• Over a billion people were forced into a biometric system linking food, pensions, and healthcare to a single digital ID. The result? A humanitarian crisis.

    Criminals hacked and cloned identities, leaving families starving, elderly without pensions, and the sick turned away from hospitals.

    In one state alone, two dozen people starved to death after being denied rations due to system failures. Millions of fake accounts siphoned funds meant for the poor, creating a black market for stolen identities.

    Sold as “secure,” it became a tool for control and exploitation. When survival depends on a single ID, a glitch—or a hacker—can erase your access to life itself.

    This isn’t progress. It’s a blueprint for dystopia.

    Il disastro dell'identità digitale in India è un monito per il mondo.

    Oltre un miliardo di persone sono state costrette a utilizzare un sistema biometrico che collega cibo, pensioni e assistenza sanitaria a un unico documento d'identità digitale. Il risultato? Una crisi umanitaria.

    I criminali hanno hackerato e clonato identità, lasciando famiglie affamate, anziani senza pensione e malati respinti dagli ospedali.

    In un solo stato, due dozzine di persone sono morte di fame dopo essersi viste negare le razioni alimentari a causa di guasti al sistema. Milioni di account falsi hanno sottratto fondi destinati ai poveri, creando un mercato nero per le identità rubate.

    Venduto come "sicuro", è diventato uno strumento di controllo e sfruttamento. Quando la sopravvivenza dipende da un singolo documento d'identità, un problema tecnico – o un hacker – può cancellare l'accesso alla vita stessa.

    Questo non è progresso. È un modello per una distopia.

    Source: https://x.com/newstart_2024/status/1985023958131904643?t=Jz-FGT_g4m-Qk9vJkwW4nA&s=19
    Over a billion people were forced into a biometric system linking food, pensions, and healthcare to a single digital ID. The result? A humanitarian crisis. Criminals hacked and cloned identities, leaving families starving, elderly without pensions, and the sick turned away from hospitals. In one state alone, two dozen people starved to death after being denied rations due to system failures. Millions of fake accounts siphoned funds meant for the poor, creating a black market for stolen identities. Sold as “secure,” it became a tool for control and exploitation. When survival depends on a single ID, a glitch—or a hacker—can erase your access to life itself. This isn’t progress. It’s a blueprint for dystopia. Il disastro dell'identità digitale in India è un monito per il mondo. Oltre un miliardo di persone sono state costrette a utilizzare un sistema biometrico che collega cibo, pensioni e assistenza sanitaria a un unico documento d'identità digitale. Il risultato? Una crisi umanitaria. I criminali hanno hackerato e clonato identità, lasciando famiglie affamate, anziani senza pensione e malati respinti dagli ospedali. In un solo stato, due dozzine di persone sono morte di fame dopo essersi viste negare le razioni alimentari a causa di guasti al sistema. Milioni di account falsi hanno sottratto fondi destinati ai poveri, creando un mercato nero per le identità rubate. Venduto come "sicuro", è diventato uno strumento di controllo e sfruttamento. Quando la sopravvivenza dipende da un singolo documento d'identità, un problema tecnico – o un hacker – può cancellare l'accesso alla vita stessa. Questo non è progresso. È un modello per una distopia. Source: https://x.com/newstart_2024/status/1985023958131904643?t=Jz-FGT_g4m-Qk9vJkwW4nA&s=19
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  • India’s digital ID disaster is a warning to the world.

    Over a billion people were forced into a biometric system linking food, pensions, and healthcare to a single digital ID. The result? A humanitarian crisis.

    Criminals hacked and cloned identities, leaving families starving, elderly without pensions, and the sick turned away from hospitals.

    In one state alone, two dozen people starved to death after being denied rations due to system failures. Millions of fake accounts siphoned funds meant for the poor, creating a black market for stolen identities.

    Sold as “secure,” it became a tool for control and exploitation. When survival depends on a single ID, a glitch—or a hacker—can erase your access to life itself.

    This isn’t progress. It’s a blueprint for dystopia.

    Il disastro dell'identità digitale in India è un monito per il mondo.

    Oltre un miliardo di persone sono state costrette a utilizzare un sistema biometrico che collega cibo, pensioni e assistenza sanitaria a un unico documento d'identità digitale. Il risultato? Una crisi umanitaria.

    I criminali hanno hackerato e clonato identità, lasciando famiglie affamate, anziani senza pensione e malati respinti dagli ospedali.

    In un solo stato, due dozzine di persone sono morte di fame dopo essersi viste negare le razioni alimentari a causa di guasti al sistema. Milioni di account falsi hanno sottratto fondi destinati ai poveri, creando un mercato nero per le identità rubate.

    Venduto come "sicuro", è diventato uno strumento di controllo e sfruttamento. Quando la sopravvivenza dipende da un singolo documento d'identità, un problema tecnico – o un hacker – può cancellare l'accesso alla vita stessa.

    Questo non è progresso. È un modello per una distopia.

    https://x.com/newstart_2024/status/1985023958131904643?t=Q-33F8eWrrvSjut4_BIphg&s=19
    India’s digital ID disaster is a warning to the world. Over a billion people were forced into a biometric system linking food, pensions, and healthcare to a single digital ID. The result? A humanitarian crisis. Criminals hacked and cloned identities, leaving families starving, elderly without pensions, and the sick turned away from hospitals. In one state alone, two dozen people starved to death after being denied rations due to system failures. Millions of fake accounts siphoned funds meant for the poor, creating a black market for stolen identities. Sold as “secure,” it became a tool for control and exploitation. When survival depends on a single ID, a glitch—or a hacker—can erase your access to life itself. This isn’t progress. It’s a blueprint for dystopia. Il disastro dell'identità digitale in India è un monito per il mondo. Oltre un miliardo di persone sono state costrette a utilizzare un sistema biometrico che collega cibo, pensioni e assistenza sanitaria a un unico documento d'identità digitale. Il risultato? Una crisi umanitaria. I criminali hanno hackerato e clonato identità, lasciando famiglie affamate, anziani senza pensione e malati respinti dagli ospedali. In un solo stato, due dozzine di persone sono morte di fame dopo essersi viste negare le razioni alimentari a causa di guasti al sistema. Milioni di account falsi hanno sottratto fondi destinati ai poveri, creando un mercato nero per le identità rubate. Venduto come "sicuro", è diventato uno strumento di controllo e sfruttamento. Quando la sopravvivenza dipende da un singolo documento d'identità, un problema tecnico – o un hacker – può cancellare l'accesso alla vita stessa. Questo non è progresso. È un modello per una distopia. https://x.com/newstart_2024/status/1985023958131904643?t=Q-33F8eWrrvSjut4_BIphg&s=19
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  • ⭕️ Il capo dell’intelligence statunitense ,Tulsi Gabbard, due giorni fa ho pronunciato un discorso molto importante in Bahrein in occasione di una conferenza internazionale, ammettendo e al contempo rinnegando la politica seguita da Washington per decenni queste le sue parole:

