• QUESTI ASSASSINI SIONISTI VANNO AVANTI INCURANTI di TUTTI e di TUTTO!
    Gaza, attacchi israeliani anche sul campo profughi di Nuseirat: 24 uccisi dall’alba. Un neonato morto per malnutrizione...

    Cristiani in Terra Santa: “Noi danneggiati da occupazione israeliana, non dall’Anp. Falsità da Netanyahu”
    “L’occupazione, non l’Autorità Nazionale Palestinese, danneggia i cristiani in Palestina”. Una rappresentanza di leader delle Chiese cristiane in Terra Santa – tra cui il patriarca latino emerito di Gerusalemme Michel Sabbah, l’arcivescovo greco-ortodosso Attallah Hanna e il vescovo luterano emerito di Terra Santa Munib Younan – contesta le affermazioni del premier israeliano Netanyahu all’Onu.
    “La ragione per cui i cristiani e molti altri stanno lasciando Betlemme è l’occupazione israeliana e le sue politiche di chiusure, permessi, diritti di residenza esclusivi, ecc., e non le politiche dell’Autorità Palestinese”, affermano con forza i leader cristiani, smentendo le parole di Netanyahu.
    Nel loro documento essi puntano il dito contro “una falsità” che riguarda in particolare i cristiani in Palestina, laddove Netanyahu ha affermato: “quando Betlemme, il luogo di nascita di Gesù, era sotto il controllo israeliano, l’80% dei suoi residenti era cristiano. Ma da quando l’Anp ha preso il controllo, tale numero è sceso a meno del 20%”.
    Netanyahu, proseguono i leader ecumenici, “non parla a nome dei cristiani palestinesi e non gli si può permettere di distorcere la verità. Betlemme è stata una città a maggioranza cristiana fino al 1948: allora più dell’80% della popolazione era cristiana. Con l’espulsione di circa 750.000 rifugiati palestinesi dalla loro patria nella Palestina storica durante la Nakba del 1948, tre campi profughi furono stabiliti a Betlemme, cambiando così la composizione demografica della città. Quando Israele ha occupato la Cisgiordania nel 1967, Betlemme aveva una popolazione composta da una maggioranza di musulmani”.
    Per i firmatari del documento, “decenni di occupazione israeliana, causando dure condizioni di vita, hanno provocato l’emigrazione di molti cristiani e musulmani, e questa realtà continua ancora oggi. Betlemme, una città dipendente dal turismo, ha sofferto in particolare negli ultimi due anni della guerra di Israele a Gaza con l’arresto quasi completo del turismo e dei pellegrinaggi. Centinaia di persone hanno lasciato Betlemme negli ultimi mesi a causa delle continue devastazioni dell’occupazione israeliana e della violenza militare”.

    1h fa
    10:03
    Almeno 24 morti dall’alba negli attacchi sulla Striscia. Un neonato morto per malnutrizione
    E’ di almeno 24 morti palestinesi il bilancio degli attacchi odierni delle forze israeliane nella Striscia. Lo riferisce al Jazeera citando fonti mediche, secondo le quali un raid contro due case nel campo profughi di Nuseirat ha causato almeno 10 vittime, “tra le quali donne e bambini”. Intanto, un neonato è morto per malnutrizione a Khan Younis, sono quasi 450 le vittime della fame nella Striscia secondo il ministero della Salute gestito da Hamas.

    1h fa
    10:02
    Attacchi israeliani al campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza: almeno 8 morti
    Almeno otto palestinesi sono stati uccisi durante la notte negli attacchi israeliani nel campo profughi di Nuseirat nel centro di Gaza. Lo riferiscono fonti mediche ad Al Jazeera. Muhammad Abu Salmiya, direttore dell’ospedale al-Shifa di Gaza City, il più grande complesso medico della Striscia di Gaza, ha spiegato che le équipe mediche sono preoccupate per i carri armati israeliani che si avvicinano alle vicinanze dell’ospedale e non consentono l’accesso ad esso. Si stima che 159 pazienti siano in trattamento.

