la slinguazzata quotidiana al "grande presidente e meno male che c'è lui"...

    https://giuseppesalamone.substack.com/p/sergio-mattarella-il-firma-tutto

    T.me/GiuseppeSalamone
    Dopo aver lasciato correre e in un certo senso giustificato e sostenuto i decreti per invio di armi in Ucraina, dopo aver ricevuto per due volte al Quirinale il presidente di israele Isaac Herzog mentre era in corso il gen*cidio. Dopo non aver mai condannato esplicitamente il crimin@le di guerra Netanyahu, dopo aver paragonato la Russia al Terzo Reich, dopo aver ricordato a Hiroshima davanti ai morti della bomba atomica statunitense che il problema atomico è la Russia senza mai menzionare gli unici carnefici nucleari della storia, ne arriva un'altra. Sergio Mattarella ha appena firmato il decreto sicurezza. Da oggi chi dissente è un criminale. Chi protesta un nemico dello Stato da perseguire penalmente. Questo decreto fa a pezzi chiunque voglia dire al potere politico che non è d'accordo con le sue scelte. Questo decreto attacca frontalmente i diritti costituzionali come la libertà di manifestazione del pensiero e di dissenso e legittima gli abusi di potere. Fa a pezzi l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e la libertà di riunione e associazione. Questo decreto, inoltre, è quel decreto che consentirà agli agenti dei servizi segreti di comandare le organizzazioni criminali. Vedendo la storia dell'Italia, dove tra strategia della tensione, stragi, poteri occulti, sabotaggi, depistaggi eccetera eccetera, questa "legalizzazione" è pericolosissima. Questo decreto è una vergogna. L'ennesima vergogna. Questo decreto non andava firmato. Ma Mattarella l'ha firmato nonostante oltre al contenuto da regime dittatoriale avesse una procedura di approvazione decisamente da autocrazia. Concludo: adesso voglio vedere cosa diranno di Mattarella tutti quelli che ne hanno dette di cotte e di crude contro il governo per questo decreto. Voglio anche vedere tutti quei blogger della sinistra rosé che non vanno a letto se prima non danno la slinguazzata quotidiana al "grande presidente e meno male che c'è lui"... https://giuseppesalamone.substack.com/p/sergio-mattarella-il-firma-tutto T.me/GiuseppeSalamone
    GIUSEPPESALAMONE.SUBSTACK.COM
    Sergio Mattarella: il firma tutto!
    Da oggi in Italia la criminalizzazione del dissenso è legale. Una vergogna!
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