    “Per decenni la nostra politica estera non è riuscita a uscire da un ciclo controproducente e infinito di cambi di regime e costruzione di nazioni.

    L'approccio era standard: rovesciavamo governi, cercavamo di imporre agli altri il nostro sistema di governo, intervenivamo in conflitti di cui avevamo quasi nessuna conoscenza, e ce ne andavamo con più nemici che alleati.

    I risultati? Spreco di trilioni, perdita di innumerevoli vite e spesso la creazione di minacce alla sicurezza ancora maggiori".

    E ha assicurato che così non sarà sotto il presidente Trump, ribadendo che la nuova politica sarà quella di trovare terreni di intesa anche con regimi non democratici, sulla base del reciproco interesse sovrano nazionale.
    È un’ammissione straordinaria, che rinnega la politica portata alle sue estreme conseguenze dai neoconservatori sia sotto Bush che sotto Obama e Biden. Ed è un cambiamento epocale perlomeno nelle intenzioni. Fino ad oggi Trump è stato coerente, vedremo se lo sarà anche con la crisi in Venezuela.
    Vi propongo l’estratto principale del discorso di Tosi Gabbarde a seguire una clip con tutto il suo intervento, tutto tradotto in italiano . - 1)

    https://x.com/MarcelloFoa/status/1985040839723061756?t=UkP2ikVIf0GnmWra2MCFpA&s=19

    ⭕️ Il capo dell’intelligence statunitense ,Tulsi Gabbard, due giorni fa ho pronunciato un discorso molto importante in Bahrein in occasione di una conferenza internazionale, ammettendo e al contempo rinnegando la politica seguita da Washington per decenni queste le sue parole: “Per decenni la nostra politica estera non è riuscita a uscire da un ciclo controproducente e infinito di cambi di regime e costruzione di nazioni. L'approccio era standard: rovesciavamo governi, cercavamo di imporre agli altri il nostro sistema di governo, intervenivamo in conflitti di cui avevamo quasi nessuna conoscenza, e ce ne andavamo con più nemici che alleati. I risultati? Spreco di trilioni, perdita di innumerevoli vite e spesso la creazione di minacce alla sicurezza ancora maggiori". E ha assicurato che così non sarà sotto il presidente Trump, ribadendo che la nuova politica sarà quella di trovare terreni di intesa anche con regimi non democratici, sulla base del reciproco interesse sovrano nazionale. È un’ammissione straordinaria, che rinnega la politica portata alle sue estreme conseguenze dai neoconservatori sia sotto Bush che sotto Obama e Biden. Ed è un cambiamento epocale perlomeno nelle intenzioni. Fino ad oggi Trump è stato coerente, vedremo se lo sarà anche con la crisi in Venezuela. Vi propongo l’estratto principale del discorso di Tosi Gabbarde a seguire una clip con tutto il suo intervento, tutto tradotto in italiano . - 1) https://x.com/MarcelloFoa/status/1985040839723061756?t=UkP2ikVIf0GnmWra2MCFpA&s=19
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  • CATEGORIE INVISIBILI
    Beffa ai caregivers

    Ci sono tematiche che, purtroppo, passano inevitabilmente in secondo piano.
    Di sicuro perché viviamo in un Paese “strano” — per usare un eufemismo — capace di empatizzare con il dolore di popoli lontani, eppure totalmente indifferente davanti alle “peggio porcate” che ogni anno ci servono in tavola con la Manovra economica.
    Un piatto indigesto, puntuale come le abbuffate natalizie.

    E per chi, come il sottoscritto, proviene da percorsi di vita e di studio di carattere umanistico, è impossibile non volgere lo sguardo al dato umano.
    Quello che manda avanti una società, che tiene in piedi un partito o un movimento politico, nonostante tutto.

    Mi spiace dover constatare, ancora una volta, che dopo la cultura, a non godere dei dovuti riguardi siano le politiche sociali.
    Nonostante gli appelli di organizzazioni e associazioni di settore, certe riforme rimangono in un eterno “limbo”, fino a concretizzarsi in reali beffe.
    E ogni volta c’è qualcuno pronto a giustificarle con la solita scusa della coperta corta, vero?
    Oppure, diciamola tutta: ci sono argomenti che non sono “politicamente cavalcabili”.
    Basta ipocrisie, non siamo più bambini.

    Stavolta tocca ai Caregiver di tutta Italia.
    Persone che da anni attendono una legge capace di offrire un riconoscimento sociale, giuridico ed economico, oltreché dignità.
    Parliamo di decine di migliaia di caregiver familiari, in larghissima parte donne over 40, conviventi con chi assistono, impegnate in turni infiniti di cura: 24 ore al giorno, 7 giorni su 7.
    Persone che sacrificano salute, tempo, vita professionale e spesso anche la propria identità pur di garantire assistenza continua a un familiare.

    E cosa prevede la nuova Manovra?
    Secondo l’art. 53, sarà istituito un fondo per il “finanziamento delle iniziative legislative a sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, con una dotazione di 1,15 milioni di euro per l’anno 2026, e di 207 milioni annui a decorrere dal 2027”.

    Una mancetta.
    Una cifra ridicola se rapportata al fabbisogno reale di un Paese in cui il welfare familiare regge spesso dove lo Stato si dissolve.

