• La sfida dei missili: Mosca risponde alla minaccia dei Tomahawk con i Burevestnik (prima che scada il trattato New Start con gli Usa)
    Già il nome dice tutto. O, quantomeno, ci prova. In russo Burevestnik significa «uccello delle tempeste» o «procellaria», uccello marino che annuncia l’arrivo delle tempeste nonché protagonista di una celebre poesia rivoluzionaria di Maksim Gorkij. Mentre tramonta l’ipotesi di un nuovo faccia a faccia tra Trump e Putin a Budapest, il presidente russo annuncia il successo del test del Burevestnik 9M730.

    Il missile da crociera superficie-superficie a propulsione nucleare — ribattezzato dalla Nato SSC-X-9 Skyfall — secondo il Cremlino possiede una gittata praticamente illimitata e una traiettoria di volo imprevedibile, caratteristiche che lo renderebbero «invincibile» rispetto agli attuali e futuri scudi antimissile, oltre che nella definizione di Putin «un’arma che nessun altro Paese al mondo possiede».

    Propulsione e manovra
    Secondo la stampa russa, al momento del lancio il Burevestnik misura circa 12 metri, per poi ridursi a 9 in volo. La propulsione è affidata a un motore termico nucleare che entra in funzione soltanto dopo il decollo. Svelato nel 2018, insieme al supersiluro Poseidon, al nuovo missile balistico intercontinentale RS-28 Sarmat, alla testata ipersonica planante (Hgv) Avangard e al missile ipersonico Kinzhal, è il «gioiello» dell’arsenale strategico russo. Secondo il generale Valery Gerasimov capo di stato maggiore delle forze armate russe, durante il test effettuato il 21 ottobre, il Burevestnik ha percorso 14 mila chilometri rimanendo in volo per circa 15 ore sempre grazie alla propulsione nucleare.

    La sfida dei missili
    Il test si inserisce in una più ampia serie di esercitazioni strategiche condotte la scorsa settimana, durante le quali Putin ha supervisionato manovre nucleari su terra, mare e aria. Ma non solo. Arriva anche in un momento particolarmente teso delle relazioni di Mosca con Washington che ha minacciato di fornire a Kiev missili Tomahawk, in grado di colpire obiettivi in profondità nel territorio russo.

    Ma soprattutto, se la Russia possiede 5.459 testate nucleari mentre gli Stati Uniti ne hanno 5.177 (insieme, i due Paesi detengono circa l’87% dell’arsenale nucleare mondiale, una potenza distruttiva sufficiente a cancellare il nostro pianeta più volte), da considerare anche che il trattato New Start (Strategic Arms Reduction Treaty), firmato da Russia e Stati Uniti nel 2010, scade tra pochi mesi, nel febbraio 2026.


    Ed ad oggi i negoziati per una nuova ratifica dell’accordo sembrano inesistenti. Da non dimenticare poi che a fine 2024 le autorità russe hanno approvato alcuni cambiamenti formali alla dottrina nucleare, consentendo l’utilizzo di tali armamenti qualora venga minacciata la «sovranità e l’integrità territoriale» della Russia e della Bielorussia, anche attraverso attacchi con «armi convenzionali», cioè non nucleari.

    Tradotto: l’artificio retorico dell’impiego di armi atomiche come minaccia o extrema ratio non è più un tabù, anzi. Dall’altra parte, il dialogo in materia non sembra tra le priorità della Casa Bianca almeno per ora. Sia perché eventuali negoziazioni fornirebbero ulteriore potere contrattuale alla Russia nella trattativa per la fine della guerra in Ucraina, sia perché Washington vuole un trattato più ampio, che tenga conto del crescente ruolo della Cina come potenza nucleare.

    Dottrina e trattati
    Secondo la Nuclear Threat Initiative, la Russia ha condotto almeno 13 lanci di prova del Burevestnik, di cui solo due sono stati considerati parzialmente riusciti. Lo sviluppo stesso del super missile non è stato privo di passi falsi e, per alcuni, restano dubbi sulla possibilità di ridurre a sufficienza le dimensioni di un propulsore nucleare. Nel 2019 cinque persone morirono nel tentativo di recuperarne uno dal fondale marino, perso durante un test fallito. Infine, secondo gli esperti, il Burevestnik rappresenta un’opzione valida per un secondo attacco nucleare.

