Quando toccano i nostri bambini
Ci sono realtà che non si dicono sottovoce. Si gridano. Si gridano perché fanno male nel punto più profondo, quello che nessuno dovrebbe mai sfiorare: l’infanzia. Non l’infanzia come parola astratta, ma quella vera, fatta di mani piccole, di capelli che profumano di latte, di occhi che non conoscono ancora il male. Quando il mondo è un abbraccio, non un concetto. Quando un bambino si addormenta perché sente una voce gentile, non perché comprende una storia.
Eppure oggi abbiamo scoperto che in alcuni nidi qualcuno ha pensato bene di infilarsi dentro questa sacralità con la prepotenza di chi non ha più alcun senso del limite. Non stiamo parlando di scuole superiori, non stiamo parlando di adolescenti: stiamo parlando di bambini da tre mesi a tre anni. Creature che non sanno ancora parlare, che non distinguono il gioco dal simbolo, che non capirebbero nemmeno il significato della parola “famiglia”, figurarsi «utero in affitto». E invece qualcuno, nascosto dietro il paravento del “progresso”, ha portato proprio questo dentro l’asilo nido. Lo raccontano i genitori, lo riporta la stampa: libretti, attività, interventi dall’esterno. Tutto senza una spiegazione. Tutto senza un permesso. Tutto senza il minimo pudore.
Chiunque abbia tenuto in braccio un bambino di pochi mesi lo sa: quel piccolo essere non ha difese. Non può dire no. Non può girarsi dall’altra parte. Non può capire, distinguere, respingere. Assorbe. E proprio perché assorbe, è diventato il bersaglio perfetto per chi vuole modellare il mondo non attraverso il dialogo con gli adulti - troppo scomodi, troppo pensanti - ma occupando il primo spazio vuoto della mente umana. Il più puro. Il più vulnerabile.
Pensiamoci un secondo: che differenza c’è tra un neonato e un foglio di carta ancora bianco? Nessuna. E quel bianco, quello spazio sacro, qualcuno ha deciso di scriverlo con la penna dell’ideologia. Senza chiedere. Senza rispettare. Senza capire che esistono confini che non si valicano neppure per scherzo.
Un adulto può scegliere, può discutere, può rifiutare. Un bambino no. E allora cosa siamo diventati se permettiamo che idee costruite a tavolino vengano messe nelle mani di chi non sa neanche ancora indicare sé stesso allo specchio?
Perché questo è: non educazione, non inclusione, non progresso. È colonizzazione dell’infanzia. Un’infanzia che non può difendersi, che non può gridare, che non può scappare. Viene presa per la gola e riempita di contenuti che non le appartengono, come se la mente umana fosse un vaso da riempire a piacimento altrui.
E allora sorge una domanda che dovremmo farci tutti:
che tipo di essere umano vuole costruire chi arriva fino alla culla pur di piantare una bandiera ideologica?
Perché chi supera questa linea non sta preparando un futuro migliore: sta preparando una generazione che non ricorderà più un tempo in cui poteva essere libera. Una generazione in cui la prima “carezza culturale” non arriva dalla famiglia, ma da qualcuno che si sente proprietario del destino altrui.
È uno sfregio. Uno sfregio alla fiducia. Uno sfregio alla genitorialità. Uno sfregio alla fragilità più preziosa che abbiamo: i nostri figli.
Quando si arriva a mettere mano alla culla per riscrivere l’immaginario dei bambini, significa che non ci sono più freni morali. Significa che il rispetto è morto e lo ha sostituito l’ingordigia ideologica. Significa che la società ha smarrito l’istinto primordiale di protezione, quello che perfino gli animali conoscono senza bisogno di scuole, leggi e manuali.
Perché gli animali difendono i loro piccoli.Noi… li stiamo lasciando in balia di chi usa le loro menti come un campo di prova.
E allora la verità è semplice, nuda, brutale: chi violenta l’infanzia con l’ideologia non è un educatore. È un predatore culturale.