    https://www.ilfattoquotidiano.it/live-post/2025/09/28/gaza-attacchi-israeliani-anche-sul-campo-profughi-di-nuseirat-24-uccisi-dallalba-un-neonato-morto-per-malnutrizione/8141878/
    QUESTI ASSASSINI SIONISTI VANNO AVANTI INCURANTI di TUTTI e di TUTTO! Gaza, attacchi israeliani anche sul campo profughi di Nuseirat: 24 uccisi dall’alba. Un neonato morto per malnutrizione... Cristiani in Terra Santa: “Noi danneggiati da occupazione israeliana, non dall’Anp. Falsità da Netanyahu” “L’occupazione, non l’Autorità Nazionale Palestinese, danneggia i cristiani in Palestina”. Una rappresentanza di leader delle Chiese cristiane in Terra Santa – tra cui il patriarca latino emerito di Gerusalemme Michel Sabbah, l’arcivescovo greco-ortodosso Attallah Hanna e il vescovo luterano emerito di Terra Santa Munib Younan – contesta le affermazioni del premier israeliano Netanyahu all’Onu. “La ragione per cui i cristiani e molti altri stanno lasciando Betlemme è l’occupazione israeliana e le sue politiche di chiusure, permessi, diritti di residenza esclusivi, ecc., e non le politiche dell’Autorità Palestinese”, affermano con forza i leader cristiani, smentendo le parole di Netanyahu. Nel loro documento essi puntano il dito contro “una falsità” che riguarda in particolare i cristiani in Palestina, laddove Netanyahu ha affermato: “quando Betlemme, il luogo di nascita di Gesù, era sotto il controllo israeliano, l’80% dei suoi residenti era cristiano. Ma da quando l’Anp ha preso il controllo, tale numero è sceso a meno del 20%”. Netanyahu, proseguono i leader ecumenici, “non parla a nome dei cristiani palestinesi e non gli si può permettere di distorcere la verità. Betlemme è stata una città a maggioranza cristiana fino al 1948: allora più dell’80% della popolazione era cristiana. Con l’espulsione di circa 750.000 rifugiati palestinesi dalla loro patria nella Palestina storica durante la Nakba del 1948, tre campi profughi furono stabiliti a Betlemme, cambiando così la composizione demografica della città. Quando Israele ha occupato la Cisgiordania nel 1967, Betlemme aveva una popolazione composta da una maggioranza di musulmani”. Per i firmatari del documento, “decenni di occupazione israeliana, causando dure condizioni di vita, hanno provocato l’emigrazione di molti cristiani e musulmani, e questa realtà continua ancora oggi. Betlemme, una città dipendente dal turismo, ha sofferto in particolare negli ultimi due anni della guerra di Israele a Gaza con l’arresto quasi completo del turismo e dei pellegrinaggi. Centinaia di persone hanno lasciato Betlemme negli ultimi mesi a causa delle continue devastazioni dell’occupazione israeliana e della violenza militare”. 1h fa 10:03 Almeno 24 morti dall’alba negli attacchi sulla Striscia. Un neonato morto per malnutrizione E’ di almeno 24 morti palestinesi il bilancio degli attacchi odierni delle forze israeliane nella Striscia. Lo riferisce al Jazeera citando fonti mediche, secondo le quali un raid contro due case nel campo profughi di Nuseirat ha causato almeno 10 vittime, “tra le quali donne e bambini”. Intanto, un neonato è morto per malnutrizione a Khan Younis, sono quasi 450 le vittime della fame nella Striscia secondo il ministero della Salute gestito da Hamas. 1h fa 10:02 Attacchi israeliani al campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza: almeno 8 morti Almeno otto palestinesi sono stati uccisi durante la notte negli attacchi israeliani nel campo profughi di Nuseirat nel centro di Gaza. Lo riferiscono fonti mediche ad Al Jazeera. Muhammad Abu Salmiya, direttore dell’ospedale al-Shifa di Gaza City, il più grande complesso medico della Striscia di Gaza, ha spiegato che le équipe mediche sono preoccupate per i carri armati israeliani che si avvicinano alle vicinanze dell’ospedale e non consentono l’accesso ad esso. Si stima che 159 pazienti siano in trattamento. https://www.ilfattoquotidiano.it/live-post/2025/09/28/gaza-attacchi-israeliani-anche-sul-campo-profughi-di-nuseirat-24-uccisi-dallalba-un-neonato-morto-per-malnutrizione/8141878/
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  • UK: lavoro in cambio di catena digitale

    Il governo britannico ha tolto la maschera: entro la fine della legislatura l’identità digitale diventerà obbligatoria per dimostrare il diritto al lavoro. Non un servizio, ma una condizione. Senza ID non lavori.
    https://www.gov.uk/government/news/new-digital-id-scheme-to-be-rolled-out-across-uk
    Starmer la spaccia come «un’enorme opportunità», raccontando che servirà a blindare i confini e ad agevolare i cittadini. In realtà è la riduzione della libertà a permesso digitale, concesso solo se sei allineato.