    Può raggiungere obiettivi di controvalore negli Stati Uniti o in Europa, penetrare le difese missilistiche e causare danni aggiuntivi al territorio e ai centri abitati lungo la sua traiettoria di volo, ma dal momento che presenta rischi di radiazioni durante il volo a partire dal decollo è una scelta poco adatta per il primo strike. In sintesi, l’uccello delle tempeste può volare, sì. Ma non più in alto di tutti.

    https://www.corriere.it/esteri/25_ottobre_27/missili-mosca-russia-new-start-usa-23b0548c-dd2a-4356-996e-0f9106604xlk.shtml
    La sfida dei missili: Mosca risponde alla minaccia dei Tomahawk con i Burevestnik (prima che scada il trattato New Start con gli Usa) Già il nome dice tutto. O, quantomeno, ci prova. In russo Burevestnik significa «uccello delle tempeste» o «procellaria», uccello marino che annuncia l’arrivo delle tempeste nonché protagonista di una celebre poesia rivoluzionaria di Maksim Gorkij. Mentre tramonta l’ipotesi di un nuovo faccia a faccia tra Trump e Putin a Budapest, il presidente russo annuncia il successo del test del Burevestnik 9M730. Il missile da crociera superficie-superficie a propulsione nucleare — ribattezzato dalla Nato SSC-X-9 Skyfall — secondo il Cremlino possiede una gittata praticamente illimitata e una traiettoria di volo imprevedibile, caratteristiche che lo renderebbero «invincibile» rispetto agli attuali e futuri scudi antimissile, oltre che nella definizione di Putin «un’arma che nessun altro Paese al mondo possiede». Propulsione e manovra Secondo la stampa russa, al momento del lancio il Burevestnik misura circa 12 metri, per poi ridursi a 9 in volo. La propulsione è affidata a un motore termico nucleare che entra in funzione soltanto dopo il decollo. Svelato nel 2018, insieme al supersiluro Poseidon, al nuovo missile balistico intercontinentale RS-28 Sarmat, alla testata ipersonica planante (Hgv) Avangard e al missile ipersonico Kinzhal, è il «gioiello» dell’arsenale strategico russo. Secondo il generale Valery Gerasimov capo di stato maggiore delle forze armate russe, durante il test effettuato il 21 ottobre, il Burevestnik ha percorso 14 mila chilometri rimanendo in volo per circa 15 ore sempre grazie alla propulsione nucleare. La sfida dei missili Il test si inserisce in una più ampia serie di esercitazioni strategiche condotte la scorsa settimana, durante le quali Putin ha supervisionato manovre nucleari su terra, mare e aria. Ma non solo. Arriva anche in un momento particolarmente teso delle relazioni di Mosca con Washington che ha minacciato di fornire a Kiev missili Tomahawk, in grado di colpire obiettivi in profondità nel territorio russo. Ma soprattutto, se la Russia possiede 5.459 testate nucleari mentre gli Stati Uniti ne hanno 5.177 (insieme, i due Paesi detengono circa l’87% dell’arsenale nucleare mondiale, una potenza distruttiva sufficiente a cancellare il nostro pianeta più volte), da considerare anche che il trattato New Start (Strategic Arms Reduction Treaty), firmato da Russia e Stati Uniti nel 2010, scade tra pochi mesi, nel febbraio 2026. Ed ad oggi i negoziati per una nuova ratifica dell’accordo sembrano inesistenti. Da non dimenticare poi che a fine 2024 le autorità russe hanno approvato alcuni cambiamenti formali alla dottrina nucleare, consentendo l’utilizzo di tali armamenti qualora venga minacciata la «sovranità e l’integrità territoriale» della Russia e della Bielorussia, anche attraverso attacchi con «armi convenzionali», cioè non nucleari. Tradotto: l’artificio retorico dell’impiego di armi atomiche come minaccia o extrema ratio non è più un tabù, anzi. Dall’altra parte, il dialogo in materia non sembra tra le priorità della Casa Bianca almeno per ora. Sia perché eventuali negoziazioni fornirebbero ulteriore potere contrattuale alla Russia nella trattativa per la fine della guerra in Ucraina, sia perché Washington vuole un trattato più ampio, che tenga conto del crescente ruolo della Cina come potenza nucleare. Dottrina e trattati Secondo la Nuclear Threat Initiative, la Russia ha condotto almeno 13 lanci di prova del Burevestnik, di cui solo due sono stati considerati parzialmente riusciti. Lo sviluppo stesso del super missile non è stato privo di passi falsi e, per alcuni, restano dubbi sulla possibilità di ridurre a sufficienza le dimensioni di un propulsore nucleare. Nel 2019 cinque persone morirono nel tentativo di recuperarne uno dal fondale marino, perso durante un test fallito. Infine, secondo gli esperti, il Burevestnik rappresenta un’opzione valida per un secondo attacco nucleare. Può raggiungere obiettivi di controvalore negli Stati Uniti o in Europa, penetrare le difese missilistiche e causare danni aggiuntivi al territorio e ai centri abitati lungo la sua traiettoria di volo, ma dal momento che presenta rischi di radiazioni durante il volo a partire dal decollo è una scelta poco adatta per il primo strike. In sintesi, l’uccello delle tempeste può volare, sì. Ma non più in alto di tutti. https://www.corriere.it/esteri/25_ottobre_27/missili-mosca-russia-new-start-usa-23b0548c-dd2a-4356-996e-0f9106604xlk.shtml
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  • PERCHE' CREDI AI GIORNALI ?
    Come si è provato, invano a quanto pare, a spiegare, la Francia si è comprata aziende italiane di ogni genere perchè appunto le banche francesi hanno erogato oltre 2,200 miliardi alle loro imprese e invece le banche in Italia solo 640 miliardi alle imprese italiane.