    E la cosa più triste è che il Ministero — nella figura di Alessandra Locatelli — si dà alla macchia.
    Complice forse il fatto di giovare di un anonimato comodo, al riparo dai riflettori che illuminano ministri più “macchiettistici” come Giuli, Tajani, Crosetto & Friends.

    Il Governo tace anche di fronte agli appelli e alle legittime richieste di realtà associative come
    “Genitori Tosti in Tutti i Posti”, FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e CONFAD (Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità).

    E allora diciamolo: non è una questione di ideologia politica.
    La vera colpa, di qualunque governo, è non voler guardare in faccia la realtà.
    Non voler ascoltare chi vive quotidianamente le fragilità del Paese reale.

    Perché le categorie invisibili sono tante.
    Padri separati, nuclei monogenitoriali in stato di vedovanza, famiglie schiacciate da un ISEE che punisce invece di tutelare.
    Tutti ignorati in nome di “altre priorità”.
    Oppure, peggio ancora, scaricati sulle Regioni.

    Ridurre tutto all’ennesimo scontro di contrade ideologiche è il più grande errore di chi governa e di chi si oppone.
    Perché non è una questione di colore politico, ma di sensibilità.
    Quando la politica tornerà a essere studio, ascolto e visione, e non semplice folclore di piazza, forse potremo scrivere un’agenda reale delle priorità di questo Paese.
    Ma servirà qualcosa che oggi manca più di ogni altra risorsa:
    uomini e donne di buona volontà.

    #Caregiver #Manovra2025 #PoliticheSociali #Invisibili #Welfare #DirittiNegati #GiustiziaSociale #Politica #SocietàCivile #dignità
    CATEGORIE INVISIBILI Beffa ai caregivers Ci sono tematiche che, purtroppo, passano inevitabilmente in secondo piano. Di sicuro perché viviamo in un Paese “strano” — per usare un eufemismo — capace di empatizzare con il dolore di popoli lontani, eppure totalmente indifferente davanti alle “peggio porcate” che ogni anno ci servono in tavola con la Manovra economica. Un piatto indigesto, puntuale come le abbuffate natalizie. E per chi, come il sottoscritto, proviene da percorsi di vita e di studio di carattere umanistico, è impossibile non volgere lo sguardo al dato umano. Quello che manda avanti una società, che tiene in piedi un partito o un movimento politico, nonostante tutto. Mi spiace dover constatare, ancora una volta, che dopo la cultura, a non godere dei dovuti riguardi siano le politiche sociali. Nonostante gli appelli di organizzazioni e associazioni di settore, certe riforme rimangono in un eterno “limbo”, fino a concretizzarsi in reali beffe. E ogni volta c’è qualcuno pronto a giustificarle con la solita scusa della coperta corta, vero? Oppure, diciamola tutta: ci sono argomenti che non sono “politicamente cavalcabili”. Basta ipocrisie, non siamo più bambini. Stavolta tocca ai Caregiver di tutta Italia. Persone che da anni attendono una legge capace di offrire un riconoscimento sociale, giuridico ed economico, oltreché dignità. Parliamo di decine di migliaia di caregiver familiari, in larghissima parte donne over 40, conviventi con chi assistono, impegnate in turni infiniti di cura: 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Persone che sacrificano salute, tempo, vita professionale e spesso anche la propria identità pur di garantire assistenza continua a un familiare. 👉E cosa prevede la nuova Manovra? Secondo l’art. 53, sarà istituito un fondo per il “finanziamento delle iniziative legislative a sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, con una dotazione di 1,15 milioni di euro per l’anno 2026, e di 207 milioni annui a decorrere dal 2027”. Una mancetta. Una cifra ridicola se rapportata al fabbisogno reale di un Paese in cui il welfare familiare regge spesso dove lo Stato si dissolve. E la cosa più triste è che il Ministero — nella figura di Alessandra Locatelli — si dà alla macchia. Complice forse il fatto di giovare di un anonimato comodo, al riparo dai riflettori che illuminano ministri più “macchiettistici” come Giuli, Tajani, Crosetto & Friends. Il Governo tace anche di fronte agli appelli e alle legittime richieste di realtà associative come “Genitori Tosti in Tutti i Posti”, FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e CONFAD (Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità). E allora diciamolo: non è una questione di ideologia politica. La vera colpa, di qualunque governo, è non voler guardare in faccia la realtà. Non voler ascoltare chi vive quotidianamente le fragilità del Paese reale. Perché le categorie invisibili sono tante. Padri separati, nuclei monogenitoriali in stato di vedovanza, famiglie schiacciate da un ISEE che punisce invece di tutelare. Tutti ignorati in nome di “altre priorità”. Oppure, peggio ancora, scaricati sulle Regioni. Ridurre tutto all’ennesimo scontro di contrade ideologiche è il più grande errore di chi governa e di chi si oppone. Perché non è una questione di colore politico, ma di sensibilità. Quando la politica tornerà a essere studio, ascolto e visione, e non semplice folclore di piazza, forse potremo scrivere un’agenda reale delle priorità di questo Paese. Ma servirà qualcosa che oggi manca più di ogni altra risorsa: uomini e donne di buona volontà. #Caregiver #Manovra2025 #PoliticheSociali #Invisibili #Welfare #DirittiNegati #GiustiziaSociale #Politica #SocietàCivile #dignità
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  • DA NOI NEANCHE una NEWS sulle proteste di Bruxelles! ABBANDONATE i MEDIA del mainstream.

    Le strade di Bruxelles sono in fiamme. La capitale dell’Unione Europea, simbolo del potere e della diplomazia, è diventata l’epicentro di una rivolta senza precedenti. Migliaia di cittadini sono scesi in piazza contro le nuove misure di austerità e l’innalzamento dell’età pensionabile, trasformando un semplice sciopero in una protesta che scuote l’intero continente.
    Dalla Francia ai Paesi Bassi, dalla Polonia all’Italia, l’onda del malcontento si estende in tutta Europa. È la ribellione di un popolo stanco di sacrifici, disuguaglianze e promesse infrante. Dietro la rabbia, c’è la paura di un futuro sempre più incerto e la sensazione che Bruxelles, un tempo simbolo di unità, sia oggi il volto di un potere distante e freddo.
    Questo documentario racconta la crisi di un continente che sta perdendo il contatto con la sua gente. Le immagini, le testimonianze e le voci raccolte tra le barricate rivelano una realtà che i grandi media spesso tacciono: un’Europa in bilico tra la speranza di rinascere e il rischio di implodere.


