• MILANO 2025 – Fra bollettino di guerra e m2 di sofferenza

    Quando si avvicina la fine dell’anno arriva anche il momento dei bilanci.
    E per la nostra città i conti sono, ancora una volta, in passivo.
    Non è un caso se sempre più testate giornalistiche snocciolano percentuali, grafici e numeri che raccontano una Milano che non è più la “locomotiva d’Italia”, ma assomiglia sempre di più a un girone urbano dei dannati. Il dato più inquietante, però, non è nei report: è nella nostra assuefazione collettiva.
    Stiamo accettando tutto questo con una calma sospetta. Forse perché siamo – giustamente – presi dal dimostrare empatia e solidarietà verso conflitti e sofferenze che si consumano a migliaia di chilometri da qui. È umano, è giusto, è necessario.
    Ma permettetemi una riflessione, rapportata alle nostre vite e alle nostre dimensioni quotidiane.
    È come vivere in un condominio che cade a pezzi e scegliere di ignorarlo perché siamo emotivamente assorbiti dai problemi di un altro palazzo, lontano chilometri dal nostro. La solidarietà non è in discussione. La rimozione del reale, sì.

    Con un nuovo anno alle porte e le prossime amministrative che si avvicinano, forse è arrivato il momento di rivolgere a Milano attenzioni maggiori, senza sensi di colpa ma con responsabilità. Se siamo in grado di occuparci del mondo intero, dobbiamo essere capaci di guardare anche alle gravi carenze di casa nostra.
    Vogliamo dare un’occhiata insieme al bollettino di guerra del 2025?
    Eccolo.

    A Milano si guadagna più che nel resto d’Italia.
    Ma lavorare, oggi, non è più sufficiente per vivere bene.
    Secondo lo studio della Camera del Lavoro Metropolitana di Milano (CGIL), un lavoratore su tre percepisce un reddito incompatibile con il costo della vita cittadina. Non stiamo parlando di marginalità estrema, ma di una fascia sempre più ampia di persone intrappolate in una normalità impoverita, dove il lavoro garantisce la sopravvivenza ma non la dignità.
    Il nodo è strutturale: casa e sanità assorbono oltre il 50% del salario.
    Solo l’abitazione pesa tra il 30 e il 40%, mentre la spesa sanitaria supera il 20%. Il resto dello stipendio evapora tra inflazione, trasporti e spese obbligate. Il risultato è una città che costringe i suoi lavoratori ad adottare comportamenti difensivi, a partire dall’espulsione verso l’hinterland.
    Milano diventa così una città che si lavora ma non si abita.
    E chi non può permettersi di viverla viene progressivamente escluso anche dal punto di vista sociale e culturale: tempo libero, relazioni, partecipazione, accesso alla vita urbana. Tutto ciò che non coincide con l’orario di lavoro viene sacrificato.
    Questa dinamica colpisce in modo violento il lavoro pubblico. In appena due anni, i dipendenti pubblici in città sono diminuiti di circa il 14%. Scuola, sanità, amministrazioni locali: Milano non è più attrattiva nemmeno per chi garantisce i servizi essenziali. Una fuga silenziosa che compromette la qualità stessa della vita urbana.

    Nel frattempo i salari nominali crescono, ma meno dell’inflazione, che a Milano ha superato l’11% nel periodo 2022–2024. Tradotto: si lavora di più, si guadagna “sulla carta”, ma si perde potere d’acquisto reale.
    La crescita c’è, ma non viene redistribuita. E una crescita senza equità non è sviluppo: è estrazione sociale.
    Milano continua a produrre ricchezza, ma non benessere.
    E una città che consuma le persone che la tengono in piedi è una città che sta ipotecando il proprio futuro.

    Queste ragioni dovrebbero essere più che sufficienti per risvegliarci dal torpore e dall’accettazione passiva di una degenerazione che, fino ad oggi, abbiamo avuto il coraggio di denunciare solo parlando di malapolitica.

    Esistono gruppi politici di potere? Vero.
    Le lobby sono forze reali che comandano Milano? Vero anche questo.
    Ma la domanda più scomoda resta un’altra: noi dove eravamo quando era il momento di contrastare tutto questo da dentro?
    Troppo spesso abbiamo preferito allontanare il pensiero, rifugiandoci in mobilitazioni che, per quanto giuste, lavano la coscienza ma non attivano la responsabilità. Cortei, riflessioni, prese di posizione sacrosante — ma raramente radicate fino in fondo nel nostro territorio.

    Milano oggi merita di essere liberata.
    Non solo dagli episodi di malagestione, ma da quello che è diventato il nostro male moderno: la pigrizia mentale, la rinuncia a immaginare un’alternativa, la mancanza di motivazioni a giocarsi davvero la partita.
    Se non lo facciamo ora, tra un anno, a pochi giorni da un nuovo Capodanno, rileggeremo le stesse statistiche impietose. La stessa insoddisfazione generale. La stessa insicurezza.
    E una fila ancora più lunga ad attendere un pacco di sostegno e di dignità davanti al Pane Quotidiano.

    Vogliamo davvero questo?
    Se la risposta è no, allora è il tempo di mettersi a lavorare seriamente per curare Milano e liberarla.
    Perché solo ripartendo dal nostro territorio avremo la serenità e la forza per aiutare anche il resto del mondo.
    Il primo passo si fa sempre da qui.
    Dal nostro metro quadrato di sofferenza.