E una società che lo permette, che minimizza, che si volta dall’altra parte, è una società che ha deciso di abdicare al suo compito più antico: difendere chi non può difendersi. t.me/carmen_tortora1
Quando toccano i nostri bambini
Ci sono realtà che non si dicono sottovoce. Si gridano. Si gridano perché fanno male nel punto più profondo, quello che nessuno dovrebbe mai sfiorare: l’infanzia. Non l’infanzia come parola astratta, ma quella vera, fatta di mani piccole, di capelli che profumano di latte, di occhi che non conoscono ancora il male. Quando il mondo è un abbraccio, non un concetto. Quando un bambino si addormenta perché sente una voce gentile, non perché comprende una storia.
Eppure oggi abbiamo scoperto che in alcuni nidi qualcuno ha pensato bene di infilarsi dentro questa sacralità con la prepotenza di chi non ha più alcun senso del limite. Non stiamo parlando di scuole superiori, non stiamo parlando di adolescenti: stiamo parlando di bambini da tre mesi a tre anni. Creature che non sanno ancora parlare, che non distinguono il gioco dal simbolo, che non capirebbero nemmeno il significato della parola “famiglia”, figurarsi «utero in affitto». E invece qualcuno, nascosto dietro il paravento del “progresso”, ha portato proprio questo dentro l’asilo nido. Lo raccontano i genitori, lo riporta la stampa: libretti, attività, interventi dall’esterno. Tutto senza una spiegazione. Tutto senza un permesso. Tutto senza il minimo pudore.
Chiunque abbia tenuto in braccio un bambino di pochi mesi lo sa: quel piccolo essere non ha difese. Non può dire no. Non può girarsi dall’altra parte. Non può capire, distinguere, respingere. Assorbe. E proprio perché assorbe, è diventato il bersaglio perfetto per chi vuole modellare il mondo non attraverso il dialogo con gli adulti - troppo scomodi, troppo pensanti - ma occupando il primo spazio vuoto della mente umana. Il più puro. Il più vulnerabile.
Pensiamoci un secondo: che differenza c’è tra un neonato e un foglio di carta ancora bianco? Nessuna. E quel bianco, quello spazio sacro, qualcuno ha deciso di scriverlo con la penna dell’ideologia. Senza chiedere. Senza rispettare. Senza capire che esistono confini che non si valicano neppure per scherzo.
Un adulto può scegliere, può discutere, può rifiutare. Un bambino no. E allora cosa siamo diventati se permettiamo che idee costruite a tavolino vengano messe nelle mani di chi non sa neanche ancora indicare sé stesso allo specchio?
Perché questo è: non educazione, non inclusione, non progresso. È colonizzazione dell’infanzia. Un’infanzia che non può difendersi, che non può gridare, che non può scappare. Viene presa per la gola e riempita di contenuti che non le appartengono, come se la mente umana fosse un vaso da riempire a piacimento altrui.
E allora sorge una domanda che dovremmo farci tutti:
che tipo di essere umano vuole costruire chi arriva fino alla culla pur di piantare una bandiera ideologica?
Perché chi supera questa linea non sta preparando un futuro migliore: sta preparando una generazione che non ricorderà più un tempo in cui poteva essere libera. Una generazione in cui la prima “carezza culturale” non arriva dalla famiglia, ma da qualcuno che si sente proprietario del destino altrui.
È uno sfregio. Uno sfregio alla fiducia. Uno sfregio alla genitorialità. Uno sfregio alla fragilità più preziosa che abbiamo: i nostri figli.
Quando si arriva a mettere mano alla culla per riscrivere l’immaginario dei bambini, significa che non ci sono più freni morali. Significa che il rispetto è morto e lo ha sostituito l’ingordigia ideologica. Significa che la società ha smarrito l’istinto primordiale di protezione, quello che perfino gli animali conoscono senza bisogno di scuole, leggi e manuali.
Perché gli animali difendono i loro piccoli.Noi… li stiamo lasciando in balia di chi usa le loro menti come un campo di prova.
E allora la verità è semplice, nuda, brutale: chi violenta l’infanzia con l’ideologia non è un educatore. È un predatore culturale.
E una società che lo permette, che minimizza, che si volta dall’altra parte, è una società che ha deciso di abdicare al suo compito più antico: difendere chi non può difendersi. t.me/carmen_tortora1