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    UNIVDATOS.COM
    Saudi Arabia Gold and Diamond Jewelry Market Report 2033
    The Saudi Arabia Gold and Diamond Jewelry market was valued at USD 4,780.00 million in 2024 and is expected to grow at a strong CAGR of around 10.10% during the forecast period (2025-2033F).
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  • Compie 50 anni Wish you were here. Il capolavoro dei Pink Floyd

    A mezzo secolo dalla pubblicazione, Wish you were here, permeato di poetica nostalgia, continua ad affascinare il pubblico.

    Pubblicato il 12 settembre 1975, è il settimo album in studio della band, e seppur all’inizio la critica lo abbia considerato inferiore agli album precedenti, negli anni è stato giustamente rivalutato e considerato un capolavoro del rock progressivo, Wish You Were Here rappresentò una svolta creativa per i Pink Floyd, nello stesso anno in cui Bob Dylan realizzò l’introspettivo, forse autobiografico Blood on the Tracks, invitando il suo pubblico a pensarlo non come un artista, ma come un essere umano con le sue emozioni. Lo stesso accade per i Pink Floyd con Wish You Were Here, un album intriso di elegie e spettri del passato.
    Il nuovo inizio dei Pink Floyd

    Composto da 5 tracce, l’album è aperto e chiuso dalla superba suite Shine On You Crazy Diamond, divisa in 9 parti e dedicata a Syd Barrett. Con il brano che dà il titolo all’album, rappresenta forse al meglio il sound etereo dei “nuovi” Pink Floyd: strutture espanse, effetti spaziali, psichedelia non più distorta e oscura, ma pulita e luminosa. Anche se, singolarmente, i brani dell’album potrebbero non essere tutti al livello del capolavoro, lo diventano appunto nella sequenza completa, il cui concetto e “dosaggio” musicale confermano il talento della band nel creare composizioni complesse, e mette in mostra il virtuosismo alla chitarra di David Gilmour, che si profonde in progressioni di accordi più audaci di quelle presentate su The Dark Side Of The Moon.
    I testi delle canzoni esprimono variamente nostalgia e alienazione, e i Pink Floyd lo descrissero come un album sull’assenza, ed era certamente quella di Barrett, ma anche, da un altro punto di vista, quella della riconoscenza e della lealtà nel mondo, sempre più cinico e affarista, dell’industria musicale.

    Non privo di causticità, l’album è un deliberato e beffardo tentativo di “mordere la mano che nutre”, criticando con feroce sarcasmo il mondo dell’industria discografica. Welcome to the Machine, emblematica già nel titolo, descrive il dialogo che avviene tra un discografico rude e arrogante e un giovane cantante, la cui carriera sarà appunto impostata e diretta dal manager, seguendo esclusivamente il criterio commerciale. Non c’è quindi spazio per ideali, utopie, poesie. Scritta da Roger Waters, la canzone è caratterizzata da una saturazione di sintetizzatori, chitarre acustiche ed effetti su nastro. Suggestivo l’inizio, con il suono naturale del sax che sfuma gradualmente in suoni industriali e sintetizzato, metafora della “macchina senza volto” che ingoia cantanti e musicisti. Sulla medesima scia Have a Cigar mette in ridicolo i “pezzi grossi” dell’industria discografica con testi che ripetono una serie di cliché. Interpretato dal cantautore folk-rock Roy Harper, schiettamente orientato al rock, il brano si apre con un incalzante duetto di basso e chitarra, ed è chiuso da uno splendido a solo di chitarra firmato David Gilmour. In virtù del tono sarcastico, è uno dei pochi momenti di relativa leggerezza in un album altrimenti dominato da un vagabondaggio lugubre e psichedelico.
    L’ombra di Syd Barrett