    #MilanoLibera #Milano2025 #CostoDellaVita
    #LavoroEDignità #CasaÈUnDiritto #CittàPerChiLavora
    🚨 MILANO 2025 – Fra bollettino di guerra e m2 di sofferenza ⚠️🏙️ Quando si avvicina la fine dell’anno arriva anche il momento dei bilanci. E per la nostra città i conti sono, ancora una volta, in passivo. 📉 Non è un caso se sempre più testate giornalistiche snocciolano percentuali, grafici e numeri che raccontano una Milano che non è più la “locomotiva d’Italia”, ma assomiglia sempre di più a un girone urbano dei dannati. Il dato più inquietante, però, non è nei report: è nella nostra assuefazione collettiva. Stiamo accettando tutto questo con una calma sospetta. Forse perché siamo – giustamente – presi dal dimostrare empatia e solidarietà verso conflitti e sofferenze che si consumano a migliaia di chilometri da qui. È umano, è giusto, è necessario. ❤️‍🩹 Ma permettetemi una riflessione, rapportata alle nostre vite e alle nostre dimensioni quotidiane. È come vivere in un condominio che cade a pezzi e scegliere di ignorarlo perché siamo emotivamente assorbiti dai problemi di un altro palazzo, lontano chilometri dal nostro. La solidarietà non è in discussione. La rimozione del reale, sì. Con un nuovo anno alle porte e le prossime amministrative che si avvicinano, forse è arrivato il momento di rivolgere a Milano attenzioni maggiori, senza sensi di colpa ma con responsabilità. Se siamo in grado di occuparci del mondo intero, dobbiamo essere capaci di guardare anche alle gravi carenze di casa nostra. Vogliamo dare un’occhiata insieme al bollettino di guerra del 2025? Eccolo. 🧾🔥 A Milano si guadagna più che nel resto d’Italia. Ma lavorare, oggi, non è più sufficiente per vivere bene. Secondo lo studio della Camera del Lavoro Metropolitana di Milano (CGIL), un lavoratore su tre percepisce un reddito incompatibile con il costo della vita cittadina. Non stiamo parlando di marginalità estrema, ma di una fascia sempre più ampia di persone intrappolate in una normalità impoverita, dove il lavoro garantisce la sopravvivenza ma non la dignità. Il nodo è strutturale: casa e sanità assorbono oltre il 50% del salario. Solo l’abitazione pesa tra il 30 e il 40%, mentre la spesa sanitaria supera il 20%. Il resto dello stipendio evapora tra inflazione, trasporti e spese obbligate. Il risultato è una città che costringe i suoi lavoratori ad adottare comportamenti difensivi, a partire dall’espulsione verso l’hinterland. Milano diventa così una città che si lavora ma non si abita. E chi non può permettersi di viverla viene progressivamente escluso anche dal punto di vista sociale e culturale: tempo libero, relazioni, partecipazione, accesso alla vita urbana. Tutto ciò che non coincide con l’orario di lavoro viene sacrificato. Questa dinamica colpisce in modo violento il lavoro pubblico. In appena due anni, i dipendenti pubblici in città sono diminuiti di circa il 14%. Scuola, sanità, amministrazioni locali: Milano non è più attrattiva nemmeno per chi garantisce i servizi essenziali. Una fuga silenziosa che compromette la qualità stessa della vita urbana. Nel frattempo i salari nominali crescono, ma meno dell’inflazione, che a Milano ha superato l’11% nel periodo 2022–2024. Tradotto: si lavora di più, si guadagna “sulla carta”, ma si perde potere d’acquisto reale. La crescita c’è, ma non viene redistribuita. E una crescita senza equità non è sviluppo: è estrazione sociale. Milano continua a produrre ricchezza, ma non benessere. E una città che consuma le persone che la tengono in piedi è una città che sta ipotecando il proprio futuro. Queste ragioni dovrebbero essere più che sufficienti per risvegliarci dal torpore e dall’accettazione passiva di una degenerazione che, fino ad oggi, abbiamo avuto il coraggio di denunciare solo parlando di malapolitica. Esistono gruppi politici di potere? Vero. Le lobby sono forze reali che comandano Milano? Vero anche questo. Ma la domanda più scomoda resta un’altra: noi dove eravamo quando era il momento di contrastare tutto questo da dentro? Troppo spesso abbiamo preferito allontanare il pensiero, rifugiandoci in mobilitazioni che, per quanto giuste, lavano la coscienza ma non attivano la responsabilità. Cortei, riflessioni, prese di posizione sacrosante — ma raramente radicate fino in fondo nel nostro territorio. 🪧 👉Milano oggi merita di essere liberata. Non solo dagli episodi di malagestione, ma da quello che è diventato il nostro male moderno: la pigrizia mentale, la rinuncia a immaginare un’alternativa, la mancanza di motivazioni a giocarsi davvero la partita. Se non lo facciamo ora, tra un anno, a pochi giorni da un nuovo Capodanno, rileggeremo le stesse statistiche impietose. La stessa insoddisfazione generale. La stessa insicurezza. E una fila ancora più lunga ad attendere un pacco di sostegno e di dignità davanti al Pane Quotidiano. 🍞 Vogliamo davvero questo? Se la risposta è no, allora è il tempo di mettersi a lavorare seriamente per curare Milano e liberarla. Perché solo ripartendo dal nostro territorio avremo la serenità e la forza per aiutare anche il resto del mondo. Il primo passo si fa sempre da qui. Dal nostro metro quadrato di sofferenza. 📐🔥 #MilanoLibera #Milano2025 #CostoDellaVita #LavoroEDignità #CasaÈUnDiritto #CittàPerChiLavora
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  • ALTERNATIVA (Politica)

    Potrei passare ore a scrivere dei mille mali di #Milano. Farne l’ennesima lista della spesa. Ma a cosa serve, davvero?

    Elencare ciò che non funziona non sposta nulla, non muove coscienze, non cambia i rapporti di forza. È come ripetere che il governo fa schifo o indignarsi per l’ennesimo capo di Stato sanguinario: vero, sacrosanto, ma sterile se resta solo sfogo.
    L’ho già detto e lo ribadisco: Milano non è immune dal dolore, dalla frustrazione, dall’insoddisfazione. Ma questo non è il tempo dei pianti greci. È il tempo del fare. O, se vogliamo dirla fino in fondo, del ritrovare il coraggio.

    C’è una convinzione tossica che circola da troppo tempo: che non sia più possibile costruire un’alternativa duratura e credibile. È un errore grave. Finché siamo vivi abbiamo il dovere politico e morale di migliorarci e di cambiare la realtà quando non funziona. Sempre.

    Ci sono almeno tre mali che dobbiamo avere il coraggio di estirpare.

    Primo.
    I milanesi – come molti italiani – non hanno più voglia, o forza, o motivazioni per costruire un progetto nuovo che si prenda davvero cura della città. E allora succede questo: un percorso silenzioso di colonizzazione, l’egemonia di pochi, sempre gli stessi. Non perché siano invincibili, ma perché non li contrastiamo più dove dovremmo.
    Ci piace criticare da fuori, dai social, dai cortei. È legittimo. Ma non basta.

    Secondo.
    Si pensa che una lista civica, un simbolo nuovo, poco conosciuto, sia sinonimo di inefficienza, inesperienza, inutilità. Davvero?
    E votando da decenni gli stessi nomi e gli stessi simboli… cosa sarebbe cambiato? Vogliamo ridurre la politica a una questione da stadio? Tifo per la squadra più forte, altrimenti non vale?
    È troppo facile. Troppo comodo. Troppo coerente con una città che vive di apparenze e di grandi firme – anche in politica – che difenderanno sempre prima la propria azienda e solo dopo, forse, la città. Pensateci bene.

    Terzo.
    Il ritornello più pigro di tutti: “tanto rubano tutti”, “sono tutti uguali”. Stessa musica, stesso alibi.
    Sì, il passato recente ci ha vaccinati male, a colpi di delusioni. Ma esistono ancora uomini e donne capaci di imparare dagli errori, di uscirne più solidi. Esistono ancora valori che spingono qualcuno a impegnarsi per pura passione civile.
    E non c’è nulla di più gratificante che vedere un tuo concittadino sorriderti perché, anche solo un po’, gli hai migliorato la vita. Vale più di un bonifico, più di un selfie, più di qualsiasi applauso.

    Servono scelte di coraggio.
    Segnatevelo tra i buoni propositi per il 2026. Se siamo davvero dialoganti, dovremmo esserlo anche verso una sfida nuova. Si può perdere o si può vincere. Nessuna scorciatoia, nessuna zona grigia.
    Ma la cosa essenziale è rimettersi in gioco. Mettersi in discussione. Sempre.

    È questo, oggi, l’atto politico più radicale.

