• CIAK, SI CHIUDE!

    Un popolo totalmente a digiuno di cultura è un popolo senza spirito critico, e quindi controllabile.
    Non serve una scienza occulta per capirlo: è esattamente ciò che vogliono i signori seduti sugli scranni più decisivi del governo di questo paese.

    E ci voleva davvero del talento — credetemi — per tirare fuori dal cilindro una bestialità simile. Nel silenzio generale, nel disinteresse generale. Eppure è successo.

    Sì, perché se Sangiuliano era già riuscito a coprirsi di vergogna e ridicolo, il suo successore, Giuli, è riuscito nella sacra impresa di fare addirittura meglio.
    Un fuoriclasse del disastro.
    Un talento raro nel rendere il Ministero della Cultura un paradosso vivente: quello di chi chiede, con convinzione, di tagliare i fondi alla cultura che dovrebbe tutelare.

    E qui, signore e signori, la maschera cade del tutto: nessun pregiudizio politico, solo fatti.
    C’era la possibilità — questa volta sì — di ribaltare l’idea di un centrodestra privo di cultura, visione e passione per le arti.
    E invece no: dignità e credibilità vengono sacrificate in nome di una manovra “di bilancio” che odora di restaurazione culturale.
    Una retromarcia verso le retrovie, come non se ne vedevano da anni.
    E a farne le spese, ancora una volta, sarà il Cinema italiano.


    Siamo nel pieno della bufera: la Ragioneria dello Stato ha bloccato il piano del MIC che avrebbe dovuto reintegrare di 100 milioni il Fondo Cinema 2026, già falcidiato dalla legge di bilancio.
    Fin qui, tutto grave ma “ordinario”.
    Poi arriva il colpo di scena: il 11 novembre, Repubblica svela una mail del 17 ottobre indirizzata al Ministero dell’Economia, nella quale sarebbe stato lo stesso gabinetto di Giuli a suggerire di tagliare di circa un terzo il Fondo per lo sviluppo del cinema e dell’audiovisivo.

    Sì, avete letto bene.
    Il taglio non arriva da fuori. Parte da dentro.
    Dal Ministero stesso.
    Dal ministro stesso.

    Un taglio di circa un terzo, con una riduzione che porterebbe il fondo dai 696 milioni attuali a circa 400 milioni nel 2026, e quasi 300 milioni nel 2027.
    Un ritorno al 2017, quando il settore arrancava, ma con un contesto oggi infinitamente più fragile.
    Ora ditemi voi: da che mondo è mondo, quale ministro chiede tagli al proprio ministero?
    O è follia, o è una linea precisa. E in entrambi i casi, è un disastro annunciato.


    E qui, sì, ci piace “pensare male”. Perché è facile prevedere dove andremo a finire:

    Il cinema italiano verrà ulteriormente penalizzato, lasciando spazio alle grandi produzioni internazionali — soprattutto statunitensi — che controllano i flussi economici e mediatici.

    Meno fondi significa meno sviluppo, e quindi un arretramento culturale e industriale: sopravviverà solo il cinema d’incasso facile, mentre il cinema d’autore scomparirà lentamente dai nostri schermi.

    Meno produzioni sul territorio, meno indotto, meno promozione per l’Italia stessa. Sparisce il marketing territoriale, resta solo un contenitore vuoto di storie importate.

    Addio ai giovani autori, ai tecnici, agli interpreti emergenti, ai ricercatori e agli studenti che ogni anno escono dai nostri atenei sognando un’industria viva.
    Il loro futuro è già scritto: disoccupazione culturale.


    Era difficile vent’anni fa. Oggi è impossibile.
    Un finale amaro che sa di titoli di coda per il cinema italiano.


    Riusciranno i nostri eroi dell’opposizione a farsi sentire?
    Mah.

    Da fuori, possiamo solo urlare il nostro disgusto e la nostra rabbia.
    Perché la cultura, in questo paese, viene ignorata quando le cose vanno bene e violentata quando vanno male.
    E per favore, basta scuse: non è colpa delle piattaforme, né dei social, né dell’intelligenza artificiale.

    Qui la colpa è una sola.
    Ed è fottutamente politica.
    Ed è profondamente umana.

    Fine.
    Ma senza applausi.