    Buona parte dell’album è dedicata a Syd Barrett – co-fondatore e primo front-man del gruppo, che lasciò nel 1968 a causa del peggioramento della sua salute mentale – attraverso i brani Wish you were here e Shine On You Crazy Diamond. La prima, caratterizzata da un sobrio, suggestivo riff di ispirazione country, è appunto lo sfogo per la nostalgia di Syd Barrett, anche se, a detta di Waters, la canzone può essere letta che come un’amara sull’essere spettatori indifferenti della propria vita, in preda alla disillusione e allo sconforto. Shine On You Crazy Diamond, invece, è un compiuto tributo in nove parti a Barrett, e nel contesto dell’album è anche la triste metafora di ciò che può accadere a un musicista a causa della natura spietata e indifferente dell’industria musicale; la canzone presenta il caratteristico riff a quattro note di Gilmour (a volte noto come Syd’s Theme), e l’introduzione è forse il suo miglior a solo di chitarra. Alla registrazione dell’album è poi legato un toccante aneddoto: il 5 giugno 1975, presso gli stufi di Abbey Road, la band stava completando il mixaggio di Shine On You Crazy Diamond, quando un uomo sovrappeso con la testa e le sopracciglia rasate entrò, e si mise appartato a osservare la scena. Nessuno, sulle prime, lo riconobbe, poi fu Wright che spiegò agli increduli colleghi che quell’uomo era Barrett. A quel punto, tutti cercarono di parlare con lui, ma come ricordò il batterista Nick Mason nel libro Inside Out, Barrett non riusciva a dare risposte completamente sensate. Quella visita lasciò costernati i suoi vecchi colleghi, che avvertirono drammaticamente l’impossibilità di aiutarlo. Altrettanto improvvisamente di quando era arrivato, Barrett si dileguò poco dopo.
    La copertina di Wish you were here

    Come tante altre copertine degli album dei Pink Floyd, anche quella di Wish you were here è opera di Storm Thorgerson.
    Ambientata negli studi della Warner, in California, rappresenta perfettamente il tema dell’album: la persona sulla sinistra impersona l’industria musicale, mentre quella a destra è l’ingenuo musicista, che si brucia vendendo metaforicamente la sua anima e i suoi desideri artistici nel momento stesso in cui entra a far parte di un’etichetta. Mezzo secolo e 20 milioni di copie vendute dopo, si può affermare con certezza che questo tema abbia risuonato ben oltre il mondo chiuso del rock. L’album ha replicato l’ubiquità culturale di Dark Side né la portata concettuale di The Wall, ma ha un posto nel cuore dei tanti ammiratori dei Pink Floyd per la sua sobria eredità fatta di nostalgia e disillusione.

    Niccolò Lucarelli

    https://www.360music.net/artist/41232/pink-floyd
    Compie 50 anni Wish you were here. Il capolavoro dei Pink Floyd A mezzo secolo dalla pubblicazione, Wish you were here, permeato di poetica nostalgia, continua ad affascinare il pubblico. Pubblicato il 12 settembre 1975, è il settimo album in studio della band, e seppur all’inizio la critica lo abbia considerato inferiore agli album precedenti, negli anni è stato giustamente rivalutato e considerato un capolavoro del rock progressivo, Wish You Were Here rappresentò una svolta creativa per i Pink Floyd, nello stesso anno in cui Bob Dylan realizzò l’introspettivo, forse autobiografico Blood on the Tracks, invitando il suo pubblico a pensarlo non come un artista, ma come un essere umano con le sue emozioni. Lo stesso accade per i Pink Floyd con Wish You Were Here, un album intriso di elegie e spettri del passato. Il nuovo inizio dei Pink Floyd Composto da 5 tracce, l’album è aperto e chiuso dalla superba suite Shine On You Crazy Diamond, divisa in 9 parti e dedicata a Syd Barrett. Con il brano che dà il titolo all’album, rappresenta forse al meglio il sound etereo dei “nuovi” Pink Floyd: strutture espanse, effetti spaziali, psichedelia non più distorta e oscura, ma pulita e luminosa. Anche se, singolarmente, i brani dell’album potrebbero non essere tutti al livello del capolavoro, lo diventano appunto nella sequenza completa, il cui concetto e “dosaggio” musicale confermano il talento della band nel creare composizioni complesse, e mette in mostra il virtuosismo alla chitarra di David Gilmour, che si profonde in progressioni di accordi più audaci di quelle presentate su The Dark Side Of The Moon. I testi delle canzoni esprimono variamente nostalgia e alienazione, e i Pink Floyd lo descrissero come un album sull’assenza, ed era certamente quella di Barrett, ma anche, da un altro punto di vista, quella della riconoscenza e della lealtà nel mondo, sempre più cinico e affarista, dell’industria musicale. Non privo di causticità, l’album è un deliberato e beffardo tentativo di “mordere la mano che nutre”, criticando con feroce sarcasmo il mondo dell’industria discografica. Welcome to the Machine, emblematica già nel titolo, descrive il dialogo che avviene tra un discografico rude e arrogante e un giovane cantante, la cui carriera sarà appunto impostata e diretta dal manager, seguendo esclusivamente il criterio commerciale. Non c’è quindi spazio per ideali, utopie, poesie. Scritta da Roger Waters, la canzone è caratterizzata da una saturazione di sintetizzatori, chitarre acustiche ed effetti su nastro. Suggestivo l’inizio, con il suono naturale del sax che sfuma gradualmente in suoni industriali e sintetizzato, metafora della “macchina senza volto” che ingoia cantanti e musicisti. Sulla medesima scia Have a Cigar mette in ridicolo i “pezzi grossi” dell’industria discografica con testi che ripetono una serie di cliché. Interpretato dal cantautore folk-rock Roy Harper, schiettamente orientato al rock, il brano si apre con un incalzante duetto di basso e chitarra, ed è chiuso da uno splendido a solo di chitarra firmato David Gilmour. In virtù del tono sarcastico, è uno dei pochi momenti di relativa leggerezza in un album altrimenti dominato da un vagabondaggio lugubre e psichedelico. L’ombra di Syd Barrett Buona parte dell’album è dedicata a Syd Barrett – co-fondatore e primo front-man del gruppo, che lasciò nel 1968 a causa del peggioramento della sua salute mentale – attraverso i brani Wish you were here e Shine On You Crazy Diamond. La prima, caratterizzata da un sobrio, suggestivo riff di ispirazione country, è appunto lo sfogo per la nostalgia di Syd Barrett, anche se, a detta di Waters, la canzone può essere letta che come un’amara sull’essere spettatori indifferenti della propria vita, in preda alla disillusione e allo sconforto. Shine On You Crazy Diamond, invece, è un compiuto tributo in nove parti a Barrett, e nel contesto dell’album è anche la triste metafora di ciò che può accadere a un musicista a causa della natura spietata e indifferente dell’industria musicale; la canzone presenta il caratteristico riff a quattro note di Gilmour (a volte noto come Syd’s Theme), e l’introduzione è forse il suo miglior a solo di chitarra. Alla registrazione dell’album è poi legato un toccante aneddoto: il 5 giugno 1975, presso gli stufi di Abbey Road, la band stava completando il mixaggio di Shine On You Crazy Diamond, quando un uomo sovrappeso con la testa e le sopracciglia rasate entrò, e si mise appartato a osservare la scena. Nessuno, sulle prime, lo riconobbe, poi fu Wright che spiegò agli increduli colleghi che quell’uomo era Barrett. A quel punto, tutti cercarono di parlare con lui, ma come ricordò il batterista Nick Mason nel libro Inside Out, Barrett non riusciva a dare risposte completamente sensate. 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  • Why Mumbai is the Sparkling Hub of Exquisite Jewellery