    #Alternativa #Milano #Coraggio #PoliticaSeria #MilanoLibera #SpiritoCritico #FareNonLamentarsi #Responsabilità #Futuro
    ALTERNATIVA (Politica) ✊🧭 Potrei passare ore a scrivere dei mille mali di #Milano. Farne l’ennesima lista della spesa. Ma a cosa serve, davvero? Elencare ciò che non funziona non sposta nulla, non muove coscienze, non cambia i rapporti di forza. È come ripetere che il governo fa schifo o indignarsi per l’ennesimo capo di Stato sanguinario: vero, sacrosanto, ma sterile se resta solo sfogo. L’ho già detto e lo ribadisco: Milano non è immune dal dolore, dalla frustrazione, dall’insoddisfazione. Ma questo non è il tempo dei pianti greci. È il tempo del fare. O, se vogliamo dirla fino in fondo, del ritrovare il coraggio. 💥 C’è una convinzione tossica che circola da troppo tempo: che non sia più possibile costruire un’alternativa duratura e credibile. È un errore grave. Finché siamo vivi abbiamo il dovere politico e morale di migliorarci e di cambiare la realtà quando non funziona. Sempre. Ci sono almeno tre mali che dobbiamo avere il coraggio di estirpare. Primo. I milanesi – come molti italiani – non hanno più voglia, o forza, o motivazioni per costruire un progetto nuovo che si prenda davvero cura della città. E allora succede questo: un percorso silenzioso di colonizzazione, l’egemonia di pochi, sempre gli stessi. Non perché siano invincibili, ma perché non li contrastiamo più dove dovremmo. Ci piace criticare da fuori, dai social, dai cortei. È legittimo. Ma non basta. Secondo. Si pensa che una lista civica, un simbolo nuovo, poco conosciuto, sia sinonimo di inefficienza, inesperienza, inutilità. Davvero? E votando da decenni gli stessi nomi e gli stessi simboli… cosa sarebbe cambiato? Vogliamo ridurre la politica a una questione da stadio? Tifo per la squadra più forte, altrimenti non vale? È troppo facile. Troppo comodo. Troppo coerente con una città che vive di apparenze e di grandi firme – anche in politica – che difenderanno sempre prima la propria azienda e solo dopo, forse, la città. Pensateci bene. Terzo. Il ritornello più pigro di tutti: “tanto rubano tutti”, “sono tutti uguali”. Stessa musica, stesso alibi. Sì, il passato recente ci ha vaccinati male, a colpi di delusioni. Ma esistono ancora uomini e donne capaci di imparare dagli errori, di uscirne più solidi. Esistono ancora valori che spingono qualcuno a impegnarsi per pura passione civile. E non c’è nulla di più gratificante che vedere un tuo concittadino sorriderti perché, anche solo un po’, gli hai migliorato la vita. Vale più di un bonifico, più di un selfie, più di qualsiasi applauso. 🙂 Servono scelte di coraggio. Segnatevelo tra i buoni propositi per il 2026. Se siamo davvero dialoganti, dovremmo esserlo anche verso una sfida nuova. Si può perdere o si può vincere. Nessuna scorciatoia, nessuna zona grigia. Ma la cosa essenziale è rimettersi in gioco. Mettersi in discussione. Sempre. È questo, oggi, l’atto politico più radicale. #Alternativa #Milano #Coraggio #PoliticaSeria #MilanoLibera #SpiritoCritico #FareNonLamentarsi #Responsabilità #Futuro
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  • Fulvio Scaglionesulla lite Sachs-Calenda: «Abbondantemente commentato, circola molto sui social lo spezzone di trasmissione in cui Carlo Calenda si confronta con l’economista e professore della Columbia University Jeffrey Sachs al quale, a un certo punto della discussione, dà del “bugiardo” e del “propagandista putiniano”. Circola, il video, anche perché Calenda lo promuove, essendone a quanto pare orgoglioso. Non ci sarebbe alcuna ragione per occuparsi di una cianfrusaglia politica come Calenda, e ancor meno dei suoi show televisivi, se non fosse che tutto in quello pseudodibattito (dove peraltro si è permesso a uno degli interlocutori di insultare l’altro, non bello) è perfettamente esemplare della distorsione ideologica che subiamo da anni e che ha portato l’Europa nel vicolo cieco in cui ora si trova. (…)

    E questo ci riporta al dibattito di cui sopra. Sachs esprime le sue opinioni, che possono essere condivise o meno. I lettori di InsideOver ne hanno appena avuto un saggio e, da persone adulte, possono serenamente giudicare. A chi scrive, per esempio, del suo intervento televisivo è parsa molto convincente la parte in cui ha criticato l’assenza di una diplomazia europea, che si è schiacciata su quella americana e ha rinunciato a ogni forma di comunicazione con quelli che considera rivali sistemici, la Russia e la Cina. Ma se non parli con gli avversari, con quelli che ti preoccupano, con chi parli? A che serve una diplomazia? E i risultati si vedono. In luglio la delegazione europea formata da Ursula von der Leyen, la responsabile della politica Estera Kaja Kallas e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, arrivata a Pechino per trattare sulle politiche commerciali, è stata a dir poco umiliata. E in questi giorni, come ha raccontato Roberto Vivaldelli in queste pagine, il ministro degli Esteri tedesco, Johann Wadephul, ha dovuto annullare una visita in Cina, programmata da tempo, perché nessuno dei dirigenti cinesi era disponibile a riceverlo. Quanto alla Russia non serve parlarne».

    Source: https://x.com/Giorgioaki/status/1982457871984885983?t=aOtYMd6e5ZJpanusgxJuOQ&s=19
    Fulvio Scaglionesulla lite Sachs-Calenda: «Abbondantemente commentato, circola molto sui social lo spezzone di trasmissione in cui Carlo Calenda si confronta con l’economista e professore della Columbia University Jeffrey Sachs al quale, a un certo punto della discussione, dà del “bugiardo” e del “propagandista putiniano”. Circola, il video, anche perché Calenda lo promuove, essendone a quanto pare orgoglioso. Non ci sarebbe alcuna ragione per occuparsi di una cianfrusaglia politica come Calenda, e ancor meno dei suoi show televisivi, se non fosse che tutto in quello pseudodibattito (dove peraltro si è permesso a uno degli interlocutori di insultare l’altro, non bello) è perfettamente esemplare della distorsione ideologica che subiamo da anni e che ha portato l’Europa nel vicolo cieco in cui ora si trova. (…) E questo ci riporta al dibattito di cui sopra. Sachs esprime le sue opinioni, che possono essere condivise o meno. I lettori di InsideOver ne hanno appena avuto un saggio e, da persone adulte, possono serenamente giudicare. A chi scrive, per esempio, del suo intervento televisivo è parsa molto convincente la parte in cui ha criticato l’assenza di una diplomazia europea, che si è schiacciata su quella americana e ha rinunciato a ogni forma di comunicazione con quelli che considera rivali sistemici, la Russia e la Cina. Ma se non parli con gli avversari, con quelli che ti preoccupano, con chi parli? A che serve una diplomazia? E i risultati si vedono. In luglio la delegazione europea formata da Ursula von der Leyen, la responsabile della politica Estera Kaja Kallas e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, arrivata a Pechino per trattare sulle politiche commerciali, è stata a dir poco umiliata. E in questi giorni, come ha raccontato Roberto Vivaldelli in queste pagine, il ministro degli Esteri tedesco, Johann Wadephul, ha dovuto annullare una visita in Cina, programmata da tempo, perché nessuno dei dirigenti cinesi era disponibile a riceverlo. Quanto alla Russia non serve parlarne». Source: https://x.com/Giorgioaki/status/1982457871984885983?t=aOtYMd6e5ZJpanusgxJuOQ&s=19
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  • EUNOMIS INFORMA, [29 Set 2025 alle 08:38]
    https://www.ilgiornaleditalia.it/news/approfondimenti/734863/legittimita-degli-obblighi-vaccinali-la-sospensione-degli-stipendi-ai-non-vaccinati-di-nuovo-al-vaglio-della-corte-costituzionale.html

    “Il Tribunale di Catania rimette nuovamente alla Corte Costituzionale”

    * di Andrea Montanari, avvocato

    Torna in Corte delle Leggi la “vexatissima quaestio” della sospensione (rectius, privazione) degli stipendi ai lavoratori non vaccinati nel periodo del Covid-19.