    Segui Focus Europa per rimanere aggiornato su elezioni europee, geopolitica, fondi europei, politica monetaria, inflazione, eurozona, Brexit, regolamentazioni UE e molto altro. Approfondimenti chiari, dati aggiornati e opinioni esperte per comprendere al meglio il complesso mondo della politica e finanza europea.

    Iscriviti per non perdere i video settimanali che ti aiutano a capire come funzionano le istituzioni europee e come le decisioni prese a Bruxelles impattano sulla vita di tutti noi.

    https://www.youtube.com/watch?v=-rQJqFsuulM
    DA NOI NEANCHE una NEWS sulle proteste di Bruxelles! ABBANDONATE i MEDIA del mainstream. Le strade di Bruxelles sono in fiamme. La capitale dell’Unione Europea, simbolo del potere e della diplomazia, è diventata l’epicentro di una rivolta senza precedenti. Migliaia di cittadini sono scesi in piazza contro le nuove misure di austerità e l’innalzamento dell’età pensionabile, trasformando un semplice sciopero in una protesta che scuote l’intero continente. Dalla Francia ai Paesi Bassi, dalla Polonia all’Italia, l’onda del malcontento si estende in tutta Europa. È la ribellione di un popolo stanco di sacrifici, disuguaglianze e promesse infrante. Dietro la rabbia, c’è la paura di un futuro sempre più incerto e la sensazione che Bruxelles, un tempo simbolo di unità, sia oggi il volto di un potere distante e freddo. Questo documentario racconta la crisi di un continente che sta perdendo il contatto con la sua gente. Le immagini, le testimonianze e le voci raccolte tra le barricate rivelano una realtà che i grandi media spesso tacciono: un’Europa in bilico tra la speranza di rinascere e il rischio di implodere. Segui Focus Europa per rimanere aggiornato su elezioni europee, geopolitica, fondi europei, politica monetaria, inflazione, eurozona, Brexit, regolamentazioni UE e molto altro. Approfondimenti chiari, dati aggiornati e opinioni esperte per comprendere al meglio il complesso mondo della politica e finanza europea. Iscriviti per non perdere i video settimanali che ti aiutano a capire come funzionano le istituzioni europee e come le decisioni prese a Bruxelles impattano sulla vita di tutti noi. https://www.youtube.com/watch?v=-rQJqFsuulM
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  • PER NON DIMENTICARE e FARE UN PO' di CHIAREZZA!
    L’ENIGMA RANUCCI: IL GIORNALISTA SCOMODO CHE NON DISTURBA IL POTERE!
    Sempre solidale con chiunque subisca ogni tipo di intimidazione, compreso il soggetto in questione, vi propongo questi interessanti e condivisibili post sulla figura di Sigfrido Ranucci, il giornalista che durante la pandemia pubblicizzava senza farsi alcuna domanda i sieri sperimentali che continuano tutt’oggi a mietere vittime anche fra i suoi colleghi e proponeva imperdibili inchieste della durata di un’ora sull’evoluzione della pizza in Italia, con un inedito focus sulla mangiata dell’ex presidente Bill Clinton in una pizzeria di Napoli…tutto questo nel periodo in cui tutti i diritti fondamentali dell’uomo venivano calpestati da un banchiere criminale nel silenzio di (quasi) tutte le trasmissioni televisive, fra cui la sua.
    Buona lettura.
    Post 1
    Sigfrido Ranucci viene presentato da anni come simbolo del giornalismo d’inchiesta italiano, “voce scomoda” contro i poteri forti. Eppure, se si osserva con attenzione la linea editoriale di Report, emerge un quadro molto diverso da quello percepito dal grande pubblico.
    I servizi del programma non toccano mai le questioni centrali del potere reale: il ruolo dell’Unione Europea e della BCE nell’impoverimento economico del Paese, le responsabilità politiche nella gestione pandemica, i rapporti fra magistratura e intelligence, l’impatto delle politiche migratorie sulla sicurezza e sull’identità sociale.
    Temi di questa portata vengono costantemente evitati. Si preferisce orientare l’attenzione verso fenomeni di corruzione secondaria, conflitti di interesse marginali o presunti scandali a basso rischio politico.
    In questo senso, Report svolge una funzione precisa: incanalare l’indignazione pubblica verso bersagli innocui.
    Il risultato è duplice: da un lato si alimenta l’immagine del giornalismo “libero”, dall’altro si impedisce che l’opinione pubblica concentri la propria attenzione sui veri centri di potere.
    Non è un caso che Ranucci, pur dichiarandosi “in pericolo”, goda di massima copertura istituzionale, sia da parte del Quirinale che dell’Unione Europea, che ne difendono costantemente l’operato in nome della “libertà di stampa”.
    È difficile considerare realmente scomodo chi opera all’interno del servizio pubblico e gode di protezione politica trasversale.
    In un Paese dove giornalisti indipendenti vengono querelati, censurati o isolati, l’immagine del “cronista coraggioso sotto scorta” funziona come una narrazione utile al sistema: serve a dare credibilità a un’informazione che, in realtà, si muove entro confini molto ben definiti.
    Post 2 – L’ATTENTATO IMPOSSIBILE: UNA NARRAZIONE COSTRUITA?
    Dal 2021 Sigfrido Ranucci vive sotto scorta. Ciò significa che la sua abitazione, i suoi spostamenti e la sua vettura rientrano in protocolli di sicurezza estremamente rigidi.
    Ogni ingresso, parcheggio e itinerario è monitorato. Per questo motivo, la notizia secondo cui qualcuno sarebbe riuscito a collocare un ordigno esplosivo nella sua auto appare tecnicamente poco plausibile, se non impossibile, a meno di gravi complicità interne.
    L’attentato, così come raccontato, presenta quindi una doppia anomalia: o i protocolli di protezione sono falliti in modo clamoroso — cosa che dovrebbe comportare immediate dimissioni di funzionari e scorte — oppure la vicenda ha una forte componente scenica e comunicativa.
    Il tempismo mediatico lo conferma: subito dopo la notizia, esponenti politici di tutti i partiti hanno espresso solidarietà, il Quirinale ha ribadito il valore del “giornalismo libero”, e i media hanno rilanciato la narrazione dell’Italia come “paese pericoloso per chi fa informazione”.
    Ma di quale informazione si parla?
    Ranucci non ha mai prodotto inchieste che mettessero realmente in crisi i vertici del potere politico o finanziario. Non ha mai toccato temi come l’adesione incondizionata dell’Italia alla NATO, la gestione opaca dei fondi del PNRR, o le pressioni sovranazionali in materia sanitaria ed energetica.
    Eppure viene presentato come simbolo della libertà di parola.
    L’ipotesi più coerente è che l’“attentato” serva a consolidare una narrativa utile al mainstream: quella del giornalista eroico minacciato da forze oscure, che deve essere difeso dal potere politico stesso.
    Un paradosso perfetto: chi dovrebbe essere il bersaglio diventa, in realtà, l’attore principale di una messa in scena che rafforza il sistema che finge di combattere.
    Post 3 – IL RUOLO DI SISTEMA DEL GIORNALISTA “SOTTO ATTACCO”
    In ogni momento di crisi di fiducia verso i media, il sistema reagisce in modo prevedibile: rilancia figure come Ranucci per ridare legittimità morale alla stampa istituzionale.
    Quando il pubblico inizia a percepire la manipolazione dell’informazione, serve un simbolo di “verità perseguitata”.
    Ranucci diventa così il protagonista perfetto di una sceneggiatura politica: un giornalista “coraggioso” che affronta “minacce anonime”, protetto dalle istituzioni e celebrato dalle stesse forze di potere che dice di denunciare.
    È un meccanismo studiato.
    Il potere sa che per sopravvivere deve simulare al proprio interno una quota di conflitto controllato: apparire diviso per essere più credibile.
    In realtà, la funzione del dissenso istituzionalizzato è proprio neutralizzare il vero dissenso.
    Mentre l’attenzione del pubblico viene dirottata su un presunto attacco a Report, restano fuori dall’agenda mediatica i dossier realmente scomodi: i rapporti fra politica e finanza, l’influenza delle multinazionali sui media, il ruolo delle intelligence nei processi giudiziari, e la progressiva erosione della sovranità nazionale.
    Il risultato è che il “giornalista minacciato” diventa uno scudo narrativo per l’establishment.
    L’intera vicenda rafforza l’idea che chi critica i media ufficiali sia un potenziale pericolo per la democrazia.
    E così, mentre il potere si autoassolve celebrando la propria “libertà di stampa”, il vero giornalismo d’inchiesta — quello che indaga davvero su chi comanda — resta invisibile, marginalizzato, e privo di voce.