    Il comunicato ufficiale non lascia dubbi: «Digital ID will be mandatory for Right to Work checks by the end of the Parliament». La stampa ha fatto da eco: AP ha scritto che «one must possess it to work», Reuters ha parlato di obbligo per chi inizia un impiego, e il Guardian ha riportato testuale che diventerà «mandatory to prove the right to work». Tre formule, un solo concetto: senza ID sei fuori.

    Il meccanismo è pronto: GOV.UK One Login e Wallet digitale centralizzeranno identità e attributi. Oggi è “comodità”, domani sarà la chiave di accesso a fisco, welfare e persino alla vita quotidiana. In Austria è già successo: l’ID Austria, dichiarato “volontario”, è diventato di fatto obbligatorio perché la burocrazia si è spostata tutta lì. L’UE con eIDAS 2.0 punta allo stesso traguardo: entro il 2030 ogni cittadino dovrà avere un wallet digitale.

    La Gran Bretagna fa un passo in più e lo aggancia subito al lavoro, trasformandosi nel primo Paese occidentale ad ammetterlo senza infingimenti. Non stupisce che Big Brother Watch e Liberty parlino di “Checkpoint Britain”, ricordando che i cittadini britannici avevano già respinto le ID card di Blair vent’anni fa. Ma stavolta la scusa è più appetibile: “fermare i clandestini”. Peccato che a pagare saranno tutti gli altri, quelli che lavorano regolarmente e che verranno schedati per legge.

    E non si ferma qui. Anche la Svizzera sta entrando nella gabbia digitale: dopo il referendum del 2021 che aveva bocciato l’ID, il Parlamento ha approvato nel 2023 la nuova legge sull’E-ID, operativa dal 2026. Ufficialmente sarà “volontaria”, ma già si annuncia indispensabile per banche, sanità e servizi pubblici. Quando l’alternativa diventa un percorso a ostacoli, la scelta non è più libera.

    Dietro le quinte, sempre gli stessi nomi: Bill Gates con ID2020, Tony Blair che da anni spinge per l’adozione globale, e Bruxelles che prepara l’impalcatura normativa. La fiaba è sempre uguale: sicurezza, modernità, inclusione. La realtà è che senza credenziali digitali diventi un paria.

    Così il Regno Unito inaugura il modello: il lavoro - il diritto di vivere - trasformato in un QR code. L’Austria e la Svizzera seguono, l’UE accelera. E a noi resta una sola certezza: quando i diritti diventano concessioni elettroniche, basta un clic per spegnere la libertà.

    Per aggiornamenti senza filtri: t.me/carmen_tortora1
    UK: lavoro in cambio di catena digitale Il governo britannico ha tolto la maschera: entro la fine della legislatura l’identità digitale diventerà obbligatoria per dimostrare il diritto al lavoro. Non un servizio, ma una condizione. Senza ID non lavori. https://www.gov.uk/government/news/new-digital-id-scheme-to-be-rolled-out-across-uk Starmer la spaccia come «un’enorme opportunità», raccontando che servirà a blindare i confini e ad agevolare i cittadini. In realtà è la riduzione della libertà a permesso digitale, concesso solo se sei allineato. Il comunicato ufficiale non lascia dubbi: «Digital ID will be mandatory for Right to Work checks by the end of the Parliament». La stampa ha fatto da eco: AP ha scritto che «one must possess it to work», Reuters ha parlato di obbligo per chi inizia un impiego, e il Guardian ha riportato testuale che diventerà «mandatory to prove the right to work». Tre formule, un solo concetto: senza ID sei fuori. Il meccanismo è pronto: GOV.UK One Login e Wallet digitale centralizzeranno identità e attributi. Oggi è “comodità”, domani sarà la chiave di accesso a fisco, welfare e persino alla vita quotidiana. In Austria è già successo: l’ID Austria, dichiarato “volontario”, è diventato di fatto obbligatorio perché la burocrazia si è spostata tutta lì. L’UE con eIDAS 2.0 punta allo stesso traguardo: entro il 2030 ogni cittadino dovrà avere un wallet digitale. La Gran Bretagna fa un passo in più e lo aggancia subito al lavoro, trasformandosi nel primo Paese occidentale ad ammetterlo senza infingimenti. Non stupisce che Big Brother Watch e Liberty parlino di “Checkpoint Britain”, ricordando che i cittadini britannici avevano già respinto le ID card di Blair vent’anni fa. Ma stavolta la scusa è più appetibile: “fermare i clandestini”. Peccato che a pagare saranno tutti gli altri, quelli che lavorano regolarmente e che verranno schedati per legge. E non si ferma qui. Anche la Svizzera sta entrando nella gabbia digitale: dopo il referendum del 2021 che aveva bocciato l’ID, il Parlamento ha approvato nel 2023 la nuova legge sull’E-ID, operativa dal 2026. Ufficialmente sarà “volontaria”, ma già si annuncia indispensabile per banche, sanità e servizi pubblici. Quando l’alternativa diventa un percorso a ostacoli, la scelta non è più libera. Dietro le quinte, sempre gli stessi nomi: Bill Gates con ID2020, Tony Blair che da anni spinge per l’adozione globale, e Bruxelles che prepara l’impalcatura normativa. La fiaba è sempre uguale: sicurezza, modernità, inclusione. La realtà è che senza credenziali digitali diventi un paria. Così il Regno Unito inaugura il modello: il lavoro - il diritto di vivere - trasformato in un QR code. L’Austria e la Svizzera seguono, l’UE accelera. E a noi resta una sola certezza: quando i diritti diventano concessioni elettroniche, basta un clic per spegnere la libertà. Per aggiornamenti senza filtri: t.me/carmen_tortora1
    WWW.GOV.UK
    New digital ID scheme to be rolled out across UK
    A new digital ID scheme will help combat illegal working while making it easier for the vast majority of people to use vital government services. Digital ID will be mandatory for Right to Work checks by the end of the Parliament.
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  • I tre «sconosciuti» dell’Usb e la batosta Cgil: perché lo sciopero pro Pal di lunedì ha cambiato il sindacato
    di Luca Angelini
    26 settembre 2025
    L’atto di proclamazione ufficiale dello sciopero è stato firmato da Daniela Mencarelli, Cinzia Della Porta e Guido Lutrario: ignoti ai più. Il clima collettivo del «blocchiamo tutto» ha lasciato la Cgil in mezzo al guado