    Una delle normative più ingiuste e contestate del recente governo Draghi di epoca “pseudo pandemica” (e forse dell’intera storia repubblicana) torna quindi a giudizio di illegittimità costituzionale, come peraltro abbiamo sempre segnalato sarebbe avvenuto.

    D’altra parte, le famigerate sentenze del 2023 con cui la Corte delle Leggi rigetto’ istanze di remissione e interventi di numerosi avvocati e associazioni (tra cui la nostra Associazione EUNOMIS, con il sostegno di Società italiana di Medicina, difensori in mandato eravamo il sottoscritto e l’egregio avv. Francesco Cardile), volti a fare dichiarare l’illegittimita’ costituzionale dell’obbligo vaccinale e/o della abnorme e discriminatoria sanzione irrogata ai “resistenti” , erano evidentemente ERRATE dal momento che aderirono alla temeraria tesi (pseudoscientifica) della Avvocatura di Stato che sostenne (pur consapevole del contrario) che i farmaci per il Covid - 19 (detti irregolarmente “vaccini”) “prevenivano la trasmissione della infezione” (!).

    Un clamoroso falso storico - sotto il profilo scientifico (da cui la Corte “delle Leggi” avrebbe dovuto astenersi o comunque dichiarare) - che era già noto alla data delle udienze di discussione in Corte che si tennero a fine anno 2022 dopo la lunga notte di veglia che tenemmo a Roma.

    Un clamoroso falso storico dunque che oggi e’ emerso e dimostrato in tutta la sua fondatezza EX ANTE con la pubblicazione dei verbali del CTS della Presidenza del Consiglio dei Ministri (si v. , ex multis, il verbale 4/21 anteriore all’emissione del DL 44/21 che introdusse l’obbligo), con la ammissione di AIFA a seguito di accesso agli atti, con le audizioni in sede di Commissione parlamentare di inchiesta Covid-19, con decine di studi scientifici pubblicati (per quanto ciò risultasse già allora chiaramente anche dai cd. “bugiardini”).

    Si riapriranno dunque le porte al risarcimento degli stipendi illegittimamente negati a tutti questi lavoratori e alle loro famiglie ?
    Noi lo auspichiamo.

    Consigliamo intanto la lettura dell’articolo allegato di commento all’ordinanza di rinvio del Tribunale catanese, uscito su Il Giornale d’Italia, a firma del prof. avv. Gianfrancesco Vecchio, membro del nostri team legali EUNOMIS e Società italiana di Medicina, che tra l’altro fu con noi in Corte Costituzionale.

    * presidente EUNOMIS
    * coordinatore Dipartimento Affari Legali Società italiana di Medicina
    * presidente nazionale FenImprese Sanita’ - Insieme per Salute e Ben-essere https://t.me/eunomis/4646
    EUNOMIS INFORMA, [29 Set 2025 alle 08:38] https://www.ilgiornaleditalia.it/news/approfondimenti/734863/legittimita-degli-obblighi-vaccinali-la-sospensione-degli-stipendi-ai-non-vaccinati-di-nuovo-al-vaglio-della-corte-costituzionale.html 📍 “Il Tribunale di Catania rimette nuovamente alla Corte Costituzionale” * di Andrea Montanari, avvocato Torna in Corte delle Leggi la “vexatissima quaestio” della sospensione (rectius, privazione) degli stipendi ai lavoratori non vaccinati nel periodo del Covid-19. Una delle normative più ingiuste e contestate del recente governo Draghi di epoca “pseudo pandemica” (e forse dell’intera storia repubblicana) torna quindi a giudizio di illegittimità costituzionale, come peraltro abbiamo sempre segnalato sarebbe avvenuto. D’altra parte, le famigerate sentenze del 2023 con cui la Corte delle Leggi rigetto’ istanze di remissione e interventi di numerosi avvocati e associazioni (tra cui la nostra Associazione EUNOMIS, con il sostegno di Società italiana di Medicina, difensori in mandato eravamo il sottoscritto e l’egregio avv. Francesco Cardile), volti a fare dichiarare l’illegittimita’ costituzionale dell’obbligo vaccinale e/o della abnorme e discriminatoria sanzione irrogata ai “resistenti” , erano evidentemente ERRATE dal momento che aderirono alla temeraria tesi (pseudoscientifica) della Avvocatura di Stato che sostenne (pur consapevole del contrario) che i farmaci per il Covid - 19 (detti irregolarmente “vaccini”) “prevenivano la trasmissione della infezione” (!). Un clamoroso falso storico - sotto il profilo scientifico (da cui la Corte “delle Leggi” avrebbe dovuto astenersi o comunque dichiarare) - che era già noto alla data delle udienze di discussione in Corte che si tennero a fine anno 2022 dopo la lunga notte di veglia che tenemmo a Roma. Un clamoroso falso storico dunque che oggi e’ emerso e dimostrato in tutta la sua fondatezza EX ANTE con la pubblicazione dei verbali del CTS della Presidenza del Consiglio dei Ministri (si v. , ex multis, il verbale 4/21 anteriore all’emissione del DL 44/21 che introdusse l’obbligo), con la ammissione di AIFA a seguito di accesso agli atti, con le audizioni in sede di Commissione parlamentare di inchiesta Covid-19, con decine di studi scientifici pubblicati (per quanto ciò risultasse già allora chiaramente anche dai cd. “bugiardini”). Si riapriranno dunque le porte al risarcimento degli stipendi illegittimamente negati a tutti questi lavoratori e alle loro famiglie ? Noi lo auspichiamo. Consigliamo intanto la lettura dell’articolo allegato di commento all’ordinanza di rinvio del Tribunale catanese, uscito su Il Giornale d’Italia, a firma del prof. avv. Gianfrancesco Vecchio, membro del nostri team legali EUNOMIS e Società italiana di Medicina, che tra l’altro fu con noi in Corte Costituzionale. * presidente EUNOMIS * coordinatore Dipartimento Affari Legali Società italiana di Medicina * presidente nazionale FenImprese Sanita’ - Insieme per Salute e Ben-essere https://t.me/eunomis/4646
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  • BASILE / ALBANESE — la verità è donna

    Più passano i giorni e più mi sembra evidente che l'essere umano non sia programmato per la Pace.
    Perché, diciamolo, in queste ore un assassinio come quello di Charlie Kirk diventa occasione di scannamento e tiro al bersaglio — sia per i nostri magnanimi governanti sia per noi opinionisti da salotto digitale. Paradossale? Sì. Punto.
    Eppure esistono persone che — senza prediche dal piedistallo — riescono a parlare chiaro, a rimettere le posizioni ideologiche su un piano di verità e coraggio. Doti rare, ormai: tanti leader avrebbero visibilità, mezzi e possibilità per guidare verso il buonsenso, ma non lo fanno. Perché il profitto ha inquinato i pozzi da tempo.

    Che la donna sia fonte di ispirazione non è una novità. Ma in tempi di guerra e incertezza il pragmatismo femminile è necessario come l’aria.
    Nel contesto della festa del Fatto Quotidiano, due interventi sono spiccati — quasi passati sotto silenzio rispetto al frastuono dei TG — e meritano di essere ripresi. Li riportiamo per ricordare qual è il vero “succo” di ciò che accade, quello che molti fingono di non vedere.