    Mumbai, often called the “City of Dreams,” is not only India’s financial capital but also a treasure trove of timeless beauty and craftsmanship when it comes to jewellery. From traditional Kundan and Polki sets to contemporary diamond and platinum designs, Mumbai offers a dazzling variety that caters to every taste and occasion.
    A Blend of Tradition and Modernity
    One of the reasons Mumbai has become the hub of exquisite jewellery is its unique ability to blend tradition with modernity. On one side, you’ll find heritage jewellers who have been preserving centuries-old craftsmanship; on the other, you’ll discover chic boutiques offering innovative, contemporary pieces. This balance ensures that both brides seeking heirloom jewellery and millennials looking for minimalist designs can find what they desire.
    A Shopper’s Paradise
    Mumbai’s jewellery markets such as Zaveri Bazaar, Bandra, and Colaba are world-famous. They not only offer endless choices but also represent India’s rich legacy in jewellery making. Whether you’re looking for bridal jewellery, everyday wear, or luxury investment pieces, the city has something to suit every budget.
    Craftsmanship at Its Best
    Jewellery in Mumbai is synonymous with quality craftsmanship. Skilled artisans, some of whom have inherited this craft for generations, put their heart and soul into creating pieces that are nothing short of masterpieces. Diamonds, gold, platinum, or gemstones – each ornament reflects precision and passion.
    A Global Jewellery Destination
    Mumbai doesn’t just serve local buyers; it attracts international jewellery enthusiasts as well. With globally recognized jewellers, luxury showrooms, and bespoke designers, the city has carved its name on the global map of jewellery destinations.
    Conclusion
    Mumbai’s jewellery culture is more than just business – it’s an emotion, a heritage, and a shining example of India’s artistry. If you are looking to experience the finest designs and unparalleled craftsmanship, Carat World stands out as one of the best jewellery stores in Mumbai, offering collections that perfectly capture the city’s sparkle.

    Visit us - https://www.caratworldofficial.com/

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