    #CinemaItaliano #CulturaSottoAttacco #Giuli #MIC #TagliAllaCultura #CiakSiChiude #RetromarciaVersoLeRetroVie #PoliticaCulturale #DifendiamoIlCinema
    🎬 CIAK, SI CHIUDE! Un popolo totalmente a digiuno di cultura è un popolo senza spirito critico, e quindi controllabile. Non serve una scienza occulta per capirlo: è esattamente ciò che vogliono i signori seduti sugli scranni più decisivi del governo di questo paese. E ci voleva davvero del talento — credetemi — per tirare fuori dal cilindro una bestialità simile. Nel silenzio generale, nel disinteresse generale. Eppure è successo. Sì, perché se Sangiuliano era già riuscito a coprirsi di vergogna e ridicolo, il suo successore, Giuli, è riuscito nella sacra impresa di fare addirittura meglio. Un fuoriclasse del disastro. Un talento raro nel rendere il Ministero della Cultura un paradosso vivente: quello di chi chiede, con convinzione, di tagliare i fondi alla cultura che dovrebbe tutelare. E qui, signore e signori, la maschera cade del tutto: nessun pregiudizio politico, solo fatti. C’era la possibilità — questa volta sì — di ribaltare l’idea di un centrodestra privo di cultura, visione e passione per le arti. E invece no: dignità e credibilità vengono sacrificate in nome di una manovra “di bilancio” che odora di restaurazione culturale. Una retromarcia verso le retrovie, come non se ne vedevano da anni. E a farne le spese, ancora una volta, sarà il Cinema italiano. 🎞️ Siamo nel pieno della bufera: la Ragioneria dello Stato ha bloccato il piano del MIC che avrebbe dovuto reintegrare di 100 milioni il Fondo Cinema 2026, già falcidiato dalla legge di bilancio. Fin qui, tutto grave ma “ordinario”. Poi arriva il colpo di scena: il 11 novembre, Repubblica svela una mail del 17 ottobre indirizzata al Ministero dell’Economia, nella quale sarebbe stato lo stesso gabinetto di Giuli a suggerire di tagliare di circa un terzo il Fondo per lo sviluppo del cinema e dell’audiovisivo. Sì, avete letto bene. Il taglio non arriva da fuori. Parte da dentro. Dal Ministero stesso. Dal ministro stesso. 🤯 Un taglio di circa un terzo, con una riduzione che porterebbe il fondo dai 696 milioni attuali a circa 400 milioni nel 2026, e quasi 300 milioni nel 2027. Un ritorno al 2017, quando il settore arrancava, ma con un contesto oggi infinitamente più fragile. Ora ditemi voi: da che mondo è mondo, quale ministro chiede tagli al proprio ministero? O è follia, o è una linea precisa. E in entrambi i casi, è un disastro annunciato. E qui, sì, ci piace “pensare male”. Perché è facile prevedere dove andremo a finire: Il cinema italiano verrà ulteriormente penalizzato, lasciando spazio alle grandi produzioni internazionali — soprattutto statunitensi — che controllano i flussi economici e mediatici. Meno fondi significa meno sviluppo, e quindi un arretramento culturale e industriale: sopravviverà solo il cinema d’incasso facile, mentre il cinema d’autore scomparirà lentamente dai nostri schermi. Meno produzioni sul territorio, meno indotto, meno promozione per l’Italia stessa. Sparisce il marketing territoriale, resta solo un contenitore vuoto di storie importate. Addio ai giovani autori, ai tecnici, agli interpreti emergenti, ai ricercatori e agli studenti che ogni anno escono dai nostri atenei sognando un’industria viva. Il loro futuro è già scritto: disoccupazione culturale. Era difficile vent’anni fa. Oggi è impossibile. Un finale amaro che sa di titoli di coda per il cinema italiano. 🎞️💔 Riusciranno i nostri eroi dell’opposizione a farsi sentire? Mah. Da fuori, possiamo solo urlare il nostro disgusto e la nostra rabbia. Perché la cultura, in questo paese, viene ignorata quando le cose vanno bene e violentata quando vanno male. E per favore, basta scuse: non è colpa delle piattaforme, né dei social, né dell’intelligenza artificiale. Qui la colpa è una sola. Ed è fottutamente politica. Ed è profondamente umana. 🎬 Fine. Ma senza applausi. #CinemaItaliano #CulturaSottoAttacco #Giuli #MIC #TagliAllaCultura #CiakSiChiude #RetromarciaVersoLeRetroVie #PoliticaCulturale #DifendiamoIlCinema
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  • BEN Oltre i Confini

    Se la musica sa ancora colpire, allora sì, una speranza per la rivoluzione culturale esiste ancora.

    L’ho già detto — e non me ne pento: ci sono artisti capaci di essere più incisivi di mille editoriali. Cantautori e musicisti che non seguono la corrente, la generano. Che non inseguono classifiche né algoritmi, e che dell’autotune se ne fregano.
    Se non siamo noi a cercare la musica, allora sarà lei a trovare noi.

    E questa volta lo fa con forza, nella nuova avventura discografica di un veterano che ha ancora tanto da dire: Eugenio "Ben" Bennato.
    "Musica del Mondo", il nuovo LP fresco di stampa in questo avvio di 2025, è una dichiarazione di intenti. Una mappa sonora che parte da Napoli — autentica terra di mezzo, crocevia sonoro — per attraversare il Mediterraneo e oltre.
    Che Napoli fosse laboratorio permanente di fusioni culturali lo sapevamo già, ma oggi è ancora più vitale ricordarlo.
    In un presente che ha bisogno urgente di reazioni di orgoglio, di consapevolezza e di riscatto.
    Non con la solita retorica polarizzante, non con le solite "parti in causa" che si spartiscono l’opinione pubblica, ma con un album che invita all’unione attraverso la differenza.
    Che canta l’umanità come un'unica orchestra di stili e identità, senza censura né confini.
    Una musica che non predica, ma unisce.
    Che racconta senza retorica.
    Che propone invece di opporsi.
    E allora, cosa c'è di più politico di un disco che mette insieme la taranta, le scale indiane e la dolce malinconia del canto rai?