    Visto che i primi sconfitti per le violenze, in particolare alla stazione Centrale di Milano, sono stati gli organizzatori dei cortei pro Palestina, non si è fatto molto caso al fatto che quella di lunedì fosse una giornata di sciopero generale. Secondo Dario Di Vico, però, non è da sottovalutare il fatto che l’atto di proclamazione ufficiale dello sciopero fosse stato firmato da Daniela Mencarelli, Cinzia Della Porta e Guido Lutrario. «Tre sindacalisti - scrive Di Vico in un intervento sul Foglio - che fanno parte degli organi dirigenti dell’Usb (Unione sindacati di base) ma che sono sconosciuti sia al grande pubblico sia agli addetti ai lavori».



    L’identikit dei tre alla guida di Usb
    È possibile, ma non troppo probabile, che quei tre nomi si conquistino, d'ora in avanti, una duratura ribalta. Di sicuro, però, un posto sotto i riflettori se l'è assicurato, da un po', l’Usb, il cui identikit Di Vico tratteggia così: «Nata nel 2010, è una piccola organizzazione della galassia Cobas che però nel tempo si è radicata nel territorio (dichiara 80 sedi territoriali) e soprattutto nei settori dei servizi come logistica, trasporti, scuola e pubblico impiego. (...) Vale il dato che nelle periferie del lavoro vari sindacatini più o meno simil-Cobas sono riusciti a radicarsi, come nel caso di Prato in cui organizzano gli operai pachistani in lotta contro i padroni sia cinesi sia italiani».

    Lo sciopero di venerdì
    Quel che a Di Vico preme di più far notare è, però, che un altro sciopero pro Palestina c'era stato appena pochi giorni prima, venerdì 19 settembre. A proclamarlo era stata la Cgil di Maurizio Landini. Eppure, fors'anche perché si era generata «una discreta confusione su quali fossero i settori coinvolti e le modalità dell’astensione», «la partecipazione non è stata minimamente paragonabile a quella delle 70 piazze di lunedì». E non basta, a spiegare come sia potuto succedere, il fatto che «il segmento di tute blu più vicino ai sindacati di base, e anche più coinvolto nel boicottaggio delle merci e armi dirette in Israele, è quello dei portuali soprattutto di Genova e Livorno».

    Il terzo settore
    Se, come ha scritto Prospero, portando quasi 15 milioni di italiani alle urne l'8 e 9 giugno «la Cgil ha mostrato che la strettoia per il recupero di rappresentanza rimane tuttora aperta», il fatto che in quella strettoia sembri essersi inserito qualcun altro è, per Di Vico, la conseguenza di errori imputabili al segretario generale: «Nella rete sapientemente tessuta in questi anni da Landini sono presenti realtà del terzo settore e organizzazioni come Arci e Acli o Libera ma pare più un’adunata di ufficiali che di soldati semplici. Un progetto cerebrale che quando si scontra con la realtà dei fatti si rivela una sorta di prefabbricato costruito a misura di una leadership e per minare l’unità sindacale più che indicare nuove strade. Con il risultato però che la Cgil da una parte perde le sue caratteristiche storiche fondate sulla contrattazione e la rappresentatività e dall’altra non conquista nuovo consenso».