    In generale, l'economia si espande se pompi il credito alle imprese, cosa che in Italia non avviene dal 2009.

    Il risultato è che alla fine gli stipendi in Francia sono aumentati di più del 30% e in Italia sono fermi da fine anni '90.
    Source: https://cobraf.com/media/filer_public/12/8a/128acda8-1541-476b-b4f2-a5bc59d703bc/crivellari.pdf?s=08
    PERCHE' CREDI AI GIORNALI ? Come si è provato, invano a quanto pare, a spiegare, la Francia si è comprata aziende italiane di ogni genere perchè appunto le banche francesi hanno erogato oltre 2,200 miliardi alle loro imprese e invece le banche in Italia solo 640 miliardi alle imprese italiane. In generale, l'economia si espande se pompi il credito alle imprese, cosa che in Italia non avviene dal 2009. Il risultato è che alla fine gli stipendi in Francia sono aumentati di più del 30% e in Italia sono fermi da fine anni '90. Source: https://cobraf.com/media/filer_public/12/8a/128acda8-1541-476b-b4f2-a5bc59d703bc/crivellari.pdf?s=08
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  • Esistono gli italiani su base genetica, in base agli studi del DNA recenti ? "Il DNA degli italiani di oggi è per larga parte lo stesso che avevano gli abitanti della penisola italica all’epoca dei Romani — con variazioni regionali dovute a invasioni, migrazioni e scambi mediterranei successivi. Nel complesso, le popolazioni italiane sono geneticamente molto continue con quelle di 2500–3000 anni fa: non esistono “sostituzioni di massa” dopo l’Età del Ferro, solo graduali apporti regionali."

    Quindi, in base alla scienza, genetica insomma, la sostituzione in atto degli italiani oggi è la prima da 2,500 anni
    G.Zibordi

    ---------------- Chatgpt ----------
    Quando si parla di “DNA degli italiani”, si intende la composizione genetica media della popolazione residente nella Penisola Italiana oggi, che riflette:
    antiche migrazioni (Neolitico, Età del Bronzo, ecc.);
    spostamenti storici (Etruschi, Romani, Longobardi, Arabi, Normanni...);
    e l’isolamento relativo di alcune aree (Sardegna, Alpi, Appennini).
    Gli studi genomici moderni usano campioni di DNA antico (prelevato da scheletri) e DNA moderno, confrontandoli per capire da quali popolazioni storiche derivino gli attuali italiani.

    2. Le grandi fasi genetiche nella storia d’Italia (in sintesi)
    a) Cacciatori-raccoglitori mesolitici (fino a ~8000 a.C.)
    I primi abitanti stabili della penisola dopo l’ultima glaciazione.
    DNA simile agli “Western Hunter-Gatherers” europei (come in Spagna e Francia).
    Quasi completamente sostituiti dagli agricoltori neolitici.

    b) Agricoltori neolitici (da ~7000 a.C.)
    Arrivano dal Vicino Oriente (Anatolia) portando l’agricoltura.
    Hanno un profilo genetico simile a quello che oggi caratterizza in parte la Sardegna, dove il DNA neolitico è rimasto molto conservato.
    Si mescolano con i cacciatori locali → prima grande base genetica “italiana”.

    c) Età del Bronzo (da ~2200 a.C.)
    Arrivano popolazioni di origine indoeuropea dalle steppe (area del Mar Nero e Caspio), portando nuove lingue e una forte componente genetica “delle steppe”.
    Questa componente diventa dominante in gran parte d’Europa, Italia compresa, e forma lo strato su cui nasceranno i popoli italici, latini, osco-umbri, ecc.

    Intorno al 1000 a.C. la popolazione della penisola ha già grosso modo la composizione genetica “di base” che sarà quella dei Romani.

    3. Epoca romana e tardoantica (500 a.C. – 500 d.C.)
    Gli studi del Max Planck Institute e della Sapienza di Roma (pubblicati su Science, 2019) hanno sequenziato 127 genomi da sepolture romane dal 1000 a.C. al 1000 d.C.:
    In epoca repubblicana e imperiale, Roma era estremamente cosmopolita.
    Durante l’Impero, il DNA della popolazione romana mostra forti influenze dal Mediterraneo orientale (Levant, Anatolia, Grecia, Siria, Egitto), coerenti con la mobilità di schiavi e cittadini da tutto l’Impero.
    Dopo la caduta dell’Impero (400–700 d.C.) la componente “orientale” diminuisce, e aumenta quella dell’Europa centrale e settentrionale (Longobardi, Goti, ecc.).