    "Musica del Mondo" è un viaggio che parte da New Delhi, fa tappa a Beirut, attraversa la Calabria e torna sempre a Napoli.
    Non per chiudere il cerchio, ma per aprirlo di nuovo.
    È un disco da ascoltare a volume alto, soprattutto se si ha la sensazione che il mondo stia affondando.
    Perché, a volte, la risposta non è nella nostalgia di un tempo in cui eravamo "grandi", ma nella capacità di accettare la decadenza con dignità, trasformandola in energia creativa.

    Non c'è bisogno di avere canali televisivi a disposizione, giornali o momenti dedicati di tortura tirata all'eccesso, normalmente chiamata "comizio politico".
    Il grande Ben lancia una lezione di quella che dovrebbe essere la vera politica, che va a braccetto con la Cultura attraverso la forma d'arte che per eccellenza fa parlare i #territori: la musica popolare.
    E laddove la politica ha disunito, la musica popolare come la cultura potranno ancora salvarci. Basta avere la forza e la pazienza di applicarsi.
    Scetateve guagliù!

    #BenOltreiConfini #EugenioBennato #MusicadelMondo #NapoliChiama #TarantaGlobale #MusicaRibelle #PoliticaCulturale #CulturaAttiva #MusicaPopolare #MediterraneoVivo #SudCreativo #EthnoSound #SuoniSenzaConfini #CantareèResistere #worldmusicrevolution
    BEN Oltre i Confini 🌍🎶✊ Se la musica sa ancora colpire, allora sì, una speranza per la rivoluzione culturale esiste ancora. L’ho già detto — e non me ne pento: ci sono artisti capaci di essere più incisivi di mille editoriali. Cantautori e musicisti che non seguono la corrente, la generano. Che non inseguono classifiche né algoritmi, e che dell’autotune se ne fregano. Se non siamo noi a cercare la musica, allora sarà lei a trovare noi. E questa volta lo fa con forza, nella nuova avventura discografica di un veterano che ha ancora tanto da dire: Eugenio "Ben" Bennato. "Musica del Mondo", il nuovo LP fresco di stampa in questo avvio di 2025, è una dichiarazione di intenti. Una mappa sonora che parte da Napoli — autentica terra di mezzo, crocevia sonoro — per attraversare il Mediterraneo e oltre. 🌊🎧 Che Napoli fosse laboratorio permanente di fusioni culturali lo sapevamo già, ma oggi è ancora più vitale ricordarlo. In un presente che ha bisogno urgente di reazioni di orgoglio, di consapevolezza e di riscatto. Non con la solita retorica polarizzante, non con le solite "parti in causa" che si spartiscono l’opinione pubblica, ma con un album che invita all’unione attraverso la differenza. Che canta l’umanità come un'unica orchestra di stili e identità, senza censura né confini. 🎵 Una musica che non predica, ma unisce. Che racconta senza retorica. Che propone invece di opporsi. E allora, cosa c'è di più politico di un disco che mette insieme la taranta, le scale indiane e la dolce malinconia del canto rai? "Musica del Mondo" è un viaggio che parte da New Delhi, fa tappa a Beirut, attraversa la Calabria e torna sempre a Napoli. Non per chiudere il cerchio, ma per aprirlo di nuovo. 🌐 È un disco da ascoltare a volume alto, soprattutto se si ha la sensazione che il mondo stia affondando. Perché, a volte, la risposta non è nella nostalgia di un tempo in cui eravamo "grandi", ma nella capacità di accettare la decadenza con dignità, trasformandola in energia creativa. Non c'è bisogno di avere canali televisivi a disposizione, giornali o momenti dedicati di tortura tirata all'eccesso, normalmente chiamata "comizio politico". Il grande Ben lancia una lezione di quella che dovrebbe essere la vera politica, che va a braccetto con la Cultura attraverso la forma d'arte che per eccellenza fa parlare i #territori: la musica popolare. E laddove la politica ha disunito, la musica popolare come la cultura potranno ancora salvarci. Basta avere la forza e la pazienza di applicarsi. Scetateve guagliù! #BenOltreiConfini #EugenioBennato #MusicadelMondo #NapoliChiama #TarantaGlobale #MusicaRibelle #PoliticaCulturale #CulturaAttiva #MusicaPopolare #MediterraneoVivo #SudCreativo #EthnoSound #SuoniSenzaConfini #CantareèResistere #worldmusicrevolution
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