    Source: https://www.facebook.com/story.php?story_fbid=10229586144179377&id=1276122023&post_id=1276122023_10229586144179377&rdid=By0LdSJgnVcqb30V
    PER NON DIMENTICARE e FARE UN PO' di CHIAREZZA! L’ENIGMA RANUCCI: IL GIORNALISTA SCOMODO CHE NON DISTURBA IL POTERE! Sempre solidale con chiunque subisca ogni tipo di intimidazione, compreso il soggetto in questione, vi propongo questi interessanti e condivisibili post sulla figura di Sigfrido Ranucci, il giornalista che durante la pandemia pubblicizzava senza farsi alcuna domanda i sieri sperimentali che continuano tutt’oggi a mietere vittime anche fra i suoi colleghi e proponeva imperdibili inchieste della durata di un’ora sull’evoluzione della pizza in Italia, con un inedito focus sulla mangiata dell’ex presidente Bill Clinton in una pizzeria di Napoli…tutto questo nel periodo in cui tutti i diritti fondamentali dell’uomo venivano calpestati da un banchiere criminale nel silenzio di (quasi) tutte le trasmissioni televisive, fra cui la sua. Buona lettura. Post 1 Sigfrido Ranucci viene presentato da anni come simbolo del giornalismo d’inchiesta italiano, “voce scomoda” contro i poteri forti. Eppure, se si osserva con attenzione la linea editoriale di Report, emerge un quadro molto diverso da quello percepito dal grande pubblico. I servizi del programma non toccano mai le questioni centrali del potere reale: il ruolo dell’Unione Europea e della BCE nell’impoverimento economico del Paese, le responsabilità politiche nella gestione pandemica, i rapporti fra magistratura e intelligence, l’impatto delle politiche migratorie sulla sicurezza e sull’identità sociale. Temi di questa portata vengono costantemente evitati. Si preferisce orientare l’attenzione verso fenomeni di corruzione secondaria, conflitti di interesse marginali o presunti scandali a basso rischio politico. In questo senso, Report svolge una funzione precisa: incanalare l’indignazione pubblica verso bersagli innocui. Il risultato è duplice: da un lato si alimenta l’immagine del giornalismo “libero”, dall’altro si impedisce che l’opinione pubblica concentri la propria attenzione sui veri centri di potere. Non è un caso che Ranucci, pur dichiarandosi “in pericolo”, goda di massima copertura istituzionale, sia da parte del Quirinale che dell’Unione Europea, che ne difendono costantemente l’operato in nome della “libertà di stampa”. È difficile considerare realmente scomodo chi opera all’interno del servizio pubblico e gode di protezione politica trasversale. In un Paese dove giornalisti indipendenti vengono querelati, censurati o isolati, l’immagine del “cronista coraggioso sotto scorta” funziona come una narrazione utile al sistema: serve a dare credibilità a un’informazione che, in realtà, si muove entro confini molto ben definiti. Post 2 – L’ATTENTATO IMPOSSIBILE: UNA NARRAZIONE COSTRUITA? Dal 2021 Sigfrido Ranucci vive sotto scorta. Ciò significa che la sua abitazione, i suoi spostamenti e la sua vettura rientrano in protocolli di sicurezza estremamente rigidi. Ogni ingresso, parcheggio e itinerario è monitorato. Per questo motivo, la notizia secondo cui qualcuno sarebbe riuscito a collocare un ordigno esplosivo nella sua auto appare tecnicamente poco plausibile, se non impossibile, a meno di gravi complicità interne. L’attentato, così come raccontato, presenta quindi una doppia anomalia: o i protocolli di protezione sono falliti in modo clamoroso — cosa che dovrebbe comportare immediate dimissioni di funzionari e scorte — oppure la vicenda ha una forte componente scenica e comunicativa. Il tempismo mediatico lo conferma: subito dopo la notizia, esponenti politici di tutti i partiti hanno espresso solidarietà, il Quirinale ha ribadito il valore del “giornalismo libero”, e i media hanno rilanciato la narrazione dell’Italia come “paese pericoloso per chi fa informazione”. Ma di quale informazione si parla? Ranucci non ha mai prodotto inchieste che mettessero realmente in crisi i vertici del potere politico o finanziario. Non ha mai toccato temi come l’adesione incondizionata dell’Italia alla NATO, la gestione opaca dei fondi del PNRR, o le pressioni sovranazionali in materia sanitaria ed energetica. Eppure viene presentato come simbolo della libertà di parola. L’ipotesi più coerente è che l’“attentato” serva a consolidare una narrativa utile al mainstream: quella del giornalista eroico minacciato da forze oscure, che deve essere difeso dal potere politico stesso. Un paradosso perfetto: chi dovrebbe essere il bersaglio diventa, in realtà, l’attore principale di una messa in scena che rafforza il sistema che finge di combattere. Post 3 – IL RUOLO DI SISTEMA DEL GIORNALISTA “SOTTO ATTACCO” In ogni momento di crisi di fiducia verso i media, il sistema reagisce in modo prevedibile: rilancia figure come Ranucci per ridare legittimità morale alla stampa istituzionale. Quando il pubblico inizia a percepire la manipolazione dell’informazione, serve un simbolo di “verità perseguitata”. Ranucci diventa così il protagonista perfetto di una sceneggiatura politica: un giornalista “coraggioso” che affronta “minacce anonime”, protetto dalle istituzioni e celebrato dalle stesse forze di potere che dice di denunciare. È un meccanismo studiato. Il potere sa che per sopravvivere deve simulare al proprio interno una quota di conflitto controllato: apparire diviso per essere più credibile. In realtà, la funzione del dissenso istituzionalizzato è proprio neutralizzare il vero dissenso. Mentre l’attenzione del pubblico viene dirottata su un presunto attacco a Report, restano fuori dall’agenda mediatica i dossier realmente scomodi: i rapporti fra politica e finanza, l’influenza delle multinazionali sui media, il ruolo delle intelligence nei processi giudiziari, e la progressiva erosione della sovranità nazionale. Il risultato è che il “giornalista minacciato” diventa uno scudo narrativo per l’establishment. L’intera vicenda rafforza l’idea che chi critica i media ufficiali sia un potenziale pericolo per la democrazia. E così, mentre il potere si autoassolve celebrando la propria “libertà di stampa”, il vero giornalismo d’inchiesta — quello che indaga davvero su chi comanda — resta invisibile, marginalizzato, e privo di voce. Source: https://www.facebook.com/story.php?story_fbid=10229586144179377&id=1276122023&post_id=1276122023_10229586144179377&rdid=By0LdSJgnVcqb30V
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  • LA MASSIMA IPOCRISIA dell'OCCIDENTE!