    In sintesi:
    Il DNA “medio romano” del I secolo d.C. non è esattamente lo stesso degli italiani di oggi, ma l’Italia nel suo complesso ha mantenuto un mix genetico simile, solo ribilanciato verso le componenti europee nel Medioevo.

    4. Medioevo – Età moderna
    Le invasioni e dominazioni successive hanno inciso localmente, ma non rivoluzionato la base genetica:

    AreaInfluenze prevalentiNord ItaliaMigrazioni germaniche (Longobardi, Franchi) → piccola ma visibile componente centro-europea.Centro ItaliaBase genetica italico-romana con minori apporti esterni.Sud e SiciliaInfluenze greche (Magna Grecia), arabe e normanne → maggiore mescolanza mediterranea.SardegnaMolto isolata: conserva il DNA neolitico più “puro” d’Europa (simile agli agricoltori anatolici del 7000 a.C.).

    Nel complesso, le popolazioni italiane sono geneticamente molto continue con quelle di 2500–3000 anni fa: non esistono “sostituzioni di massa” dopo l’Età del Ferro, solo graduali apporti regionali.

    5. Conclusione: quanto è “romano” il DNA italiano?
    La base genetica degli italiani moderni risale per lo più all’Età del Bronzo e del Ferro, cioè prima e durante l’epoca romana.
    La componente “romana antica” è ancora fortemente presente in tutta la penisola, ma diluita da flussi successivi.
    In media, si stima che oltre il 70–80% del patrimonio genetico italiano derivi da popolazioni già presenti in Italia prima del 500 a.C.
    In altre parole:

    Il DNA degli italiani di oggi è per larga parte lo stesso che avevano gli abitanti della penisola italica all’epoca dei Romani — con variazioni regionali dovute a invasioni, migrazioni e scambi mediterranei successivi.
    Esistono gli italiani su base genetica, in base agli studi del DNA recenti ? "Il DNA degli italiani di oggi è per larga parte lo stesso che avevano gli abitanti della penisola italica all’epoca dei Romani — con variazioni regionali dovute a invasioni, migrazioni e scambi mediterranei successivi. Nel complesso, le popolazioni italiane sono geneticamente molto continue con quelle di 2500–3000 anni fa: non esistono “sostituzioni di massa” dopo l’Età del Ferro, solo graduali apporti regionali." Quindi, in base alla scienza, genetica insomma, la sostituzione in atto degli italiani oggi è la prima da 2,500 anni G.Zibordi ---------------- Chatgpt ---------- Quando si parla di “DNA degli italiani”, si intende la composizione genetica media della popolazione residente nella Penisola Italiana oggi, che riflette: antiche migrazioni (Neolitico, Età del Bronzo, ecc.); spostamenti storici (Etruschi, Romani, Longobardi, Arabi, Normanni...); e l’isolamento relativo di alcune aree (Sardegna, Alpi, Appennini). Gli studi genomici moderni usano campioni di DNA antico (prelevato da scheletri) e DNA moderno, confrontandoli per capire da quali popolazioni storiche derivino gli attuali italiani. 🏺 2. Le grandi fasi genetiche nella storia d’Italia (in sintesi) 🔹 a) Cacciatori-raccoglitori mesolitici (fino a ~8000 a.C.) I primi abitanti stabili della penisola dopo l’ultima glaciazione. DNA simile agli “Western Hunter-Gatherers” europei (come in Spagna e Francia). Quasi completamente sostituiti dagli agricoltori neolitici. 🔹 b) Agricoltori neolitici (da ~7000 a.C.) Arrivano dal Vicino Oriente (Anatolia) portando l’agricoltura. Hanno un profilo genetico simile a quello che oggi caratterizza in parte la Sardegna, dove il DNA neolitico è rimasto molto conservato. Si mescolano con i cacciatori locali → prima grande base genetica “italiana”. 🔹 c) Età del Bronzo (da ~2200 a.C.) Arrivano popolazioni di origine indoeuropea dalle steppe (area del Mar Nero e Caspio), portando nuove lingue e una forte componente genetica “delle steppe”. Questa componente diventa dominante in gran parte d’Europa, Italia compresa, e forma lo strato su cui nasceranno i popoli italici, latini, osco-umbri, ecc. 👉 Intorno al 1000 a.C. la popolazione della penisola ha già grosso modo la composizione genetica “di base” che sarà quella dei Romani. 🏛️ 3. Epoca romana e tardoantica (500 a.C. – 500 d.C.) Gli studi del Max Planck Institute e della Sapienza di Roma (pubblicati su Science, 2019) hanno sequenziato 127 genomi da sepolture romane dal 1000 a.C. al 1000 d.C.: In epoca repubblicana e imperiale, Roma era estremamente cosmopolita. Durante l’Impero, il DNA della popolazione romana mostra forti influenze dal Mediterraneo orientale (Levant, Anatolia, Grecia, Siria, Egitto), coerenti con la mobilità di schiavi e cittadini da tutto l’Impero. Dopo la caduta dell’Impero (400–700 d.C.) la componente “orientale” diminuisce, e aumenta quella dell’Europa centrale e settentrionale (Longobardi, Goti, ecc.). In sintesi: Il DNA “medio romano” del I secolo d.C. non è esattamente lo stesso degli italiani di oggi, ma l’Italia nel suo complesso ha mantenuto un mix genetico simile, solo ribilanciato verso le componenti europee nel Medioevo. ⚔️ 4. Medioevo – Età moderna Le invasioni e dominazioni successive hanno inciso localmente, ma non rivoluzionato la base genetica: AreaInfluenze prevalentiNord ItaliaMigrazioni germaniche (Longobardi, Franchi) → piccola ma visibile componente centro-europea.Centro ItaliaBase genetica italico-romana con minori apporti esterni.Sud e SiciliaInfluenze greche (Magna Grecia), arabe e normanne → maggiore mescolanza mediterranea.SardegnaMolto isolata: conserva il DNA neolitico più “puro” d’Europa (simile agli agricoltori anatolici del 7000 a.C.). Nel complesso, le popolazioni italiane sono geneticamente molto continue con quelle di 2500–3000 anni fa: non esistono “sostituzioni di massa” dopo l’Età del Ferro, solo graduali apporti regionali. 🧩 5. Conclusione: quanto è “romano” il DNA italiano? La base genetica degli italiani moderni risale per lo più all’Età del Bronzo e del Ferro, cioè prima e durante l’epoca romana. La componente “romana antica” è ancora fortemente presente in tutta la penisola, ma diluita da flussi successivi. In media, si stima che oltre il 70–80% del patrimonio genetico italiano derivi da popolazioni già presenti in Italia prima del 500 a.C. 👉 In altre parole: Il DNA degli italiani di oggi è per larga parte lo stesso che avevano gli abitanti della penisola italica all’epoca dei Romani — con variazioni regionali dovute a invasioni, migrazioni e scambi mediterranei successivi.
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  • Richardson 112 Trucker Hat Noua
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  • L'AMMINISTRATORE DELLA NASA: "DOBBIAMO ARRIVARE PER PRIMI SULLA LUNA"
    Ma non ci siete già stati nel '69?
    Non dite che ci avreste portato 12 uomini, 6 astronavi e 3 automobili? Adesso siete in ritardo nella corsa coi Cinesi perché, con tutta la tecnologia di oggi, il missile di Musk non è mai neanche entrato in orbita ed esplode una volta su due?
    E che ci vuole?
    Avete ancora nei musei due missili di von Braun e cinque di quei gioielli di lamiera traforata che 56 anni fa andavano e tornavano dalla Luna come dal bar... E sono ancora vivi quattro fenomenali astronauti novantenni che sanno come si guidano! Dateci un spolveratina e via! Una notte di Luna piena... Woossh! Vi vedo bene, già sui crateri lunari! E ciao cinesini! (se ci credono anche loro come i Sovietici sessant'anni fa...)

    Source: https://x.com/M25016096/status/1980981931245289818
    🟡 🇺🇸 🚀 🌙 L'AMMINISTRATORE DELLA NASA: "DOBBIAMO ARRIVARE PER PRIMI SULLA LUNA"❗ Ma non ci siete già stati nel '69? Non dite che ci avreste portato 12 uomini, 6 astronavi e 3 automobili? Adesso siete in ritardo nella corsa coi Cinesi perché, con tutta la tecnologia di oggi, il missile di Musk non è mai neanche entrato in orbita ed esplode una volta su due? E che ci vuole? 😂 Avete ancora nei musei due missili di von Braun e cinque di quei gioielli di lamiera traforata che 56 anni fa andavano e tornavano dalla Luna come dal bar... E sono ancora vivi quattro fenomenali astronauti novantenni che sanno come si guidano! Dateci un spolveratina e via! Una notte di Luna piena... Woossh! Vi vedo bene, già sui crateri lunari! E ciao cinesini! (se ci credono anche loro come i Sovietici sessant'anni fa...)😜😂 Source: https://x.com/M25016096/status/1980981931245289818
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  • Everything About Motorola Razr 50 Repair & Flex Cable Replacement in 2025