    Aprire faide e polemiche infinite è sempre più semplice — soprattutto qui dove tutto serve a lanciare bordate tra centrodestra e centrosinistra. Ecco perché non saremo mai pronti alla pace.
    Ma torniamo al punto: gli interventi sono due. Possono sembrare scontati, triti e ritriti, ma non lasciano spazio a immaginazioni o allucinazioni.

    Elena Basile, ex ambasciatrice e voce critica della diplomazia italiana, ha affrontato con toni durissimi la questione palestinese e il sostegno occidentale alle politiche israeliane.
    “La politica che sta tenendo Israele oggi è una politica mafiosa, terrorista”, ha dichiarato dal palco, distinguendola persino dalle strategie dei primi governi israeliani: “Ben Gurion faceva interventi lampo perché teneva conto della situazione geografica e delle forze di Israele, metteva gli ostaggi in primo luogo. Oggi abbiamo un paese che mantiene sette fronti militari: Gaza, Cisgiordania, Libano, Yemen, Iran, Siria e Iraq. E con l’attacco a Doha sta mettendo in discussione le stesse alleanze con Egitto, Giordania e le monarchie del Golfo, gli interlocutori degli accordi di Abramo”.
    Secondo Basile, Israele appare oggi sempre più isolato: “Alle Nazioni Unite due terzi del mondo votano contro Israele. Grazie soprattutto al lavoro di Francesca Albanese, la società civile resiste e si oppone”. Tuttavia, ha sottolineato che anche Russia, Cina e paesi arabi “non sfidano apertamente Israele, pur non essendone complici come l’Occidente”.

    E rilancia :
    “Dobbiamo concentrarci in una mobilitazione dentro gli Stati europei e, se possibile, negli Stati Uniti, per chiedere la fine della cooperazione politica, militare ed economica con Israele. Grazie a Francesca Albanese, oggi abbiamo i nomi e cognomi di tutte le imprese che fanno profitto col genocidio”.

    E proprio Francesca Albanese subentra chiamando le cose con il loro nome: genocidio o atto di supremazia — non una semplice “guerra” — parlando con la franchezza di chi conosce il conflitto e con lo sguardo lucido di chi analizza i fatti:

    “Dinanzi a questa brutalità non si reagisce con le contromisure previste dal diritto: fermare trasferimenti e acquisti di armi, sospendere gli accordi commerciali. È un obbligo degli Stati”. E ha definito Israele nei territori occupati “una dittatura militare che ha governato 5 milioni di persone attraverso ordini scritti da soldati e rivisti da corti militari composte da soldati”.

    Sulla sua situazione personale mantiene una compostezza e un’obiettività invidiabili da che da questo luglio 2025, Francesca Albanese è finita nella lista nera degli Stati Uniti.
    ‘Vorrei non essere la notizia. Credo che la cosa più importante sia continuare a parlare di Gaza. Ma le sanzioni significano non poter entrare negli Stati Uniti, e per chi ha legami personali o familiari lì, come mia figlia, nata negli Usa, anche rischiare pene pecuniarie o persino l’arresto fino a 20 anni di carcere.
    L’obiettivo è intimidire, isolare, congelare chi denuncia’.”

    E chiude con una constatazione che fotografa la tossicità del dibattito pubblico:
    “Non credo neanche che sia giusta la frase che ho detto prima, e cioè che quello a Gaza sia il primo genocidio trasmesso in televisione. Le immagini passano, ma vengono accompagnate da una narrazione totalmente falsata. È questa tossicità del dibattito che non permette di capire cosa sta succedendo”.

    Cosa ne penso ?
    Questo è il nostro tempo: la spettacolarizzazione di ogni delitto o decesso e il disprezzo per un’informazione che rispetti i fatti hanno trasformato il dibattito in un’arena che uccide le ragioni. A chilometri da qui muoiono persone; nel cosiddetto “Occidente evoluto” muoiono valori e ideali. Stiamo scavando un fondo cui è difficile credere che non ci siamo già inabissati.

    La testimonianza di due “outsider” come Basile e Albanese è, in questo contesto, una boccata d’ossigeno a pochi metri dal baratro. È la lezione semplice e urgente del “parlare chiaro”: senza urlare, con rigore e sotto il frastuono di una cacofonia che noi stessi alimentiamo online.
    Serve un passo indietro rispetto agli interessi e un passo avanti verso verità e responsabilità. Serve un’informazione che sia veritiera, rigorosa e capace di restituire dignità alle vittime e senso alle azioni politiche.

    Siamo tutti, in una misura o nell’altra, parte del problema. Se vogliamo davvero costruire una nuova umanità, il primo gesto è scegliere di essere meritevoli di quella fiducia reciproca che oggi manca. Lo ripeto: al momento non lo siamo — ma possiamo decidere di cambiare.