    L’uomo ritratto a sinistra è stato uno dei leader di Al-Qaeda in Siria, formazione terroristica poi confluita in Jabhat al-Nusra, responsabile di stragi, persecuzioni e innumerevoli vittime, in particolare tra le comunità cristiane d’Oriente: un bilancio di sangue che, per intensità, supera persino quello di Hamas.

    A destra, invece, siede l’ex comandante delle forze armate statunitensi in Medio Oriente, già direttore della CIA, l’uomo che per anni ha avuto il compito di eliminare proprio quel miliziano.

    Oggi, sul palco di un forum a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, lo si vede intervistarlo con deferenza, nella sua nuova veste di presidente della Siria.

    Via il turbante, sostituito dalla giacca e dalla cravatta; barba accorciata, eloquio misurato. Una metamorfosi estetica che accompagna un’incredibile metamorfosi politica.

    La conclusione resta amara: l’Occidente, nel suo eterno gioco di alleanze mutevoli, non smette di mostrare il volto della più tragica ipocrisia.

    THE ULTIMATE HYPOCRISY OF THE WEST!

    The man portrayed on the left was one of the leaders of Al-Qaeda in Syria, a terrorist group that later merged into Jabhat al-Nusra, responsible for massacres, persecutions and countless victims, in particular among the Christian communities of the East: a blood toll which, in terms of intensity, even surpasses that of Hamas.

    On the right, however, sits the former commander of the US armed forces in the Middle East, former director of the CIA, the man who for years had the task of eliminating that very militiaman.

    Today, on the stage of a forum on the sidelines of the United Nations General Assembly, he is seen being interviewed with deference, in his new role as president of Syria.

    The turban is gone, replaced by the jacket and tie; shortened beard, measured speech. An aesthetic metamorphosis that accompanies an incredible political metamorphosis.