    Explore everything you need to know about repairing the Motorola Razr 50 in 2025 — from typical flex-cable replacement costs to how repair pricing is structured, what affects the bill (parts, labour, warranty), and what to ask before you hand it over.
    https://bresdel.com/blogs/1221097/Everything-About-Motorola-Razr-50-Repair-Flex-Cable-Replacement-in

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    Everything About Motorola Razr 50 Repair & Flex Cable Replacement in 2025 Explore everything you need to know about repairing the Motorola Razr 50 in 2025 — from typical flex-cable replacement costs to how repair pricing is structured, what affects the bill (parts, labour, warranty), and what to ask before you hand it over. https://bresdel.com/blogs/1221097/Everything-About-Motorola-Razr-50-Repair-Flex-Cable-Replacement-in #MotorolaRazr50Repair #MotorolaRazr50FlexCableReplacement #MotorolaRazr50FlexCableRepair #MotorolaRazr50FlexCable #MobileRepair
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  • Thousands of protesters took to the streets of Brussels to protest against skyrocketing energy prices, soaring inflation, and rising costs of living.

    https://x.com/thatdayin1992/status/1604462623944486912

    MAXIMUM SHARE!
    Thousands of protesters took to the streets of Brussels to protest against skyrocketing energy prices, soaring inflation, and rising costs of living. https://x.com/thatdayin1992/status/1604462623944486912 MAXIMUM SHARE!
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  • PER NON DIMENTICARE e FARE UN PO' di CHIAREZZA!
    L’ENIGMA RANUCCI: IL GIORNALISTA SCOMODO CHE NON DISTURBA IL POTERE!
    Sempre solidale con chiunque subisca ogni tipo di intimidazione, compreso il soggetto in questione, vi propongo questi interessanti e condivisibili post sulla figura di Sigfrido Ranucci, il giornalista che durante la pandemia pubblicizzava senza farsi alcuna domanda i sieri sperimentali che continuano tutt’oggi a mietere vittime anche fra i suoi colleghi e proponeva imperdibili inchieste della durata di un’ora sull’evoluzione della pizza in Italia, con un inedito focus sulla mangiata dell’ex presidente Bill Clinton in una pizzeria di Napoli…tutto questo nel periodo in cui tutti i diritti fondamentali dell’uomo venivano calpestati da un banchiere criminale nel silenzio di (quasi) tutte le trasmissioni televisive, fra cui la sua.
    Buona lettura.
    Post 1
    Sigfrido Ranucci viene presentato da anni come simbolo del giornalismo d’inchiesta italiano, “voce scomoda” contro i poteri forti. Eppure, se si osserva con attenzione la linea editoriale di Report, emerge un quadro molto diverso da quello percepito dal grande pubblico.
    I servizi del programma non toccano mai le questioni centrali del potere reale: il ruolo dell’Unione Europea e della BCE nell’impoverimento economico del Paese, le responsabilità politiche nella gestione pandemica, i rapporti fra magistratura e intelligence, l’impatto delle politiche migratorie sulla sicurezza e sull’identità sociale.
    Temi di questa portata vengono costantemente evitati. Si preferisce orientare l’attenzione verso fenomeni di corruzione secondaria, conflitti di interesse marginali o presunti scandali a basso rischio politico.
    In questo senso, Report svolge una funzione precisa: incanalare l’indignazione pubblica verso bersagli innocui.
    Il risultato è duplice: da un lato si alimenta l’immagine del giornalismo “libero”, dall’altro si impedisce che l’opinione pubblica concentri la propria attenzione sui veri centri di potere.
    Non è un caso che Ranucci, pur dichiarandosi “in pericolo”, goda di massima copertura istituzionale, sia da parte del Quirinale che dell’Unione Europea, che ne difendono costantemente l’operato in nome della “libertà di stampa”.