    #Basile #Albanese #Informazione #Verità #Gaza #DirittiUmani #Pace #Responsabilità #StopProfittoSullaGuerra
    BASILE / ALBANESE — la verità è donna ✨👩‍⚖️ Più passano i giorni e più mi sembra evidente che l'essere umano non sia programmato per la Pace. Perché, diciamolo, in queste ore un assassinio come quello di Charlie Kirk diventa occasione di scannamento e tiro al bersaglio — sia per i nostri magnanimi governanti sia per noi opinionisti da salotto digitale. Paradossale? Sì. Punto. 🙄 Eppure esistono persone che — senza prediche dal piedistallo — riescono a parlare chiaro, a rimettere le posizioni ideologiche su un piano di verità e coraggio. Doti rare, ormai: tanti leader avrebbero visibilità, mezzi e possibilità per guidare verso il buonsenso, ma non lo fanno. Perché il profitto ha inquinato i pozzi da tempo. Che la donna sia fonte di ispirazione non è una novità. Ma in tempi di guerra e incertezza il pragmatismo femminile è necessario come l’aria. Nel contesto della festa del Fatto Quotidiano, due interventi sono spiccati — quasi passati sotto silenzio rispetto al frastuono dei TG — e meritano di essere ripresi. Li riportiamo per ricordare qual è il vero “succo” di ciò che accade, quello che molti fingono di non vedere. Aprire faide e polemiche infinite è sempre più semplice — soprattutto qui dove tutto serve a lanciare bordate tra centrodestra e centrosinistra. Ecco perché non saremo mai pronti alla pace. Ma torniamo al punto: gli interventi sono due. Possono sembrare scontati, triti e ritriti, ma non lasciano spazio a immaginazioni o allucinazioni. Elena Basile, ex ambasciatrice e voce critica della diplomazia italiana, ha affrontato con toni durissimi la questione palestinese e il sostegno occidentale alle politiche israeliane. “La politica che sta tenendo Israele oggi è una politica mafiosa, terrorista”, ha dichiarato dal palco, distinguendola persino dalle strategie dei primi governi israeliani: “Ben Gurion faceva interventi lampo perché teneva conto della situazione geografica e delle forze di Israele, metteva gli ostaggi in primo luogo. Oggi abbiamo un paese che mantiene sette fronti militari: Gaza, Cisgiordania, Libano, Yemen, Iran, Siria e Iraq. E con l’attacco a Doha sta mettendo in discussione le stesse alleanze con Egitto, Giordania e le monarchie del Golfo, gli interlocutori degli accordi di Abramo”. Secondo Basile, Israele appare oggi sempre più isolato: “Alle Nazioni Unite due terzi del mondo votano contro Israele. Grazie soprattutto al lavoro di Francesca Albanese, la società civile resiste e si oppone”. Tuttavia, ha sottolineato che anche Russia, Cina e paesi arabi “non sfidano apertamente Israele, pur non essendone complici come l’Occidente”. E rilancia : “Dobbiamo concentrarci in una mobilitazione dentro gli Stati europei e, se possibile, negli Stati Uniti, per chiedere la fine della cooperazione politica, militare ed economica con Israele. Grazie a Francesca Albanese, oggi abbiamo i nomi e cognomi di tutte le imprese che fanno profitto col genocidio”. E proprio Francesca Albanese subentra chiamando le cose con il loro nome: genocidio o atto di supremazia — non una semplice “guerra” — parlando con la franchezza di chi conosce il conflitto e con lo sguardo lucido di chi analizza i fatti: “Dinanzi a questa brutalità non si reagisce con le contromisure previste dal diritto: fermare trasferimenti e acquisti di armi, sospendere gli accordi commerciali. È un obbligo degli Stati”. E ha definito Israele nei territori occupati “una dittatura militare che ha governato 5 milioni di persone attraverso ordini scritti da soldati e rivisti da corti militari composte da soldati”. Sulla sua situazione personale mantiene una compostezza e un’obiettività invidiabili da che da questo luglio 2025, Francesca Albanese è finita nella lista nera degli Stati Uniti. ‘Vorrei non essere la notizia. Credo che la cosa più importante sia continuare a parlare di Gaza. Ma le sanzioni significano non poter entrare negli Stati Uniti, e per chi ha legami personali o familiari lì, come mia figlia, nata negli Usa, anche rischiare pene pecuniarie o persino l’arresto fino a 20 anni di carcere. L’obiettivo è intimidire, isolare, congelare chi denuncia’.” E chiude con una constatazione che fotografa la tossicità del dibattito pubblico: “Non credo neanche che sia giusta la frase che ho detto prima, e cioè che quello a Gaza sia il primo genocidio trasmesso in televisione. Le immagini passano, ma vengono accompagnate da una narrazione totalmente falsata. È questa tossicità del dibattito che non permette di capire cosa sta succedendo”. 📌Cosa ne penso ? Questo è il nostro tempo: la spettacolarizzazione di ogni delitto o decesso e il disprezzo per un’informazione che rispetti i fatti hanno trasformato il dibattito in un’arena che uccide le ragioni. A chilometri da qui muoiono persone; nel cosiddetto “Occidente evoluto” muoiono valori e ideali. Stiamo scavando un fondo cui è difficile credere che non ci siamo già inabissati. 😔 La testimonianza di due “outsider” come Basile e Albanese è, in questo contesto, una boccata d’ossigeno a pochi metri dal baratro. È la lezione semplice e urgente del “parlare chiaro”: senza urlare, con rigore e sotto il frastuono di una cacofonia che noi stessi alimentiamo online. Serve un passo indietro rispetto agli interessi e un passo avanti verso verità e responsabilità. Serve un’informazione che sia veritiera, rigorosa e capace di restituire dignità alle vittime e senso alle azioni politiche. Siamo tutti, in una misura o nell’altra, parte del problema. Se vogliamo davvero costruire una nuova umanità, il primo gesto è scegliere di essere meritevoli di quella fiducia reciproca che oggi manca. Lo ripeto: al momento non lo siamo — ma possiamo decidere di cambiare. #Basile #Albanese #Informazione #Verità #Gaza #DirittiUmani #Pace #Responsabilità #StopProfittoSullaGuerra
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  • Non so se l’avete già sentito, ma l’ultimo intervento di Robert Kennedy Jr. è di fondamentale importanza per capire cosa è davvero accaduto negli ultimi anni.
    Per la prima volta emergono contraddizioni, bugie e manipolazioni che hanno condizionato milioni di persone in tutto il mondo.

    Kennedy denuncia le falsità raccontate sulla pandemia, sull’immunità naturale, sui vaccini, sulle mascherine e sulle decisioni prese da CDC e FDA.
    Parole forti, che mettono in discussione la versione ufficiale e aprono uno spiraglio di verità che finora era stato nascosto.

    Guardate il video fino alla fine e ditemi nei commenti cosa ne pensate: stiamo finalmente assistendo a un cambiamento?
    La speranza è che, con Kennedy, la verità diventi un diritto di tutti e non più un privilegio per pochi.

    https://youtu.be/kJ-tw5Mzmxk?si=jpFRkjitUvNEAGmv
    Non so se l’avete già sentito, ma l’ultimo intervento di Robert Kennedy Jr. è di fondamentale importanza per capire cosa è davvero accaduto negli ultimi anni. Per la prima volta emergono contraddizioni, bugie e manipolazioni che hanno condizionato milioni di persone in tutto il mondo. Kennedy denuncia le falsità raccontate sulla pandemia, sull’immunità naturale, sui vaccini, sulle mascherine e sulle decisioni prese da CDC e FDA. Parole forti, che mettono in discussione la versione ufficiale e aprono uno spiraglio di verità che finora era stato nascosto. 👉 Guardate il video fino alla fine e ditemi nei commenti cosa ne pensate: stiamo finalmente assistendo a un cambiamento? La speranza è che, con Kennedy, la verità diventi un diritto di tutti e non più un privilegio per pochi. https://youtu.be/kJ-tw5Mzmxk?si=jpFRkjitUvNEAGmv
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  • VENEZIA 82 | Appello per la Pace

    La Mostra del Cinema di Venezia non può ridursi a un “contenitore vuoto” di glamour, tappeti rossi e premi scintillanti. Certo, da decenni siamo abituati a questa faccia della kermesse, in competizione eterna con Cannes. Ma oggi la sfida non può limitarsi all’estetica: deve riguardare la libertà di espressione, la difesa dei diritti umani e la capacità dell’arte di denunciare.

    Se la musica ha già dato voce a Gaza con prese di posizione forti da parte di artisti italiani e internazionali, ora anche la settima arte sceglie di schierarsi. Merito del collettivo Venice4Palestine (V4P), che sta raccogliendo adesioni e consensi crescenti. Tra queste spicca anche la madrina della 82ª edizione, Emanuela Fanelli, chiamata a un compito tanto simbolico quanto politico: trasformare il palcoscenico veneziano in una cassa di risonanza globale per un appello al #cessateilfuoco e alla #pace.

    In meno di 24 ore, l’appello di Venice4Palestine – “Non è più possibile restare in silenzio di fronte al massacro in corso in Palestina” – ha raccolto oltre 1.200 firme. Una mobilitazione senza precedenti nel mondo del cinema, con nomi come Marco Bellocchio, Laura Morante, Valeria Golino, Toni e Beppe Servillo, Carlo Verdone, Miriam Leone, Fiorella Mannoia, Alba e Alice Rohrwacher, Gabriele Muccino, Abel Ferrara, Roger Waters e moltissimi altri.

    Attori, registi, musicisti, scrittori e intellettuali si uniscono per chiedere alla Biennale e alla Mostra di assumere una posizione “chiara, visibile e solidale” rispetto a Gaza. Perché il cinema non è un lusso per pochi, ma un dovere civile: farsi strumento di consapevolezza, riflessione e resistenza.