    The conclusion remains bitter: the West, in its eternal game of changing alliances, never ceases to show the face of the most tragic hypocrisy.
    LA MASSIMA IPOCRISIA dell'OCCIDENTE! L’uomo ritratto a sinistra è stato uno dei leader di Al-Qaeda in Siria, formazione terroristica poi confluita in Jabhat al-Nusra, responsabile di stragi, persecuzioni e innumerevoli vittime, in particolare tra le comunità cristiane d’Oriente: un bilancio di sangue che, per intensità, supera persino quello di Hamas. A destra, invece, siede l’ex comandante delle forze armate statunitensi in Medio Oriente, già direttore della CIA, l’uomo che per anni ha avuto il compito di eliminare proprio quel miliziano. Oggi, sul palco di un forum a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, lo si vede intervistarlo con deferenza, nella sua nuova veste di presidente della Siria. Via il turbante, sostituito dalla giacca e dalla cravatta; barba accorciata, eloquio misurato. Una metamorfosi estetica che accompagna un’incredibile metamorfosi politica. La conclusione resta amara: l’Occidente, nel suo eterno gioco di alleanze mutevoli, non smette di mostrare il volto della più tragica ipocrisia. THE ULTIMATE HYPOCRISY OF THE WEST! The man portrayed on the left was one of the leaders of Al-Qaeda in Syria, a terrorist group that later merged into Jabhat al-Nusra, responsible for massacres, persecutions and countless victims, in particular among the Christian communities of the East: a blood toll which, in terms of intensity, even surpasses that of Hamas. On the right, however, sits the former commander of the US armed forces in the Middle East, former director of the CIA, the man who for years had the task of eliminating that very militiaman. Today, on the stage of a forum on the sidelines of the United Nations General Assembly, he is seen being interviewed with deference, in his new role as president of Syria. The turban is gone, replaced by the jacket and tie; shortened beard, measured speech. An aesthetic metamorphosis that accompanies an incredible political metamorphosis. The conclusion remains bitter: the West, in its eternal game of changing alliances, never ceases to show the face of the most tragic hypocrisy.
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  • "QUEI PAZIENTI ERANO UN AMMASSO DI COAGULI" ▷ L'AUDIZIONE VIRALE DELLA DR.SSA GISMONDO IN COM. COVID-19

    E' stato il primo vero debriefing serio sull'emergenza Covid, come scrive Maddalena Loy su La Verità, quello della microbiologa Maria Rita Gismondo. Ai tempi della pandemia era direttore della cattedra di microbiologia all'Università di Milano e direttore dell'università sulle bioemergenze al Sacco di Milano. Di recente è stata ascoltata in Commissione Covid, dove ha spiegato quelli che sarebbero stati gli errori commessi nella gestione dell'emergenza - ricordiamo che la Commissione ha deciso di analizzare la pandemia in ordine cronologico, quindi partendo dalle mascherine, i lockdown e in generale l'approccio iniziale. La microbiologa ha esposto, nell'analisi di presentazione prima delle domande dei commissari, i principali punti chiave della crisi sanitaria. "Cosa sarebbe accaduto - chiede in aula - se avessimo subito tracciato in maniera tale da effettuare i tamponi non solo a coloro che avevano evidenti sintomi? Cosa sarebbe accaduto se avessimo effettuato un gran numero di autopsie conoscendo meglio la patogenesi di questa patologia?"

    https://www.youtube.com/watch?v=X2tdwanfxKI
    "QUEI PAZIENTI ERANO UN AMMASSO DI COAGULI" ▷ L'AUDIZIONE VIRALE DELLA DR.SSA GISMONDO IN COM. COVID-19 E' stato il primo vero debriefing serio sull'emergenza Covid, come scrive Maddalena Loy su La Verità, quello della microbiologa Maria Rita Gismondo. Ai tempi della pandemia era direttore della cattedra di microbiologia all'Università di Milano e direttore dell'università sulle bioemergenze al Sacco di Milano. Di recente è stata ascoltata in Commissione Covid, dove ha spiegato quelli che sarebbero stati gli errori commessi nella gestione dell'emergenza - ricordiamo che la Commissione ha deciso di analizzare la pandemia in ordine cronologico, quindi partendo dalle mascherine, i lockdown e in generale l'approccio iniziale. La microbiologa ha esposto, nell'analisi di presentazione prima delle domande dei commissari, i principali punti chiave della crisi sanitaria. "Cosa sarebbe accaduto - chiede in aula - se avessimo subito tracciato in maniera tale da effettuare i tamponi non solo a coloro che avevano evidenti sintomi? Cosa sarebbe accaduto se avessimo effettuato un gran numero di autopsie conoscendo meglio la patogenesi di questa patologia?" https://www.youtube.com/watch?v=X2tdwanfxKI
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  • QUESTO È VERAMENTE INCREDIBILE!
    David Farrier: «Dalle rondini che accorciano le ali per volare tra le autostrade alle rane che modificano l’intestino per sopravvivere alle microplastiche: l'incredibile intelligenza degli animali per adattarsi ai cambiamenti ambientali»
    Il mondo naturale mostra una plasticità che l’uomo ha dimenticato. Lo scrittore e docente David Farrier, autore di «Il genio della natura», racconta come piante e animali rispondono con intelligenza e creatività alla crisi ambientale...
    https://www.vanityfair.it/article/david-farrier-libro-il-genio-della-natura-intelligenza-animali-piante
    QUESTO È VERAMENTE INCREDIBILE! David Farrier: «Dalle rondini che accorciano le ali per volare tra le autostrade alle rane che modificano l’intestino per sopravvivere alle microplastiche: l'incredibile intelligenza degli animali per adattarsi ai cambiamenti ambientali» Il mondo naturale mostra una plasticità che l’uomo ha dimenticato. Lo scrittore e docente David Farrier, autore di «Il genio della natura», racconta come piante e animali rispondono con intelligenza e creatività alla crisi ambientale... https://www.vanityfair.it/article/david-farrier-libro-il-genio-della-natura-intelligenza-animali-piante
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    David Farrier: «Dalle rondini che accorciano le ali per volare tra le autostrade alle rane che modificano l’intestino per sopravvivere alle microplastiche: l'incredibile intelligenza degli animali per adattarsi ai cambiamenti ambientali»
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  • MILANO, IL CORAGGIO NON LO TROVI IN GIUNTA

    Il coraggio, evidentemente, non lo si compra al mercato.

    La via istituzionale resta sempre quella più dura ma necessaria, perché è lì — tra i banchi del Consiglio — che si misura il peso vero della politica. È lì che servono spina dorsale e coscienza.

    Eppure anche oggi, a Milano, abbiamo motivo per incazzarci sul serio. Perché quando si tradiscono i valori, non è solo una mozione a cadere: è un pezzo di dignità collettiva che si sgretola.

