TOTO NOBEL
Onore sì, effetti zero.
Premetto che non voglio entrare nel merito della designazione — ci mancherebbe.
Nulla contro il popolo venezuelano né contro i suoi rappresentanti politici.
Ne abbiamo già abbastanza dei nostri per metterci a giudicare gli altri.
Quindi: complimenti alla signora María Corina Machado e buon lavoro.
Il punto, però, è un altro.
Io non critico la persona.
Critico il meccanismo, l’idea stessa di premio e la liturgia che ogni anno si ripete come un talk show stanco, dove tutti hanno già la parte assegnata.
Critico i dibattiti che si gonfiano come palloncini, gli schieramenti da stadio, le tifoserie travestite da analisti.
Un po’ come il Pallone d’Oro, ormai: mancano solo gli sponsor, i brand sugli inviti e qualche hashtag in più per completare la farsa.
Perché sì, il Nobel per la Pace resta una vetrina, non una leva.
Permette di iscrivere un nome nell’albo d’oro della storia.
E poi?
Davvero incide nel tempo che stiamo vivendo — un tempo in cui le tregue durano meno di un trend su X?
Passata la festa, si torna nel solito caos mediatico.
E la pace rimane un argomento da prime time, non una pratica quotidiana.
Forse sarebbe stato più utile concentrare energie su Mozioni, Leggi di Iniziativa Popolare, atti concreti che chiedano il riconoscimento di uno Stato o la cessazione di rapporti con i Paesi più belligeranti del pianeta.
Ma no.
Lo spettacolo deve continuare.
E allora meglio un nome che un cambiamento, meglio un applauso che una scossa.
Siamo passati dal premio dato “alle intenzioni” al premio per “chi non disturba troppo”.
Non è questione di persone, è questione di dinamiche spettacolari e diplomatiche.
Un copione che si ripete ogni anno, sempre più vuoto, sempre meno necessario.
Da Oslo è tutto.
#Nobel2025 #PaceDiFacciata #OsloCalling #PremiCheNonCambianoNulla #GeopoliticaSpettacolo #TheShowMustGoOn
Onore sì, effetti zero.
Premetto che non voglio entrare nel merito della designazione — ci mancherebbe.
Nulla contro il popolo venezuelano né contro i suoi rappresentanti politici.
Ne abbiamo già abbastanza dei nostri per metterci a giudicare gli altri.
Quindi: complimenti alla signora María Corina Machado e buon lavoro.
Il punto, però, è un altro.
Io non critico la persona.
Critico il meccanismo, l’idea stessa di premio e la liturgia che ogni anno si ripete come un talk show stanco, dove tutti hanno già la parte assegnata.
Critico i dibattiti che si gonfiano come palloncini, gli schieramenti da stadio, le tifoserie travestite da analisti.
Un po’ come il Pallone d’Oro, ormai: mancano solo gli sponsor, i brand sugli inviti e qualche hashtag in più per completare la farsa.
Perché sì, il Nobel per la Pace resta una vetrina, non una leva.
Permette di iscrivere un nome nell’albo d’oro della storia.
E poi?
Davvero incide nel tempo che stiamo vivendo — un tempo in cui le tregue durano meno di un trend su X?
Passata la festa, si torna nel solito caos mediatico.
E la pace rimane un argomento da prime time, non una pratica quotidiana.
Forse sarebbe stato più utile concentrare energie su Mozioni, Leggi di Iniziativa Popolare, atti concreti che chiedano il riconoscimento di uno Stato o la cessazione di rapporti con i Paesi più belligeranti del pianeta.
Ma no.
Lo spettacolo deve continuare.
E allora meglio un nome che un cambiamento, meglio un applauso che una scossa.
Siamo passati dal premio dato “alle intenzioni” al premio per “chi non disturba troppo”.
Non è questione di persone, è questione di dinamiche spettacolari e diplomatiche.
Un copione che si ripete ogni anno, sempre più vuoto, sempre meno necessario.
Da Oslo è tutto.
#Nobel2025 #PaceDiFacciata #OsloCalling #PremiCheNonCambianoNulla #GeopoliticaSpettacolo #TheShowMustGoOn
TOTO NOBEL
Onore sì, effetti zero.
Premetto che non voglio entrare nel merito della designazione — ci mancherebbe.
Nulla contro il popolo venezuelano né contro i suoi rappresentanti politici.
Ne abbiamo già abbastanza dei nostri per metterci a giudicare gli altri.
Quindi: complimenti alla signora María Corina Machado e buon lavoro.
Il punto, però, è un altro.
Io non critico la persona.
Critico il meccanismo, l’idea stessa di premio e la liturgia che ogni anno si ripete come un talk show stanco, dove tutti hanno già la parte assegnata.
Critico i dibattiti che si gonfiano come palloncini, gli schieramenti da stadio, le tifoserie travestite da analisti.
Un po’ come il Pallone d’Oro, ormai: mancano solo gli sponsor, i brand sugli inviti e qualche hashtag in più per completare la farsa.
Perché sì, il Nobel per la Pace resta una vetrina, non una leva.
Permette di iscrivere un nome nell’albo d’oro della storia.
E poi?
Davvero incide nel tempo che stiamo vivendo — un tempo in cui le tregue durano meno di un trend su X?
Passata la festa, si torna nel solito caos mediatico.
E la pace rimane un argomento da prime time, non una pratica quotidiana.
Forse sarebbe stato più utile concentrare energie su Mozioni, Leggi di Iniziativa Popolare, atti concreti che chiedano il riconoscimento di uno Stato o la cessazione di rapporti con i Paesi più belligeranti del pianeta.
Ma no.
Lo spettacolo deve continuare.
E allora meglio un nome che un cambiamento, meglio un applauso che una scossa.
Siamo passati dal premio dato “alle intenzioni” al premio per “chi non disturba troppo”.
Non è questione di persone, è questione di dinamiche spettacolari e diplomatiche.
Un copione che si ripete ogni anno, sempre più vuoto, sempre meno necessario.
Da Oslo è tutto.
#Nobel2025 #PaceDiFacciata #OsloCalling #PremiCheNonCambianoNulla #GeopoliticaSpettacolo #TheShowMustGoOn
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