    Il collettivo domanda che Venezia non sia una “vetrina vuota”, ma che apra spazi di discussione e confronto sui crimini in Palestina. La mobilitazione del 30 agosto, sostenuta dalla rete Artisti #NoBavaglio, sarà un momento cruciale: un banco di prova per capire se la Mostra saprà ancora incarnare lo spirito politico e di resistenza che in passato ha reso il cinema un linguaggio universale di lotta.

    La Biennale, dal canto suo, ha risposto dichiarandosi “aperta al dialogo”, ricordando come già negli ultimi anni siano stati presentati film che affrontano le urgenze del nostro tempo, da The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania a Of Dogs and Men di Dani Rosenberg. Ma ora il passo richiesto è più radicale: non basta proiettare, serve prendere posizione.

    ❗️❗️Mentre la politica resta silente, incapace di schierarsi, è ancora una volta l’arte a compiere il gesto più radicale: dare voce a chi non ce l’ha. Forse un festival non cambierà gli equilibri mondiali, ma può diventare megafono di un messaggio necessario.

    ❗️❗️In un Paese dove il cinema sembra ormai confinato a dibattiti nostalgici o ad “oggetto fuori moda”, almeno le sue platee e i suoi riflettori possono trasformarsi in teatri di resistenza, capaci di gridare in faccia a governi e istituzioni la loro colpevole inazione.

    Confido che questa Mostra non sia solo una parentesi di luccichio e mondanità , ma che sappia tornare a incarnare il ruolo più autentico della Cultura: rompere il silenzio e scuotere coscienze.

    E forse – chissà – se avessimo ancora il maestro Pasolini, avremmo parole ancora più taglienti per raccontare questo nostro tempo così fragile e contraddittorio.

    #Venezia82 #Venice4Palestine #CulturaResistenza #CinemaPolitico #StopWar #FreePalestine #ArtePerLaPace #NoAlGenocidio
    🎬✨ VENEZIA 82 | Appello per la Pace 🕊️🇵🇸 La Mostra del Cinema di Venezia non può ridursi a un “contenitore vuoto” di glamour, tappeti rossi e premi scintillanti. Certo, da decenni siamo abituati a questa faccia della kermesse, in competizione eterna con Cannes. Ma oggi la sfida non può limitarsi all’estetica: deve riguardare la libertà di espressione, la difesa dei diritti umani e la capacità dell’arte di denunciare. Se la musica ha già dato voce a Gaza con prese di posizione forti da parte di artisti italiani e internazionali, ora anche la settima arte sceglie di schierarsi. Merito del collettivo Venice4Palestine (V4P), che sta raccogliendo adesioni e consensi crescenti. Tra queste spicca anche la madrina della 82ª edizione, Emanuela Fanelli, chiamata a un compito tanto simbolico quanto politico: trasformare il palcoscenico veneziano in una cassa di risonanza globale per un appello al #cessateilfuoco e alla #pace. 🌍🎥 In meno di 24 ore, l’appello di Venice4Palestine – “Non è più possibile restare in silenzio di fronte al massacro in corso in Palestina” – ha raccolto oltre 1.200 firme. Una mobilitazione senza precedenti nel mondo del cinema, con nomi come Marco Bellocchio, Laura Morante, Valeria Golino, Toni e Beppe Servillo, Carlo Verdone, Miriam Leone, Fiorella Mannoia, Alba e Alice Rohrwacher, Gabriele Muccino, Abel Ferrara, Roger Waters e moltissimi altri. Attori, registi, musicisti, scrittori e intellettuali si uniscono per chiedere alla Biennale e alla Mostra di assumere una posizione “chiara, visibile e solidale” rispetto a Gaza. Perché il cinema non è un lusso per pochi, ma un dovere civile: farsi strumento di consapevolezza, riflessione e resistenza. Il collettivo domanda che Venezia non sia una “vetrina vuota”, ma che apra spazi di discussione e confronto sui crimini in Palestina. La mobilitazione del 30 agosto, sostenuta dalla rete Artisti #NoBavaglio, sarà un momento cruciale: un banco di prova per capire se la Mostra saprà ancora incarnare lo spirito politico e di resistenza che in passato ha reso il cinema un linguaggio universale di lotta. La Biennale, dal canto suo, ha risposto dichiarandosi “aperta al dialogo”, ricordando come già negli ultimi anni siano stati presentati film che affrontano le urgenze del nostro tempo, da The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania a Of Dogs and Men di Dani Rosenberg. Ma ora il passo richiesto è più radicale: non basta proiettare, serve prendere posizione. ❗️❗️👉Mentre la politica resta silente, incapace di schierarsi, è ancora una volta l’arte a compiere il gesto più radicale: dare voce a chi non ce l’ha. Forse un festival non cambierà gli equilibri mondiali, ma può diventare megafono di un messaggio necessario. ❗️❗️👉In un Paese dove il cinema sembra ormai confinato a dibattiti nostalgici o ad “oggetto fuori moda”, almeno le sue platee e i suoi riflettori possono trasformarsi in teatri di resistenza, capaci di gridare in faccia a governi e istituzioni la loro colpevole inazione. 🎬👉Confido che questa Mostra non sia solo una parentesi di luccichio e mondanità ✨, ma che sappia tornare a incarnare il ruolo più autentico della Cultura: rompere il silenzio e scuotere coscienze. E forse – chissà – se avessimo ancora il maestro Pasolini, avremmo parole ancora più taglienti per raccontare questo nostro tempo così fragile e contraddittorio. 📽️🔥 #Venezia82 #Venice4Palestine #CulturaResistenza #CinemaPolitico #StopWar #FreePalestine #ArtePerLaPace #NoAlGenocidio
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  • Resterà, ancora una volta, un appello indigesto. Non richiesto. Ma non per questo rinunciatario.

    Non so più in quale lingua esprimerlo: ciò che vedo, ovunque, è un’infinita sequenza di gruppi e aggregazioni che si contrastano a colpi di iniziative parallele.
    Intellettuali che si sfidano a suon di esternazioni, chilometri di post, articoli, thread, chat interminabili. Una Babele digitale che, alla fine, genera solo rumore.

    Eppure, di soluzioni vere, condivise, concrete… neanche l’ombra.
    Siamo diventati un popolo di attivisti-opinionisti. Informati, sì. Connessi, certo. Sempre pronti a commentare. Ma non a convergere.

    E così, nel continuo propagare le stesse lamentele, non facciamo altro che il gioco di chi governa: chi sta al potere ha tutto l’interesse a lasciarci divisi, a contemplare il nostro conflitto sterile, sapendo che nessun fronte unito metterà mai in discussione lo status quo.

    Possiamo pure continuare a sfogarci online, tra tenzoni piacevoli da cavalieri digitali e filosofie di politica moderna.
    Ma fino a quando non avremo il coraggio di fare squadra – superando appartenenze, bandiere, personalismi – resteremo condannati a disperdere energie. E con esse, anche il consenso di una cittadinanza sempre più distratta, sempre più lontana.

    Non ci lamentiamo dopo.
    Io lo dico, ora.

