UK: lavoro in cambio di catena digitale
Il governo britannico ha tolto la maschera: entro la fine della legislatura l’identità digitale diventerà obbligatoria per dimostrare il diritto al lavoro. Non un servizio, ma una condizione. Senza ID non lavori.
https://www.gov.uk/government/news/new-digital-id-scheme-to-be-rolled-out-across-uk
Starmer la spaccia come «un’enorme opportunità», raccontando che servirà a blindare i confini e ad agevolare i cittadini. In realtà è la riduzione della libertà a permesso digitale, concesso solo se sei allineato.
Il comunicato ufficiale non lascia dubbi: «Digital ID will be mandatory for Right to Work checks by the end of the Parliament». La stampa ha fatto da eco: AP ha scritto che «one must possess it to work», Reuters ha parlato di obbligo per chi inizia un impiego, e il Guardian ha riportato testuale che diventerà «mandatory to prove the right to work». Tre formule, un solo concetto: senza ID sei fuori.
Il meccanismo è pronto: GOV.UK One Login e Wallet digitale centralizzeranno identità e attributi. Oggi è “comodità”, domani sarà la chiave di accesso a fisco, welfare e persino alla vita quotidiana. In Austria è già successo: l’ID Austria, dichiarato “volontario”, è diventato di fatto obbligatorio perché la burocrazia si è spostata tutta lì. L’UE con eIDAS 2.0 punta allo stesso traguardo: entro il 2030 ogni cittadino dovrà avere un wallet digitale.
La Gran Bretagna fa un passo in più e lo aggancia subito al lavoro, trasformandosi nel primo Paese occidentale ad ammetterlo senza infingimenti. Non stupisce che Big Brother Watch e Liberty parlino di “Checkpoint Britain”, ricordando che i cittadini britannici avevano già respinto le ID card di Blair vent’anni fa. Ma stavolta la scusa è più appetibile: “fermare i clandestini”. Peccato che a pagare saranno tutti gli altri, quelli che lavorano regolarmente e che verranno schedati per legge.
E non si ferma qui. Anche la Svizzera sta entrando nella gabbia digitale: dopo il referendum del 2021 che aveva bocciato l’ID, il Parlamento ha approvato nel 2023 la nuova legge sull’E-ID, operativa dal 2026. Ufficialmente sarà “volontaria”, ma già si annuncia indispensabile per banche, sanità e servizi pubblici. Quando l’alternativa diventa un percorso a ostacoli, la scelta non è più libera.
Dietro le quinte, sempre gli stessi nomi: Bill Gates con ID2020, Tony Blair che da anni spinge per l’adozione globale, e Bruxelles che prepara l’impalcatura normativa. La fiaba è sempre uguale: sicurezza, modernità, inclusione. La realtà è che senza credenziali digitali diventi un paria.
Così il Regno Unito inaugura il modello: il lavoro - il diritto di vivere - trasformato in un QR code. L’Austria e la Svizzera seguono, l’UE accelera. E a noi resta una sola certezza: quando i diritti diventano concessioni elettroniche, basta un clic per spegnere la libertà.
Per aggiornamenti senza filtri: t.me/carmen_tortora1
UK: lavoro in cambio di catena digitale
Il governo britannico ha tolto la maschera: entro la fine della legislatura l’identità digitale diventerà obbligatoria per dimostrare il diritto al lavoro. Non un servizio, ma una condizione. Senza ID non lavori.
https://www.gov.uk/government/news/new-digital-id-scheme-to-be-rolled-out-across-uk
Starmer la spaccia come «un’enorme opportunità», raccontando che servirà a blindare i confini e ad agevolare i cittadini. In realtà è la riduzione della libertà a permesso digitale, concesso solo se sei allineato.
Il comunicato ufficiale non lascia dubbi: «Digital ID will be mandatory for Right to Work checks by the end of the Parliament». La stampa ha fatto da eco: AP ha scritto che «one must possess it to work», Reuters ha parlato di obbligo per chi inizia un impiego, e il Guardian ha riportato testuale che diventerà «mandatory to prove the right to work». Tre formule, un solo concetto: senza ID sei fuori.
Il meccanismo è pronto: GOV.UK One Login e Wallet digitale centralizzeranno identità e attributi. Oggi è “comodità”, domani sarà la chiave di accesso a fisco, welfare e persino alla vita quotidiana. In Austria è già successo: l’ID Austria, dichiarato “volontario”, è diventato di fatto obbligatorio perché la burocrazia si è spostata tutta lì. L’UE con eIDAS 2.0 punta allo stesso traguardo: entro il 2030 ogni cittadino dovrà avere un wallet digitale.
La Gran Bretagna fa un passo in più e lo aggancia subito al lavoro, trasformandosi nel primo Paese occidentale ad ammetterlo senza infingimenti. Non stupisce che Big Brother Watch e Liberty parlino di “Checkpoint Britain”, ricordando che i cittadini britannici avevano già respinto le ID card di Blair vent’anni fa. Ma stavolta la scusa è più appetibile: “fermare i clandestini”. Peccato che a pagare saranno tutti gli altri, quelli che lavorano regolarmente e che verranno schedati per legge.
E non si ferma qui. Anche la Svizzera sta entrando nella gabbia digitale: dopo il referendum del 2021 che aveva bocciato l’ID, il Parlamento ha approvato nel 2023 la nuova legge sull’E-ID, operativa dal 2026. Ufficialmente sarà “volontaria”, ma già si annuncia indispensabile per banche, sanità e servizi pubblici. Quando l’alternativa diventa un percorso a ostacoli, la scelta non è più libera.
Dietro le quinte, sempre gli stessi nomi: Bill Gates con ID2020, Tony Blair che da anni spinge per l’adozione globale, e Bruxelles che prepara l’impalcatura normativa. La fiaba è sempre uguale: sicurezza, modernità, inclusione. La realtà è che senza credenziali digitali diventi un paria.
Così il Regno Unito inaugura il modello: il lavoro - il diritto di vivere - trasformato in un QR code. L’Austria e la Svizzera seguono, l’UE accelera. E a noi resta una sola certezza: quando i diritti diventano concessioni elettroniche, basta un clic per spegnere la libertà.
Per aggiornamenti senza filtri: t.me/carmen_tortora1