    È difficile considerare realmente scomodo chi opera all’interno del servizio pubblico e gode di protezione politica trasversale.
    In un Paese dove giornalisti indipendenti vengono querelati, censurati o isolati, l’immagine del “cronista coraggioso sotto scorta” funziona come una narrazione utile al sistema: serve a dare credibilità a un’informazione che, in realtà, si muove entro confini molto ben definiti.
    Post 2 – L’ATTENTATO IMPOSSIBILE: UNA NARRAZIONE COSTRUITA?
    Dal 2021 Sigfrido Ranucci vive sotto scorta. Ciò significa che la sua abitazione, i suoi spostamenti e la sua vettura rientrano in protocolli di sicurezza estremamente rigidi.
    Ogni ingresso, parcheggio e itinerario è monitorato. Per questo motivo, la notizia secondo cui qualcuno sarebbe riuscito a collocare un ordigno esplosivo nella sua auto appare tecnicamente poco plausibile, se non impossibile, a meno di gravi complicità interne.
    L’attentato, così come raccontato, presenta quindi una doppia anomalia: o i protocolli di protezione sono falliti in modo clamoroso — cosa che dovrebbe comportare immediate dimissioni di funzionari e scorte — oppure la vicenda ha una forte componente scenica e comunicativa.
    Il tempismo mediatico lo conferma: subito dopo la notizia, esponenti politici di tutti i partiti hanno espresso solidarietà, il Quirinale ha ribadito il valore del “giornalismo libero”, e i media hanno rilanciato la narrazione dell’Italia come “paese pericoloso per chi fa informazione”.
    Ma di quale informazione si parla?
    Ranucci non ha mai prodotto inchieste che mettessero realmente in crisi i vertici del potere politico o finanziario. Non ha mai toccato temi come l’adesione incondizionata dell’Italia alla NATO, la gestione opaca dei fondi del PNRR, o le pressioni sovranazionali in materia sanitaria ed energetica.
    Eppure viene presentato come simbolo della libertà di parola.
    L’ipotesi più coerente è che l’“attentato” serva a consolidare una narrativa utile al mainstream: quella del giornalista eroico minacciato da forze oscure, che deve essere difeso dal potere politico stesso.
    Un paradosso perfetto: chi dovrebbe essere il bersaglio diventa, in realtà, l’attore principale di una messa in scena che rafforza il sistema che finge di combattere.
    Post 3 – IL RUOLO DI SISTEMA DEL GIORNALISTA “SOTTO ATTACCO”
    In ogni momento di crisi di fiducia verso i media, il sistema reagisce in modo prevedibile: rilancia figure come Ranucci per ridare legittimità morale alla stampa istituzionale.
    Quando il pubblico inizia a percepire la manipolazione dell’informazione, serve un simbolo di “verità perseguitata”.
    Ranucci diventa così il protagonista perfetto di una sceneggiatura politica: un giornalista “coraggioso” che affronta “minacce anonime”, protetto dalle istituzioni e celebrato dalle stesse forze di potere che dice di denunciare.
    È un meccanismo studiato.
    Il potere sa che per sopravvivere deve simulare al proprio interno una quota di conflitto controllato: apparire diviso per essere più credibile.
    In realtà, la funzione del dissenso istituzionalizzato è proprio neutralizzare il vero dissenso.
    Mentre l’attenzione del pubblico viene dirottata su un presunto attacco a Report, restano fuori dall’agenda mediatica i dossier realmente scomodi: i rapporti fra politica e finanza, l’influenza delle multinazionali sui media, il ruolo delle intelligence nei processi giudiziari, e la progressiva erosione della sovranità nazionale.
    Il risultato è che il “giornalista minacciato” diventa uno scudo narrativo per l’establishment.
    L’intera vicenda rafforza l’idea che chi critica i media ufficiali sia un potenziale pericolo per la democrazia.
    E così, mentre il potere si autoassolve celebrando la propria “libertà di stampa”, il vero giornalismo d’inchiesta — quello che indaga davvero su chi comanda — resta invisibile, marginalizzato, e privo di voce.