    #faresquadra
    Resterà, ancora una volta, un appello indigesto. Non richiesto. Ma non per questo rinunciatario. Non so più in quale lingua esprimerlo: ciò che vedo, ovunque, è un’infinita sequenza di gruppi e aggregazioni che si contrastano a colpi di iniziative parallele. Intellettuali che si sfidano a suon di esternazioni, chilometri di post, articoli, thread, chat interminabili. Una Babele digitale che, alla fine, genera solo rumore. Eppure, di soluzioni vere, condivise, concrete… neanche l’ombra. Siamo diventati un popolo di attivisti-opinionisti. Informati, sì. Connessi, certo. Sempre pronti a commentare. Ma non a convergere. E così, nel continuo propagare le stesse lamentele, non facciamo altro che il gioco di chi governa: chi sta al potere ha tutto l’interesse a lasciarci divisi, a contemplare il nostro conflitto sterile, sapendo che nessun fronte unito metterà mai in discussione lo status quo. Possiamo pure continuare a sfogarci online, tra tenzoni piacevoli da cavalieri digitali e filosofie di politica moderna. Ma fino a quando non avremo il coraggio di fare squadra – superando appartenenze, bandiere, personalismi – resteremo condannati a disperdere energie. E con esse, anche il consenso di una cittadinanza sempre più distratta, sempre più lontana. Non ci lamentiamo dopo. Io lo dico, ora. #faresquadra
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  • Questa volta non passa liscia, cara lobby NO-IPPOCRATE


    ROMA – Paolo Bellavite, già professore associato di Patologia generale all’Università di Verona – da dove è stato allontanato nel 2021 (quando era “cultore della materia”) per ciò che ha detto durante una puntata di “Di martedì” a La7 – è uno dei due membri del Nitag sui quali si sono concentrate le polemiche a causa delle sue posizioni critiche sui vaccini. La loro presenza ha spinto Schillaci ad azzerare la commissione.

    È dispiaciuto per come è finita?

    «Non sono dispiaciuto per me, ma per l’Italia. Avevo capito che finalmente ci sarebbe stata un po’ di discussione seria nel dibattito sui vaccini. Finora il Nitag non aveva avuto grande importanza, adesso con componenti portatori di punti di vista diversi avremmo avuto un organo un po’ più competente».

    Cosa pensa di quanto successo in questi giorni?

    «È stato tutto assurdo, soprattutto ha fatto male a dimettersi la rappresentate delle Regioni, che poteva dare un contributo di esperienza».

    Il mondo scientifico e professionale si è ribellato di fronte ai vostri nomi.

    «Siamo stati accusati di essere No-Vax. Anche se lo fossimo, e non lo siamo, eventuali nostri dubbi sulle politiche vaccinali, se gli altri venti membri fossero stati straconvinti delle decisioni da adottare, non avrebbero inciso. Perché loro avrebbero avuto la maggioranza assoluta. Però avremmo portato un po’ di vivacità».

    Sa come è finito nell’elenco dei membri?

    «Il mio nome e quello di Serravalle sono circolati perché facciamo parte di un gruppo, la Commissione medico scientifica indipendente, che durante il Covid ha dato pareri scientifici. Non so chi è arrivato a proporci al ministero, ma so di godere ad esempio di stima anche da parte di personaggi della Lega. Qualcuno voleva fare pressioni sul ministro per avere una commissione più pluralista, come succede negli Usa».

    Chi vi ha fatti fuori?

    «Ci sono livelli decisionali che trascendono la volontà popolare, e persino la politica. Mi pare che Schillaci non sia espressione dei partiti, dietro c’è la presidenza della Repubblica. E poi in questa occasione sono emerse forze dormienti, come le categorie mediche».

    La gran parte della comunità scientifica la pensa in modo diverso da voi.

    «Questo non lo accetto, io sono stato e sono uno scienziato. La comunità scientifica non esiste. Si parla di pensiero dominante e di chi lo contesta, nella scienza sempre stato così».

    fonte

    Segui   t.me/ArsenaleKappa
    💥 Questa volta non passa liscia, cara lobby NO-IPPOCRATE 😎 ROMA – Paolo Bellavite, già professore associato di Patologia generale all’Università di Verona – da dove è stato allontanato nel 2021 (quando era “cultore della materia”) per ciò che ha detto durante una puntata di “Di martedì” a La7 – è uno dei due membri del Nitag sui quali si sono concentrate le polemiche a causa delle sue posizioni critiche sui vaccini. La loro presenza ha spinto Schillaci ad azzerare la commissione. È dispiaciuto per come è finita? «Non sono dispiaciuto per me, ma per l’Italia. Avevo capito che finalmente ci sarebbe stata un po’ di discussione seria nel dibattito sui vaccini. Finora il Nitag non aveva avuto grande importanza, adesso con componenti portatori di punti di vista diversi avremmo avuto un organo un po’ più competente». Cosa pensa di quanto successo in questi giorni? «È stato tutto assurdo, soprattutto ha fatto male a dimettersi la rappresentate delle Regioni, che poteva dare un contributo di esperienza». Il mondo scientifico e professionale si è ribellato di fronte ai vostri nomi. «Siamo stati accusati di essere No-Vax. Anche se lo fossimo, e non lo siamo, eventuali nostri dubbi sulle politiche vaccinali, se gli altri venti membri fossero stati straconvinti delle decisioni da adottare, non avrebbero inciso. Perché loro avrebbero avuto la maggioranza assoluta. Però avremmo portato un po’ di vivacità». Sa come è finito nell’elenco dei membri? «Il mio nome e quello di Serravalle sono circolati perché facciamo parte di un gruppo, la Commissione medico scientifica indipendente, che durante il Covid ha dato pareri scientifici. Non so chi è arrivato a proporci al ministero, ma so di godere ad esempio di stima anche da parte di personaggi della Lega. Qualcuno voleva fare pressioni sul ministro per avere una commissione più pluralista, come succede negli Usa». Chi vi ha fatti fuori? «Ci sono livelli decisionali che trascendono la volontà popolare, e persino la politica. Mi pare che Schillaci non sia espressione dei partiti, dietro c’è la presidenza della Repubblica. E poi in questa occasione sono emerse forze dormienti, come le categorie mediche». La gran parte della comunità scientifica la pensa in modo diverso da voi. «Questo non lo accetto, io sono stato e sono uno scienziato. La comunità scientifica non esiste. Si parla di pensiero dominante e di chi lo contesta, nella scienza sempre stato così». 💥 fonte Segui ➡️ 🌐  t.me/ArsenaleKappa 🅰️ 💥💥ㅤ
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  • Le pressioni per far ritirare dalla commissione nominata dal Ministro Schillaci i due medici “non allineati” dimostrano che si vuol continuare a tabuizzare il dibattito.

    Una scienza che non ammette discussione non è una scienza ma una religione, in questo caso neppure una religione vera e propria, ma una setta di fanatici che ha trasformato la nobile arte del medico in un mero strumento nelle mani delle aziende farmaceutiche.

    Il ritiro dei due medici dalla Commissione sarebbe una vittoria non della scienza ma del fanatismo integralista.

    Dobbiamo far sentire la nostra voce. Divulgate questo messaggio!

    Paolo Becchi

    Source: https://x.com/pbecchi/status/1955551783058628975
    Le pressioni per far ritirare dalla commissione nominata dal Ministro Schillaci i due medici “non allineati” dimostrano che si vuol continuare a tabuizzare il dibattito. Una scienza che non ammette discussione non è una scienza ma una religione, in questo caso neppure una religione vera e propria, ma una setta di fanatici che ha trasformato la nobile arte del medico in un mero strumento nelle mani delle aziende farmaceutiche. Il ritiro dei due medici dalla Commissione sarebbe una vittoria non della scienza ma del fanatismo integralista. Dobbiamo far sentire la nostra voce. Divulgate questo messaggio! Paolo Becchi Source: https://x.com/pbecchi/status/1955551783058628975
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