    Source: https://www.corriere.it/economia/lavoro/25_settembre_26/i-tre-sconosciuti-dell-usb-e-la-batosta-cgil-perche-lo-sciopero-pro-pal-di-lunedi-ha-cambiato-il-sindacato-9fc80ef2-ddb2-4038-9745-d14a24facxlk_amp.shtml
    I tre «sconosciuti» dell’Usb e la batosta Cgil: perché lo sciopero pro Pal di lunedì ha cambiato il sindacato di Luca Angelini 26 settembre 2025 L’atto di proclamazione ufficiale dello sciopero è stato firmato da Daniela Mencarelli, Cinzia Della Porta e Guido Lutrario: ignoti ai più. Il clima collettivo del «blocchiamo tutto» ha lasciato la Cgil in mezzo al guado Visto che i primi sconfitti per le violenze, in particolare alla stazione Centrale di Milano, sono stati gli organizzatori dei cortei pro Palestina, non si è fatto molto caso al fatto che quella di lunedì fosse una giornata di sciopero generale. Secondo Dario Di Vico, però, non è da sottovalutare il fatto che l’atto di proclamazione ufficiale dello sciopero fosse stato firmato da Daniela Mencarelli, Cinzia Della Porta e Guido Lutrario. «Tre sindacalisti - scrive Di Vico in un intervento sul Foglio - che fanno parte degli organi dirigenti dell’Usb (Unione sindacati di base) ma che sono sconosciuti sia al grande pubblico sia agli addetti ai lavori». L’identikit dei tre alla guida di Usb È possibile, ma non troppo probabile, che quei tre nomi si conquistino, d'ora in avanti, una duratura ribalta. Di sicuro, però, un posto sotto i riflettori se l'è assicurato, da un po', l’Usb, il cui identikit Di Vico tratteggia così: «Nata nel 2010, è una piccola organizzazione della galassia Cobas che però nel tempo si è radicata nel territorio (dichiara 80 sedi territoriali) e soprattutto nei settori dei servizi come logistica, trasporti, scuola e pubblico impiego. (...) Vale il dato che nelle periferie del lavoro vari sindacatini più o meno simil-Cobas sono riusciti a radicarsi, come nel caso di Prato in cui organizzano gli operai pachistani in lotta contro i padroni sia cinesi sia italiani». Lo sciopero di venerdì Quel che a Di Vico preme di più far notare è, però, che un altro sciopero pro Palestina c'era stato appena pochi giorni prima, venerdì 19 settembre. A proclamarlo era stata la Cgil di Maurizio Landini. Eppure, fors'anche perché si era generata «una discreta confusione su quali fossero i settori coinvolti e le modalità dell’astensione», «la partecipazione non è stata minimamente paragonabile a quella delle 70 piazze di lunedì». E non basta, a spiegare come sia potuto succedere, il fatto che «il segmento di tute blu più vicino ai sindacati di base, e anche più coinvolto nel boicottaggio delle merci e armi dirette in Israele, è quello dei portuali soprattutto di Genova e Livorno». Il terzo settore Se, come ha scritto Prospero, portando quasi 15 milioni di italiani alle urne l'8 e 9 giugno «la Cgil ha mostrato che la strettoia per il recupero di rappresentanza rimane tuttora aperta», il fatto che in quella strettoia sembri essersi inserito qualcun altro è, per Di Vico, la conseguenza di errori imputabili al segretario generale: «Nella rete sapientemente tessuta in questi anni da Landini sono presenti realtà del terzo settore e organizzazioni come Arci e Acli o Libera ma pare più un’adunata di ufficiali che di soldati semplici. Un progetto cerebrale che quando si scontra con la realtà dei fatti si rivela una sorta di prefabbricato costruito a misura di una leadership e per minare l’unità sindacale più che indicare nuove strade. Con il risultato però che la Cgil da una parte perde le sue caratteristiche storiche fondate sulla contrattazione e la rappresentatività e dall’altra non conquista nuovo consenso». Source: https://www.corriere.it/economia/lavoro/25_settembre_26/i-tre-sconosciuti-dell-usb-e-la-batosta-cgil-perche-lo-sciopero-pro-pal-di-lunedi-ha-cambiato-il-sindacato-9fc80ef2-ddb2-4038-9745-d14a24facxlk_amp.shtml
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