    Source: https://www.facebook.com/story.php?story_fbid=10229586144179377&id=1276122023&post_id=1276122023_10229586144179377&rdid=By0LdSJgnVcqb30V
    PER NON DIMENTICARE e FARE UN PO' di CHIAREZZA! L’ENIGMA RANUCCI: IL GIORNALISTA SCOMODO CHE NON DISTURBA IL POTERE! Sempre solidale con chiunque subisca ogni tipo di intimidazione, compreso il soggetto in questione, vi propongo questi interessanti e condivisibili post sulla figura di Sigfrido Ranucci, il giornalista che durante la pandemia pubblicizzava senza farsi alcuna domanda i sieri sperimentali che continuano tutt’oggi a mietere vittime anche fra i suoi colleghi e proponeva imperdibili inchieste della durata di un’ora sull’evoluzione della pizza in Italia, con un inedito focus sulla mangiata dell’ex presidente Bill Clinton in una pizzeria di Napoli…tutto questo nel periodo in cui tutti i diritti fondamentali dell’uomo venivano calpestati da un banchiere criminale nel silenzio di (quasi) tutte le trasmissioni televisive, fra cui la sua. Buona lettura. Post 1 Sigfrido Ranucci viene presentato da anni come simbolo del giornalismo d’inchiesta italiano, “voce scomoda” contro i poteri forti. Eppure, se si osserva con attenzione la linea editoriale di Report, emerge un quadro molto diverso da quello percepito dal grande pubblico. I servizi del programma non toccano mai le questioni centrali del potere reale: il ruolo dell’Unione Europea e della BCE nell’impoverimento economico del Paese, le responsabilità politiche nella gestione pandemica, i rapporti fra magistratura e intelligence, l’impatto delle politiche migratorie sulla sicurezza e sull’identità sociale. Temi di questa portata vengono costantemente evitati. Si preferisce orientare l’attenzione verso fenomeni di corruzione secondaria, conflitti di interesse marginali o presunti scandali a basso rischio politico. In questo senso, Report svolge una funzione precisa: incanalare l’indignazione pubblica verso bersagli innocui. Il risultato è duplice: da un lato si alimenta l’immagine del giornalismo “libero”, dall’altro si impedisce che l’opinione pubblica concentri la propria attenzione sui veri centri di potere. Non è un caso che Ranucci, pur dichiarandosi “in pericolo”, goda di massima copertura istituzionale, sia da parte del Quirinale che dell’Unione Europea, che ne difendono costantemente l’operato in nome della “libertà di stampa”. È difficile considerare realmente scomodo chi opera all’interno del servizio pubblico e gode di protezione politica trasversale. In un Paese dove giornalisti indipendenti vengono querelati, censurati o isolati, l’immagine del “cronista coraggioso sotto scorta” funziona come una narrazione utile al sistema: serve a dare credibilità a un’informazione che, in realtà, si muove entro confini molto ben definiti. Post 2 – L’ATTENTATO IMPOSSIBILE: UNA NARRAZIONE COSTRUITA? Dal 2021 Sigfrido Ranucci vive sotto scorta. Ciò significa che la sua abitazione, i suoi spostamenti e la sua vettura rientrano in protocolli di sicurezza estremamente rigidi. Ogni ingresso, parcheggio e itinerario è monitorato. Per questo motivo, la notizia secondo cui qualcuno sarebbe riuscito a collocare un ordigno esplosivo nella sua auto appare tecnicamente poco plausibile, se non impossibile, a meno di gravi complicità interne. L’attentato, così come raccontato, presenta quindi una doppia anomalia: o i protocolli di protezione sono falliti in modo clamoroso — cosa che dovrebbe comportare immediate dimissioni di funzionari e scorte — oppure la vicenda ha una forte componente scenica e comunicativa. Il tempismo mediatico lo conferma: subito dopo la notizia, esponenti politici di tutti i partiti hanno espresso solidarietà, il Quirinale ha ribadito il valore del “giornalismo libero”, e i media hanno rilanciato la narrazione dell’Italia come “paese pericoloso per chi fa informazione”. Ma di quale informazione si parla? Ranucci non ha mai prodotto inchieste che mettessero realmente in crisi i vertici del potere politico o finanziario. Non ha mai toccato temi come l’adesione incondizionata dell’Italia alla NATO, la gestione opaca dei fondi del PNRR, o le pressioni sovranazionali in materia sanitaria ed energetica. Eppure viene presentato come simbolo della libertà di parola. L’ipotesi più coerente è che l’“attentato” serva a consolidare una narrativa utile al mainstream: quella del giornalista eroico minacciato da forze oscure, che deve essere difeso dal potere politico stesso. Un paradosso perfetto: chi dovrebbe essere il bersaglio diventa, in realtà, l’attore principale di una messa in scena che rafforza il sistema che finge di combattere. Post 3 – IL RUOLO DI SISTEMA DEL GIORNALISTA “SOTTO ATTACCO” In ogni momento di crisi di fiducia verso i media, il sistema reagisce in modo prevedibile: rilancia figure come Ranucci per ridare legittimità morale alla stampa istituzionale. Quando il pubblico inizia a percepire la manipolazione dell’informazione, serve un simbolo di “verità perseguitata”. Ranucci diventa così il protagonista perfetto di una sceneggiatura politica: un giornalista “coraggioso” che affronta “minacce anonime”, protetto dalle istituzioni e celebrato dalle stesse forze di potere che dice di denunciare. È un meccanismo studiato. Il potere sa che per sopravvivere deve simulare al proprio interno una quota di conflitto controllato: apparire diviso per essere più credibile. In realtà, la funzione del dissenso istituzionalizzato è proprio neutralizzare il vero dissenso. Mentre l’attenzione del pubblico viene dirottata su un presunto attacco a Report, restano fuori dall’agenda mediatica i dossier realmente scomodi: i rapporti fra politica e finanza, l’influenza delle multinazionali sui media, il ruolo delle intelligence nei processi giudiziari, e la progressiva erosione della sovranità nazionale. Il risultato è che il “giornalista minacciato” diventa uno scudo narrativo per l’establishment. L’intera vicenda rafforza l’idea che chi critica i media ufficiali sia un potenziale pericolo per la democrazia. E così, mentre il potere si autoassolve celebrando la propria “libertà di stampa”, il vero giornalismo d’inchiesta — quello che indaga davvero su chi comanda — resta invisibile, marginalizzato, e privo di voce. Source: https://www.facebook.com/story.php?story_fbid=10229586144179377&id=1276122023&post_id=1276122023_10229586144179377&rdid=By0LdSJgnVcqb30V
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