    La mozione bocciata chiedeva una cosa semplice, chiara, limpida:
    che Milano cessasse il gemellaggio con Tel Aviv finché Israele continuerà a violare i diritti umani e il diritto internazionale nei territori palestinesi,
    e che la città si facesse promotrice di un dialogo di pace vero, libero da complicità istituzionali e da relazioni di comodo.

    Non era una provocazione, ma una presa di posizione morale.
    Un segnale concreto per dire che la pace non si invoca: si costruisce anche prendendo le distanze da chi la calpesta ogni giorno.

    Dalla città che ama definirsi “medaglia d’oro della Resistenza”, ci saremmo aspettati almeno un lampo di coraggio. Un voto chiaro, netto, capace di dire: “Sì, vogliamo rompere con chi perpetua violenza e oppressione.”

    Io quella mozione l’ho firmata convintamente, orgoglioso di essere tra i 1238 milanesi che hanno scelto la coerenza alla convenienza. Perché un’idea giusta non ha bisogno di “targhe” politiche: si sostiene, punto.

    Ma ancora una volta, le nostre speranze si sono infrante contro il muro di una Giunta senza vergogna né dignità, dove l’unica bussola sembra essere quella degli affari e delle relazioni “strategiche”.

    Sciogliere il gemellaggio con Tel Aviv non era un atto di guerra.
    Era un atto di coscienza politica, un segno di autodeterminazione e rispetto verso chi subisce, ogni giorno, la negazione della propria libertà.
    Era un modo per dire: Milano è ancora viva, pensa, sceglie.

    E invece no.
    Milano ha preferito il silenzio.
    Ha scelto la comodità dei vincoli, delle lobby, delle famiglie “intoccabili”, e di una memoria storica brandita come scudo, non come lezione.

    Oggi questa città vive di rendita morale, come un artista decaduto che si presenta ancora ai festival con un premio vinto quarant’anni fa.
    O peggio — come una prostituta di lusso, pronta a muoversi solo quando c’è da compiacere il miglior offerente.

    E così, una mozione cade.
    E con lei cade un’altra occasione per dimostrare che Milano è ancora la città della Resistenza, e non una vetrina di ipocrisia.

    Ma la storia non finisce qui.
    Perché fuori da Palazzo Marino, tra chi non si arrende, c’è ancora chi crede in un nuovo soggetto politico dal basso, fondato su coraggio, verità e partecipazione reale.

    Da domani basta slogan.
    Basta medaglie d’oro sventolate come souvenir.
    Milano deve scegliere se vuole essere memoria o coscienza viva.
    Perché oggi, purtroppo, non è né l’una né l’altra.

    #MilanoSenzaCoraggio
    #ResistenzaTradita
    #StopGemellaggioTelAviv
    #GiuntaSenzaVergogna
    #PoliticaConCoscienza
    #MilanoIpocrita
    #OltreGliAffari
    #MilanoResiste
    #VergognaCivica
    #dirittiumanisempre
    🔥 MILANO, IL CORAGGIO NON LO TROVI IN GIUNTA Il coraggio, evidentemente, non lo si compra al mercato. La via istituzionale resta sempre quella più dura ma necessaria, perché è lì — tra i banchi del Consiglio — che si misura il peso vero della politica. È lì che servono spina dorsale e coscienza. Eppure anche oggi, a Milano, abbiamo motivo per incazzarci sul serio. Perché quando si tradiscono i valori, non è solo una mozione a cadere: è un pezzo di dignità collettiva che si sgretola. La mozione bocciata chiedeva una cosa semplice, chiara, limpida: 👉 che Milano cessasse il gemellaggio con Tel Aviv finché Israele continuerà a violare i diritti umani e il diritto internazionale nei territori palestinesi, 👉 e che la città si facesse promotrice di un dialogo di pace vero, libero da complicità istituzionali e da relazioni di comodo. Non era una provocazione, ma una presa di posizione morale. Un segnale concreto per dire che la pace non si invoca: si costruisce anche prendendo le distanze da chi la calpesta ogni giorno. Dalla città che ama definirsi “medaglia d’oro della Resistenza”, ci saremmo aspettati almeno un lampo di coraggio. Un voto chiaro, netto, capace di dire: “Sì, vogliamo rompere con chi perpetua violenza e oppressione.” Io quella mozione l’ho firmata convintamente, orgoglioso di essere tra i 1238 milanesi che hanno scelto la coerenza alla convenienza. Perché un’idea giusta non ha bisogno di “targhe” politiche: si sostiene, punto. Ma ancora una volta, le nostre speranze si sono infrante contro il muro di una Giunta senza vergogna né dignità, dove l’unica bussola sembra essere quella degli affari e delle relazioni “strategiche”. Sciogliere il gemellaggio con Tel Aviv non era un atto di guerra. Era un atto di coscienza politica, un segno di autodeterminazione e rispetto verso chi subisce, ogni giorno, la negazione della propria libertà. Era un modo per dire: Milano è ancora viva, pensa, sceglie. E invece no. Milano ha preferito il silenzio. Ha scelto la comodità dei vincoli, delle lobby, delle famiglie “intoccabili”, e di una memoria storica brandita come scudo, non come lezione. Oggi questa città vive di rendita morale, come un artista decaduto che si presenta ancora ai festival con un premio vinto quarant’anni fa. O peggio — come una prostituta di lusso, pronta a muoversi solo quando c’è da compiacere il miglior offerente. E così, una mozione cade. E con lei cade un’altra occasione per dimostrare che Milano è ancora la città della Resistenza, e non una vetrina di ipocrisia. Ma la storia non finisce qui. Perché fuori da Palazzo Marino, tra chi non si arrende, c’è ancora chi crede in un nuovo soggetto politico dal basso, fondato su coraggio, verità e partecipazione reale. Da domani basta slogan. Basta medaglie d’oro sventolate come souvenir. Milano deve scegliere se vuole essere memoria o coscienza viva. Perché oggi, purtroppo, non è né l’una né l’altra. #MilanoSenzaCoraggio #ResistenzaTradita #StopGemellaggioTelAviv #GiuntaSenzaVergogna #PoliticaConCoscienza #MilanoIpocrita #OltreGliAffari #MilanoResiste #VergognaCivica #dirittiumanisempre
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